Codice Civile art. 342 ter - [Contenuto degli ordini di protezione 1 .] 2[[I]. Con il decreto di cui all'articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. [II]. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante. [III]. Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario3. [IV]. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.]
[1] Articolo inserito dall'art. 2 l. 4 aprile 2001, n. 154. [2] Da ultimo l'articolo è stato abrogato dall'articolo 1, comma 1, d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha abrogato l'intero Titolo IX-bis; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. [3] La durata dell'ordine di protezione è stata portata da sei mesi ad un anno, dall'art. 10 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modif., dalla l. 23 aprile 2009, n. 38. InquadramentoGli artt. 342-bis c.c. e 342-ter c.c. sono strettamente connessi ed interdipendenti. Ciò impone una trattazione unitaria degli stessi. Con la l. 4 aprile 2001, n. 154 nel libro primo del codice civile è stato introdotto il titolo IX bis, intitolato «Ordini di protezione contro gli abusi familiari», composto dagli artt. 342-bis c.c. e ter c.c.. Il legislatore, contestualmente, ha provveduto ad introdurre nel libro IV del codice di procedura civile, il Capo V-bis, costituito dall'art. 736-bis c.p.c., ed in sede penale, la misura cautelare coercitiva di cui all'art. 282-bis c.p.p. Con la successiva l. 6 novembre 2011, n. 304 è stato modificato l'art. 342-bis c.c. con la soppressione dell'inciso «qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d'ufficio». Ne consegue che il Giudice civile non è tenuto a verificarne la previa sussistenza ai fini dell'emanazione dell'ordine di protezione (in merito Capurso, 446). Essendosi venuta a creare una competenza concorrente del Giudice civile e di quello penale, in forza dell'introduzione delle disposizioni sopra indicate, deve ritenersi, secondo autorevole dottrina, che in caso di provvedimenti incompatibili prevalga quello adottato successivamente (Bianca, 527; diversamente De Marzo, 537 relativamente alla formulazione della norma ante riforma). Con l'introduzione degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. il legislatore ha predisposto nuove forme di intervento in tutte quelle situazioni patologiche di violenza familiare che non hanno trovato una loro composizione in un procedimento di separazione personale o di divorzio ovvero in una separazione di fatto (Figone, 506). La violenza domestica non è difatti più percepita come un fatto privato bensì quale problema della collettività «da affrontare con specifici strumenti di contrasto che escludano dal patto sociale la coercizione altrui attraverso un'azione di riconoscimento di identità sociali plurime» (così Carrera, 390). La vittima della condotta gravemente pregiudizievole può quindi avvalersi di un sistema di protezione contro gli abusi familiari, avente la finalità, da un lato, di fornire una protezione tempestiva ed immediata e, dall'altro, di recuperare e ricostruire dei rapporti familiari (De Marzo, 537) in un'ottica tesa alla valorizzazione della tutela del soggetto debole. L'ordine di protezione nasce, quindi, con la finalità di apprestare una tutela effettiva e immediata alle vittime di abuso familiare, onde preservare il «bene giuridico dell'armonia delle relazioni della famiglia», quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dei suoi membri (Trib. Rovereto, 26 luglio 2007). Ne consegue l'esclusione di qualsiasi carattere punitivo e/o sanzionatorio. Com'è noto, con la riforma introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 è stato abrogato l'art. 736-bis c.p.c., che unitamente alle disposizioni in commento disciplinava il procedimento volto all'emanazione degli ordini di protezione mentre nulla è stato disposto in relazione agli artt. 342-bis e 342-ter. c.c. Si ritiene, tuttavia, che le disposizioni in commento siano state tacitamente abrogate, essendo state superate dai nuovi artt. 473-bis. 69 c.p.c., 473-bis.70 c.p.c. ( De Cristofaro , 1452, in questo altresì Lupoi, 594, Alemanno, 921) e 473-bis.71 c.p.c. Il difetto di coordinamento tra gli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e gli artt. 473bis.69 e seguenti del c.p.c, è stato risolto dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, contenente le disposizioni integrative e correttive al d.lgs. n. 149 del 2022. La predetta disposizioni ha infatti abrogato gli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e, conseguentemente, l'art. 6, comma 5, del medesimo decreto ha sostituito nel disposto dell'art. 7, della l. n. 154 del 2001, le parole “dal secondo comma dell'art. 342-ter” del codice civile con altra locuzione “dal secondo comma dell'articolo 473-bis.70 del codice di procedura civile”. I citati interventi, come emerge testualmente dalla relazione illustrativa, si muovono nell' ottica di razionalizzare e semplificare la normativa, oltre che per la maggiore leggibiliità dell'assetto normativo, e proprio per tale ragione si è optato per inserire anche tali disposizioni all'interno del codice di rito, così da” avere in un unico corpo normativo l'intera disciplina civilistica, delle misure in tema di violenza familiare”. La vittima ed il responsabile della condottaLa disposizione di cui all'art. 342-bis c.c. trova applicazione nel caso in cui il coniuge o altro convivente con la sua condotta determini un grave pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà dell'altro coniuge o convivente. Utilizzando la generica espressione «altro convivente», essa si riferisce al comportamento pregiudizievole non necessariamente posto in essere da un membro