Codice Civile art. 316 - Responsabilità genitoriale 1.

Annachiara Massafra

Responsabilità genitoriale 1.

[I]. Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che é esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore e adottano le scelte relative alla sua istruzione ed educazione.2

[II]. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza , tra le quali quelle relative alla residenza abituale e all'istituto scolastico del figlio minorenne, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei3.

[III]. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, tenta di raggiungere una soluzione concordata e, ove questa non sia possibile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all'interesse del figlio4.

[IV]. Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.

[V]. Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio.

 

[1] L'art. 39, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito l'articolo. Il testo precedente recitava: «Esercizio della potestà dei genitori. - Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore o alla emancipazione. -  La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori. - n caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. -  Se sussiste un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili. -  Il giudice, sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio o dell'unità familiare. Se il contrasto permane, il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'articolo era già stato sostituito dall'art. 138 l. 19 maggio 1975, n. 151.

[2] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. a), n. 1, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 che  ha aggiunto le parole «e adottano le scelte relative alla sua istruzione ed educazione» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. a), n. 2, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 che  ha inserito le parole «, tra le quali quelle relative alla residenza abituale e all'istituto scolastico del figlio minorenne,» dopo le parole «su questioni di particolare importanza» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[4] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. a), n. 3, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 che  ha sostituito le parole  «tenta di raggiungere una soluzione concordata e, ove questa non sia possibile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all'interesse del figlio» alle parole «suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una progressiva evoluzione della società contemporanea che ha lentamente eroso la diversità, inizialmente esistente, del trattamento giuridico relativo ai figli nati in costanza di matrimonio dagli altri.

L'evoluzione sociale ha anche determinato la progressiva rielaborazione del contenuto dei poteri e dei doveri dei genitori nei confronti dei figli imponendo la modifica, non solo lessicale ma anche strutturale, di tutte le norme relative alla filiazione ed all'esercizio della (preesistente) potestà genitoriale (per una ricostruzione storica si veda Vercellone, 938).

Le disposizioni che disciplinano la responsabilità genitoriale sono quindi state oggetto, negli ultimi anni, di significativi interventi normativi che hanno profondamente modificato il titolo IX del libro primo del codice civile, attraverso le disposizioni contenute negli artt. 315 c.c., 315-bis c.c., 316 c.c., 316-bis c.c., 317 c.c., 317-bis c.c. e 318 c.c. (da ultimo si fa riferimento alla l. 10 dicembre 2012, n. 219 ed al relativo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154).

In merito, la relazione illustrativa alla legge delega n. 219 del 2012 proclama l'eguaglianza giuridica di tutti i figli nel pieno rispetto dei principi costituzionali e degli obblighi imposti a livello internazionale, come quelli sanciti nella Carta di Nizza, dal Trattato di Lisbona e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

La stessa relazione chiarisce la scelta lessicale del legislatore di abbandonare la nozione di «potestà genitoriale» e di sostituirla con la «responsabilità genitoriale», evidenziando che la seconda è presente, da tempo, in numerosi strumenti internazionali, come il regolamento, CE n. 2201/2003,, ed è confacente alla necessità di dare risalto all'assunzione dell'obbligo che il genitore assume nei confronti del figlio attraverso l'esercizio della predetta responsabilità.

Il regolamento da ultimo citato, in particolare, ha definito il contenuto della responsabilità genitoriale rovesciando la visione prospettica che per anni aveva delineato il rapporto genitori-figli: non si vuole più dare rilevanza alla posizione del genitore ma «risalto al superiore interesse dei figli minori» che deve essere la meta da conseguire nell'esercizio di siffatta responsabilità.

In quest'ottica l'art. 2 n. 7 del citato regolamento definisce genericamente la responsabilità genitoriale come il complesso di diritti e doveri riguardanti la persona o i beni di un minore di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, delle legge o di un accordo giuridicamente valido ed efficace. Come autorevolmente evidenziato la responsabilità genitoriale deve intendersi come l'ufficio di diritto privato legalmente attribuito ai genitori di cura personale e patrimoniale del figlio, che si specifica in poteri e doveri personali e patrimoniali (Bianca, 343; sul punto si veda anche Auletta, 370).

In questo senso si è espressa anche la Suprema Corte che ha ricostruito l'istituto nel senso dell'attribuzione, ad un o ad entrambi i genitori, «non di un diritto soggettivo, bensì di un munus (di diritto privato) comportante un potere, nella sua più limitata accezione di potere-dovere, di curare determinati interessi privati e pubblici del minore» (Cass. I, n. 22678/2010).

Essa costituisce dunque lo strumento attraverso il quale trovano attuazione i doveri del genitore nei confronti della prole, quali quelli di mantenimento, educazione, istruzione ed assistenza morale (Figone- Ravot, 41).

