Codice Civile art. 337 quinquies - Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli (1).Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli (1). [I]. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. (1) Articolo inserito dall'art. 55, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoLa disposizione di cui all'art. 337-quinquies c.c., introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito l'art. 155 ter c.c. senza apportavi alcuna aggiunta, fatta salva la necessaria modifica letterale con la quale è stato sostituito il termine «potestà» con l'espressione «responsabilità genitoriale». È stato, tuttavia, correttamente osservato che, in forza della riforma di cui alla l. n. 219/2012, è stato ampliato l'ambito di operatività della norma che oggi trova applicazione anche con riferimento alla controversie relative all'affidamento dei figli di genitori non coniugati (in questo senso Morace Pinelli, 803), così unificandosi, anche sotto questo profilo, la disciplina inerente alla filiazione (si vedano i nuovi testi degli artt. 337-bis c.c. e 38 disp. att. c.c. ed i relativi commenti ai quali si rinvia). La disposizione in commento (come il previgente art. 155-ter c.c.) contempla la possibilità, per i genitori, di chiedere in ognitempo la revisione delle disposizioni concernenti i figli, delle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale e della modalità ed entità del contributo. Tali provvedimenti, quindi, sono sempre soggetti a revisione, quale che sia il procedimento nell'ambito del quale essi sono stati emanati (Bianca, 2014, 251). L'elencazione delle disposizioni che possono essere oggetto di revisione non ha peraltro carattere tassativo potendo essere chiesta anche con riferimento a tutte quelle disposizioni che incidono sui diritti ed interessi della prole, come, in ipotesi, l'assegnazione della casa familiare (in questo senso Zanetti Vitali, 385, e Dogliotti-Figone, 134, con riferimento alla disciplina previgente). La richiesta di revisione può quindi riguardare le modalità di affidamento della prole, così ponendosi il problema di verificare se sussista la possibilità di stigmatizzare quei comportamenti delle parti che abbiano carattere temerario e non siano quindi dettate dalla necessità di tutelare il superiore interesse del minore. In considerazione della necessità che le decisioni in tema di affidamento dei figli siano volte a preservare la serena crescita del minore nel rispetto del diritto alla bigenitorialità, si comprendono le ragioni sottese alla tesi per la quale in caso di richiesta di modifica dell'affidamento dei figli minorenni (da condiviso ad esclusivo), ove venga dimostrato che l'opposizione all'affidamento condiviso abbia carattere pretestuoso e risulti quindi infondata, possa trovare applicazione, in via analogica, l'ultimo comma dell'art. 337-quater c.c. con conseguente condanna del genitore al pagamento delle spese processuali in forza di quanto previsto dall'art. 96 c.p.c. (Zanetti Vitali, 20;Morace Pinelli, 807, si veda altresì Bucci, 132). Le disposizioni relative all'affidamento dei figli, così come quelle relative all'esercizio della responsabilità genitoriale, possono essere oggetto, direttamente o indirettamente, della decisione sia del Tribunale ordinario (se, in ipotesi, relativa ad una causa di separazione o ad un procedimento ex 316 c.c.) ovvero del Tribunale per i minorenni laddove sia stato instaurato un procedimento ex artt. 330-333 c.c. Ciò determina la necessità di stabilire con esattezza, anche in relazione ai provvedimenti pronunciati ex art. 337-quinquies c.c., la competenza delle predette autorità. Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni in tema di procedimenti de potestateI procedimenti afferenti all'esercizio della responsabilità genitoriale possono essere instaurati durante la pendenza dei giudizi di separazione, divorzio o per l'affidamento di cui all'art. 316, c. 4, c.c., così come successivamente al passaggio in giudicato della relativa decisione; sicché è necessario stabilire quale sia il Giudice competente in merito a tali controversie ove rilevino profili di cattivo esercizio della responsabilità genitoriale (ex artt. 330-333 c.c.). Il problema perderà di rilievo a seguito della, oramai, imminente, costituzione del Tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, prevista per il 31 dicembre 2024. La giurisprudenza, in relazione alla disciplina previgente, ha chiarito, da tempo, che, laddove sia già pendente il giudizio di separazione o similare, la competenza a decidere in merito alla revisione delle condizioni previste in tema di affidamento spetta al Tribunale che procede, dinanzi al quale pende quindi il giudizio. Diversamente, in assenza di giudizio pendente, sarà competente, solo con specifico riferimento alle fattispecie di cui agli artt. 330 ss. c.c. il Tribunale per i minorenni (il riferimento è alla giurisprudenza di seguito esaminata). L'art. 38 disp. att. c.c., così come modificato nel 2012, aveva peraltro ridefinito i confini delle competenze del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni, con la finalità evidente della concentrazione delle tutele presso un unico giudice. In particolare, il comma 1 della disposizione testé citata prevede che siano di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84,90,330,332,333,334,335,371, ultimo comma, c.c.. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 c.c. resta invece esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni, nell'ipotesi in cui sia corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c. In tale ipotesi, per tutta la durata del processo, la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al Giudice ordinario. Tuttavia, è attualmente possibile che venga presentato al Giudice specializzato un ricorso, ex art. 330 c.c., pur in pendenza dei giudizi di separazione, divorzio o di modifica degli stessi, ponendosi quindi la questione dell'individuazione del Giudice competente (per una disamina delle problematiche interpretative si vedano, ex multis: Proto Pisani, 126; Danovi, 537). Le difficoltà applicative della citata disposizione, comunque evidenziate in dottrina ed in giurisprudenza, sono state anche oggetto di una decisione della Consulta, la quale non è però potuta entrare nel merito in ragione dell'inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., in riferimento agli artt. 3,97, comma 2, e 111 Cost., nella parte in cui attribuisce alla competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c. (Corte cost., n. 134/2016). La giurisprudenza di legittimità, in seguito alla modifica del citato art. 38, è stata invece in più circostanze chiamata a pronunciarsi sul riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, in relazione alle decisioni di cui all'art. 330 c.c. in caso di pendenza di un giudizio di separazione. Nel 2014, a ridosso della modifica legislativa della citata norma, la Suprema Corte ha escluso l'operatività della vis attractiva del Tribunale ordinario, affermando che laddove, durante la pendenza di un giudizio ex art. 330 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni, venisse instaurato un giudizio di modifica delle condizioni della separazione, resterebbe ferma la competenza del Tribunale per i minorenni, sia in ossequio al principio della perpetuatio juirisdictionis sia per ragioni di economia processuale fondanti nei principi costituzionali e sovranazionali, in particolare nell'art. 8 CEDU (Cass. VI-I, n. 21633/2014, in Fam e dir., 2015, 105, con nota di Liuzzi). Successivamente, chiarendo ulteriormente le argomentazioni poste a fondamento dell' orientamento di cui sopra, il Giudice di legittimità ha affermato che ove, durante la pendenza di un giudizio per la modifica delle condizioni di separazione personale tra coniugi, venisse successivamente instaurato dinanzi al Tribunale per i minorenni un giudizio ex art. 330 c.c., ancorché su ricorso del Pubblico ministero, sarebbe competente il Tribunale ordinario previamente adito anche relativamente alla pronuncia dei provvedimenti de potestate (Cass. I, n. 432/2016, in Rassegna del codice civile Ruperto, nonché in Foro. it, 2016, 860, con nota di Cea ; sul punto altresì in questo senso Cass. VI-I, n. 1349/2015e da ultimoCass., VI-I, n. 3490/2021). Tale ultima decisione appare rilevante nella misura in cui fornisce una soluzione ad