della famiglia ma anche da terzi, purché conviventi. Allo stesso modo la condotta può essere posta in essere nei confronti di chiunque conviva con la persona nei cui confronti è richiesto l'ordine di protezione, ivi incluso il figlio minorenne. Ne consegue che legittimati a chiedere l'emanazione di un ordine di protezione sono non solo il coniuge, il convivente more uxorio, il convivente unito civilmente ex art. 1 comma 14 della l. 20 maggio 2016, n. 76, ma anche il figlio minorenne e, più in generale, qualsiasi altra persona che conviva con l'autore della condotta (sul punto per un rilievo delle diversità terminologiche si vedano Savi, 90, e Cianci, 169, antecedentemente all'entrata in vigore della legge da ultimo citata). In merito, difatti, l'art. 5 della l., 5 aprile 2001, n. 154, rubricato «pericolo determinato da altri familiari» espressamente prevede che la disposizione in commento trovi applicazione anche nei casi in cui il responsabile o la vittima della condotta pregiudizievole sia un altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. Questa disposizione integra quindi il contenuto normativo dell'art. 342-bis c.c. determinandone un ampliamento sia dal lato attivo che dal lato passivo (Cianci, 173). Circa l'estensione del concetto di «componente del nucleo familiare», è stato rilevato che ove si fosse voluto limitare tale espressione alla famiglia nucleare in senso stretto, sarebbero stati indicati i soli figli, tra i possibili soggetti responsabili e vittime della condotta di cui all'art. 342 bis c.c. (in merito al concetto di famiglia si veda Bianca, 4). Muovendo da tale premessa si è giunti alla conclusione che il legislatore abbia voluto prendere in considerazione e disciplinare anche i rapporti di parentela caratterizzati dalla convivenza stabile ovvero dalla stretta frequentazione che porti la vittima dell'abuso ad avere abituali contatti con i componenti della famiglia nucleare in senso proprio (Cianci, 174; Figone, 506). Alla luce di quanto sopra osservato i responsabili dell'abuso possono quindi essere i figli, gli ascendenti, gli affini in linea retta e collaterale nonché i fratelli. Affinché la disposizione in commento possa trovare applicazione, laddove l'autore sia uno dei familiari da ultimo indicati, sembra dover sussistere, per una parte della giurisprudenza, un rapporto di convivenza in forza del quale si possa ritenere l'autore dell'abuso parte del nucleo familiare di cui all'art. 342-bis c.c. Sul punto si è pronunciato Trib. Napoli, 1 febbraio 2002 (in Fam. e dir., 2002, 5). Nella fattispecie al vaglio del Giudice partenopeo, una donna aveva chiesto al tribunale di emettere l'ordine di cessazione della condotta pregiudizievole posta in essere dal coniuge e l'ordine di allontanamento dalla casa familiare. La donna, inoltre, aveva sollecitato in ordine di allontanamento anche nei confronti dei genitori e dei fratelli del marito che, insieme allo stesso, dopo averla aggredita, l'avevano costretta ad abbandonare l'abitazione, già da lei non abitata al momento della proposizione della domanda. Il Giudice adito ha ritenuto che la disposizione trovi applicazione anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole venga posta in essere non dal coniuge ma da altro convivente ed ha specificato che tale norma consente all'autorità giudiziaria civile «di adottare misure cautelari provvisorie a tutela delle vittime di violenza familiare, temperate, tuttavia, dall'avvertita necessità di recupero dei rapporti all'interno della famiglia». Attraverso la ricostruzione degli artt. 2,3, e 5 della l. n. 154 del 2001 il citato Tribunale di Napoli ha quindi evidenziato come la ratio legis della disposizione in commento sia quella di garantire alla vittima di ricevere adeguata ed immediata tutela di fronte alle aggressioni «fisiche o anche solo morali da parte di persone che sono legale da un rapporto» di convivenza, coniugio o comunque facenti parte del nucleo familiare in senso stretto. Sulla scorta di tale ricostruzione dell'art. 342-bis c.c., il Tribunale ha quindi escluso che possa pronunciarsi il richiesto ordine nei confronti degli affini della vittima atteso che, nella specie, non risulta sussistente, al momento della presentazione della domanda, il requisito della convivenza, imprescindibile ai fini della emanazione dell'ordine di allontanamento. Parimenti, parte di dottrina ritiene tale requisito fomandamentale ed afferma, cercando di armonizzare le disposizioni in commento con quella di cui all'art. 5, della l. n. 154 del 2001, che l'unica lettura degli artt. 342-bis c.c. e 342-ter c.c., tale da riconoscere una portata precettiva al citato art. 5, è quella che vede nei primi il riconoscimento della protezione contro gli abusi familiari al convivente more uxorio e nel secondo l'estensione della tutela ad altro familiare che sia comunque convivente (Pacia Depinguente, 764; Scarano, 339). La convivenzaLa prima delle due disposizioni in commento si riferisce espressamente alla condotta del coniuge o di altro convivente e l'art. 342-ter c.c. prevede che uno dei contenuti tipici dell'ordine di protezione sia costituito dall'allontanamento dalla casa familiare. Tali circostanze hanno indotto dottrina e giurisprudenza, prima dell'introduzione nel codice di procedura civile degli artt. 473-bis.69 e seguenti, a ritenere che tra i presupposti necessari ai fini dell'applicazione degli ordini di protezione vi sia la convivenza tra l'autore della condotta pregiudizievole e la vittima della stessa. Deve evidenziarsi, tuttavia, che le dette norme devono deve essere interpretate anche alla luce delle ulteriori disposizioni che riguardano la materia. In