Nella nuova formulazione dell'art. 316 c.c., non viene difatti definita la responsabilità genitoriale ma enfatizzata l'assunzione dell'obbligo da parte dei genitori di esercitarla di comune accordo, indipendentemente dall'eventuale vincolo coniugale e tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio, in armonia a quanto previsto dall'art. 315 bis c.c.

Dalla lettura degli articoli 315-bis c.c. e 316 c.c. emerge una significativa corrispondenza tra diritti del figlio (art. 315 bis c.c.) e responsabilità genitoriale (316 c.c.). Da un lato, il genitore «ha il dovere di consentire al figlio di godere di tali diritti attraverso l'esercizio della responsabilità genitoriale»; dall'altro «tali diritti costituiscono un limite espresso all'esplicazione dei poteri derivanti dalla responsabilità stessa» (Cianci, 585, al quale si riferisce il virgolettato nel testo). Nel far ciò, quanto più il figlio cresce e delinea la sua personalità, tanto più diventa importante rispettarne la volontà nell'esercizio della responsabilità (in questo senso già Vercellone, 963, il quale si riferisce al criterio della gradualità nell'esercizio corretto della responsabilità genitoriale).

In quest'ottica il legislatore ha quindi ritenuto opportuno, anche al fine di non cristallizzare i contenuti di una responsabilità che si evolve unitamente ai mutamenti sociali, non dare una definizione del contenuto tipico della responsabilità genitoriale né indicare un limite temporale all'esercizio della stessa, diversamente dal passato, salvo che non sia necessario. Essa si estrinseca nel potere di prendere decisioni, nel superiore interesse del figlio, in sua vece coinvolgendone la vita così determinando la «compressione della libertà del figlio minorenne, comunque titolare del diritto di libertà, nei confronti dei terzi, ad agire nell'ambito di attività lecite» (Figone-Ravot, 16).

Con specifico riferimento all'ambito temporale, rileva la circostanza per la quale, nel nuovo testo degli artt. 318 c.c., 320 c.c. e 324 c.c., in considerazione delle fattispecie disciplinate rispetto ad altre disposizioni, è stata esplicitamente indicata la durata temporale dell'esercizio della responsabilità genitoriale, cosa che non è stata fatta in disposizioni come quelle che regolano il dovere di mantenimento del genitore nei confronti del figlio. Trattasi infatti di doveri che non necessariamente cessano con il compimento della maggiore età ma, con specifico riferimento a quello di mantenimento, con il raggiungimento della indipendenza economica (sul punto Cianci, 587).

È opportuno evidenziare in questa sede che parte di dottrina ha criticato, in quanto non prevista, la scelta del legislatore delegato di sostituire l'espressione “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale” nonché di aver delineato un concetto di responsabilità genitoriale che sembrerebbe non cessare al raggiungimento della maggiore età e comprendere anche il dovere di mantenimento del figlio. Essa si atteggerebbe a «situazione giuridica multiforme ed elastica di durata temporale indefinita i cui contenuti non sono rigidamente predeterminati»  e «sono bifasici in quanto destinati a mutare e ridursi sensibilmente a seguito del raggiungimento della maggiore età» (De Cristofaro, 2016, 677, al quale si riferisce il virgolettato nel testo)

Di talché, attraverso articolato ragionamento, la citata dottrina ha ricostruito la nozione di responsabilità genitoriale in termini differenti da quelli sopra delineati, ritenendo che il diritto al mantenimento non possa essere incluso nel contenuto della responsabilità genitoriale e che quest'ultima debba necessariamente cessare al compimento della maggiore età. In tal modo, quindi, la responsabilità genitoriale manterrebbe le stesse caratteristiche della previgente potestà genitoriale, quale situazione giuridica complessa che si concreta in un ufficio di diritto privato (De Cristofaro, 2016 694; in merito ad una diversa interpretazione, tesa invece a ritenere coesistenti la potestà e la responsabilità genitoriale, si veda Gorassini, 92).

Sempre sotto medesimo profilo, l'esercizio della responsabilità genitoriale  inizia con la nascita del minore ma non termina esclusivamente con il raggiungimento della maggiore età. Bisogna infatti distinguere tra le cause di cessazione relativa al figlio e quelle relative al genitore. Nel secondo caso, infatti, l'esercizio può venir meno non solo per circostanze naturali (come il decesso del genitore) ma anche in seguito a pronunce dell'Autorità giurisdizionale, come le dichiarazioni di interdizione o di sospensione o decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale, le sentenze di disconoscimento o di accoglimento dell'impugnativa di riconoscimento o di emancipazione del minore (in merito si veda Bianca, 345).

