Codice Civile art. 297 - Assenso del coniuge o dei genitori 1 .Assenso del coniuge o dei genitori1 . [I]. Per l'adozione è necessario l'assenso dei genitori dell'adottando e l'assenso del coniuge dell'adottante e dell'adottando, se coniugati e non legalmente separati [311 2]. [II]. Quando è negato l'assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell'adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando [312 n. 3], pronunziare ugualmente l'adozione, salvo che si tratti dell'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale [316]2 o del coniuge, se convivente, dell'adottante o dell'adottando. Parimenti il tribunale può pronunziare l'adozione quando è impossibile ottenere l'assenso per incapacità [414] o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 132 l. 19 maggio 1975, n. 151. [2] L'art. 37, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito la parola: «potestà», con le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lgs. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoL'art. 296 c.c. richiede, per l'adozione, una manifestazione della volontà (dell'adottando e dell'adottante) da esprimersi nella forma del consenso. Il successivo art. 297 richiede, invece, perché possa farsi luogo all'adozione, una manifestazione della volontà ad opera di persone (quando ve ne sono) diverse dall'adottando e dall'adottante e che deve assumere il contenuto di un semplice assenso. La diversità terminologica utilizzata dal legislatore per le due situazioni corrisponde ad una rilevante diversità nella natura e negli effetti delle dette manifestazioni di volontà. Il consenso dell'adottando e dell'adottante proviene, infatti, dalle parti del rapporto adottivo, ha un valore negoziale e per questo ha giustificato le opinioni dottrinarie che ravvisavano nell'adozione un negozio di diritto privato, sottoposto ad una sorta di omologazione ad opera del giudice. L'assenso è richiesto a soggetti terzi, rispetto al rapporto diretto tra adottando e adottante, ed è preteso per la tutela dei loro interessi nei confronti degli effetti cagionati dall'adozione. Esso, in letteratura, è considerato una condicio juris che opera dall'esterno sulla adozione (Bianca, 473; Collura, 1139; Procida Mirabelli di Lauro, 465; IVONE, 425). Inoltre, mentre il consenso deve essere prestato di persona, in quanto finalizzato alla costituzione di un rapporto personalissimo costitutivo di uno status, l'assenso, per espressa previsione di legge (art. 311), può essere prestato anche per mezzo di un rappresentante munito di procura speciale, rilasciata per atto pubblico o con scrittura privata autenticata. La condizione dell'espressione di un preventivo loro assenso consente ai soggetti chiamati a rilasciarlo di valutare la sussistenza dei requisiti di liceità, di opportunità e di serietà della prospettata adozione. E, contestualmente, di apprezzarne le conseguenze sul piano delle relazioni familiari e su quello delle ricadute patrimoniali e successorie. L'adozione comporta, tra l'altro, il sorgere di obblighi alimentari reciproci, tra adottante e adottato, e può interferire sull'assetto del patrimonio dell'adottante, in vista della futura successione (Dogliotti, 198; Collura, 1139; Giusti, 586). Nessuna disposizione è dettata per chiarire gli effetti degli eventuali vizi dell'assenso o il suo regime giuridico. La dottrina ritiene che i vizi di forma incidano sulla manifestazione della volontà e debbano essere fatti valere con l'impugnazione dell'adozione (Dogliotti, 199; Collura, 1140; Giusti, 581). Per i vizi della volontà gli studiosi si richiamano alla disciplina dei vizi del consenso richiesto ai sensi dell'art. 296 c.c. Si concorda nell'affermare che all'assenso non possono essere apposte condizioni o termini; che esso può essere revocato sino al momento della pronuncia di adozione, e che non deve necessariamente essere contestuale all'espressione degli altrui consensi. Assenso del coniugeL'art. 297 richiede, per l'adozione ad opera di persona coniugata, l'assenso del coniuge dell'adottante; e richiede, altresì, l'espressione di un assenso anche da parte del coniuge dell'adottando. In entrambi i casi, la richiesta trova ragione in una esigenza di tutela dell'unità e dell'integrità della famiglia e, contestualmente, di preservazione dei diritti successori e alimentari. Il coniuge dell'adottante può essere un soggetto che già ha effettuato l'adozione della medesima persona, come si desume dall'interpretazione, corrente in dottrina, dell'art. 294, per la quale l'adozione di una persona ad opera di marito e moglie può essere effettuata con atti non contestuali (si veda sub art. 294). L'assenso non è richiesto se i coniugi (dell'adottante o dell'adottando) sono legalmente separati. Si intende, con questa indicazione, che deve trattarsi di separazione omologata o