particolare la l. n. 154 del 2001, all'art. 8, prevede che l'ordine di cui all'art. 342-bis c.c. possa essere pronunciato anche in caso di pendenza del procedimento di scioglimento degli effetti civili del matrimonio (circostanza questa che presuppone l'assenza di convivenza). In merito non si è registrata in dottrina unanimità di posizioni. Taluni autori tendono ad escludere che la convivenza costituisca un presupposto necessario ai fini dell'emanazione dell'ordine, ritenendo la disposizione applicabile anche in caso di separazione di fatto (in merito si vedano in particolare Cianci, 175, Silvani, 1191, Di Lorenzo, 611). Ciò anche argomentando dal fatto che l'allontanamento dalla casa familiare costituisce uno dei provvedimenti che in ipotesi può pronunciare il Giudice ma non l'unico il quale quindi potrebbe limitarsi ad inibire la reiterazione della condotta pregiudizievole (si vedano Di Lorenzo, 611; Cianci, 175). Altri ritengono, al contrario, che il contenuto minimo dell'ordine di protezione sia costituito proprio dall'ordine di allontanamento e conseguentemente che il presupposto per la pronuncia dell'ordine di protezione sia la pregressa convivenza (Pacia Depinguente, 762, in particolare ritiene che, anche sulla base della formulazione letterale della norma, l'ordine abbia un contenuto essenziale, che è dato dalla cessazione della condotta e dall'allontamento, ed uno eventuale, dato dal divieto di frequentazione di determinati luoghi e dal versamento di un assegno periodico; in questo senso anche Scarano, 340). Anche nella giurisprudenza di merito non vi è stata uniformità di vedute. Trib. Bologna, 21 marzo 2005 , ha escluso che la convivenza possa ritenersi un presupposto indefettibile per l'emanazione dell'ordine di protezione evidenziando, attraverso una analitica ricostruzione della ratio legis della norma e delle disposizione connesse ad essa, tra cui quelle relative al divorzio, che la finalità dell'ordine di protezione è far cessare comportamenti gravemente pregiudizievoli in ambito familiare. In merito alla nozione di convivenza il Tribunale testé citato ha inoltre specificato che l'espressione «convivente» può essere intesa come indicativa della presenza di un particolare nucleo familiare, «quello che trae origine non dal matrimonio ma da una situazione di fatto socialmente tipica anche quando non sia più attuale la coabitazione dei membri di quel gruppo sotto uno stesso tetto». Parimenti, Trib. Firenze, 15 luglio 2002 (in Fam. e dir., 2003, 263, con nota di De Marzo) ha ritenuto che ai fini dell'emanazione dell'ordine di allontanamento non sia necessaria la convivenza tra la vittima e l'autore della condotta pregiudizievole, atteso che la disposizione in commento trova applicazione anche in ipotesi di divorzio, situazione questa che impone, ex se, che le parti non convivano più. Il Tribunale in particolare ha evidenziato che la finalità dell'ordine di protezione è non tanto quella di interrompere situazioni di convivenza turbata quanto, piuttosto, quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare gravemente pregiudizievoli per l'integrità fisica o morale o per la libertà dell'altro coniuge o del convivente. L'indirizzo di cui innanzi è stato confermato anche da Trib. Modena, 29 luglio 2004, Anche il Tribunale di Modena conferma l'orientamento sopra indicato ed esclude infatti che la convivenza costituisca un presupposto necessario ai fini della emanazione dell'ordine di protezione. Deve comunque evidenziarsi che nell'ambito della giurisprudenza di merito si registrano anche decisioni di senso opposto. In senso contrario si sono espressi, esemplificativamente, Trib. Rieti, 6 marzo 2006 (in Fam. pers. succ., 2007, 7, 606) nonché Trib. Napoli, 1 febbraio 2002 (in Fam. e dir., 2002, 5), affermando che non può essere accolto il ricorso ex art. 342-bis c.c. in difetto del presupposto della convivenza tra l'istante ed il soggetto al quale viene addebitato il comportamento pregiudizievole. Il contenuto minimo dei provvedimenti in esame è difatti l'allontanamento dalla casa familiare, per Trib. Trani, 17 gennaio 2004 (in Giur. mer., 2004, 455). La questione sembra aver trovato il proprio componimento nella disciplina introdotta dalla l. 10 ottobre 2022, n. 149. Nell'ambito, infatti, del nuovo titolo IVbis del codice di procedura civile, contenente norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, è stato introdotta la sezione VII che disciplina il procedimento relativo agli ordini di protezione contro gli abusi familiari (applicabile ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023). L'art. 473-bis.69 c.p.c., in particolare, prevede espressamente che gli ordini di protezione possano essere adottati, ricorrendone, i presupposti, anche quando la convivenza è cessata. La condotta tipicaLa condotta posta in essere dal coniuge o da altro convivente legittimante l'ordine di protezione non è stata positivizzata dal legislatore, il quale ha invece opportunamente tipizzato gli effetti della stessa, disponendo che debba essere «causa di gravepregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente». È lo stesso legislatore a chiarire che gli ordini di protezione non possano essere chiesti, e pronunciati, qualora l'abuso posto in essere determini un pregiudizio lieve o di media entità ai beni sopra indicati. Tale valutazione deve tuttavia essere effettuata tenendo in considerazione il bene giuridico leso e come essa incida “sulla dimensione esistenziale del danneggiato così compromettendo i comportamenti realizzativi dell'individuo ( l'espressione è di Foti, 1077). La soluzione adottata dal legislatore risponde all'apprezzabile esigenza di costruire un «sistema di tutela flessibile» da adattare alle varie esigenze dei casi concreti, per salvaguardare la posizione dei soggetti deboli della famiglia in tutte le forme in cui le violenze possono presentarsi (Cianci, 132). Numerose sono le pronunce di merito che hanno qualificato, volta per volta, una condotta come pregiudizievole, ai sensi e per gli effetti della disposizione in commento. Il Tribunale di Bari, con decisione del 18 luglio 2002, ha ritenuto che affinché si possa configurare un grave pregiudizio all'integrità morale del coniuge deve verificarsi un vulnus alla dignità dell'individuo di entità non comune o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi o per le modalità – forti – dell'offesa arrecata o per la ripetitività o il prolungamento nel tempo della sofferenza patita. Così escludendo, nella fattispecie concreta, che il pregiudizio fosse ravvisabile nel mancato versamento delle somme necessarie per il sostentamento della famiglia nell'ambito di una crisi coniugale appena iniziata (Trib. Bari, 18 luglio 2002, in Fam. e dir., 2002, 623, con nota di De Marzo). Con motivazione conforme a quella testé citata, sempre il Tribunale di Bari ha escluso che possa configurare un grave pregiudizio all'integrità morale la reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra i coniugi, caratterizzata da litigi tuttavia non sfociati in minacce o aggressioni (Trib. Bari, 28 luglio 2004, in Foro.it, 05, I, 555). È stato peraltro escluso che la condotta inosservante dell'obbligo di fedeltà (mediante chat line notturne via internet) possa costituire condotta pregiudizievole ai sensi e per gli effetti dell'art. 342-bis c.c. Ciò in quanto il contenuto essenziale del provvedimento è l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge responsabile mentre la descritta condotta non vale ad integrare il grave pregiudizio all'integrità morale del coniuge secondo. Esso difatti postula un «vulnus» alla dignità dell'individuo di entità non comune, o per la particolare delicatezza dei profili di dignità stessa concretamente incisi o per le modalità dell'offesa arrecata (così Trib. Salerno, 20 maggio 2009). Nel caso in cui tra i coniugi vi siano state liti degenerate in aggressioni quando queste ultime sono state sporadiche e prive di conseguenze lesive apprezzabili è da escludersi l'applicabilità dell'art. 342 bis c.c. (Trib. di Bari, 10 aprile 2004, in Dir. e giust., 2005, con nota di Guerra). Con riferimento a condotte omissive, nella specie l'inosservanza dell'obbligo di mantenimentoexart. 147 c.c, è stata esclusa l'applicabilità della disposizione in commento ritenendosi che il contenuto minimo dell'ordine di protezione sia l'allontanamento dalla casa familiare (Trib. Trani, 17 gennaio 2004, Giur. mer., 2004, 455). Il Tribunale di Bologna ha chiarito cosa debba intendersi per evento pregiudizievole ai sensi dell'art. 342-bis c.c. e specificato che nell'interpretare tale concetto è possibile rifarsi alle elaborazioni formulate in sede penale con riferimento ai beni giuridici nei delitti contro la persona. Essa ha sottolineato che l'ordine di protezione può essere adottato solo se sia raggiunta la soglia quantitativa e qualitativa della gravità in forza di una condotta pregiudizievole anche coincidente con un solo episodio violento, purché di entità tale da farne temere la reiterazione (Trib. Bologna, 21 marzo 2005, la decisione affronta anche la questione della convivenza quale presupposto non necessario dell'ordine di protezione ed è relativa a condotte poste in essere dall'ex convivente concretantesi in aggressioni fisiche e verbali in danno della convivente). In merito alla volontarietà della condotta, il Trib. Rovereto, 26 luglio 2007, ha escluso la necessità dell'elemento psicologico del dolo o della colpa, in fattispecie relativa a reclamo avverso rigetto dell'istanza di allontanamento del figlio tossicodipendente ed affetto da schizofrenia paranoide dall'abitazione familiare. In diversa fattispecie, relativa a condotte poste in essere da persona naturalmente incapace in quanto affetta da patologia psichiatrica, è stato specificato che il pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà, nella specie del coniuge, deve essere causato da una condotta pregiudizievole da intendersi come «reiterate azioni ravvicinate nel tempo e consapevolmente dirette a ledere beni tutelati dalla legge n. 154 del 2001» (Trib. Trani, 12 ottobre 2001, in Fam. e dir. 2002, 395 con nota di Petitti, che nella specie ha ritenuto necessaria la volontarietà della condotta laddove l'autore della condotta era affetto da patologie psichiatriche). Del resto, è la stessa disposizione a non fare alcun riferimento alla volontarietà della condotta, salvo che, ovviamente, ai fini di eventuali ripercussioni penalistiche. Ciò è peraltro in linea con la ratio legis da individuarsi nel fornire alla vittima un immediata protezione contro gli abusi familiari mirando contestualmente alla conservazione ed alla ricostruzione dei rapporti familiari (in merito si veda altresì Trib. Palmi, 15 novembre 2010). Con riferimento al problema della rilevanza della volontà è stato diversamente osservato che il termine condotta deve essere inteso alla luce della rilevanza degli elementi della coscienza e della volontà, legate alla capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto. L'abuso, si evidenzia, pur distinguendosi per la peculiarità dell'essere commesso nell'ambito dei rapporti familiari, rientra pienamente nella categoria dell'atto illecito (in merito, diffusamente, Cianci, 159). Da ultimo il Trib. Monza, 28 febbraio 2012 (in Giur. mer., 2012, 1810, con nota di Minnella, per la cui la decisione