Il primo comma dell'art. 316 c.c, oltre ad aver subito un necessario restyling lessicale, ha introdotto alcune rilevanti modifiche anche con riferimento all'obbligo dell'individuazione, concorde, da parte dei genitori, della residenza del figlio, essendo tale concetto autonomo rispetto a quello del domicilio del minore disciplinato dall'art. 45 c.c.

Si è quindi cercato di armonizzare le due disposizioni nei termini seguenti.

La nuova previsione (art. 316 c.c.) consente ai genitori di fissare, nell'interesse del minore, una residenza abituale in via autonoma rispetto ai criteri legali previsti per la determinazione del suo domicilio. Di regola la residenza abituale coinciderà con la residenza della famiglia, quella dei genitori, (e quindi con il domicilio del minore stesso). I genitori potranno comunque stabilire, di comune accordo, una residenza abituale del minore che prescinda dal requisito, oggettivamente rigido, della convivenza con uno solo di essi. Ciò potrà rilevare, ad esempio, nell'ipotesi di regimi di affidamento che prevedano tempi di permanenza presso i genitori sostanzialmente paritari, tale che il minore possa ritenersi, in effetti, convivente con entrambi. In questi casi, sulla base dell'accordo dei genitori, si potrà quindi individuare una residenza abituale del minore in uno dei due luoghi in cui egli conviva con i propri genitori (così Cianci, 589).

L'esercizio della responsabilità nei confronti del minore adolescente

Una questione di particolare importanza, in considerazione anche delle osservazioni di cui al precedente inquadramento, è quella relativa alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti del minore adolescente, con specifico riferimento alle decisioni di carattere sanitario (in merito per una ampia ricostruzione ai cosiddetti limiti esterni all'esercizio della responsabilità genitoriale ed ai citati trattamenti sanitari, si veda Vercellone, 987, con riferimento al previgente art. 316; sul tema si vedano anche le prospettazioni dottrinal-giurisprudenziali relative al successivo art. 333 c.c. ed in particolare il paragrafo inerenti i trattamenti sanitari, alle quali si rinvia per ulteriori approfondimenti).

Quanto più il minore cresce, infatti, tanto più è in grado di esprimere la propria volontà e di effettuare consapevolmente delle scelte. Si pone, quindi, il problema di stabilire se, in tema di scelte di carattere terapeutico, il genitore nell'esercizio della responsabilità genitoriale possa decidere per il minore.

Una risposta, in chiave interpretativa, potrebbe rinvenirsi nella motivazione di un decreto, del Tribunale per i minorenni di Milano, emesso con riferimento a fattispecie relativa al trattamento sanitario di adolescente affetto da patologia psichiatrica ed oppositivo alle relative cure. Nell'ambito di un procedimento instaurato nelle forme di cui all'art. 330 c.c., in particolare, i genitori del minore si erano, invano, rivolti al Tribunale per i minorenni al fine di ottenere un decreto teso ad imporre al figlio le cure. L'Autorità adita aveva difatti evidenziato l'assenza, nel caso concreto, dei presupposti per l'applicazione dell'art. 330 c.c. nonché dell'art. 25 del r.d. 20 luglio 1934, n. 1404, osservando che, avendo il figlio minorenne ormai raggiunto un'età vicina al pieno raggiungimento della capacità di agire, si sarebbe dovuta considerare la sua capacità di autodeterminarsi, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni in tema di trattamento sanitario obbligatorio, di cui agli artt. 34 ss. della l. 23 dicembre 1978, n. 833 (Trib. min. Milano, 30 marzo 2010).

La ratio della decisione in esame appare quindi evidente.

Quanto più il minore è in grado di esprimere consapevolmente la propria volontà tanto più essa prevale su quella del genitore in quelle decisioni che coinvolgano aspetti fondamentali della vita, dovendo quindi essere tenuta in considerazione dall'Autorità Giurisdizionale nelle decisioni ad egli relative.

Quanto testé affermato sembra trovare ulteriore conforto nell'art. 3 della recentissima l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante norme in tema di consenso informato e di direttive anticipate. Tale disposizione riconosce al minore, il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione della decisione afferente ai trattamenti sanitari che lo riguardino. A tal fine essa prevede che anche al minore, e non solo al suo rappresentante legale, debbano essere fornite informazioni sulle scelte relative alla propria condizione di salute. Ovviamente tali informazioni devono essere fornite con modalità appropriate e tenendo conto della sua capacità. La stessa disposizione prevede inoltre che il rappresentante legale, del minore sottoposto a responsabilità genitoriale ovvero a tutela, esprima o a neghi il consenso informato ai trattamenti sanitari per il minore. Tuttavia, tale potere deve essere esercitato tenendo conto della volontà della persona, in relazione all'età ed al grado di maturità e deve avere lo scopo di tutelarne la salute psicofisica e la vita, rispettandone la dignità. Ciò conferma che quanto più il minore sia capace di esprimere la propria volontà e di comprendere la propria situazione sanitaria, tanto meno il rappresentante legale potrà discostarsene.

