Codice Civile art. 333 - Condotta del genitore pregiudizievole ai figli (1).

Annachiara Massafra

Condotta del genitore pregiudizievole ai figli (1).

[I]. Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (2).

[II]. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento [38, 51 att.; 742 c.p.c.].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 155 l. 19 maggio 1975, n. 151.

(2) Comma così modificato dall'art. 37 2 l. 28 marzo 2001, n. 149. Il testo recitava: «Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare».

Inquadramento

La norma in commento disciplina l'ipotesi in cui la condotta, posta in essere in violazione dei doveri gravanti sul genitore, sia pregiudizievole per il figlio e per la sua serena crescita ma non sia al contempo talmente grave da determinare la necessità di pronunciare un provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale come quello previsto dall'art. 330 c.c. (in merito si vedano: Bianca, 357; Pelosi, 409; Auletta, 375). In questo caso, così come in quello previsto dall'art. 330 c.c., viene effettuato un controllo, da parte dell'Autorità giudiziaria, ex post, in quanto il Giudice può intervenire solo in seguito all'accertamento di un esercizio scorretto della responsabilità genitoriale che abbia determinato un pregiudizio al figlio (Vercellone, 1019).

Gli inadempimenti dei genitori possono consistere o nel non esercitare la propria funzione o nell'esercitarla in modo non conforme all'interesse del figlio ma, lo si ripete, con una condotta i cui effetti negativi, o potenzialmente negativi, possono essere arginati attraverso un provvedimento «conveniente», variabile nei contenuti a seconda della situazione concretamente esistente.

Appare opportuno specificare, quanto al contenuto della condotta pregiudizievole, che, come osservato da autorevole dottrina, la disposizione si riferisce esclusivamente agli inadempimenti relativi alla persona del figlio, essendo prevista nel medesimo titolo del codice civile una specifica disciplina, quella di cui all'art. 334 c.c., per quanto concerne gli inadempimenti e le violazioni relative alla sfera patrimoniale del minore (Bucciante, 665).

I provvedimenti disciplinati dall'art. 333 c.c., come quelli previsti dall'art. 330 c.c., peraltro, non hanno una finalità sanzionatoria nei confronti dei genitori per gli inadempimenti commessi, né tanto meno tendono ad eliminare per il passato le conseguenze pregiudizievoli per il figlio. Con essi si mira ad evitare che per l'avvenire si ripetano altri atti dannosi o si protraggano ulteriormente conseguenze già verificatesi (Cicu, 366). Il rimedio previsto dal legislatore ha quindi funzione preventiva, ne consegue che il pregiudizio del figlio deve ritenersi non già quello verificatosi in forza degli atti compiuti dai genitori ma il pregiudizio futuro (Bucciante, 662).

I citati provvedimenti mirano, in conclusione, a tutelare gli interessi fondamentali del minore ed a far sì che essi possano essere realizzati e protetti anche nel caso in cui il genitore, con la sua condotta, dimostri di non essere idoneo ad esercitare la responsabilità genitoriale.

Con specifico riferimento ai rapporti esistenti tra i provvedimenti di cui all'art. 330 c.c. e quelli ex art. 333 c.c., si evidenzia che la decadenza determina la perdita totale della responsabilità genitoriale, e dunque non consente al genitore di assumere alcuna decisione nell'interesse del figlio. Per converso, provvedimenti convenienti limitano, affievoliscono o condizionano l'esercizio della predetta responsabilità secondo specifiche modalità o entro determinati ambiti. Per la maggior parte si tratta di provvedimenti sostitutivi della singola manifestazione di volontà del genitore, attraverso i quali il giudice autorizza il compimento di un atto nel superiore interesse del minore (De Phampilis-Lena, 1223). La pronuncia importa pertanto, per tutto il tempo della sua durata, la sospensione di uno o di entrambi i genitori, dall'esercizio della responsabilità genitoriale nei limiti specificatamente previsti dal Tribunale con il decreto pronunciato ai sensi dell'art. 333 c.c.  (si pensi, a titolo esemplificativo, all'ipotesi del genitore che venga limitato nell'esercizio della responsabilità genitoriale solo con riferimento alle decisioni in materia sanitaria o scolastica).

Il contenuto dei decreti di cui innanzi, salva l'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo in commento, non è opportunamente specificato dal legislatore ma rimesso al prudente apprezzamento del Giudice ma entro tre limiti, dovendo essere: caratterizzati da proporzionalità del provvedimento alla gravità del pregiudizio temuto per il figlio; non invasivi dell'autonomia genitoriale e limitati al campo dei rapporti relativi alla persona del minore (Bucciante, 665 e 549). Sicché, di contenuto estremamente vario, i provvedimenti ex art. 333 c.c. potranno impartire al genitore o ai genitori istruzioni più o meno generiche o specifiche nel modo con cui allevare, educare ed istruire il figlio, ovvero sospendere il genitore dall'esercizio di alcuni poteri relativi alla persona del figlio (in questo senso, Bucciante, 665, il quale esclude tuttavia che in caso di sospensione dall'esercizio di poteri specifici gli stessi possano essere attribuiti ad un terzo).

Tra i provvedimenti convenienti che possono essere pronunciati vi è l’affidamento del minore, Cass. I, n. 28244/2019 ha in merito affermato che il giudizio sull’adeguatezza del familiare prescelto quale affidatario temporaneo, ai sensi dell’art. 333 c.c., a soddisfare le esigenze del minore ed a salvaguardarne il sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico, deve essere svolto dal giudice del merito valorizzando fra le figure interfamiliari, il contributo al mantenimento del rapporto con la famiglia di origine. Pertanto l’affidamento temporaneo eterofamiliare può essere disposto solo dopo aver adeguatamente valutato la possibilità dell’affido interfamiliare (nella specie, ai nonni).