sul relativo reclamo si veda in personaedanno.it) ha ritenuto sussistenti i presupposti per l'adozione dell'ordine in oggetto sia con riferimento al grave pregiudizio per l'integrità morale che per quella fisica in una particolare fattispecie caratterizzata da rapporto altamente conflittuale. In seno ad esso un coniuge aveva collocato una telecamera nella serratura della porta della sua camera da letto per controllare la moglie, togliendo peraltro tutte le chiavi delle stanze, al fine di relegare nelle stesse moglie e figlio, così ledendone la dignità e la libertà. Tali condotte, che, peraltro, in seguito ad una colluttazione avevano comportato la caduta della donna con conseguenti fratture, sono state dal Giudice ritenute tali da far temere «il verificarsi di fatti ancora più gravi e che possano avere delle conseguenze anche sul figlio della coppia». La legge non prevede il requisito dell'irreparabilità del pregiudizio che però deve essere relativo a diritti della personalità ed è in re ipsa, insito cioè nello stesso danno arrecato alla libertà. In particolare, gli ordini di protezione risultano essere una misura in grado di interrompere in via d'urgenza, una violazione in atto, in modo da contenere i danni attuali evitandone il protrarsi e di prevenire lesioni che si verificheranno nell'immediato futuro (così Cianci, 143). L'irreparabilità del pregiudizio è, diversamente, un presupposto necessario con riferimento nella tutela cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. Le similitudini esistenti tra gli ordini di protezione e la tutela cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. induce a chiedersi quale sia la natura dei primi. Alcuni autori pur equiparandoli al procedimento cautelare non assimilano gli «ordini» ai provvedimenti cautelari non avendo in comune a questi il carattere tipico della strumentalità (Vullo, 129, il quale vede negli ordini di protezione una forma di tutela del tutto peculiare, riferendosi precipuamente alla loro fase esecutiva di cui all'art. 342-bis c.c.). Per converso, altra parte della dottrina ha escluso l'equiparazione di cui innanzi sottolineandone la natura di procedimento di volontaria giurisdizione (D'Alessandro, 227; Auletta, 298). In questo senso alcuni autori si sono interrogati sulla possibilità di impugnare con ricorso per Cassazione la decisione con la quale viene disposto l'ordine di protezione, ritenendo possibile o quanto meno auspicabile una risposta positiva alla domanda, atteso che detto provvedimento incide, se pur temporaneamente, su libertà di rango costituzionale (Auletta, 298; sul punto si veda anche Figone, 506, il quale evidenzia perplessità sulla compatibilità degli ordini con i principi fondamentali della Carta Costituzionale). In argomento si richiama la decisione del Tribunale di Bari che ha riconosciuto espressamente agli ordini di protezione una funzione cautelare e per tale ragione ha escluso l'applicabilità del procedimento di cui all'art. 700 c.p.c. (Trib. Bari, 20 dicembre 2001, in Fam. e dir., 2002, 397). I rapporti tra i provvedimenti de potestate e gli ordini di protezioneLa condotta pregiudizievole può essere posta in essere in danno del figlio minorenne e non solo da uno o da entrambi i genitori ma anche da un terzo convivente (da intendersi nell'accezione di cui al precedente paragrafo relativo alla vittima ed al responsabile della condotta, al quale si rinvia). La condotta pregiudizievole, quando rivolta verso un minore, può in particolare consistere sia in condotte dirette ovvero mediate verso il genitore convivente (attuate alla presenza del figlio), stanti i devastanti effetti che un maltrattamento morale o fisico effettuato alla presenza del minore può avere sulla sua serena ed equilibrata crescita. Laddove la condotta pregiudizievole venga posta in essere dal genitore, in astratto, possono trovare applicazione sia le disposizioni di cui agli ordini di protezione sia le quelle di cui agli artt. 330 c.c. e s.s. Entrambe difatti consentono di intervenire prontamente sulle condotte pregiudizievoli poste in essere in danno del minore mediante l'allontanamento dalla casa familiare della persona che pone in essere la condotta pregiudizievole. La disciplina di cui agli artt. 330 e ss. c.c., in particolare, afferisce ad una fattispecie ben più ampia sotto il profilo dell'oggetto ma è più ristretta sotto il profilo soggettivo di quella di cui all'art. 342-bis c.c. (per una ricostruzione critica dei rapporti tra le due disposizioni si veda Pacia Depinguente, 759). Difatti non è solo la condotta pregiudizievole oggetto di valutazione dell'Autorità giudiziaria ma il cattivo esercizio della responsabilità genitoriale che eventualmente dietro tale comportamento si cela. Ciò induce a ritenere, stante il rapporto di «continenza» esistente tra le due disposizioni, che laddove la vittima della condotta pregiudizievole sia un minore debba essere privilegiata l'applicazione delle disposizioni di cui agli art. 330 e seguenti c.c., con conseguente competenza del Tribunale per i minorenni (in questo senso Scalera, 232; Figone, 2001, 355; diversamente Bianca, 527 che ritiene che le due disposizioni possano avere un'applicazione concorrente). Diversamente, nel caso di condotta pregiudizievole posta in essere da un appartenente al nucleo familiare, diverso dal genitore ovvero dallo stesso minore, trovano applicazione, in via esclusiva, le disposizioni di cui agli artt. 342-bis e 342 ter c.c. In tali casi infatti la valutazione sottesa alla decisione avrà ad oggetto solo ed esclusivamente la condotta posta in essere ed il pregiudizio che ne deriva (o può derivarne) per il minore, senza inerire circostanze