Qualora peraltro il rappresentante legale rifiuti i trattamenti sanitari proposti dal medico curante e questi, differentemente, li ritenga necessari ed appropriati il contrasto è risolto dal Giudice tutelare secondo quanto prevede il quinto comma della disposizione poc'anzi citata.

Le questioni di particolare importanza

La responsabilità genitoriale è esercitata di comune accordo tra i genitori, ciò significa che le decisioni devono essere concordate tra loro, senza che ciò determini la necessità che vengano eseguite congiuntamente. In caso di disaccordo su questioni di particolare importanza, soccorre quindi l'art. 316 c.c., ai sensi del quale “in caso di contrasto su qestioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

Contestualmente alle innovazioni di cui ai precedenti paragrafi, è stato quindi mantenuto, pressoché inalterato, il procedimento teso a risolvere i conflitti relativi all' esercizio della responsabilità genitoriale, sebbene con la riforma dell'art. 38 disp. att. c.c. la competenza a decidere della relativa controversia sia stata attribuita al Tribunale ordinario. È stato così confermato che, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori, non legalmente separati, possa ricorrere senza formalità al giudice, indicando i provvedimenti ritenuti più idonei. Elemento di significativa novità è l'introduzione, anche in questa sede, del dovere di ascoltare il minore, di anni dodici ovvero di età inferiore ove capace di discernimento, trattandosi di una decisione incidente sui suoi diritti ed interessi (dovere sussistente, prima della novella, solo con riferimento al minore ultraquattordicenne).

I presupposti legittimanti il ricorso ex art. 316 c.c. sono afferenti alla condizione dei genitori ed alla natura della questione che si intenda sottoporre al Tribunale.

Il contrasto tra i genitori idoneo a rendere ammissibile il ricorso al Tribunale è esclusivamente quello relativo ad una decisione di particolare importanza, circostanziata e specifica.

La disposizione in esame (art. 316 c.c.), tuttavia, non delimita gli ambiti nei quali il citato contrasto, afferente all'esercizio della responsabilità genitoriale, possa essere di particolare importanza, sicché parte di dottrina ritiene che i genitori abbiano il dovere di valutare l'importanza della decisione al fine di rivolgersi all'autorità giudiziaria (in merito BesSone, 1196). Solo le divergenze di carattere «essenziale», secondo autorevole dottrina, possono essere infatti oggetto di ricorso al Tribunale (Giorgianni, 330-332). Tali devono ritenersi quelle idonee ad incidere ed influire sulla istruzione, educazione, sull'indirizzo politico, religioso ovvero su quello relativo alla salute del minore (Giorgianni, 330, il quale ritiene che la norma debba essere interpretata restrittivamente; per una differente impostazione di veda Finocchiaro-Finocchiaro, 1777).

Deve in questa sede rilevarsi che l'art. 320 c.c., che disciplina il potere di rappresentanza e di amministrazione dei genitori, prevede espressamente che qualora vi sia disaccordo tra i genitori ovvero venga realizzato un esercizio difforme dalle decisioni concordate, si applicano le disposizioni di cui all'art. 316 c.c. Pertanto, i genitori possono rivolgersi al Tribunale, in forza del detto articolo, conformemente al contenuto ed alla ratio della stessa disposizione, nel caso in cui il contrasto sia relativo a controversie di natura patrimoniale che rivestano particolare importanza (in merito si veda De Cristofaro 2016, 694, che distingue, ai fini dell'individuazione del procedimento attivabile per la risoluzione del contrasto di cui innanzi, a seconda che si tratti di genitori coniugati, coniugati-separati o divorziati ovvero non coniugati, evidenziando che nell'ultimo dei detti casi, ove i genitori abbiano attivato un procedimento per la regolamentazione dell'affidamento del figlio minorenne la decisione è di competenza del Tribunale ordinario).

Taluni correttamente evidenziano, peraltro, che le questioni di particolare importanza, qualora relative al compimento di atti di natura patrimoniale di cui al citato art. 320 c.c., possano, in astratto, inerire anche ad un atto di ordinaria amministrazione (Pelosi, 347; Bucciante, 563).

La giurisprudenza, di legittimità e di merito, si è occupata, con riferimento alla disposizione in commento, di alcune specifiche ipotesi ed in particolare a quelle relative ad uno dei presupposti necessari per l'instaurazione del procedimento: la condizione della famiglia.