un problema interpretativo derivante dalla formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. Essa è intervenuta in fattispecie nella quale, nel corso di un giudizio di modifica delle condizioni di separazione, avente tra le altre cose ad oggetto proprio la modifica del regime di affidamento del figlio minore, era stata presentata dalla madre del minore un'istanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e ciò aveva determinato l'instaurazione di un giudizio ex art. 330 c.c. dinanzi al Giudice specializzato. La non perfetta coincidenza delle parti coinvolte nei procedimenti de potestate ed in quelli dinanzi al Tribunale ordinario potrebbe indurre a ritenere che ove durante la pendenza del procedimento di separazione, venisse instaurato un procedimento ex art. 330 c.c. non troverebbe applicazione l'art. 38 disp. att. c.c., atteso che la citata disposizione si riferisce alla stessa istanza e, soprattutto, alla pendenza di un giudizio tra «le stesse parti» (tale non essendo il Pubblico Ministero nel procedimento di separazione). Con la decisione da ultimo citata, per converso, è stato escluso che la diversa funzione del Pubblico ministero, interventore nel giudizio di separazione e possibile ricorrente nei procedimenti de potestate, possa ritenersi preclusiva in quanto questi ben potrebbe, ove lo ritenesse opportuno, raccordarsi con il Pubblico Ministero nel processo dinanzi al Tribunale ordinario. La Suprema Corte, poco dopo, ha confermato il proprio orientamento, argomentando dall'interpretazione della norma in esame (art. 38 disp. att. c.c.) in ragione della sua ratio legis, e, soprattutto, dalla necessita di dare attuazione al principio della concentrazione delle tutele teso, nella circostanza in esame, a realizzare il superiore interesse del minore, non disperdendo le attività già svolte dal Giudice dinanzi al quale è già incardinato il processo ed evitando decisioni contrastanti e incompatibili tra loro in danno del minore (Cass. VI-I, n. 10365/2016 ; Cass. VI-I, n. 1866/2019; da ultimo sul punto Cass. VI-I, n. 16339/2021). Già Cass. VI-I, n. 20352/2011, nella vigenza della precedente formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., aveva peraltro fissato alcuni punti cardine nella delimitazione dei rapporti tra Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario, sempre in merito alla pronuncia di provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. Era stato difatti ritenuti che le disposizioni relative alla separazione personale consentissero al Tribunale ordinario, nel caso di riscontrate condotte pregiudizievoli, di adottare i provvedimenti opportuni nel superiore interesse del minore e tali da incidere sull'esercizio della responsabilità genitoriale, quindi di contenuto uguale a quelli adottabili da parte del Tribunale per i Minorenni ex artt. 333 e 330 c.c. Proprio tale identità fonderebbe quindi l'opportunità della concentrazione in capo ad un unico Giudice delle decisioni inerenti entrambi i profili, in attuazione, come detto, del principio della concentrazione delle tutele onde evitare ricorsi strumentali tesi a spostare la competenza del Giudice naturale. La corretta applicazione del principio di cui innanzi ha peraltro consentito di stigmatizzare, attraverso la sanzione prevista dall'art. 96 c.p.c., le condotte di colui che presenti istanza ex art 330 c.c. dinanzi al Tribunale ordinario pur essendo consapevole dell'esistenza e pendenza di un procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni. Con riferimento alla fase intermedia tra separazione e divorzio, è stato poi ribadito che il Tribunale ordinario, in pendenza di giudizio di separazione o di divorzio, è competente a decidere non solo sull'affidamento dei figli ma anche circa le concrete modalità di attuazione dello stesso (su punto: Cass. VI-I, n. 432/2016 e Cass. VI-I, n. 1349/2015). Sicché, qualora nelle more della presentazione del ricorso per declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio, venisse presentato un ricorso al Tribunale per i minorenni ex art. 333 c.c., contenente le medesime richieste in tema di affidamento dei figli poi presentate al Tribunale ordinario, la relativa