L'allontanamento dalla residenza familiare

Il comma 2 della disposizione in esame, così come già disposto in tema di decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale, attribuisce al Tribunale il potere di allontanare il figlio dall'abitazione familiare ovvero il genitore, ove ciò sia necessario per proteggere il minore da situazioni per lui gravemente pregiudizievoli.

Tale potere è peraltro attuabile anche mediante l'uso della forza pubblica, per l'ipotesi di inottemperanza (Trib. min.  Ancona, 5 febbraio 2002, in Fam. e dir., 2002, 637, con nota di Tommaseo).

L'allontanamento è uno strumento volto a tutelare il minore laddove la convivenza stabile con gli altri membri del nucleo familiare possa essere gravemente pregiudizievole per la sua serena ed equilibrata crescita. Ciò in particolare si verifica laddove la convivenza, con il genitore maltrattante o abusante, possa determinare la prosecuzione delle condotte poste a fondamento del provvedimento limitativo dell'esercizio della responsabilità genitoriale (sul punto, Pelosi, 405, con particolare riferimento al provvedimento di decadenza). È stata peraltro evidenziata l'importanza di questa disposizione, definita rivoluzionaria, così come modificata in seguito alla l. 28 marzo 2001 n. 149, in forza della prevista possibilità di allontanare anche il genitore abusante, così tutelando la serenità del minore senza modificarne le abitudini ed il contesto abitativo (Vercellone, 1049).

Sicché, è necessario verificare quale sia la condotta del genitore che consenta l'adozione del provvedimento di allontanamento. L'art. 333 c.c., così come l'art. 330 c.c., prevede che «qualora la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330 c.c., ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla casa residenza familiare, ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta e abusa del minore.

Generalmente l'adozione di un provvedimento così grave, cioè tale da disporre l'allontanamento, verrà adottato in situazioni estreme nelle quali il genitore maltratta o abusa del minore.

Il concetto di maltrattamento coincide con quello previsto dall'art. 572 c.p. (si veda, anche in merito al tipo di maltrattamenti, Cass. pen. III, n. 4752/1998).

Si ritiene, peraltro, preferibile un'interpretazione rigorosa di esso, attesa la chiara volontà del legislatore di prevedere condotte specifiche e normalmente più gravi rispetto a quelle descritte dagli artt. 330 e 333 c.c., altrimenti sarebbe stato sufficiente aggiungere l'espressione «o l'allontanamento del genitore» come misura possibile nei casi «normali» di condotta pregiudizievole (in questo senso, Vercellone, 1050).

Come sopra evidenziato, oltre alla disposizione in commento, anche l'art. 342-bis c.c., che disciplina gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, prevede la possibilità di allontanare dall'abitazione il convivente maltrattante.

In questo secondo caso è di norma il Giudice ordinario, in composizione monocratica a disporre l'allontanamento del convivente, attraverso un particolare procedimento nell'ambito del quale possono essere adottate anche disposizioni di natura patrimoniale.

A ciò si aggiunga che gli ordini di protezione possono essere adottati non solo nei confronti del genitore ma anche nei di altro convivente che compia le condotte disciplinate dall'art. 342-bis c.c. (si vedano altresì, sub artt. 342-bis c.c. e 342-ter c.c., paragrafi relativi ai rapporti tra i provvedimenti de potestate e gli ordini di protezione, ai quali si rinvia; sul punto si vedano: Pacia Depinguente, 759; Scalera, 231). 

Sicché, ove la condotta venga posta in essere dal genitore in danno del minore, per il principio di specialità alcuni autori ritengono che trovi applicazione la presente disposizione e non l'art. 342-bis c.c., con conseguente competenza del Tribunale per i minorenni (Scalera, 232; Figone-vot, 105).

Sul punto giova osservare tuttavia che l'art. 473bis.69 c.p.c., introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ed applicabile ai procedimenti instaurati in data successiva al 28 febbraio 2023, prevede che gli ordini di protezione possano essere emanati dal Tribunale per i minorenni, anche su istanza del pubblico ministero, quando la condotta può causare danno al minore. Sicché la celerità che caratterizza il procedimento volto alla emanazione dell'ordine di protezione, laddove la condotta possa inquadrarsi nell'ambito di entrambe le disposizioni sembra apparire maggiormemente confacente alle esigenze di tutela immediata del minore l'adozione dell' ordine di protezione.

I trattamenti sanitari

Il genitore, quale esercente la responsabilità genitoriale, decide in merito alla salute del figlio minorenne. Si pongono tuttavia nella pratica alcuni specifici problemi con riferimento al rifiuto di trattamenti sanitari nell'interesse del minore ed ai casi di volontà difforme del minore che abbia capacità di discernimento.

Con riferimento a quest'ultima fattispecie, lo stesso legislatore ha sentito l'esigenza di consentire alla minore di anni sedici di decidere, previa autorizzazione del Giudice tutelare, in merito all'interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni di gestazione (art. 12. l. 22 maggio 1978, n. 194). La disposizione testé citata assume particolare rilievo in quanto costituisce la manifestazione, sentita da parte del legislatore, della necessità non semplicemente di tenere conto ma di rispettare la volontà del minore, al punto tale da consentirgli di assumere una decisione in tema di diritti personalissimi, fondamentali per il suo presente ed il suo futuro, così riconoscendo il relativo diritto di autodeterminarsi.

La necessità di rispettare la volontà del minore è stata consacrata da ultimo dall'art. 3 della recentissima l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante norme in materia di consenso informato e di direttive anticipate di trattamento.

