Codice Civile art. 316 bis - Concorso nel mantenimento 1.

Annachiara Massafra

Concorso nel mantenimento 1.

[I]. I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

[II]. In caso di inadempimento il presidente del tribunale o il giudice da lui designato, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole2.

[III]. Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.

[IV]. L'opposizione è regolata dalle norme che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie3.

[V]. Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le medesime forme [del processo ordinario], la modificazione e la revoca del provvedimento4.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 40, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

[2] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. b), n. 1, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149, che ha aggiunto le parole «o il giudice da lui designato» dopo le parole «In caso di inadempimento il presidente del tribunale»  (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. b), n. 2, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149, che ha sostituito le parole «che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie» alle parole «relative all'opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". 

[4] Comma modificato dall'art. 1, comma 4, lett. b), n. 3, d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149, che ha aggiunto la parola «medesime» e ha soppresso le parole «del processo ordinario» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

La disposizione in commento riproduce, senza sostanziali modifiche, l'art. 148 c.c. la cui disciplina, nell'ottica di unificazione delle norme relative ai figli, è stata quindi riprodotta nel titolo IX del c.c. L'art. 316-bis c.c., come tutti quelli modificati o introdotti dalla riforma della filiazione (attuata con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), si riferisce a tutti i figli e non è più solo relativo ai coniugi ma ai genitori, indipendentemente dalla sussistenza del vincolo matrimoniale (Achille, 2014, 115). Mediante la ricollocazione delle disposizioni in tema di obbligo dei genitori al mantenimento del figlio, le posizioni dei figli nati in costanza di matrimonio e di quelli nati al di fuori da esso vengono equiparate anche dal punto di vista formale e sistematico. Ad ogni figlio, indipendentemente dal fatto che i genitori siano coniugati o meno, saranno difatti applicate le norme contenute negli artt. 315 c.c. e ss., norme che, come hanno rilevato i primi commentatori della legge delega per la riforma del diritto di famiglia (l. 10 dicembre 2012, n. 219) contengono lo statuto giuridico unitario dei diritti e dei doveri del figlio (Bianca, 331).

In seguito alla riforma di cui innanzi, gli artt. 315-bis e 316 bis c.c. disciplinano difatti unitariamente i diritti ed i doveri dei figli oltre che il concorso dei genitori nell'adempimento degli obblighi loro imposti per rendere effettivi detti diritti (gli artt. 147 e 148 c.c., che regolano le medesime fattispecie nell'ambito della famiglia matrimoniale, invece rinviano espressamente alle due disposizioni poc'anzi citate (Sesta, 1174).

Ciascun genitore deve quindi adempiere l'obbligo di mantenimento nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze, dal momento della nascita e fino al raggiungimento della loro indipendenza economica, ancorché raggiunta la maggiore età ma salvo che la detta indipendenza derivi da colpevole inerzia (si veda altresì il commento sub art. 337 septies c.c. al quale si rinvia). Gli obblighi gravanti sui genitori ed ai quali si riferisce il primo comma dell'art. 316-bis c.c. sono in realtà esclusivamente quelli di natura patrimoniale e costituiscono l'espressione della ripartizione interna degli oneri pecuniari che l' allevamento dei figli impone (Trabucchi, 652; in merito al contenuto dei doveri ed al rapporto tra l'art 316-bis e 315-bis, si vedano: Achille, 2015, 600; Paradiso, 334). In particolare, il diritto al mantenimento, designa il diritto del figlio all'assistenza materiale, cioè ricevere quanto occorre per le normali esigenze di vita e di crescita (Bianca, 332).

Verso l'esterno ciascun genitore è peraltro tenuto ad adempiere l'obbligazione per l'intero: trattasi, infatti, di un'obbligazione solidale, salvo poi agire in regresso nei confronti dell'altro genitore che non abbia partecipato al mantenimento del figlio (in merito si veda: Paradiso, 334, con riferimento al previgente art. 148 c.c.).