giudiziale, e non di separazione di fatto, la quale produce il limitato effetto di sospendere l'obbligo di coabitazione e di osservare le condizioni stabilite nell'accordo o nel provvedimento del giudice (Dogliotti, 200; Collura, 1140; Urso, 869; Sbisà-Ferrando, 262). Tanto meno esclude la necessità dell'assenso il fatto che sia stato pronunciato il provvedimento del presidente del tribunale che autorizza i coniugi a vivere separati, nelle more del giudizio di separazione o di scioglimento del matrimonio (stante la provvisorietà dell'atto: Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, II, Milano, 1984, 1955). Il solo matrimonio religioso non è idoneo ad imporre la necessità dell'assenso del coniuge sino a che non è trascritto nei registri dello stato civile, dato che sino a tale momento quel matrimonio per il nostro ordinamento non è sussistente. La trascrizione non ha effetti retroattivi sull'adozione che nel frattempo fosse stata effettuata (Cass. n. 6925/1986; Dogliotti, 2002, 200; Procida Mirabelli di Lauro, 475). L'unione civile non sembra costituire una situazione da porre sullo stesso piano del coniugio, per quanto riguarda la necessità dell'assenso della persona legata da una unione siffatta con il soggetto adottante o con l'adottando. Infatti, l'art. 1, comma 20, della l. 20 maggio 2016, n. 76, dispone che le norme, in genere, che contengono le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso; ma che questa applicazione non vale per le norme del codice civile non richiamate espressamente dalla stessa legge. Non sono richiamate da tale legge le disposizioni del codice civile concernenti l'adozione. Cass. II, ord. n. 6820/2024 ha affermato che in caso di adozione avvenuta da parte di uno solo dei coniugi, l'assenso dell'altro coniuge costituisce requisito di validità dell'adozione ma non instaura un rapporto di filiazione tra l'adottato e il coniuge dell'adottante, essendo ammessa l'adozione da parte di una sola persona, salvo che gli adottanti siano marito e moglie. Assenso dei figli maggiorenni e presenza di figli minorenniCome si è riferito sub art. 291 c.c., a seguito della pronuncia della Corte cost. 19 maggio 1988, n. 557, l'adozione di persona maggiorenne richiede il consenso dei figli maggiorenni dell'adottante. La pronuncia non specificava se in proposito occorresse la convivenza o comunque l'unità familiare. La dottrina reputa sufficiente a integrare la condizione la sola esistenza di figli maggiorenni; se non sono idonei ad esprimere il consenso, per incapacità, deve farsi applicazione dell'art. 297, secondo comma. La presenza di figli minorenni impedisce l'adozione, perché essi non sono in grado di manifestare un consenso. Si è, tuttavia, formato un orientamento giurisprudenziale per il quale una siffatta presenza può non essere di ostacolo, nel caso di adozione ad opera del coniuge del genitore dell'adottando, se questi è ormai inserito nel suo nucleo familiare e sempreché essa corrisponda all'interesse dell'adottando stesso (si veda sub art. 291, par. 3.1.). Nell'adozione di maggiore d'età, la posizione dei figli legittimi o legittimati è parificata a quella del coniuge convivente dell'adottante o dell'adottando, la cui mancanza di assenso osta all'adozione ai sensi dell'art. 297 c.c., senza la possibilità per il tribunale di ritenere il rifiuto all'assenso ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando e di procedere ugualmente all'adozione (Trib. Livorno, 3 luglio 2018, n. 3). Rifiuto dell'assensoIl rifiuto dell'assenso non è sempre preclusivo dell'adozione. Infatti, il secondo comma dell'art. 297 consente al tribunale, su istanza dell'adottante, cui la mancanza dell'altrui assenso impedisce di ottenere il provvedimento, di ritenere ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando il rifiuto e di pronunciare ugualmente l'accoglimento della richiesta. In proposito si desume dalla norma citata che (non essendo richiesto l'assenso dei genitori dell'adottante): - non è superabile dal tribunale il rifiuto proveniente dal coniuge convivente dell'adottante o dell'adottando; - è superabile, dal tribunale, il rifiuto del coniuge (non legalmente separato ma) non convivente: la dottrina evidenzia in proposito che che la regola vale quando si tratta di una non convivenza, in fatto, divenuta stabile e rivelatrice dell'essere venuta meno la comunione materiale e spirituale tra i coniugi (Dogliotti, 2002, 202; Procida Mirabelli di Lauro, 471; Sbisà, 263); - è superabile, dal tribunale, il rifiuto dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale dell'adottando: ma il riferimento all'esercizio della responsabilità genitoriale deve ritenersi caduto, in tema di adozione di persone maggiorenni, e dopo la soppressione della c.d. adozione legittimante dei minori, dovuta alla l. 4 maggio 1983, n. 184 (Dogliotti, 