relative all'esercizio della responsabilità genitoriale (in questo senso Bernardini, 2001, 1139). In merito va peraltro ribadito che nessuna competenza spetta al tribunale per i minorenni in ordine a condotte pregiudizievoli poste in essere da estranei al nucleo familiare. Parte di giurisprudenza di merito risulta essersi espressa nel senso testé indicato (si vedano: Trib. Catania, 23 marzo 2010, in Fam e dir. 2010, 50, e Trib. min. Milano, 3 dicembre 2010). Come evidenziato, i maltrattamenti posti in essere in danno di altro componente della famiglia, alla presenza del figlio minore, possono determinare la sovrapposizione di competenze tra il Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni (in merito Trib. Genova, 7 gennaio 2003, in Fam. e dir., 2004, 387, e Trib. Piacenza, 23 ottobre 2008 in ilcaso.it e in Fam. e dir., 2010, 430). In fattispecie del genere il Tribunale di Piacenza, confermando la decisione del Giudice monocratico, ha statuito che quando la vittima dei maltrattamenti è il genitore ed i figli sono, loro malgrado, costretti ad assistervi, sussiste la sovrapposizione di competenze tra il giudice civile adito ai sensi dell'art. 342-ter c.c. ed il Tribunale per i minorenni. In particolare è stato affermato che «sussiste tra le norme in esame (artt. 342-bis, 330 e 333 c.c.) una completa e totale sovrapposizione dei presupposti oggettivi: grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà nell'art. 342-bis c.c. e condotta di maltrattamento o abuso nell'art. 330, comma 2, c.c. e 333 c.c. Deve, pertanto, ritenersi che esiste un concorso apparente di norme (posto che, più norme appaiono prima facie tutte ugualmente applicabili alla medesima fattispecie) e che il conflitto possa essere risolto attraverso il criterio di specialità astratta (sancito all'art. 15 c.p., ma avente portata generale). La prevalenza della legge speciale su quella generale conduce, dunque, ad affermare che la disciplina generale degli artt. 342-bis e 342-ter cc. non può essere invocata per porre rimedio agli abusi commessi nei rapporti intercorrenti tra genitori e figli minori, abusi regolati in via esclusiva dagli artt. 330, secondo comma, c.c. e 333, primo comma, c.c. Tra le due misure esiste, infatti, una differenza di carattere funzionale: negli artt. 330 e 333 c.c. l'allontanamento dalla casa familiare è un provvedimento accessorio a quello relativo alla potestà genitoriale, presupponendo sempre la pronuncia di un provvedimento principale che incida su di essa; nell'art. 342-bis c.c. l'allontanamento è, invece, una misura autonoma, provvisoria, direttamente funzionale alla cessazione della condotta pregiudizievole» (Trib. Piacenza, 23 ottobre 2008). Va in questa sede evidenziato che in forza di quanto previsto dall'art. 473-bis.69 c.p.c. laddove la condotta possa arrecare pregiudizio ai minori, gli ordini di protezione possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal Tribunale per i minorenni, così superandosi, per i procedimenti introdotti in data successiva al 28 febbraio 2023, il problema del rapporto tra i provvedimenti adottabili in forza delle disposizioni in commento e quelli di cui agli artt. 330 c.c. Il contenuto del provvedimentoLa disposizione contenuta nell'art. 342-ter c.c. prevede espressamente che il giudice «ordina la cessazione» della condotta pregiudizievole «e dispone l'allontanamento dalla casa familiare». Il Giudice può, contestualmente, ove occorra, ordinare al familiare di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dal beneficiario dell'ordine di protezione, come il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o di altri prossimi congiunti ovvero di altre persone o dei luoghi di istruzione dei figli. Tale misura ha fondamentale rilievo nel sistema delineato dagli artt. 342-bis e 342-ter c.c., in quanto consente alla vittima della violenza di non subire contatti non desiderati con il responsabile della condotta pregiudizievole. Attraverso il provvedimento dell'Autorità giudiziaria viene limitata la libertà personale del responsabile, inibendo l'accesso a determinati luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, così realizzando una delle funzioni tipiche della misura che è quella di dare diretta protezione alla incolumità della vittima (in questo senso Cianci, 201). Ciò rende indispensabile che nel decreto i luoghi vengano indicati con precisione, altrimenti il divieto non sarà effettivo (Cianci, 200). Deve essere infine specificato che il termine avvicinamento è più ampio dell'accesso, comprendendo ogni forma di interazione fisica con tali luoghi (Cianci, 200). Vi è una eccezione, prevista dalla stessa disposizione, nel caso in cui il responsabile della condotta pregiudizievole debba frequentare i luoghi di cui all'art. 342-ter c.c. per ragioni lavorative, ovvero ex art.473-bis.70 c.p.c., di salute. In tal caso egli, eccezionalmente, potrà recarsi in tali luoghi. Come visto in precedenza, per parte di dottrina e (per parte della giurisprudenza di merito), prima dell'introduzione degli artt.473-bis.69 e seguenti c.p.c., il requisito della convivenza ha costituito un presupposto indefettibile per la pronuncia dell'ordine di protezione. Da tale ricostruzione è discesa la necessità che il contenuto minimo del decreto pronunciato ai sensi dell'art. 342-ter c.c., secondo taluni sia costituito sia dall'ordine di inibizione della condotta pregiudizievole sia dall'allontanamento dalla casa familiare (si veda, per la tesi che riconosce autonomia alle singole misure Cianci, 185, e per la tesi che ritiene necessarie entrambe le misure, Pacia Depinguente, 761, e Scalera, 244). Con riferimento all'allontanamento dalla casa