istanza sarebbe intesa quale richiesta di modifica delle condizioni di affidamento della prole all'esito della cessazione del rapporto coniugale, pertanto di competenza del Tribunale ordinario (Cass. VI-I, n. 17190/2017). Numerose delle questioni innanzi riportate trovano già un primo componimento nella modifica dell'art. 38 disp. att. c.c. il quale è stato oggetto di significative modifiche da parte della legge n. 149/2022. Nel dettaglio la disposizione prevede la competenza del Tribunale per i minorenni in relazione ai procedimenti previsti dagli artt. 84, 250, ultimo comma, 251, 317 bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, del codice civile. La norma attribuisce anche al Tribunale ordinario la competenza a pronunciar i provvedimenti di cui agli artt. 330, 332, 334, 335, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse, parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt. 250, quarto comma, 268,277, secondo comma e 316 del codice civile, ovvero un procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore. In tale circostanza il Tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, entro il termine di 15 giorni giorni dalla richiesta , adotta tutti i provvedimenti opportuni temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al Tribunale ordinario dinanzi al quale, previa riunione, continua il procedimento. La semplificazione della competenza dovrebbe auspicabilmente far cessare la duplicazione dei procedimenti ed accelerare la decisione del giudice che procede. Revisione delle disposizioni riguardanti i figli: i presuppostiI provvedimenti relativi alla prole sono sempre soggetti a revisione. La modifica, in particolare, potrà essere disposta a seguito di inadempimento, di comportamenti pregiudizievoli per il minore o per il sopravvenire di fatti nuovi e modificativi della situazione di fatto pregressa, così come potrà avere ad oggetto le modalità di affidamento dei figli (in merito Morace Pinelli, 807; Bianca, 2014, 252). Necessita però verificare se per la revisione di cui innanzi necessiti un mutamento delle circostanze poste a fondamento della decisione assunta dal Tribunale. Un primo e più risalente orientamento di legittimità (formatosi a partire dai precedenti anni '90 e perdurato fino ai primi anni dell'attuale secolo) sosteneva che non fossero necessarie nuove e sopravvenute circostanze, ai fini della modifica dei provvedimenti relativi alla prole, dovendosi ritenere le relative decisioni del Tribunale definitive rebus sic stantibus (Cass. I, n. 8495/1997; Cass. I, n. 8046/1998, Cass. I, n. 10632/2004). Secondo altro, più recente, orientamento, per converso, al fine della revisione delle statuizioni economiche inerenti coniuge e figli è necessario che sopravvengano nuove circostanze (ex plurimis: Cass. I, n. 10720/2013; Cass. I, n. 24321/2007, in Fam. e dir., 2008, 446, con nota di Casaburi ; in tema di revisione dell'assegno per i figli nati fuori dal matrimonio, sempre in questo senso Cass. I, n. 18608/2021, la quale peraltro specifica che non solo devono sopravvenire nuove circostanze ma anche che le stesse devono essere idonee a mutare l'assetto economico precedente). Appare emblematica in merito una risalente decisione della Suprema Corte in tema di revisione delle disposizioni patrimoniali relative ai figli. Essa nel definire la distinzione dei presupposti relativi al procedimento di revisione di cui all'art. 155-ter c.c. (ratione temporis applicabile nella formulazione antecedente alla sua abrogazione nel 2013) e del giudizio di appello, ha chiarito che l'aumento dell'assegno di mantenimento dei figli minori, non conseguente ad un giudizio di revisione ma quale esito dell'impugnazione della sentenza di primo grado, è soggetto a presupposti specifici, in quanto oggetto del giudizio di appello è la richiesta di riesame delle circostanze di fatto valutate dal Tribunale al fine di giungere alla determinazione contestata. Diversamente, il giudizio di revisione ha ad oggetto il diritto dei coniugi di richiedere, in ogni tempo, la modificazione delle statuizioni economiche precedentemente assunte. Ne consegue che suo peculiare presupposto è proprio l'allegazione e