2002, 202; Procida Mirabelli di Lauro, 471; Sbisà, 263). A queste fattispecie la dottrina aggiunge quella relativa al rifiuto dell'assenso da parte dei figlimaggiorenni. Essa non è specificamente menzionata nella norma in esame in quanto la necessità dell'assenso dei predetti fu dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 577/1988 citata (supra). Il legislatore non ha approfittato delle riforme successive per coordinare il testo della disposizione con questa pronuncia. Il Tribunale di Firenze (Trib.Firenze,25 agosto 1995, in Dir. fam., 1997, 199) dichiarò non giustificato il motivo di rifiuto dell'assenso fondato sul timore della perdita dei legami affettivi con il proprio figlio biologico, a causa dell'adozione ad opera di terzi, posto che l'adozione dei maggiorenni mantiene integralmente i diritti e i doveri verso la famiglia di origine. Nello stesso senso si era pronunciato il Tribunale di Milano, 5 novembre 1988 (in Dir. fam., 1989, 177). I poteri del tribunaleNei limiti di cui sopra, al tribunale è attribuito il potere di pronunciare l'adozione di maggiori di età anche in situazione di mancanza dell'assenso occorrente nello specifico caso. Le condizioni di esercizio di questo potere sono costituite dalla mancanza di giustificazione apprezzabile del rifiuto o dalla contrarietà di esso all'interesse dell'adottando. Per questo secondo aspetto va osservato che dell'adottando è richiesto il consenso, sì che il diretto e principale tutore dei propri interessi è lui stesso. Per questa ragione non è neppure ipotizzabile che il giudice possa ritenere non giustificato il suo dissenso e possa dichiarare una adozione che l' adottando, come diretto protagonista, non vuole. La legge considera, infatti, l'adottando quale soggetto da proteggere, posto che l'adozione è un istituto che muta il suo status personale, con notevoli conseguenze di ordine anche patrimoniale e successorio. È indefinito, per contro, il concetto di ingiustificatezza del rifiuto dell'assenso, in relazione ad una adozione che si fonda sulla volontà reciproca degli interessati diretti e per la cui pronuncia da parte del giudice non è prevista la verifica di sussistenza di specifici requisiti. La dottrina ha ipotizzato che vada ritenuto giustificato il rifiuto dell'adottando riguardante le qualità, apprezzate negativamente, dell'adottante, l'asserita incompatibilità delle rispettive personalità, o l'inconsistenza del patrimonio dell'adottante a fronte della rilevanza di quello dell'adottando (si vedano per rilievi in proposito Dogliotti, 2002, 201; Collura, 1141; Procida Mirabelli di Lauro, 476. Dal fatto che sia attribuito al tribunale il potere di superare il rifiuto di assenso, manifestato dal soggetto chiamato a prestarlo, diverso dall'adottando, i sostenitori della teoria pubblicistica (si veda sub art. 296, paragrafi 1, 3) traggono un ulteriore argomento dal quale desumere la natura concessoria o, per taluni, costitutiva, del provvedimento giudiziale di adozione (ad es., Dogliotti, 209; SALVI, 294). Trova un fondamento diverso il potere del tribunale di superare la mancanza dell'assenso nei casi in cui il soggetto che dovrebbe prestarlo è impedito a farne manifestazione. L'assenso prestato dall'incapace è inefficace e invalida l'adozione. È discusso se il tribunale possa sostituirsi all'incapace o se la situazione di incapacità impedisca l'adozione. Si ritiene in prevalenza che l'adozione possa essere dichiarata ugualmente, nell'impossibilità di rendere adempiuta una condizione il cui avveramento è impedito soltanto da circostanze oggettive. Si è ritenuto che il tribunale possa pronunciare l'adozione nel caso in cui il soggetto del quale è richiesto l'assenso è irreperibile. Non occorre che la situazione di irreperibilità sia formalmente conclamata o sia previamente dichiarata la situazione di assenza (Procida Mirabelli di Lauro, 473). E all'irreperibilità si considera equivalente l'inerzia di colui al quale è stato notificato il ricorso per l'adozione e che non manifesti in alcun modo la sua volontà, rimanendo in proposito del tutto indifferente e disinteressato. Anche in questa fattispecie sarebbe, altrimenti, impossibile l'adozione per una ragione che oggettivamente non appare giustificata e comunque risolvibile. In entrambi i casi la dottrina osserva che l'adozione è un istituto di favore per l'adottando, del quale tende ad incrementare i diritti e le aspettative affettive ed economiche (Dogliotti, 202; Collura, 1141; Sbisà, 262; Dell'Utri, 714). Il Tribunale di Spoleto (10 luglio 1996, in R Gum., 1997, 471) pronunciò l'adozione in un caso in cui il soggetto che doveva prestare l'assenso era irreperibile: sull'assunto che, nell'inerzia di costui, doveva farsi luogo ad un provvedimento di totale vantaggio per l'adottando. 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