Tale disposizione riconosce al minore il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione della decisione. A tal fine, essa prevede che anche al minore, e non solo al suo rappresentante legale, debbano essere fornite informazioni sulle scelte relative alla propria condizione di salute. Ovviamente tali informazioni devono essere fornite con modalità appropriate e tenendo conto della sua capacità. La stessa disposizione prevede che il rappresentante legale del minore, sottoposto a responsabilità genitoriale ovvero a tutela, esprima o neghi il consenso informato ai trattamenti sanitari. Tuttavia tale potere deve essere esercitato tenendo conto della volontà della persona, in relazione all'età ed al grado di maturità, e deve avere lo scopo di tutelarne la salute psicofisica e la vita oltre che di assicurare il rispetto della dignità. Ciò comporta che quanto più il minore sia capace di esprimere la propria volontà e di comprendere la propria situazione sanitaria, tanto meno il rappresentante legale potrà discostarsene. Qualora peraltro il rappresentante legale rifiuti i trattamenti sanitari proposti dal medico curante, e questi, differentemente, li ritenga necessari ed appropriati, il contrasto è risolto dal Giudice tutelare secondo quanto prevede il quinto comma del medesimo art. 3. Tale disposizione riferendosi genericamente al rappresentante legale sembra rivolgersi anche al genitore esercente la responsabilità genitoriale. In tal caso una possibile modalità di raccordo tra la citata disposizione e quella di cui all'art. 333 c.c. potrebbe ravvisarsi nel circoscrivere la competenza del Giudice tutelare ai soli casi nei quali non venga in considerazione un cattivo esercizio della responsabilità genitoriale. Diversamente opinando si attribuirebbe al Giudice tutelare una competenza in tema di responsabilità genitoriale funzionalmente spettante al Tribunale per i minorenni.

Tuttavia, tolte le fattispecie direttamente disciplinate dal legislatore, bisogna verificare quali provvedimenti possano essere adottati nel caso in cui il genitore rifiuti di prestare il consenso al compimento di un trattamento sanitario ritenuto dai medici necessario per il figlio e cosa possa, in ipotesi, essere disposto dall'Autorità giudiziaria dinanzi al rifiuto del minore alle cure.

La stessa disposizione in commento fornisce la risposta del legislatore alle condotte pregiudizievoli poste in essere dal genitore. Nel caso in cui il rifiuto del genitore sia ingiustificato e, anche solo potenzialmente, lesivo della integrità fisica e della salute del minore, il Tribunale per i minorenni adito, potrà infatti adottare un provvedimento conveniente, come la sospensione temporanea dei genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale, con contestuale nomina di un tutore per il compimento dell'atto necessario per il minore (sul punto si vedano, diffusamente: Vercellone, 988, e La Rosa, 1035).

In caso di contrasto tra i genitori in merito ad una decisione in tema di salute troveranno invece applicazione, rispettivamente, gli artt. 316 .c. e  337-ter c.c. a seconda della situazione sottostante al rapporto tra i genitori del minore. In caso di contrasto tra genitori e figlio, quest'ultimo dovrà essere sentito ove abbia compiuto gli anni dodici ovvero anche se di età inferiore ma capace di discernimento, e la sua volontà dovrà essere tenuta in considerazione (in merito all'ascolto del minore si vedano altresì gli artt. 315-bis c.c., 336-bis  c.c., 337-octies c.c., ai cui commenti si rinvia).

Può capitare che il medico proponga una cura e che il genitore, d'accordo con il figlio, la rifiuti. Nel caso di rifiuto suscettibile di essere seriamente pregiudizievole per la salute del minore, in forza di parere medico, perché, in ipotesi, implicante, rischio di morte ovvero aggravamento della malattia, il sanitario ben potrà, informare l'Autorità giudiziaria minorile per la possibile adozione di un provvedimento ex art. 333 c.c., su richiesta del Pubblico ministero o degli altri parenti (in questo senso, Vercellone, 997).

Dinanzi ad un rifiuto inerente un intervento chirurgico manifestato dal genitore, il giudice, in forza degli ampi poteri anche sostitutivi conferitegli dall'art. 333 c.c., può difatti «consentire all'esecuzione del detto intervento», demandando l'esecuzione del relativo provvedimento, anche forzata nel caso di sua mancata esecuzione spontanea da parte dell'esercente la responsabilità genitoriale (in questo senso App. Ancona, 26 marzo 1999, in Fam. e dir., 1999, 467). In quest'ottica, ex art. 333 c.c. potrebbe dunque essere adottato un provvedimento di sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale così come un provvedimento di allontanamento temporaneo dalla residenza familiare con affidamento ai servizi sociali, per le cure del caso (Trib. min. Roma, 27 luglio 1994, in Jus, 1995, 61, e Trib. min. Trento, 30 dicembre 1996, in Riv. it. med. leg., 1998, 835).

In merito, Trib. Roma, 16 febbraio 2017 ha altresì stabilito che in caso di mancata sottoposizione del figlio a cure mediche necessarie possa essere imposto ai genitori, congiuntamente, di sottoporre ad esse il figlio. Così come il rifiuto alla sottoposizione ad emotrasfusioni il figlio, al pari del rifiuto di sottoporlo alle vaccinazioni obbligatorie, può determinare la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale (in merito si vedano, per la giurisprudenza di legittimità e costituzionale, Cass. n. 1265/1994, in Dir. fam., 1994, II, 871, e Corte cost., 27 marzo 1992, n. 132, e, per quella di merito, App. Bari, 12 febbraio 2003, e Trib. min. Perugia, 20 giugno 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, 630).