familiare in dottrina si discute in merito agli effetti di tale provvedimento sul diritto in ipotesi spettante all'autore della condotta pregiudizievole sulla casa familiare. Per alcuni, la cui tesi appare condivisibile in considerazione della temporaneità dell'ordine, il provvedimento del giudice non avrebbe alcun effetto sulla titolarità del diritto spettante al coniuge-convivente allontanato dall' abitazione, con la conseguenza che su questi continuerebbero a gravare gli stessi oneri che gravavano in precedenza (Cianci, 193). Secondo altri invece l'ordine di allontanamento avrebbe effetto sulla titolarità privando quindi il convivente, temporaneamente, del diritto sul bene (sul punto Scarano, 344, il quale in particolare ritiene che il provvedimento giudiziale realizzi la costituzione di un diritto di godimento sul bene altrui). L'ordine con il quale si inibisce la reiterazione della condotta pregiudizievole si sostanzia in una serie di prescrizioni elencate all'art. 342-ter c.c. che corrispondono a «diversi gradi di compressione della sfera della libertà personale e patrimoniale dell'abusante» (così Scalera, 2013, 234). Il provvedimento infine non può avere tempo indeterminato . La stessa disposizione normativa prevede difatti il termine massimo di un anno ma ammette la possibilità di chiedere la proroga, per gravi motivi, dello stesso ove permangano le condizioni che avevano legittimato l'adozione del decreto originario (con riferimento alla durata della proroga, De Marzo, 546). È stato evidenziato che la scelta del legislatore di indicare il termine di un anno si leghi alla volontà di onerare la parte beneficiaria della misura protettiva di attivarsi per ottenere la separazione o lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili, ovvero in senso manutentivo del rapporto, per ripristinare lo status quo ante (Foti, 1104). In merito, il Tribunale di Taranto nel 2006 ha affermato che i gravi motivi posti a fondamento della proroga non sussistono necessariamente in nuovi atti di violenza ma possono fondarsi su atti e comportamenti tali da ingenerare nuove occasioni di contrasto e da esporre nuovamente a pregiudizio la persona protetta (Trib. Taranto, 18 agosto 2006, in Fam. e dir., 2002, 627). L'assegnoL'ordine di protezione può contenere anche disposizioni di carattere patrimoniale in quanto il Giudice può disporre un assegno periodico, avente natura assistenziale, a carico del coniuge-convivente in favore dei membri della famiglia i quali, a causa dell'allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento, si trovino ad essere privi dei mezzi di sostentamento necessari. Il provvedimento ha ad oggetto le sole spese di ordinaria amministrazione ma si ritiene che il giudice possa, ove ritenuto necessario, imporre il pagamento di spese straordinarie in tutto o in parte (in merito si veda Cianci, anche con riferimento alla possibilità di porre l'assegno a carico del figlio responsabile della condotta, 209). Il riconoscimento del detto assegno non ha carattere automatico ma presuppone che il richiedente provi, rigorosamente, che dal provvedimento adottato ex art. 342-bis c.c., derivi la privazione di adeguati mezzi di sussistenza (Trib. Firenze, 15 luglio 2002, in Fam. e dir., 2003, 263, con nota di De Marzo). In forza della situazione concreta potrà essere previsto che l'assegno venga versato direttamente dal datore di lavoro all'avente diritto, pur in assenza dei presupposti di cui all'art. 156 c.c., previsti in caso di separazione. Laddove dovesse essere dimostrato l'inadempimento dell'obbligato sarebbe altresì possibile procedere al sequestro di alcuni beni. Il procedimento: questioni rilevantiIl procedimento è introdotto mediante ricorso che può essere presentato personalmente dalla parte, tale modalità è prevista attualmente, anche dall'art. 473-bis.71 c.p.c. Qualora la vittima dell'abuso sia un minore di età, l'istanza è presentata dal suo rappresentante (secondo Cianci, 270, in forza dell'art. 320 c.c ultimo comma, sebbene il conflitto ivi disciplinato sia quello di natura economica). È pertanto da escludersi la possibilità che il figlio di una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, in via urgente e provvisoria, possa chiedere l'adozione di un provvedimento art. 342-bis e 342-ter c.c. nei confronti dei figli conviventi con la predetta, in quanto carente di legittimazione attiva (Trib. Milano, 18 marzo 2015). Il Giudice del luogo di residenza o domicilio dell'istante (si tratta di competenza funzionale ex art. 28 c.p.c., Gianfilippi, 465) decide senza che sia necessario l'intervento del Pubblico Ministero, atteso che non si tratta di una causa di cui all'art. 70 c.p.c., ma il suo intervento può comunque avvenire ai sensi del terzo comma della norma da ultimo citata, laddove sia lo stesso giudice che lo ritenga opportuno (in merito Figone, 359; De Marzo, 548). Parte di dottrina ritiene, diversamente, che la causa debba essere comunque qualificata come causa matrimoniale ed in conseguenza l'intervento del Pubblico Ministero sarebbe obbligatorio a pena di nullità rilevabile d'ufficio (Cianci, 239). Circa la competenza essa è del tribunale in composizione monocratica. In merito Cass. I, n. 15482/2017 ha segnato il nuovo confine applicativo del principio della concentrazione delle tutele proprio con riferimento alla competenza in materia di ordini di protezione. Essa ha in particolare chiarito che:« .. ai sensi dell'art. 342-bis e 342-ter c.c., l'attribuzione al tribunale in composizione monocratica, stabilita dall'art. 736-bis, primo comma, c.p.c., non esclude la vis actractiva del tribunale in composizione collegiale chiamato ad arbitrare il