La disposizione in esame trova difatti applicazione per le ipotesi di famiglia unita, mentre i provvedimenti di all'articolo 155, comma 3, (ora 337 ter) c.c. presupporrebbero lo stato di separazione giudiziale tra i coniugi, rientrando, così, nella relativa disciplina (Cass. I, n. 14360/ 2000 ; Cass. I, n. 21553/2021). Genitori separati di fatto non potrebbero invece avvalersi del rimedio previsto dalla disposizione in esame (Trib. min. Firenze, 8 ottobre 1976, in Dir. fam. e pers., 1977, 220, in caso di contrasto in tema di determinazione del luogo di residenza del minore, ritenendo applicabile l'art. 333 c.c.).

In questo contesto si colloca la decisione del Tribunale di Roma con la quale è stata ritenuta la competenza del Tribunale a decidere la controversia insorta tra i genitori di due minori, di cui uno in età prescolare, circa l'iscrizione ad un determinato istituto scolastico. Nel caso di specie il ricorso è stato presentato successivamente al deposito del ricorso per separazione personale e del relativo decreto di fissazione dell'udienza presidenziale ma prima della acquisizione della relativa prova dell'avvio dell'iter notificatorio. Tale circostanza, secondo il Tribunale, impedisce di avere certezza che il procedimento prenda effettivamente vita all'udienza fissata, con la conseguenza che in tale situazione “negare l'accesso al rimedio azionato potrebbe risolversi di fatto in un diniego di tutela, tanto più a fronte di una decisione che deve essere necessariamente adottata in tempi brevi” stante, nel caso concreto, la prossimità dell'inizio dell'anno scolastico (Trib. Roma, 10 agosto 2017, nella fattispecie il Tribunale con riferimento al figlio più grande ha disposto che lo stesso proseguisse gli studi secondo l'indirizzo già brillantemente intrapreso e, con riferimento a quello più piccolo, a fronte del contrasto esistente circa l'iscrizione ad una scuola straniera, è stata disposta l'iscrizione per il ciclo della scuola primaria ad un istituto pubblico).

Diversamente, parte di dottrina ritiene che l'istituto possa trovare applicazione anche nel caso in cui tra i genitori sussista una separazione, ancorché di fatto (Giorgianni, 326, il quale giunge a tale conclusione valorizzando la ratio della disposizione che è quella di tutelare i figli ed attuare un controllo giudiziario sull'esercizio della responsabilità genitoriale).

La restrittiva interpretazione giurisprudenziale tuttavia, anche alla luce dell'abrogazione del potere del padre di adottare le decisioni più opportune a tutela del minore in casi di indifferibile urgenza lascerebbe un vuoto normativo, invece ovviabile in via ermeneutica, non consentendo l'adozione di provvedimenti da parte della Autorità giurisdizionale in situazioni di urgenza e di contrasto, in danno del superiore interesse del minore.

Soluzione interpretativa maggiormente in linea con le finalità di cui innanzi sembrerebbe invece quella che vede attivabile il procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni ex artt. 330 o 333 c.c., ove non si tratti di semplice contrasto ma emergano circostanze indicative di un cattivo esercizio della responsabilità genitoriale. In seno a tale procedimento potranno difatti essere assunti provvedimento limitativi e, nei casi più gravi, ablativi dell'esercizio della responsabilità genitoriale, nel superiore interesse del minore (in merito si veda, per la giurisprudenza di merito, per la questione relativa al rifiuto opposto da entrambi i genitori alle vaccinazioni Trib. min. Bologna, 19 settembre 2013, in Fam. e dir., 2014, 4, 371, circa la questione relativa al rifiuto opposto da entrambi i genitori alle vaccinazioni inerenti il figlio, e, per la giurisprudenza di legittimità, Cass.II, n. 19996/2008, in materia di sanzioni amministrative per omessa vaccinazione obbligatoria).

Il Tribunale per i minorenni di Milano, ancorché con risalente pronuncia, ha altresì evidenziato che l'art. 316 c.c presuppone non solo la convivenza dei coniugi ma anche la loro armonia ed il totale accordo in merito alle modalità di educazione del minore, tranne che per una o più questioni di particolare importanza, tra le quali potrebbero annoverarsi le scelta in tema di indirizzo scolastico o di cure mediche. In applicazione del principio era stata esclusa l'applicabilità della disposizione in commento, ritenendo il relativo ricorso teso a provocare l'intervento del giudice con riferimento a tutta l'impostazione e regolamentazione dell'esercizio della (allora prevista) «potestà genitoriale» sui figli minori (Trib. min. Milano, 19 aprile 1977, in Dir. e fam., 1979, 1195).