L'entità del mantenimento gravante su ciascun genitore è determinata in proporzione all'attività lavorativa svolta ed alle capacità economiche di ciascuno. L'art. 316-bis c.c., nel ribadire che su entrambi i genitori grava l'obbligo di mantenere la prole in proporzione alle proprie sostanze e secondo la propria capacità di lavoro professionale o casalingo, richiama difatti i contenuti delle disposizioni di cui agli artt. 315-bis, 147,148 c.c. Sicché, al fine di stabilire l'entità della contribuzione gravante su entrambi i genitori (in ossequio al parametro normativo costituito dal parametro della proporzione rispetto alle sostanza di ciascuno) dovrà, pertanto, essere effettuata una verifica comparativa delle condizioni economiche di ciascun genitore (si veda al riguardo: Dogliotti, 185).

L'azione di regresso

Come sopra evidenziato ciascun genitore è tenuto a mantenere la prole, in proporzione alle rispettive sostanze economiche e dal momento della nascita, in quanto l'obbligo sorge per effetto della procreazione.

Ciò comporta che, in caso di sentenza dichiarativa della filiazione naturale essa produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c., e, quindi, giusta l'art. 261 c.c. Sicché, in capo al genitore graveranno tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c. (applicabile ratione temporis). La relativa obbligazione si collega, quindi, allo status genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l'altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l'onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota.

In tali termini si è espressa Cass. I, n. 7960/2017, la quale ha tuttavia chiarito che la condanna al rimborso della quota per il periodo precedente la proposizione dell'azione non può essere pronunciata d'ufficio, necessitando di  un'espressa domanda della parte. Tale pronuncia difatti attiene alla definizione dei rapporti pregressi tra debitori solidali, ossia a diritti disponibili, e, quindi, non incide sull'interesse superiore del minore, il quale è l'unica circostanza legittimante l'esercizio dei poteri officiosi attribuiti al giudice dall'art. 277, comma 2, c.c. (Cass.I, n. 7960/2017; in merito si veda altresì Cass.I, n. 5586/2000).

L'obbligo al mantenimento del figlio sorge per effetto della procreazione, nel caso sopra evidenziato però il diritto al rimborso  pro quota  delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, segnando esso altresì il  dies a quo  della decorrenza della prescrizione del diritto stesso ( Cass. I, n. 2328/2006 ).

In merito al fondamento giuridico dell'azione di regresso spettante al genitore che abbia adempiuto all'obbligo di mantenimento del figlio anche per la parte spettante all'altro genitore, in giurisprudenza si sono susseguiti due distinti orientamenti.

Una prima tesi, la più datata, riconduce l'azione che un genitore esperisca nei confronti dell'altro, per ottenere le somme versate anche per suo conto nell'interesse del figlio, alla disciplina della gestione di affari altrui (Cass.I, n. 1862/1984; Cass. I, n. 3660/1984).

Il contrapposto orientamento, di formazione più recente, riconduce tale azione alla disciplina delle obbligazioni solidali, di cui all'art. 1299 c.c. (Cass. I, n. 7960/2017 ; Cass. I, n. 22506/2010; Cass. I, n.15756/2006; Cass.I, n. 15100/2005).

In particolare, a supporto dell'orientamento da ultimo evidenziato, la Suprema Corte ha ritenuto, con riferimento al positivo esperimento dell'azione di riconoscimento della paternità, che l'obbligo di mantenimento sorga per l'effetto della nascita e che, pertanto, ove il genitore adempiente, abbia sostenuto nell'interesse del figlio, tutte le spese ad esso relative, anche per la quota gravante sull'altro genitore, ha diritto di regresso per corrispondente quota sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c. (applicabili ratione temporis) da interpretarsi alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell'art. 1299 c.c. (Cass. n. 22506/2010, in Guida al dir., 2011, 82, con nota di Fiorini, La liquidazione delle somme può essere effettuata anche in via equitativa; in merito si vedano altresì: Cass. I, n. 15063/2000; Cass. I, n. 2328/2006). Dal presupposto dei genitori come responsabili primari ed esclusivi del mantenimento di chi da loro procreato non può difatti non derivare il carattere della solidarietà che li lega nell'adempimento di tale dovere (così Cass. I, n. 3402/1995).