la prova di circostanze sopravvenute rispetto a quelle fondanti la pregressa valutazione giudiziale (come già chiarito da Cass. I, n. 2338/2006). L'impugnazione della sentenza di primo grado che abbia disposto un assegno di mantenimento in favore dei figli minori si fonda, invece, tendenzialmente, sulla richiesta di una diversa valutazione delle medesime circostanze di fatto, allegate e dimostrate nel primo grado, pur potendo considerarsi anche elementi nuovi, maturati nel corso del procedimento, quali l'incremento delle esigenze dei figli minori connesse alla loro crescita (il riferimento è a Cass. I, n. 10720/2013; sul punto si vedano altresì: Cass. I, n. 10119/2006 e Cass. I, n. 3925/2012, espressamente richiamate dalla citata decisione del 2013). Le circostanze nuove costituiscono, quindi, condizione necessaria esclusivamente per il giudizio di revisione ex art. 337-quinquies c.c. (sul punto si veda Grassetti, 702, con riferimento al previgente art. 155-ter c.c.). Diversamente opinando si trasformerebbe il rimedio di cui all'art. 337-quinquies c.c. in una impugnazione tardiva (sul punto si vedano in tal senso, per la giurisprudenza di merito, Trib. Modena, 3 febbraio 2016, n. 412, in DeJure, e Trib. Milano, 9 luglio 2015, in DeJure, e, per quella di legittimità, Cass. I, n. 13514/2015, Cass. I, n. 10720/2013, e Cass. VI-I, n. 14734/2016, quest'ultima in tema di revisione delle condizioni stabilite per l'assegno di divorzio). Sotto altro profilo si è osservato che la richiesta di revisione dell'assegno di mantenimento dei figli (minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente), giustificata dall'insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga necessarie tali maggiori spese, non è tenuto, in via preliminare, ad accertare l'esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato, ma a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l'assegno, ben potendo l'incremento di spesa determinare un maggiore contributo anche a condizioni economiche dei genitori immutate (o mutate senza alterare le proporzioni delle misure di ciascuno dei due), ovvero non incidere sulla misura del contributo di uno o di entrambi gli onerati, ove titolari di risorse non comprimibili ulteriormente (Cass. I n. 22075/2022). Il mutamento della famiglia nucleare e la modifica del contributo al mantenimentoTra le circostanze idonee a giustificare la riduzione del contributo al mantenimento del figlio minorenne vi è la nascita di un figlio con conseguente formazione di un nucleo familiare. Tale evento, comportando l'aumento degli oneri economici a carico del genitore, costituisce circostanza sopravvenuta idonea a determinare la modifica delle condizioni stabilite nella separazione. Tuttavia, la nascita di un figlio, non determina automaticamente la riduzione del contributo dovendo essere valutata dal Giudice, unitamente alle altre circostanze, al fine di verificare se, nel caso concreto, tale evento abbia o meno inciso sulle condizioni economiche del genitore istante (si vedano: Cass. VI-I, n. 14175/2016, in tema di modifica delle condizioni; Cass. VI-I n. 214/2016; Cass. I, n. 6289/2014; Cass. I, n. 25010/2007, e Cass. I, n. 15065/2000). Procedimento ed impugnabilità dei provvedimentiIl procedimento di revisione in esame si svolge, per il procedimenti introdotti entro il 28 febbraio 2023, in camera di consiglio, nelle forme di cui all'art. 737 c.p.c., con la partecipazione obbligatoria del Pubblico ministero, concludendosi con un decreto reclamabile dinanzi alla Corte d'appello. Il Giudice territorialmente competente è individuato in base al luogo di residenza del minore (sul punto si veda Cass. VI-I, n. 25636/2016). Circa l'efficacia della decisione assunta nell'ambito del procedimento per la revisione delle condizioni di divorzio, appare opportuno incidentalmente evidenziare, l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite in tema di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, come anche confermato dalla successiva giurisprudenza di legittimità. È stata in particolare ritenuta l'immediata esecutività del decreto del Tribunale in merito alla revisione delle modalità di corresponsione del