Codice Civile art. 298 - Decorrenza degli effetti della adozione.Decorrenza degli effetti della adozione. [I]. L'adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronunzia [313]. [II]. Finché il decreto non è emanato, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il loro consenso [296]. [III]. Se l'adottante muore dopo la prestazione del consenso e prima della emanazione del decreto, si può procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione. [IV]. Gli eredi dell'adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all'adozione. [V]. Se l'adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell'adottante. InquadramentoIl primo comma dell'art. 298 ricollega gli effetti dell'adozione alla data di pronuncia del provvedimento del giudice. La disposizione esprime una precisa scelta legislativa, tra l'alternativa di privilegiare il momento dell'espressione dei consensi delle parti e quella di dare rilievo all'atto giudiziale. La scelta effettuata è andata in senso inverso rispetto a quanto era stato disposto con il codice civile del 1865. In allora gli effetti dell'adozione si producevano a decorrere dalla manifestazione reciproca dei consensi dell'adottante e dell'adottando: e questa circostanza aveva dato occasione al formarsi della c.d. teoria privatistica (si veda sub art. 296 c.c.), che ravvisava nell'adozione una fattispecie complessa al cui interno i soggetti del rapporto davano vita ad un negozio giuridico. Attualmente il prodursi degli effetti è stato ricondotto al provvedimento del giudice che, come risulta dall'art. 313 c.c. nel testo conseguente alla sostituzione operata dalla l. 28 marzo 2001, n. 149, è assunto in forma di sentenza e non più nella forma del decreto. Il fatto che l'art. 298 si riferisca tuttora ad un decreto è conseguenza di un mancato coordinamento con le modifiche introdotte dalla legge citata. Il diverso assetto normativo, a confronto con la codificazione precedente, ha dato impulso alla teoria c.d. pubblicistica (sub art. 291 c.c.) in quanto nel rilievo assegnato al provvedimento giudiziale si ravvisa un elemento decisivo di smentita della natura soltanto negoziale dell'adozione. Manca, tuttavia, una convergenza di opinioni tra gli studiosi per quanto poi riguarda la natura giuridica da riconoscere alla sentenza. Si sostiene che essa ha natura accertativa di un potere del quale ha la titolarità il privato e che la pronuncia del giudice ha la funzione di rendere attuale tale potere. Si afferma, da altri, che la sentenza ha natura concessoria, posto che al giudice è attribuito un margine di discrezionalità nel valutare la convenienza per l'adottando. Si oppone, inoltre, che gli effetti si producono con la sentenza perché questa ha natura costituiva di uno status. Su questi aspetti si vedano, tra gli altri, Dogliotti, 2002, 209; Procida Mirabelli di Lauro, 485). In quest'ultimo senso si è espressa la giurisprudenza ( si veda sub art. 296 c.c.). Gli effetti dell'adozione si verificano dalla sentenza, vale a dire, dalla data della sua pubblicazione ad opera del cancelliere. Tali effetti si producono da tale momento sia per le parti che per i terzi. La trascrizione della sentenza e la sua annotazione a margine dell'atto di nascita costituiscono adempimenti successivi ad una adozione perfezionata ed efficace (si veda sub art. 314 c.c.). Cass. II, ord. n. 6820/2024 ha osservato che il possesso di stato non ha funzione costitutiva dello status di figlio adottivo, in quanto l'ambito di applicazione dell'istituto è dal legislatore circoscritto alla sola sfera probatoria dei rapporti di filiazione (nel caso, il giudice di merito aveva correttamente escluso l'applicabilità delle norme sul possesso di stato quale fatto costitutivo dello status di figlio adottivo anche nei confronti del coniuge dell'adottante). Il decreto che pronunzia l'adozione di persone di maggiore età (art. 314 cod. civ.) ha natura costitutiva, produce effetti direttamente incidenti sullo "status" dell'adottato ed è connotato dalla stabilità, comprovata dalla circostanza della previsione della sua revocabilità soltanto in casi tassativi e specifici (artt. 305-309 cod. civ.), in conseguenza di fatti sopravvenuti e con efficacia "ex tunc"; pertanto, poiché siffatto decreto ha natura di provvedimento decisorio e definitivo, i vizi, sia processuali sia sostanziali, che eventualmente lo inficiano e ne determinano la nullità si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo previsto dall'ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dall'impugnazione comporta che gli stessi, in applicazione del principio stabilito dall'art. 161 cod. proc. civ., non possono essere più dedotti neppure con l'"actio nullitatis" (Cass. n. 12556/2012). Revoca del consensoIl secondo comma dell'art. 298 c.c. consente la revoca del consenso dell'adottante e dell'adottando all'adozione sino al momento in cui è pronunciato il provvedimento del giudice. La norma va attualmente letta nel senso che la revoca è consentita sino alla pubblicazione della sentenza con la quale deve essere pronunciata l'adozione (si veda il paragrafo che precede per il mancato coordinamento della