Recentemente però la Suprema Corte ha riproposto il primo dei due orientamenti, riconducendo l'azione di regresso esperita dal genitore nei confronti dell'altro nell'ambito della gestione di affari altrui. Cass. VI-I, n. 6819/2017, specificando che l'attore è legittimato ad agire iure proprio, anche per il periodo anteriore alla domanda, atteso che l'obbligo del mantenimento «sorge per effetto della filiazione» e che, nell'ipotesi di comportamento adempiente di un genitore, si versa in ipotesi di gestione di affari altrui, quindi produttiva a carico dell'altro genitore degli effetti di cui all'art. 2031 c.c. (in senso conforme si vedano altresì, peraltro espressamente richiamata dall'ordinanza del 2017 da ultimo citata: Cass. I, n. 27653/2011; Cass. I, n. 9386/1999, e Cass. II, n. 1084/1996).

Tuttavia, nel caso di esercizio dell'azione di regresso da parte del genitore adempiente nei confronti dell'altro, in mancanza di un pregresso provvedimento giudiziale determinante l'entità del concorso di ciascun genitore, le spese di mantenimento non potranno essere ripartite in ragione della metà per ciascuno dei genitori, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale. Esse saranno invece ripartite Tenendo conto del duplice criterio delle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e della capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno di essi, dettato dall'art. 148 c.c., nel testo applicabile ratione temporis) (Cass.VI, n. 25723/2016, in fattispecie nella quale il coniuge separato aveva tenuto con sé il figlio, senza contestazioni, e poi aveva agito nei confronti genitore per ottenere il rimborso della quota parte delle spese straordinarie sullo stesso gravanti).

La dottrina maggioritaria è peraltro concorde nel ritenere l'obbligazione gravante sui genitori come solidale, evidenziando che il coniuge che provveda al mantenimento anche per la parte inadempiente adempie, in realtà, ad una obbligazione propria (con riferimento a quest'ultimo aspetto, contrario alla riconduzione della fattispecie nell'ambito della gestione di affari altrui si veda, in particolare, Paradiso, 334; sulla natura solidale dell'obbligazione si vedano anche Trabucchi, 650, e Bianca, 333).

È bene inoltre evidenziare che l'azione di regresso non può essere formulata nell'ambito del procedimento camerale, volto a stabilire l'affidamento di un minore ed il relativo contributo al mantenimento, dovendo la stessa essere decisa con il diverso rito ordinario. In questo senso si è recentemente espresso il Tribunale di Roma, nell'ambito di un giudizio in tema di affidamento e mantenimento di figli nati fuori del matrimonio, evidenziando che la domanda di condanna al rimborso delle spese di mantenimento già sostenute, può essere esercitata nei limiti degli obblighi gravanti sui genitori in base ai principi di cui all'art. 316-bis c.c.

Il Trib. Roma, 17 aprile 2017, ha in particolare ritenuto che, ai fini del rimborso, le spese già sostenute debbano essere adeguatamente provate, nell'an e nel quantum, da chi alleghi di averle sostenute anche in luogo dell'altro obbligato, secondo le regole generali dell'azione di regresso. Sicché, non sarebbe possibile chiederne la rifusione semplicemente applicando matematicamente al tempo passato la misura del contributo di mantenimento a fissarsi per il futuro, né valutando il contributo che avrebbe dovuto essere prestato pro tempore dal genitore inadempiente (tanto, peraltro, in conformità all'insegnamento della giurisprudenza in materia, sul punto si veda Cass. I, n. 22506/2010).

Trattasi quindi, in considerazione delle argomentazioni di cui innanzi, di azione di regresso introducibile con (o comunque nell'ambito di un) giudizio ordinario, non potendo essere decisa nelle forme del rito camerale (Trib. Roma, 17 aprile 2017, cit.).

L'intervento degli altri ascendenti: i presupposti

L'art. 316-bis, comma 2, ultima parte, c.c. disciplina il caso in cui i genitori non abbiano mezzi sufficienti per assolvere all'obbligo di mantenimento della prole, disponendo che in tal caso, siano tenuti gli ascendenti, in ordine di prossimità, a fornire, non direttamente alla prole bensì al genitore in difficoltà, i mezzi per mantenerla, così permettendo ai genitori di adempiere ai doveri di cui alla norma sopra citata.

L'intervento degli ascendenti riguarda le spese future necessarie per il discendente e non può quindi riguardare il rimborso di spese già fatte ed opererà solo quando gli ascendenti versino in condizioni economiche tali da rendere possibile un loro adempimento in luogo dei soggetti obbligati principali (così, Achille, 2014, 120).