contributo al mantenimento a seguito dello scioglimento o delle cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ciò in conformità alla regola generale di cui all'art. 4 della l. n. 870/1970, incompatibile con l'art. 741 c.p.c. che subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine per la proposizione del reclamo (Cass. S.U., n. 10064/2013, con particolare riferimento alla revisione delle condizioni di divorzio; nello stesso senso anche la successiva Cass. VI-I,n. 1164/2015). La pronuncia in materia è comunque impugnabile mediante ricorso straordinario per cassazione (ex art. 111 Cost.). Le decisioni relative all'affidamento del minore, al suo mantenimento ed all'assegnazione della casa familiare hanno difatti carattere decisorio, perché inerenti diritti soggettivi, e natura definitiva, in quanto dotate di una certa stabilità, nonostante adottate rebus sic stantibus. Il decreto pronunciato dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione dei coniugi, concernenti il mantenimento dei figli ed i rapporti con gli stessi, deve ritenersi ricorribile per cassazione in considerazione della sua natura sostanziale di sentenza, appunto perché, come detto, vertente su diritti soggettivi, emessa a conclusione di un procedimento contenzioso (in questo senso si vedano: Cass. I, n. 12018/2019; Cass. VI-I, n. 18194/2015; Cass. VI-I, n. 11218/2013; Cass. I, n. 7770/2012; Cass. I, n. 23032/2009; Cass. S.U., n. 22238/2009; Cass. I, n. 18627/2006; Cass. I, n. 2348/2005, e Cass. I, n. 24265/2004). Questo costante orientamento, sorto antecedentemente all'introduzione dell'art. 337-quinquies c.c., muove dal rilievo per il quale l'applicazione delle forme camerali, introdotta con la l. n. 331/1988, ha reso non più proponibile il ricorso ordinario per cassazione ai sensi dell' art. 360 c.p.c. avverso la pronuncia della Corte di merito, non incidendo però sulla natura contenziosa del procedimento, che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti, titolari di confliggenti diritti soggettivi, e si conclude con un decreto che ha natura sostanziale di sentenza. Sicché, i relativi provvedimenti, incidendo su diritti/doveri dei genitori relativi all'aspetto economico inerente i figli, all'affidamento, alla vigilanza sulla loro istruzione ed educazione, alla possibilità di concorrere all'adozione delle decisioni di maggiore interesse per la loro vita, hanno natura decisoria e definitiva, riferibile alla situazione esistente al momento e quindi tale da non venir meno in ragione della possibile revisione, in ogni tempo (in tali termini già Cass. I, n. 18627/2006, con riferimento al previgente art. 155 c.c.). Per converso, e con riferimento ai provvedimenti che incidono sull'esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi degli artt. dal 330 c.c. al 333 c.c. è stata esclusa, nel recente passato, l'ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., ritenendoli espressione di giurisdizione volontaria, in quanto non risolventi conflitti fra diritti posti su un piano paritario, nonché inidonei ad acquisire autorità di giudicato neanche rebus sic stanti bus, in ragione della loro modificabilità e revocabilità non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze (Cass. I, 18562/2016; Cass. VI-I, n. 24477/2015; nello stesso senso si vada anche Cass. I, n. 11756/2010). Una delle principali ragioni sulle quali è stata fonda la non ricorribilità dei citati provvedimenti è quindi la loro revocabilità in ogni tempo, unita alla loro funzione «non di decidere una lite tra due soggetti, attribuendo ad uno di essi un bene della vita, ma di controllare e governare gli interessi dei minori» (Cass. S.U., n. 11026/2003, in Fam e dir., 2004, 165, con nota di Donzelli). Cass. I, n. 23633/2016 , ha mostrato di concludere diversamente, non tanto discostandosi dalle ragioni sottese all'orientamento di cui innanzi quanto all'esito di un'interpretazione critica delle (successive) recenti novità normative. Con riferimento a fattispecie relativa alla decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale, ex art. 330 c.c., essa ha difatti ritenuto che, una volta dichiarati dal Tribunale i genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale, «il