Tuttavia, con statuizione più recente, Trib. min. Bologna, 19 settembre 2013 (in Fam. e dir., 2014, 4, 372, con nota di Amato) ha contrariamente ritenuto che il rifiuto di vaccinare il figlio non costituisca condotta ovviabile ex art. 333 c.c., in quanto il contrasto in questo caso sussisterebbe tra i genitori e la Pubblica Amministrazione, in ragione del proprio provvedimento impositivo della vaccinazione, e non tra i primi ed il figlio minorenne, non integrando, così, quella dei genitori, condotta pregiudizievole per minore. Nel caso si specie, dopo una attenta ricostruzione delle disposizioni vigenti in tema di vaccinazione è stato ritenuto l'obbligo di vaccinazione non ricompreso «tra i casi di trattamento sanitario imposto a sicuro ed immediato presidio del diritto alla vita e alla salute del minore in oggetto ovvero precipuamente alla sfera del suo personale e diretto interesse». L'obbligo de quo è stato invece ricondotto, «in via prevalente, nell'ambito della scelta di politica legislativa sanitaria da valutarsi sul piano dell'interesse pubblico ad evitare l'insorgere di importanti focolai epidemici».

In precedenza, invece, Trib. min. Messina, 28 marzo 2000 (in Dir. fam., 2000, 1176) ha ritenuto carente di giurisdizione in materia di vaccinazioni obbligatorie il Tribunale per i minorenni, non avendo i genitori alcun potere di opposizione, oltre a quelli previsti per tutti i cittadini, in tema di scelte discrezionali della pubblica amministrazione e, come tali, sottratte al sindacato di merito e relative ad un obbligo coercibile in via esclusiva da parte dell'amministrazione sanitaria (si senso conforme si veda Trib. min. Bologna, 20 gennaio 1994).

In tema di vaccinazioni si è peraltro recentemente espressa App. Napoli, 30 agosto 2017, che ha confermato il decreto pronunciato dal Tribunale per i l minorenni con il quale era stato «affievolito»  l'esercizio della responsabilità genitoriale della madre, contraria alla somministrazione dei vaccini, solo relativamente alla questione inerente le vaccinazioni, lasciando integra quella del padre. La Corte d'appello, tra le altre circostanze, ha in particolare evidenziato che, nella prassi, in fattispecie analoghe a quella sottoposta al suo vaglio, la maggioranza della giurisprudenza di merito ha risolto la questione rimettendo la decisione al pediatra. Per converso, nel caso di specie, la decisione è stata rimessa al padre ma  nel senso non di imporre le vaccinazioni bensì di rimettere a lui la scelta (in ordine all'eventuale vaccinazione, in ipotesi anche previa consultazione di personale tecnico-sanitario).

La citata Corte territoriale ha in particolare chiarito come, nella specie, si atteggiasse effettivamente il dispositivo dell'impugnato decreto ove aveva disposto: «il padre preleverà ed accompagnerà il minore ad effettuare le vaccinazioni». Tale locuzione è stata in particolare intesa nel senso che l'ultima decisione sarebbe spettata al padre («sotto la sua responsabilità») e che, quindi, egli avrebbe esercitato la facoltà di sottoporre il figlio alle vaccinazioni, anche senza il consenso della madre, cosi come quella di rimandarne l'esecuzione ovvero di cambiare idea. Ciò è stato argomentato dalla lettura non del solo dispositivo bensì dell'intero provvedimento sindacato, nel cui impianto motivazionale non si faceva mai riferimento ad un obbligo di legge, ovvero a vaccinazioni obbligatorie — salvo eventuali sopravvenienze legislative –.

La pertinente clausola di riserva di cui innanzi («salvo eventuali sopravvenienze legislative»), impone in questa sede di evidenziare che in data 6 agosto 2017 è entrata in vigore la l. 31 luglio 2017, n. 119 che prevede l'obbligatorietà delle vaccinazioni per i minori di anni diciotto secondo il calendario da essa indicato. Sicché, trattandosi di obbligo previsto dalla legge i genitori sono tenuti ad effettuarlo ed in mancanza soccorreranno le disposizioni di cui agli artt. 333,  316 e  337-ter  c.c.

In tema di ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti de potestate, in relazione alla disciplina antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 149 del 2022 si rinvia al paragrafo dedicato, in questa sede, in maniera precipua alla questione in oggetto.

Casistica e fattispecie particolari

La differenza tra i provvedimenti di cui all'art. 330 c.c. e quelli adottabili ex art. 333 c.c. non ha carattere qualitativo ma quantitativo potendo essere disposta la limitazione della responsabilità genitoriale anche in caso di condotta del genitore estrinsecantesi in gravissime trascuratezze nei confronti dei figli e delle loro esigenze fondamentali (App. Bologna, 11 maggio 1988, in Dir. fam., 1989, 602, nella fattispecie non è stata dichiarata la decadenza dalla «potestà» di una madre tossicodipendente che durante la gravidanza, e anche dopo, aveva commesso diversi reati e non si era curata in alcun modo del figlio subito dopo la nascita, ciò in considerazione della sopravvenuta ferma e certa volontà di prendersi cura del nato con l'ausilio dei servizi sociali).

Sicché, anche le violenze poste in essere in danno del coniuge, che il minore è destinato a conoscere, possono a tal stregua essere considerate comportamenti legittimanti l'adozione di un provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale. In applicazione del principio, App. Napoli, 18 aprile 2012 (in Foro it., 2012, 11, I, 3116) ha sospeso dall'esercizio della responsabilità in genitore indagato per l'omicidio dell'altro genitore e sottoposto alla misura della custodia cautelare. Parimenti, l'allontanamento dal luogo di residenza dei minori, con contestuale collocazione degli stessi all'estero nel luogo di origine del genitore, impedendone il rientro in Italia, può determinare la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale (App. Perugia, 18 ottobre 1999, in Rass. giur. umbra, 2000, 11).