La disposizione trova, quindi, il proprio fondamento nei doveri di solidarietà familiare gravanti sugli ascendenti nei confronti dei propri figli e dei nipoti, non costituendo quindi il detto intervento una forma di subingresso nella relativa obbligazione in favore della prole, gli altri ascendenti sono tenuti in via esclusiva a fornire agli obbligati diretti i mezzi per adempiere ai loro doveri. Nel dettaglio non sono gli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente la prole che si trasferiscono dai genitori, privi di mezzi, agli altri ascendenti ma a questi ultimi viene trasferito l'onere economico riguardo l'adempimento di tali obblighi (Achille, 2015, 607; per una diversa ricostruzione del fondamento dell'obbligo gravante sugli altri ascendenti si veda Paradiso, 348, il quale lo colloca nell'ambito della disciplina degli alimenti). Ciò è ancora più evidente laddove si consideri che il genitore al quale vengono versate le somme di denaro è titolare iure proprio di questo diritto di credito (sebbene nella sostanza di spettanza della prole), proprio al fine di evitare ingerenze da parte degli ascendenti nell'esercizio della responsabilità genitoriale (Sesta, 1177).

È tuttavia controverso se il detto obbligo sorga in via automatica e di fronte a qualsiasi stato di difficoltà in cui versi il genitore ovvero solo a fronte di una situazione di necessità che non sia imputabile al genitore.

Al riguardo la Suprema Corte ha chiarito che l'obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c. (applicabile ratione temporis alla fattispecie trattata) spetta primariamente ed integralmente ai loro genitori. Sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve fare fronte per l'intero alle esigenze della prole, salva la possibilità di convenire l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni globali di costui. Ne consegue che l'obbligazione gravante sugli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari è «subordinata» e, quindi, «sussidiaria» rispetto a quella primaria dei genitori, non potendo neanche rivolgersi agli altri ascendenti per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il suo contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli (Cass. I, n.20509/2010, in Fam. e dir., 2011, 467, con nota di Morganti, Il concorso degli ascendenti negli oneri di mantenimento della prole; si veda altresì Cass.I, n. 3402/1995, in Dir. fam. per., 1995, 1409; nello stesso senso Cass.VI-I, n. 10419/2018). Quanto innanzi evidenziato conferma ulteriormente che il presupposto necessario ed indefettibile per l'intervento degli altri ascendenti è costituito dalla circostanza del mancato adempimento da parte di entrambi i genitori (in questo senso si vedano, per la giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 30 giugno 2000, in Fam. e dir., 2001, 534, e, per la giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 3402/1995 ; Cass. I, n. 10419/2018).

L'orientamento di cui innanzi sembra essere stato poi ribadito ma anche specificato dalla Suprema Corte, ancorché al fine di escludere la sussistenza di colpa grave nel proponimento dell'azione volta a chiedere un contributo al mantenimento del figlio minore agli ascendenti del genitore sistematicamente inadempiente ai suoi obblighi di contribuzione. Cass. VI, n. 19015/2011 ha difatti precisato che l'art. 148 c.c. (applicabile alla fattispecie ratione temporis) pone in capo agli altri ascendenti l'onere di concorrere in solido con il genitore che provvede al mantenimento qualora l'altro genitore non possa o non voglia farvi fronte (facendone derivare come conseguenza che per la citata azione il gratuito patrocinio possa riconoscersi ai sensi dell'art. 76 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e così, decidendo nel merito, ha accolto la proposta opposizione alla revoca del patrocinio a spese dello stato).

Parimenti, la giurisprudenza di merito mostra di fare applicazione dei principi di cui innanzi ulteriormente specificandoli, in ragione delle singole e variegare fattispecie concrete.

Il Tribunale di Milano, con una recente pronuncia, ha difatti respinto l'istanza in esame presentata dalla madre di un minore nei confronti degli altri ascendenti, evidenziando che al fine di porre a carico di questi ultimi l'obbligo di versare al genitore i mezzi necessari per far fronte al mantenimento dei figli, deve provarsi sia l'inadempimento – volontario o involontario – dell'altro genitore sia l'impossibilità a mantenere il figlio da parte del genitore invocante l'intervento. Trib. Milano, 22 dicembre 2015, ha in particolare argomentato dall'assenza di prova, da parte della richiedente (di anni trenta ed il cui marito non adempiva i doveri di mantenimento), della propria impossibilità a mantenere il figlio, ritenendo, per converso, che gli altri ascendenti non versassero in buone condizioni economiche.