provvedimento assuma attitudine al giudicato rebus sic stantibus », in quanto non revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi, e sia anche impugnabile mediante ricorso per cassazione, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato o revocato o modificato in sede di reclamo. L'iter logico-giuridico seguito dalla sentenza da ultimo citata è stato altresì confermato dalla successiva Cass. I, n. 3192/2017 , la quale ha ribadito che il decreto che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale incide su diritti personalissimi, oltre che convalidato la tesi per cui i procedimenti de potestate non escludono ma riguardano parti processuali fra di loro in conflitto. Desumendosi, quest'ultima circostanza, in particolare dal contenuto dell'art. 336 c.c., in quale, nell'individuare i soggetti legittimati a promuovere il relativo ricorso, prevede che genitori e minori siano assistiti da un difensore, sancendo altresì l'obbligo di audizione del genitore contro il quale è promosso il procedimento che, peraltro, si conclude con provvedimento immediatamente reclamabile oltre che revocabile. La Suprema Corte da ultimo citata ha conclusivamente evidenziato che il Tribunale ordinario, nell'ambito di un giudizio di separazione, divorzio o di affidamento ex art. 316 c.c., può adottare provvedimenti sia relativi all'affidamento del minore sia limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, ove sussistano le condotte pregiudizievoli di cui agli artt. 330-333 c.c. (nel caso di specie il minore era infatti stato affidato all'ente pubblico). Di talché, i provvedimenti de potestate, adottati dal Tribunale ordinario in forza di quanto previsto dal novellato art. 38 disp.att. c.c., non possono non avere la stessa attitudine al giudicato rebus sic stanti bus riconosciuta ai provvedimenti contestualmente pronunciati ex art. 337-bis c.c., atteso che, «al di là delle indubbie problematiche di natura processuale che si verrebbero a creare per effetto di tale distinzione», né gli uni né gli altri potrebbero essere modificati (o revocati) se non in dipendenza di un provato mutamento della situazione di fatto. Il principio di cui innanzi è stato poi confermato da Cass. S.U., n. 32359/2018 e ribadito da Cass. I, n. 1668/2020. I procedimenti instaurati in data successiva al 28 febbraio 2023 sono disciplinati dagli artt. 473-bis e seguenti c.p.c., contenuti nel titolo IV contenente le norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, introdotti dalla legge n. 149/2022. Dal novero dei provvedimenti impugnabili, infine, devono escludersi quelli provvisori (come quello in cui il Tribunale autorizza il servizio sociale a sospendere gli incontri tra genitore e figlio) essendo privi del carattere di decisorietà, perché sprovvisti dell'attitudine al giudicato «rebus sic stantibus», stante la loro natura provvisoria, perché non definitivi, in quanto non emessi a conclusione di un procedimento e perché sempre modificabili anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti (Cass.. I, n. 28724/2020; S.U. n. 22423/2023). BibliografiaBianca, Diritto civile 2.1., La famiglia, Milano 2014; Bucci, L'affidamento condiviso, in Bucci-Soldi, Le nuove riforme del processo civile, Milano, 2009; Danovi, Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli(non più) naturali, in Corr. giur. 2013, 4; Dogliotti-Figone, Separazione e divorzio, in Famiglia e proc., Milano, 2007; Grassetti, Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi, in Oppo-Cian-Trabucchi (a cura di), Commentario italiano di diritto di famiglia, Padova, 1992; Liuzzi, Provvedimenti de potestate e vis attractiva del tribunale ordinario: primi chiarimenti dalla Suprema Corte, in Fam. e dir. 2015, 2; Morace Pinelli, Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015; Proto Pisani, Note sul nuovo art. 38 disp.att.c.c. e sui problemi che esso determina, in Foro it., 2013, V; Zanetti Vitali, La separazione personale dei coniugi, artt. 155-155 sexies c.c., artt 708-709-ter c.p.c., Artt. 3-4- l. 8 febbraio 2006, n. 54,, in Schlesinger (diretto da), Il Codice civile, Commentario,Appendice di aggiornamento, Milano, 2006. |