disposizione con le modifiche apportate all'art. 313 c.c.). Essa è chiaramente riferita al provvedimento che il giudice emette sulla richiesta di adozione dopo che le parti hanno espresso il loro consenso: la possibilità che la stessa rimandi anche al successivo provvedimento che viene pronunciato dalla corte di appello sul reclamo avverso l'atto del tribunale è stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità. Si è affermato, in proposito, che si consentirebbe, altrimenti, ad un atto dispositivo della parte di porre nel nulla un provvedimento giudiziario. Si concorda nel ritenere che la revoca tardiva non ha effetti, in quanto la sentenza ha già determinato i mutamenti di diritto sostanziale che le sono propri. È sorta, però, la questione relativa alla forma che deve assumere la revoca, nell'assenza di espresse disposizioni al riguardo; e sul modo, che a tale forma risulta strettamente collegato, con il quale il tribunale deve essere posto a conoscenza della revoca sopraggiunta al consenso già prestato. Per una parte della dottrina l'assenza di disposizioni specifiche lascia l'interessato libero di scegliere le forme che ritiene pertinenti e di manifestare la propria volontà contraria anche con un comportamento concludente, salvo il suo onere di darne notizia e prova al giudice, cui manca la possibilità di accertare la persistenza dei consensi (Collura, 1139; Dogliotti, 2002, 210; Sbisà-Ferrando, 1992, 266). Altri Autori affermano che la revoca deve essere simmetrica, nella forma, a quella prevista per il consenso, rispetto al quale costituisce un atto di segno contrario che incide sulla medesima situazione sostanziale. La revoca, pertanto, dovrebbe essere dichiarata oralmente, davanti al presidente del tribunale, ed essere resa personalmente (Procida Mirabelli di Lauro, 492). Se il consenso è stato revocato e l'adozione è dichiarata ugualmente, ad opera di un tribunale che è ignaro della circostanza, il provvedimento è affetto da nullità (Collura, Dogliotti, Sbisà-Ferrando). Si ritiene, generalmente, che quanto disposto dall'art. 298, relativamente alla revoca del consenso, valga anche a proposito della revoca dell'assenso, di cui all'art. 297. Il consenso è revocabile sino alla pronuncia del provvedimento di adozione; non ha rilevanza che sia proposto reclamo e che intervenga il successivo provvedimento della corte di appello (Cass. n. 9598/1993; Cass. n. 1133/1988. In senso contrario: App. Genova, 9 giugno 1997, in Dir. fam., 2000, 91). Morte dell'adottanteLa morte dell'adottante che abbia espresso il suo consenso, intervenuta prima della pronuncia del provvedimento del giudice, non impedisce, di per sé, che sia dichiarata l'adozione. La morte è considerata quale circostanza non necessariamente influente a precludere gli effetti positivi voluti a favore dell'adottando dal soggetto che ha chiesto l'adozione e che ormai aveva compiuto tutto quello che era in suo potere per farla pronunciare. Proprio per questa ragione gli effetti dell'adozione, se disposta, retroagiscono al momento della morte dell'adottante, con una evidente eccezione alla regola posta dal primo comma dell'art. 298 c.c. La deroga trova ragione nell'esigenza di salvaguardare i principi successori: ove fosse disposto diversamente, l'adozione verrebbe a compiersi in un momento (quello della sentenza) posteriore all'apertura della successione (la morte avvenuta in precedenza), con conseguente impossibilità del soggetto adottato successivamente a porsi tra i chiamati all'eredità. La disposizione è rivolta a rispettare la volontà del defunto. Essa non comporta l'automatica pronuncia dell'adozione, per il solo fatto che questi sia deceduto. Lascia, per contro, al giudice il potere di procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione ed a provvedervi. Con una valutazione che evidentemente è rimessa all'apprezzamento delle circostanze e soprattutto dell'interesse dell'adottando. Alla morte fisica la dottrina equipara la dichiarazione di morte presunta che, sotto il profilo giuridico, produce i medesimi effetti; non anche la semplice scomparsa né la dichiarazione di assenza o l'incapacità (Dogliotti, 2002, 211). Gli eredi dell'adottante deceduto prima della formale pronuncia dell'adozione possono tutelare i loro interessi con il presentare memorie e osservazioni, in opposizione all'adozione. Essi, ad esempio, possono sostenere che il consenso era stato revocato, in forma libera, e di tale circostanza offrire la prova; o dimostrare che l'adozione non è più conveniente per l'adottando, in conseguenza dell'esser deceduto colui che l'avrebbe inserito nel suo nucleo familiare e gli avrebbe prestato affetto. In proposito non sono dettate disposizioni che impongano al tribunale di fornire agli eredi comunicazioni sull'esistenza del procedimento di adozione o forme di loro audizione. Poiché, però, il coniuge e i figli maggiorenni dell'adottante devono esprimere un assenso, la loro opposizione trova la sede opportuna nel rifiuto dell'assenso o nella sua revoca, che non possono essere superati con una contraria valutazione del tribunale. 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