Trib. Mantova, 22 novembre 2012 ha invece escluso che la volontaria condotta inadempiente del genitore sia preclusiva dell'applicazione della disposizione di cui all'art. 148 c.c. (ratione temporis applicabile prima dell'introduzione del citato art. 316-bis c.c.). È stato in particolare ritenuto che l'obbligo sugli altri ascendenti sussista anche in caso di condotta volontaria dei genitori perché lo scopo della norma è quello di salvaguardare in modo assoluto i figli minori e con la massima celerità, richiamando la risalente ma ancora attuale decisione di Trib. Napoli, 17 febbraio 1977 (in Dir. e giur., 1978, 4269).

I limiti di applicabilità dell'intervento sostitutivo sono stati infine vagliati anche con riferimento alla possibilità (escludendola) di interpretare estensivamente la norma in commento tanto da applicarla anche con riferimento ai parenti in linea collaterale. Ove i genitori siano privi di mezzi economici, i parenti in linea collaterale (nella specie, le zie paterne) non possono essere condannati a fornire loro quanto necessario ad adempiere ai doveri imposti dalla legge nei confronti dei figli, atteso che l'art. 148, comma 2, c.c. (nella formulazione, applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 154 del 2013) fa riferimento esclusivamente agli «ascendenti» e, quindi, ai soli parenti in linea retta (Cass. I, n. 23978/2015).

Parte di dottrina, interpretando restrittivamente la norma in commento, sembra ritenere non operante l'intervento integrativo degli altri ascendenti nei casi di inadempimento colpevole del genitore e di insussistenza di mezzi sufficienti derivante da condotta colposa (Trabucchi, 659; Dogliotti, 187).

Sotto altro profilo, è opportuno evidenziare che ai fini della valutazione in ordine alla permanenza dell'obbligo degli ascendenti di contribuire al mantenimento dei nipoti ai sensi, deve tenersi conto dell'età dei beneficiari (non potendo tale obbligo protrarsi oltre ragionevoli limiti di età), del tempo decorso dall'ordinanza che ha accertato il diritto al mantenimento ed anche della concreta possibilità che i nipoti possano accedere al "reddito di cittadinanza", introdotto dal d.l. n. 4 del 2019, conv. con modif. in l. n. 26 del 2019. Il principio di cui innanzi è stato applicato dalla Corte di Cassazione in relazione ad una pronuncia di merito che aveva respinto la domanda dell'ascendente di revoca dell'assegno di mantenimento in favore di due nipoti, nati nel 1991 e nel 1993, previsto con ordinanza tredici anni prima, limitandosi a  rilevare che i nipoti non erano ancora indipendenti economicamente e che il reddito della madre non era sufficiente a sostenerli (Cass. I, n. 10450/2022).

Intervento integrativo, provvedimenti di separazione o divorzio ed integrazione parziale dell'obbligo di contribuzione

Nel caso in cui nei confronti dei genitori vengano pronunciati provvedimenti di carattere economico in sede di separazione o divorzio, ci si deve chiedere se possa trovare applicazione l'art. 316-bis c.c., ove tali provvedimenti non consentano di soddisfare compiutamente le esigenze del figlio, sempre che vi siano le ulteriori condizioni previste dalla norma appena citata.

La risposta alla domanda necessita di tenere in debita considerazione la finalità principale della disposizione in commento, garantire, in tempi brevi, il mantenimento ed il soddisfacimento delle primarie esigenze al figlio minorenne o maggiorenne ma incolpevolmente non autosufficiente.

Gli ascendenti, infatti, sono testualmente tenuti, per le dette finalità e previa sussistenza delle ulteriori condizioni previste, a fornire «i mezzi necessari». Tale espressione non appare coincidere con il concetto di mantenimento e si avvicina maggiormente a quello di alimenti. Tuttavia, è stato evidenziato che nei confronti dei minori il diritto agli alimenti non si diversifica da quello di mantenimento per la preminente esigenza di garantire loro di ricevere quanto necessario per la formazione (Bianca, 322).

In quest'ottica si colloca la questione relativa alla possibilità di integrazione parziale dell'obbligo di contribuzione.