Sotto il profilo della rilevanza della questione oggetto di «contrasto», è stata esclusa la particolare importanza in caso di diniego ad effettuare un viaggio all'estero di pochi giorni con uno dei due genitori, rappresentato da parte del genitore peraltro neanche separato di fatto (Trib. min. Aquila, 19 luglio 2000, in Dir. e fam. 2001, 1029). Ciò atteso che di particolare importanza è solo la questione che possa «incidere in maniera duratura ed indicativa sul futuro del figlio», come per l'ipotesi di contrasto in ordine alla scelta del nome da attribuire al minore ed in merito alle scelte relative al percorso scolastico (ex plurimis: Cass. I, n. 3060/1981; Cass. I, n. 9339/1997; Cass. I, n. 14360/2000).

Sotto il profilo della competenza territoriale, è stato invece affermato che il Giudice competente è quello del luogo ove il minore dimora abitualmente, al momento della presentazione della domanda, e che, in quanto avente natura funzionale, tale competenza non è suscettibile di deroghe, neppure per ragioni di connessione, quali quelle insorgenti dalla necessita di provvedere nei confronti di più figli dei medesimi genitori, residenti in luoghi diversi (ex plurimis, Cass. I, n. 5487/77).

Sempre in argomento, con un recente intervento nomofilattico, Cass. S.U., n. 5418/2016, ha altresì specificato che in tema di responsabilità genitoriale, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale, in merito alle decisioni ad essa relative, occorre dare rilievo al criterio generale della residenza abituale del minore al momento della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un puro calcolo aritmetico del vissuto.

Il procedimento (prima e dopo la riforma)

Il contenuto dei commi 3 e 4 dell'art. 316 c.c. non è stato oggetto di una modifica strutturale da parte del legislatore del 2013, diversamente dal resto della norma.

Ciò assume particolare rilievo atteso che il riformato l'art. 38 disp. att. c.c. aveva attribuito al Tribunale ordinario la competenza a decidere in merito ai contrasti di cui all'art. 316 c.c., secondo le stesse modalità processuali elastiche già previste per il Tribunale per i minorenni (che in precedenza decideva collegialmente e senza formalità i detti contrasti).

A seguito della riforma dell'art. 38 disp.att.c.c. tale competenza è rimasta inalterata mentre la disposizione in commento è stato modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 149/2022 sotto un duplice profilo.

Da un lato sono, state espressamente  inserite le scelte relative all'istruzione ed educazione fra le questioni sulle quali i coniugi devono  necessariamente essere d'accordo e dall'altro è stato modificato il procedimento, Nella formulazione precedente, ove dopo l'ascolto del genitori e del minore che abbia compiuto i dodici anni, ovvero se capace di discernimento anche di età inferiore, non si fosse raggiunta una soluzione concordata tra i coniugi, il Giudice attribuiva il potere di decidere a quello dei genitori che  avesse ritenuto più idoneo allo scopo. A seguito della sopra indicata novella legislativa,  è la stessa Autorità giudiziaria ad individuare la soluzione più opportuna nell'interesse del minore.

La norma, nella formulazione innanzi indicata, troverà applicazione nei confronti dei procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 in forza di quanto previsto dall' art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197.

La domanda può essere presentata da uno o da entrambi i genitori e, secondo parte della dottrina, anche verbalmente e senza l'assistenza di un difensore (Giorgianni, 330, Finocchiaro-Finocchiaro, 2003, secondo cui l'istanza dovrebbe essere rivolta non al Tribunale ma al Presidente dello stesso).

Il minore, diversamente da quanto previsto dall'art. 321 c.c. in ordine al mancato compimento di un atto di straordinaria amministrazione, non è legittimato a rivolgersi al Giudice, per tutelare un proprio interesse in caso di contrasto tra i genitori, ma ha il diritto di essere ascoltato ove ultradodicenne o, se di età inferiore, capace di discernimento. Dopo aver sentito i genitori ed eventualmente il minore, il Giudice suggerisce la soluzione e solo nel caso in cui il conflitto permanga subentra la decisione del Collegio.

Come sopra evidenziato con la citata decisione il Tribunale attribuisce il potere di decidere a quello dei genitori che formula la soluzione più idonea a preservare l'interesse del minore ma qualora nessuna delle proposte abbia tali caratteristiche si ritiene che il Tribunale non possa indicare una ulteriore e diversa soluzione (Bucciante, 564) nel qual caso potranno trovare applicazione, ove ne sussistano i presupposti, le disposizioni di cui all'art. 333 c.c. o 330 c.c.

Ove infatti dovesse ritenere il contrasto esistente tra i genitori in merito ad una questione di particolare importanza possibile espressione di una cattivo esercizio della responsabilità genitoriale, il Tribunale ben potrà trasmettere gli atti al Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni, per le eventuali determinazioni di competenza.