È opportuno evidenziare che, prima della sostituzione dell'art. 317-bis c.c. (effettuata con l'art. 42 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta del genitore volta ad ostacolare i rapporti con gli ascendenti possa essere pregiudizievole per la serena crescita della prole, con conseguente applicabilità della disposizione in commento al fine di preservare i rapporti tra il minore ed i nonni (ex plurimis, per la giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 24423/2007, mentre per la giurisprudenza di merito: Trib. min. Bari, 29 giugno 2011).

È stata posta al vaglio di legittimità costituzionale una ipotesi ritenuta assimilabile a quelle di cui all'art. 333 c.c. con particolare riferimento al caso di condotta del genitore biologico che ostacoli il rapporto del figlio con il proprio ex partner. Nella specie, il Tribunale era stato adito al fine di regolamentare il diritto di visita di una donna con i figli della propria ex compagna (con la quale aveva sostenuto economicamente ed intrapreso un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la nascita di due gemelli cresciuti da entrambe le donne). La Corte cost. n. 225/2016 (in Giur. cost., 2016, 178, con nota di Astone, Aspettative verso il convivente e aspettative verso il coniuge: prove di equiparazione ragionata) ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c. con riferimento ai parametri di cui agli artt. 2,3, 30, 31 e 117, comma 1, Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU), nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all'interesse del minore conservare rapporti significativi con l'ex partner del genitore biologico.

Il Giudice di legittimità ha in particolare affermato che l'interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l'interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest'ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile all'ipotesi della condotta del genitore comunque pregiudizievole al figlio, in relazione alla quale l'art. 333 c.c. consente l'adozione dei provvedimenti convenienti nel caso concreto. Ne consegue che il giudice anche in questo caso, è tenuto a valutare se, nel caso concreto, l'interruzione dei rapporti tra il c.d. «genitore sociale» ed i figli dell'ex partner costituisca condotta pregiudizievole per il minore (per una ipotesi applicativa della detta valutazione si veda App. Palermo, 11 aprile 2017).

In merito ai «provvedimenti convenienti» nell'interesse dei figli minorenni, assume particolare rilievo la decisione del Tribunale di Milano che, nell'ambito di un procedimento ex art. 337-quinquies c.c. e  333 c.c., ove sussisteva conflitto tra i coniugi, ha non solo regolamentato l'affidamento del minore ma anche, sull'accordo delle parti, nominato un coordinatore genitoriale. A quest'ultimo sono stati in particolare attribuiti i compiti di verificare la concreta attuazione degli interventi disposti in favore delle parti (attuazione dei percorsi terapeutici individuali) e del minore (terapia psicomotoria relazionale); mantenere una funzione di raccordo con gli operatori deputati a seguire il nucleo familiare nonché, se necessario, con gli insegnanti del minore e con i professionisti sanitari che ne abbiano la cura; salvaguardare e preservare la relazione tra i genitori ed il minore, fornendo le opportune indicazioni (sulla base della CTU) eventualmente «correttive» dei comportamenti disfunzionali dei genitori rispetto al progetto di crescita, autonomizzazione e distacco del minore dalle figure genitoriali; nonché coadiuvare i genitori — con specifica possibilità di effettuare raccomandazioni — nelle scelte in tema di salute (scelta del professionista a cui rivolgersi, degli interventi medici da seguire, dei trattamenti terapeutici ecc.), di educazione (scelte scolastiche) e formative inerenti la prole. Il detto coordinatore, nella specie, ha anche avuto i compiti di: garantire l'osservanza del rispetto del calendario relativo alla modalità di esercizio del diritto di visita in favore del genitore non collocatario, in particolare suggerendo ai genitori le opportune riflessioni in punto di opportunità/inopportunità di apportare modifiche e deroghe al calendario di frequentazione; guidare i genitori a negoziare ed accordarsi sul tempo da trascorrere e condividere con la prole, con conseguente riduzione degli effetti dannosi del conflitto genitoriale sul benessere psicofisico della prole, nonché di segnalare con urgenza all'Autorità giudiziaria minorile ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico ravvisabile con riferimento alla prole (Trib. Milano, 7 Luglio 2016).

Impugnabilità dei provvedimenti de potestate

I provvedimenti ex art. 330 c.c., così come tutti i provvedimenti di volontaria giurisdizione (ex artt. 332 e 333 c.c.), sono storicamente considerati non impugnabili mediante ricorso straordinario per Cassazione (ex art. 111 Cost.), in quanto espressione di giurisdizione volontaria e non contenziosa, perché non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario ma preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli nonché soggetti alle regole generali del rito camerale, sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dagli artt. 330 c.c. e 336 c.c. In quest'ottica detti provvedimenti, sebbene adottati dalla corte d'appello in esito a reclamo, non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno «rebus sic stantibus», in quanto modificabili e revocabili non solo «ex nunc», per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche «ex tunc», per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze, con la conseguenza che esulano dalla previsione dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 18562/16; Cass. VI, n. 24477/2015; si veda, nello stesso senso, anche Cass. I, n. 11756/2010).

Una delle principali ragioni sulle quali si fonda la non ricorribilità dei citati provvedimenti è data dalla circostanza per la quale gli stessi sono ritenuti revocabili in ogni tempo ed aventi la funzione «non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi «un bene della vita» ma di controllare e governare gli interessi dei minori» (Cass. S.U., n. 11026/2003 ).