In senso favorevole si è espresso il Trib. Genova, 28 ottobre 2009 in merito a fattispecie rientrante, ratione temporis, nell'ambito di applicazione del previgente art. 148 c.c. ma con argomentazioni che potrebbero convalidarsi anche con riferimento all'attuale art. 316-bis c.c. per esso «l'insufficienza dei mezzi ammette anche un'integrazione parziale e non la sostituzione di una categoria all'altra; la relativa obbligazione non dipende dall'oggettiva insufficienza dei redditi dei genitori .. ma dalla loro capacità di provvedere al mantenimento del minore».

Vi è chi in dottrina, conformemente a quanto ritenuto dal citato Tribunale di Genova, ritiene che la mancanza dei mezzi sufficienti consenta di invocare l'intervento degli ascendenti non solo nel caso in cui i genitori non siano totalmente in grado di fare fronte agli obblighi nei confronti dei figli ma anche quando tale impossibilità sia soltanto parziale (Achille, 2014, 120).

L'attuazione dell'obbligo di contribuzione: il procedimento

L'art. 316-bis c.c., al pari del previgente art. 148 c.c, è norma ibrida, contenendo disposizioni di natura sostanziale e al tempo stesso altre di carattere processuale, finalizzate entrambe all'attuazione dei principi fondamentali previsti dall'art. 30 Cost.

Come evidenziato da Corte cost. n. 286/2002, il primo periodo del primo comma della norma in esame (art. 148 c.c.ratione temporis applicabile ante modifica del 2013) specifica le modalità del concorso dei coniugi all'adempimento dell'obbligo di mantenimento dei figli (già posto dal precedente art. 147 c.c.). Il secondo periodo dello stesso comma, con una previsione del tutto peculiare, estende invece l'ambito soggettivo degli obbligati, ponendo a carico di altri ascendenti il particolare obbligo di fornire ai genitori, che ne siano privi, i mezzi necessari affinché questi stessi possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

I commi dal secondo al quarto dell'attuale art. 316-bis c.c. disciplinano poi il procedimento volto a rendere effettivo l'obbligo di contribuzione, mutuato le forme del procedimento di ingiunzione, nel caso in cui gli obbligati siano inadempienti. Questi ultimi sono, in primo luogo, i genitori, tenuti a mantenere la prole per il solo fatto della filiazione ma, ove gli stessi non possano adempiere nei termini di cui innanzi, anche gli ascendenti sono tenuti, in via sussidiaria, a mantenere il discendente, come detto, fornendo ai genitori quanto necessario per adempiere. Ove nessuno di questi soggetti mantenga la prole, il Presidente del Tribunale, ovvero al giudice delegato (a seguito delle modifiche apportate alla norma dal d.lgs. n. 149/2022del luogo di residenza o domicilio del debitore, su ricorso di chiunque abbia interesse, può  ordinare con decreto, costituente titolo esecutivo, che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'avente diritto (il genitore che si occupa delle spese, l'ente affidatario etc.).

In questo senso si espressa la giurisprudenza di merito che ha quindi ritenuto applicabile tale procedimento non solo nei confronti dei genitori ma anche degli ascendenti.

Oggetto dell'ordine di pagamento sono i redditi da lavoro o di capitale ma anche quelli derivanti da trattamenti di quiescenza, rendite di vario tipo, canoni periodici etc. (Paradiso, 351). La norma non specifica cosa si debba intendere per «quota» sicché deve ritenersi che tale mancata indicazione sia dovuta alla necessità, per il giudice, di valutare nel caso concreto le specifiche necessità della famiglia rapportate ai redditi dell'obbligato (Paradiso, 352).

Lo scopo della scelta da parte del legislatore delegato del 2013 del tipo di procedimento è quello di ottenere, con estrema rapidità e nella maniera più efficace e diretta, un provvedimento giudiziario che, con la forza propria del titolo esecutivo, assicuri ai minori il mantenimento da parte dei loro genitori ovvero, sussistendone i presupposti, da parte degli altri ascendenti. Di fronte all'inadempimento, il legislatore ha, quindi, previsto, in primo luogo, che le somme dovute vengano versate direttamente a chi si prende cura dei figli. Questo costituisce il primo dei possibili rimedi all'inadempimento, per garantire che i redditi del genitore siano effettivamente destinati al mantenimento della prole e lo siano in tempi brevi, così garantendo nell'immediatezza al minore i mezzi necessari per il sostentamento (Cass. I, 3402/1995). Ove ciò non sia sufficiente, il giudice, al fine di garantire l'adempimento può anche disporre la prestazione di idonea garanzia personale o reale, nonché il sequestro dei beni dell'obbligato (per i procedimenti introdotti in data antecedente al 28 febbraio 2023 ex art. 3 comma 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219 e per quelli introdotti successivamente in forza dell'art. 473_bis.36 c.p.c.).