conflitto familiare che sia già stato incardinato avanti ad esso, atteso che una diversa opzione ermeneutica, facente leva solo sul tenore letterale delle citate disposizioni ne tradirebbe la ratio, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esige una tutela urgente il rischio di decisioni intempestive o contrastanti ed incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziali diversi». Il Giudice di legittimità ha in particolare evidenziato che l'art. 50-bis c.p.c., che stabilisce i casi in cui il Tribunale decide in composizione monocratica, trova applicazione nel caso in cui l'ordine di protezione venga chiesto in principalità. Per converso, qualora la domanda avente ad oggetto l'emanazione di un ordine di protezione venga formulata nell'ambito di «un più ampio conflitto familiare teso a definire anche questioni che sono riservate alla competenza del Giudice collegiale», sarebbe »antieconomico ed irrazionale che il giudice collegiale non possa conoscere anche della richiesta misura di protezione». Al riguardo deve osservarsi che il citato art. 473-bis.71 c.p.c. prevede, per i procedimenti introdotti in data successiva al 28 febbraio 2023, che competente a decidere sia il Tribunale in composizione monocratica. La decisione del giudice adito ha la forma del decreto motivato immediatamente esecutivo che può, in caso di urgenza, essere pronunciato inaudita altera parte, per poi fissare l'udienza entro 15 giorni per sentire le parti coinvolte. Così come il giudice può fissare l'udienza e sentire le parti nel contradditorio, acquisendo altresì tutte le informazioni necessarie, potendosi a tal fine avvalere di qualsiasi strumento (relazione dei servizi sociali, referti medici, dichiarazioni di persone informate sui fatti etc.). In caso di mancata ottemperanza, e salvo il reato di cui all'art. 388 c.p., il Giudice può altresì avvalersi ai fini dell'esecuzione della polizia e dell'ufficiale sanitario. Deve essere evidenziato che le modalità di attuazione dell'ordine sono determinate dal Giudice il quale interviene, tuttavia, solo in caso di difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione. In questo caso si realizza un sub-procedimento con il quale il Giudice che ha emesso l'ordine ne determina le modalità attuative (sulla ratio di tale disposizione Cianci, 252 che ritiene che l'intervento del Giudice sia subordinato all'auspicato volontario adempimento). La decisione, anche per i procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 ex art. 473-bis.71 c.p.c, è impugnabile mediante reclamo al Tribunale, nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del decreto, ma quella emessa in detta sede non è ricorribile per Cassazione, anche ex art. 111 Cost., non avendo il carattere della definitività, né della decisorietà, non dirimendo conflitti tra interessi soggettivi contrapposti ma avendo ad oggetto interessi di carattere pubblicistico (in merito Cass. I, n. 29492/2017,Cass. I, n. 15482/2017; Cass. I, n. 208/2005). Deve evidenziarsi che la dottrina, diversamente dalla giurisprudenza, ritiene ammissibile il ricorso straordinario per Cassazione, in considerazione dei diritti fondamentali coinvolti (Auletta, 298; Cianci, 278). Si è posto nel recente passato, infine, in relazione alla disciplina applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023, il problema di coordinare le disposizioni in commento con quelle relative ai procedimenti di separazione e di divorzio . L'art. 8 della l. n. 154/ 2001, in particolare, prevede che non possano essere disposti gli ordini di protezione quando la condotta pregiudizievole è posta in essere dal coniuge che ha proposto, o nei cui confronti è stata proposta, domanda di separazione o di divorzio, ove si sia tenuta l'udienza presidenziale. L'aver specificato che dal momento in cui viene celebrata l'udienza presidenziale non possono più essere disposti gli ordini di protezione consente, agevolmente, di ritenere che fino a quel momento, e dunque anche qualora sia già stata presentata la domanda di separazione, possa essere comunque chiesto un ordine di protezione. Del resto dal momento in cui viene celebrata l'udienza presidenziale, possono essere adottati i provvedimenti temporanei ed urgenti opportuni in considerazione della situazione concreta, e tra questi ben possono essere adottati anche quelli di cui all'art. 342-ter c.c. (in questo senso Abatangelo, 793, il quale specifica che la possibilità per il Presidente di pronunciare ordini di protezione discende dalla necessità di assicurare al soggetto debole continuità di tutela tra l'udienza presidenziale e quella istruttoria). Deve infine evidenziarsi che l'art. 342-ter c.c., già prima dell'introduzione dell'art. 337-octies c.c., ha previsto la possibilità per il giudice, al fine di scongiurare la reiterazione di condotte pregiudizievoli e di recuperare e mantenere le relazioni familiari, di disporre l'intervento dei servizi sociali, di centri di mediazione familiare ovvero di associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza delle donne e di minori. Alla mediazione è stata data particolare importanza poi dalla disposizione in commento, al fine di consentire al nucleo familiare di intraprendere un graduale percorso per la comprensione, la rielaborazione ed il superamento dell'evento (in merito si veda Cianci, 207) al fine di ristabilire un normale rapporto di vita familiare (Bianca, 528). Al riguardo deve, tuttavia, osservarsi che l'art. 473-bis. 70 c.p.c., diversamente dall'articolo in commento non prevede più il riferimento alla possibilità di avvalersi dell'istituto della mediazione familiare. 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