In applicazione del citato principio è stato di recente ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per cassazione (ex art. 111 Cost.) avverso i provvedimenti emessi in sede di volontaria giurisdizione, quale, nella specie, il rigetto del reclamo avverso la richiesta di reintegra della potestà genitoriale, stante la mancanza dei requisiti della decisorietà e della definitività del provvedimento impugnato (Cass. VI, n. 24477/2015).

Di recente la Suprema Corte si è però discostata dal costante orientamento sopra riportato attraverso un'interpretazione particolarmente sensibile alla ratio legis delle recenti novità normative che hanno riguardato anche il procedimento di cui all'art. 336 c.c.

Per la Cass. I, n. 23633/2016, in particolare, il provvedimento dichiarativo della decadenza dalla responsabilità genitoriale assume attitudine al giudicato rebus sic stantibus, non è revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi, ed è, pertanto, anche impugnabile con ricorso per Cassazione, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo.

Nel dettaglio, la Suprema Corte ha specificato che, sebbene i provvedimenti de potestate non abbiano natura prettamente contenziosa, non può escludersi «la presenza di parti processuali fra loro in conflitto». In seguito all'ultima novella legislativa, infatti, con riferimento ai procedimenti ex art. 336 c.c. è previsto che il genitore ed i minori debbano essere assistiti da un difensore, è ritenuto necessario l'ascolto del minore (qualora dodicenne o comunque dotato di capacità di discernimento) così come deve essere sentito il genitore la cui responsabilità genitoriale si intenda limitare.

  Successivamente a tale ultima decisione il principio da essa sancito è stato definitivamente consacrato da S.U. n. 32359/2018.

Già nel recente passato autorevole dottrina aveva comunque auspicato il detto mutamento di indirizzo interpretativo del Giudice di legittimità in tema di ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti de potestate, stante il «carattere fondamentalissimo» dei diritti su cui essi incidono (Proto Pisani, 128).

Da ultimo sono intervenute, come innanzi evidenziato, le sezioni unite, affermando che i provvedimenti de potestate, emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., hanno attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi con la conseguenza che, il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Cass. S.U. n. 32359/2018) . La decisione si pone al culmine del percorso intrapreso negli ultimi anni dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di impugnabilità dei provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio (Cass . I, n. 23032/2009), e successivamente in tema di provvedimenti ex art. 330- 333 c.c.  (Cass . I, n. 1746/2016; Cass. I, n. 1743/2016 e Cass. I, n. 23633/2016) volto a superare la tesi secondo la quale i provvedimenti de potestate non avrebbero natura decisoria e che si esaurirebbero «in un governo di interessi sottratti all'autonomia privata senza risolvere un conflitto su diritti contrapposti» (Cass. S.U., n. 6220/1986; in questo senso altresì Cass. S.U. n. 3931/1988;Cass . S.U., n. 10 26/1995).

Cass. I, n. 1668/2020 ha infine affermato, in aderenza a quanto statuito da Cass. S.U. n. 32359/2020, che sono impugnabili con ricorso per cassazione anche i decreti pronunciati dalla Corte d'appello sul reclamo avverso quello del Tribunale per i minorenni. La citata ordinanza ha chiarito che detti provvedimenti hanno, al pari del decreto reclamato, carattere decisorio e definitivo poiché incidono su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, e sono modificabili e revocabili soltanto per la sopravvenienza di nuove circostanze di fatto; sicché essi sono idonei ad acquistare efficacia di giudicato rebus sic stantibus (in questo senso altresì Cass. I, n. 17177/2020; Cass. I, n. 9691/2022 ).

Rileva infine in argomento,  Cass. I, n. 28333/2022 che ha escluso dall’ambito dei provvedimenti ricorribili per cassazione il decreto di nomina del curatore speciale di cui all’ art. 78 c.p.c. poiché è privo sia del requisito della definitività (essendo revocabile e modificabile in ogni tempo ex art. 742 c.p.c.) sia di quello della decisorietà, atteso che, pur attenendo a posizioni di diritto soggettivo, non risolve conflitti su diritti contrapposti.

Riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni

Uno dei problemi processuali più rilevanti è quello relativo al riparto di competenza tra il Tribunale ordinario ed il Tribunale per i minorenni laddove, nel corso di un giudizio di separazione personale, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione, debba essere pronunciato uno dei provvedimenti di cui agli art. 330 e ss. c.c. Tale nodo interpretativo è stato risolto dall'art. 38 disp. att. c.c., il cui attuale primo comma attua il c.d. principio della concentrazione delle tutele i cui profili applicativi rilevano non solo in merito all'art. 330 c.c. ma anche con riferimento alla norma in commento.

Tale disposizione è stata preceduta da un lungo e complesso percorso giurisprudenziale che ha rilevato la sostanziale indistinguibilità della domanda di affidamento esclusivo, per comportamento pregiudizievole dell'altro genitore, dalla richiesta di un provvedimento limitativo della potestà genitoriale, proposta in pendenza di un conflitto familiare. È stata in particolare sottolineata l'esigenza che sia un unico giudice a decidere per entrambi i profili, in ossequio al principio di concentrazione delle tutele, in virtù del quale le soluzioni processuali devono essere ispirate a principi di coerenza logica e ancorate alla valutazione concreta del loro impatto operativo. La Suprema Corte ha argomentato muovendo dalla constatazione del forte grado d'incisività dei provvedimenti de potestate sulla sfera relazionale primaria delle persone e della sempre più frequente interrelazione degli stessi con i provvedimenti da assumere nell'interesse dei figli minori nei conflitti familiari, nonché dalla presa d'atto dell'attribuzione al giudice di tali conflitti del potere di adottare provvedimenti incidenti sulla potestà, «andando anche ultra petitum» (Cass. VI, n. 21348/2017; sul punto si vedano altresì: Cass. VI, n. 20352/2011, espressamente richiamata dalla decisione del 2017 da ultimo citata, e Cass. I, n. 11412/2014).