Il procedimento in esame ricalcava chiaramente il contenuto di quello monitorio; sicché, per quanto non espressamente previsto nello stesso, si riteneva dovesse farsi riferimento a quanto disposto dall'art. 633 c.p.c. (Achille, 2015, 611), salvi quindi i termini più brevi per proporre opposizione, ad opera delle parti e del terzo debitore, espressamente ridotti a venti giorni (dalla notifica del provvedimento), dall'art. 316-bis, comma 3, c.c. La disposizione è stata modificata dal d.lgs. n. 149/2022 ed oggi l'opposizione (per i procedimenti instaurati in data successiva al 28 febbraio 2023) da proporsi ugualmente nel termine di venti giorni dalla notifica, è regolata dalle disposizioni che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, dei minorenni e alle famiglie.

Una volta pronunciato, il decreto presidenziale costituisce titolo esecutivo e deve essere notificato agli interessati (beneficiario ed obbligato) ed al terzo debitore, con l'effetto di rendere indisponibile il credito, potendo poi essere impugnato nel termine di venti giorni dalla notifica.

Stante l'identità di contenuti e di ratio è opportuno specificare, in questa sede, che la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità della disposizione di cui all'art, 148 c.c., nella previgente formulazione, nella parte in cui non riconosceva al decreto l'efficacia di titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale.

Il Giudice delle leggi ha però dichiarato non fondata la questione, specificando che, ad eccezione della diversità di disciplina relativa alla prova del credito, i procedimenti di cui agli artt. 633 c.p.c. e 148 c.c. sono del tutto assimilabili fra loro, sia nella forma che negli effetti. Con la conseguenza che il provvedimento pronunciato ai sensi dell'art. 148 c.c. nei confronti del solo obbligato inadempiente è decreto ingiuntivo esecutivo ex lege, ed in quanto tale, costituente titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, in applicazione dell'art. 655 c.p.c. (Corte cost. n. 236/2002).

Il decreto inoltre, come prevede espressamente l'art. 316-bis c.c., può essere, su richiesta delle parti o del terzo debitore, modificato o revocato ed il procedimento è regolato dalle norme che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie.

Tale domanda, peraltro, deve fondarsi sul mutamento delle circostanze poste a fondamento del decreto o della sentenza, se pronunciata all'esito del giudizio di opposizione (Padalino, 207, con riferimento al previgente 148 c.c.).

Bibliografia

Achille, Il Concorso nel mantenimento, art. 148 c.c., come modificato dall'art. 4 del d.lgs. 154/2013, e art. 316-bis c.c., come inserito dall'art. 40 del d.lgs. 154/2013, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015; Achille, L'obbligo di mantenimento nel rinnovato quadro sistematico dei diritti del figlio, in Bianca M. (a cura di), Le novità introdotte dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, Milano, 2014; Bianca, Diritto civile, 2,1, La famiglia, Milano, 2014; Dogliotti, La potestà dei genitori e l'autonomia del minore, in Cicu-Messineo, continuato da Mengoni-Shlesingher (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 2007; Fiorini, La liquidazione delle somme può essere effettuata anche in via equitativa, in Guida dir. 2011, 82; Padalino, Il procedimento monitorio ex art. 148 c..c, in Padalino(coordinato da), La tutela sommaria e camerale nel diritto di famiglia e nel diritto minorile, Torino, 2007; Paradiso, I rapporti personali tra coniugi (Artt. 143-148), in Busnelli (diretto da), Codice civile. Commentario, Milano, 2012, 333; Ruscello, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Ferrando (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Bologna, 2007; Sesta, sub 316-bis, in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015, 1177; Trabucchi, sub art. 148, in Cian-Oppo-Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992.

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