In dottrina si è in particolare ritenuto possibile, per il Tribunale, adottare i provvedimenti convenienti di cui all' art. 333 c.c., ma in un periodo storico nel quale il Tribunale per i minorenni era competente a decidere sia le controversie di cui all'art. 316 c.c. che quelle di cui agli artt. 330 e ss. c.c. (si vedano Giorgianni, 332, Bianca, 347).

In caso di contrasto tra i genitori sembra infine il caso di rilevare l'impossibilità di rivolgersi al Tribunale, per ottenere l'adozione di un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ed Giudice tutelare, ai sensi dell'art. 337 c.c.

Non è infatti possibile rivolgersi al Tribunale ex art. 700 c.p.c., in quanto strada non percorribile in presenza di altre misure tipiche (Cass. I, n. 233/1990).

La risoluzione delle controversie tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale è peraltro di esclusiva competenza del Tribunale in composizione collegiale, ex art. 316 c.c., non essendovi alcuna ulteriore o concorrente competenza, del Giudice tutelare o di altra Autorità giurisdizionale.

La giurisprudenza di legittimità, con riferimento a fattispecie ante riforma del 2013, ha chiarito in particolare che al Giudice tutelare non spetti alcuna competenza in merito alle controversie relative all'esercizio della responsabilità genitoriale, se non nell'ambito e nei limiti della vigilanza sul rispetto delle condizioni stabilite dal Giudice della separazione. La predetta Autorità non può difatti intervenire in alcun modo in merito, non essendo titolare di poteri decisori, anche modificativi, che non siano soltanto applicativi delle condizioni della separazione ovvero quando si tratti di incidere in via ablativa o limitativa della potestà genitoriale (Cass.I, n. 14360/2000).

Ciò vale altresì qualora il Tribunale, nell'ambito di un procedimento di separazione, abbia affidato i minori all'ente territoriale, con delega dell'esercizio della responsabilità genitoriale all'ente pubblico. In tal caso infatti non può essere invocata la disposizione in esame in ordine a decisioni dell'ente non condivise da uno o da entrambi i genitori (Trib. di Milano, decreto 14 aprile 2016). In particolare è stato evidenziato che l'affidamento all'ente, con delega dell'esercizio della responsabilità genitoriale, costituisce un modulo extragiudiziario di risoluzione del conflitto. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso presentato al Tribunale, ex art. 316 c.c., per risolvere un conflitto tra uno o entrambi i genitori e l'ente, stante la finalità del disposto affidamento all'ente. In questi casi potrebbe residuare un margine di competenza in capo al Giudice tutelare con riferimento alle modalità attuative dell'affidamento (Trib. di Milano, decreto 14 aprile, 2016).

È altresì esclusa la competenza del Giudice tutelare anche dalla Giurisprudenza di merito.

Di fronte alla richiesta formulata ex art. 316 c.c. al Giudice tutelare da una coppia di coniugi, non ancora separati e conviventi, al fine di attribuire alla madre il potere di iscrivere il figlio minore ad una scuola per l'infanzia ad indirizzo linguistico il Giudice tutelare ha dichiarato la propria incompetenza. Nella specie è stato in particolare evidenziato che un'interpretazione che attribuisca al detto Giudice una nuova competenza, in tema peraltro di esercizio della responsabilità genitoriale, si porrebbe in contrasto con la ratio legis della riforma dell'art 38 disp. att. c.c.. La nuova formulazione della citata norma non ha difatti in alcun modo modificato le competenze del Giudice tutelare, ed una differente interpretazione contrasterebbe altresì con il principio della concentrazione delle tutele presso un unico Giudice, immanente nel testo e nella ratio della predetta disposizione (Trib. Milano, 19 settembre 2016).

Si pone in conclusione il problema di stabilire cosa accada nel caso in cui debba essere assunta una decisioni urgente in tutela del superiore interesse del minore.

Come è noto, con la novella del 2013, è stata soppressa la norma che prevedeva la possibilità per il padre, in presenza di un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, di assumere le decisioni urgenti ed indifferibili nel suo superiore interesse. Tuttavia tale disposizione costituiva una estremo rimedio di fronte a situazioni che richiedevano un tempestivo e non procrastinabile intervento da parte del soggetti interessati. Sicché, alla luce del contenuto della responsabilità genitoriale come sopra evidenziata e delle modalità attraverso le quali essa viene esercitata dai genitori, si ritiene, in questa sede, condivisibile la tesi secondo cui in caso di urgenza, tali provvedimenti possano essere oggi adottati indistintamente da ciascuno dei genitori (per la tesi in argomento si vedano: Cianci, 591, De Cristofaro, 2016, 776).