Tali principi sono stati altresì posti alla base della novella del 2012-2013.

L'art. 38 disp. att. c.c., modificato dall'art. 3 della l. 10 dicembre 2012, n. 219, ha previsto che siano di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84,90,330,332,334,335,371, ultimo comma, c.c. Per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c. è stata invece esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni, nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio ovvero un giudizio ex art. 316 c.c. In tale ipotesi, però per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati «dalle disposizioni richiamate nel primo periodo»,  è stata attribuita al giudice ordinario. Essendo invece di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis c.c.

Il citato art. 38, il cui fine consistente nella concentrazione delle tutele presso un unico Giudice, è stato tuttavia anche nell'attualità foriero di dubbi interpretativi, con annesse conseguenze applicative, attese anche le perplessità manifestate dalla dottrina in merito all'espressione «nelle disposizioni richiamate nel primo periodo» ed alla sua effettiva portata, nonché con riferimento alla espressione «tra le stesse parti», non essendo perfettamente coincidenti le parti del processo dinanzi al Tribunale per i minorenni e quelle dinanzi al Tribunale ordinario (si vedano in merito: Proto Pisani, 126; Danovi, 537; Antoniotti, 200; Tizi, 1110, e Liuzzi, 106).

La Suprema Corte ha in merito affermato che il primo comma della disposizione sopra indicata deve essere interpretato nel senso che la competenza del Tribunale per i minorenni resta esclusa soltanto nell'ipotesi, espressamente contemplata dallo stesso art. 38 disp. att. c.c., in cui, al momento dell'instaurazione del relativo procedimento, sia già pendente quello dinanzi al giudice ordinario, non operando altrimenti la vis attractiva della competenza di quest'ultimo. Tale conclusione, attuazione del principio della perpetuatio jurisdictionis, secondo cui la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda ex art. 5 c.p.c., è peraltro determinata da esigenze di economia processuale nonché di tutela dell'interesse del minore, suffragate da norme costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali, quali l'art. 8 della CEDU e l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Esse impongono di evitare che resti vanificato il percorso processuale svolto anteriormente all'instaurazione del giudizio avente ad oggetto la risoluzione del conflitto familiare (Cass. I, n. 432/2016; Cass. VI, n. 2833/2015; sul punto si vedano anche: Cass. VI, n. 21348/2017; Cass. VI, n. 1349/2015; Cass. I, n. 21633/2014).

In questi casi, pertanto, ove il provvedimento de potestate sia stato pronunciato dal Giudice ordinario, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano, in applicazione del principio contenuto nell'art. 38 disp. att. c.c., al Giudice del conflitto familiare, individuabile nel Tribunale ordinario, se ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella Corte d'appello, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. VI, n. 1349/2015).

Sempre in applicazione del citato principio, la Suprema Corte ha statuito che nel caso in cui penda un giudizio per la modifica delle condizioni di separazione tra i coniugi e venga successivamente instaurato un procedimento ex art. 330 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni, è competente il Tribunale ordinario previamente adito anche relativamente ai procedimenti de potestate. In tal senso si veda Cass. I, n. 432/2016, la quale ha assunto particolare importanza avendo affrontato la questione, attualmente controversa, della non perfetta coincidenza tra i soggetti del procedimento instaurato dinanzi al Tribunale ordinario e quelli del procedimento instaurato dinanzi al Tribunale per i minorenni (tra i quali figura obbligatoriamente il Pubblico Ministero). Essa in merito ha specificato che la detta non perfetta coincidenza non è determinante ai fini di escludere la competenza del Tribunale ordinario, atteso che possono essere previsti meccanismi di raccordo tra il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni e quello presso il Tribunale ordinario, nelle forme processuali previste per la loro partecipazione nel procedimento ex art. 70 c.p.c.

  Deve evidenziarsi che le problematiche innanzi evidenziate sono destinate progressivamente a scomparire con la istituzione del Tribunale  Unico per le Persone, i Minorenni e le famiglie, previsto a decorrere dal 24 dicembre 2024.

Peraltro, l'art. 38 disp. att. c.c. è stato oggetto di ulteriori modifiche, ad opera del d.lgs. n. 149 del 2022 tese a semplificare ulteriormente il difficile riparto di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni. Nel dettaglio la disposizione prevede la competenza del Tribunale per i minorenni in relazione ai procedimenti previsti dagli artt. 84,  250, ultimo comma, 251, 317- bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, del codice civile. La norma attribuisce anche al Tribunale ordinario la competenza a pronunciar i provvedimenti di cui agli artt. 330, 332, 334, 335, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse, parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt.  250, quarto comma, 268,277, secondo  comma e 316  del codice civile, ovvero un procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti  a tutela del minore.

In tale circostanza il Tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, entro il termine di 15 giorni giorni dalla richiesta , adotta tutti  i provvedimenti opportuni temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al Tribunale ordinario dinanzi al quale, previa riunione, continua il procedimento.

Cass. I, n. 14104/2024 ha chiarito, da ultimo, che la nuova formulazione dell'art. 38 disp.att. c.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nella parte in cui dispone l'attrazione alla competenza del tribunale ordinario non solo quando è già pendente, ma anche quando è successivamente instaurato, tra le stesse parti, un giudizio di separazione o divorzio innanzi al giudice ordinario, si applica solo ai ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore della riforma (22 giugno 2022), poiché la norma transitoria non fa riferimento alla data in cui si verifica la litispendenza, bensì a quella di instaurazione dei procedimenti della cui competenza si discute, operando negli altri casi il generale principio di cui all'art. 5 c.p.c. Il principio di cui innanzi è stato affermato con riferimento ad un ricorso de potestate depositato in cancelleria in data 21 giugno 2022, sebbene iscritto a ruolo il giorno successivo, ritenendo irrilevanti, ai fini della pendenza della lite, gli ulteriori adempimenti eventualmente compiuti in ritardo dal cancelliere.