La vigilanza del genitore non esercente la responsabilità genitoriale

L'art. 317-bis c.c. prima della novella del 2013 disciplinava l'esercizio della (allora vigente) «potestà genitoriale» nel caso di figli di genitori non uniti in matrimonio. Tale disposizione prevedeva che il detto esercizio spettasse al genitore che avesse effettuato il riconoscimento del figlio. In caso di riconoscimento fatto da entrambi i genitori la detta norma prevedeva altresì che l'esercizio della potestà spettasse ad entrambi, congiuntamente se conviventi. Nel caso di minore convivente con uno solo dei genitori esso invece sarebbe spettato allo stesso genitore convivente o, altrimenti, al primo dei due che avesse effettuato il riconoscimento. Al Giudice (inizialmente inteso come il Tribunale per i minorenni) era riconosciuto il potere di disporre anche diversamente qualora ciò fosse stato conforme all'interesse del minore, avendo anche la possibilità di escludere uno o entrambi i genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale.

Successivamente, in forza dell'art. 4, comma 2, della l. 8 febbraio 2006, n. 54, le disposizioni dettate in materia di separazioni dei genitori ed affidamento condiviso hanno trovato applicazione anche con riferimento ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Già prima, tuttavia, la giurisprudenza era intervenuta in materia ritenendo operanti anche con riferimento ai figli nati fuori del matrimonio i principi in materia di affidamento congiunto.

A tal riguardo si veda, in particolare, Corte cost. n. 166/1998, per la quale il valore costituzionale di tutela della filiazione trovava concreta specificazione nelle disposizioni previste dagli artt. 147 e 148 del c.c., che, in quanto complessivamente richiamate dal successivo art. 261, avrebbero dovuto essere riguardate nel loro contenuto effettivo, indipendentemente dalla menzione legislativa della qualità di coniuge, trattandosi dei medesimi doveri imposti ai genitori che abbiano compiuto il riconoscimento dei figli naturali.

Quel che forse maggiormente rileva ai fini della presente ricostruzione, oltre che dei successivi interventi normativi, sono le argomentazioni della citata Consulta circa la mancanza di una specifica norma regolante le conseguenze, riguardo ai figli, della cessazione del rapporto di convivenza di fatto dei genitori. Tale mancanza non impediva però di trarre da un'interpretazione sistematica delle norme in tema di filiazione  la  regula iuris da applicare in concreto, senza necessità di ricorrere all'analogia, né ad una declaratoria di incostituzionalità. L'interprete, infatti, si trovava al cospetto di un sistema perfettamente coerente con i principi costituzionali, nel quale era già contenuta la norma che gli consentiva di regolamentare, ex latere filii, le conseguenze della cessazione della convivenza di fatto. La linea guida alla quale ci si sarebbe dovuti attenere in sede interpretativa era stata individuata poi, dallo stesso Giudice delle leggi, nell'interesse del figlio all'abitazione, come al mantenimento, correlato alla posizione di dovere facente capo al genitore.

Proprio in ragione di quanto innanzi era stata dunque ritenuta infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 155, comma 4, c.c. (con riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.) ritenendo, con sentenza interpretativa di rigetto, che la disposizione potesse operare anche in caso di cessazione del legame esistente tra due persone non unite da vincolo matrimoniale. Nella specie la Consulta aveva in particolare statuito che l'assegnazione della casa familiare, nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio, allorché vi fossero figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, avrebbe dovuto quindi regolarsi mediante l'applicazione del principio di responsabilità genitoriale, postulante la tempestiva ed efficace soddisfazione delle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello status.

In forza della novella del 2013 l'attuale art. 316 c.c. disciplina l'esercizio della responsabilità nei confronti dei figli nati fuori e dentro il matrimonio. Il relativo quarto comma è stato infatti modificato, disciplinando oggi l'esercizio della responsabilità genitoriale qualora il rapporto di filiazione sorga al di fuori del matrimonio. In questo caso la responsabilità genitoriale è esercitata dal genitore che abbia riconosciuto il figlio o da entrambi, in caso di riconoscimento da entrambi effettuato. Nel caso di genitore non esercitante la responsabilità genitoriale (si pensi all'ipotesi di dichiarazione di decadenza o di sospensione dal relativo esercizio, ex artt. 330 e ss. c.c.) permane in capo ad egli comunque il dovere di vigilare  su istruzione, educazione e sulle condizioni di vita del figlio.

È stato in merito evidenziato che la norma in commento, diversamente dal previgente art. 317-bis c.c., non utilizza il termine potere, ma il verbo, con l'indicativo presente, «vigila», a voler sottolineare, appunto, il dovere di tale comportamento «in coerenza con il concetto di responsabilità genitoriale» (Cianci, 592).

Bibliografia

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