Competenza territoriale

Ai fini dell'individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale ex art. 333 c.c., deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda ex art. 473bis.11. c.p.c.. Valgono dunque in questa sede le stesse osservazioni effettuate con riferimento all'art. 330 c.c. e le relative prospettazioni giurisprudenziali.

E' opportuno ripercorre le decisioni e le osservazioni dottrinali che hanno preceduto l'emanazione del citato art. 473-bis.11 c.p.c. relative alla disciplina previgente.

 Per individuare quale sia il luogo di abituale dimora la Suprema Corte ha in diverse decisioni evidenziato che non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la «nuova» dimora diventi l'effettivo e stabile centro di interessi del minore e non mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale.

Nel senso di cui innanzi si veda Cass. I, n. 24482/2013, che, nella specie, non ha ritenuto idoneo a modificare la competenza lo spostamento della minore all'insaputa dell'altro genitore, avvenuto il giorno precedente all'introduzione del procedimento (negli stessi termini: Cass. S.U., n. 1984/2012; Cass. I, n. 2171/2006).

Sicché, nei procedimenti de potestate la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore dimori abitualmente, a prescindere quindi dagli eventuali trasferimenti di carattere contingente e transitorio (sul punto si veda Cass. I, n. 11022/1997, la quale, nel caso di specie, ha qualificato contingente e transitorio l'allontanamento dal luogo di abituale dimora conseguente all'attuazione del programma di protezione per collaboratori di giustizia, ciò in relazione ad una vicenda di evasione dell'obbligo scolastico).

Con specifico riferimento ai procedimenti di affidamento eterofamiliare di minori, qualora il provvedimento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessitasse di essere seguito da un'ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrerebbero provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della «perpetuatio» necessiterebbe di essere temperato quello di prossimità. Sicché, il Giudice competente per territorio dovrebbe essere individuato nel Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, dovendo darsi rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza. In tal senso si è pronunciata Cass. S.U., n. 28875/2008, che ha dichiarato la competenza del Tribunale per i minorenni del distretto ove risiedeva la famiglia cui il minore era stato affidato con provvedimento di un altro Tribunale per i minorenni, nel cui distretto originariamente risiedeva con la propria madre (nello stesso senso si vedano: Cass. I, n. 2171/2006;Cass. I, n. 1058/ 2003;Cass. I, n. 2184/1996).

Qualora, poi, il minore, nel corso del procedimento, si trasferisse in altro distretto resterebbe ferma la competenza del Tribunale per i minorenni del luogo di residenza abituale dello stesso, in caso di coincidenza tra il nuovo provvedimento richiesto all'Autorità giurisdizionale successivamente adita e quello indicato nel primo ricorso introduttivo. Nei termini di cui innanzi si è pronunciata Cass. VI, n. 7161/2016, così confermando il proprio orientamento in merito alla competenza territoriale nei procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale ed in particolare in ordine al rapporto esistente tra il principio di prossimità e quello della perpetuatio jurisdictionis. Nella specie è stato accolto il regolamento di competenza d'ufficio sollevato dal Tribunale per i minorenni di Brescia, dinanzi al quale era stato riattivato, nei medesimi termini originari, il procedimento de potestate dopo la pronuncia di incompetenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, adito dal Pubblico Ministero, motivata sul trasferimento, in corso di causa, della madre, insieme alle minori, in un comune in provincia di Brescia.

L'orientamento appena evidenziato evoca il concetto di «residenza abituale» che è stato di recente specificato dalle Sezioni Unite, ancorché in tema di determinazione della giurisdizione circa la materia della sottrazione internazionale. Cass. S.U., n. 17676/2016, ha difatti precisato che, in tema di responsabilità genitoriale, al fine di stabilire la potestà giurisdizionale, occorre dare rilievo – per principio generale – al criterio della residenza abituale del minore al momento della domanda. Intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto (in applicazione del principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito per la quale doveva considerarsi abitualmente residente in Brasile il minore che vi aveva vissuto tra i tre ed i sei anni di età, periodo intensamente relazionale, con un intervallo di appena sei mesi trascorso in Italia.

Premesso quanto innanzi, la Suprema Corte, ancorché in materia di amministrazione di sostegno, ha dato maggiore risalto al criterio di prossimità.

Cass. VI, n. 23772/2017 , ha in particolare ritenuto che la competenza territoriale si radichi con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza anagrafica, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore. Ciò che forse, in questa sede, più rileva è però l'argomentazione per la quale (ancorché sempre in tema di amministrazione di sostegno) non rileverebbe il principio della perpetuatio jurisdictionis, trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, rilevando la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze.

Qualora infine i genitori propongano dinanzi a giudici diversi domande di reciproca decadenza dalla potestà sui figli si pone il problema di stabilire quale sia il giudice competente a decidere le stesse. Nella fattispecie di cui innanzi la riunione delle cause per il simultaneus processus non può realizzarsi dinanzi al giudice della causa principale o dinanzi a quello preventivamente adito, come disposto dall'art. 40 c.p.c., bensì davanti al giudice del luogo di residenza del minore, la cui competenza riguardo alla domanda di decadenza della potestà di genitore è funzionale e non derogabile (Cass. I, n. 9359/1993).

Bibliografia

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