Legge - 20/05/2016 - n. 76 art. 1Art. 1 (A) 1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto. 2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. 3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile. 4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso: a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso; b) l'interdizione di una delle parti per infermita' di mente; se l'istanza d'interdizione e' soltanto promossa, il pubblico ministero puo' chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non puo' aver luogo finche' la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato; c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresi' contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87; d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se e' stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e' sospesa sino a quando non e' pronunziata sentenza di proscioglimento. 5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullita' dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonche' le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis del codice civile. 6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, puo' essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non puo' essere impugnata finche' dura l'assenza. 7. L'unione civile puo' essere impugnata dalla parte il cui consenso e' stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravita' determinato da cause esterne alla parte stessa. Puo' essere altresi' impugnata dalla parte il cui consenso e' stato dato per effetto di errore sull'identita' della persona o di errore essenziale su qualita' personali dell'altra parte. L'azione non puo' essere proposta se vi e' stata coabitazione per un anno dopo che e' cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualita' personali e' essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purche' l'errore riguardi: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile. 8. La parte puo' in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullita' della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata. 9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso e' certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni. 10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte puo' anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile. 11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacita' di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. 12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato. 13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, e' costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacita' per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare ne' ai diritti ne' ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 14. Quando la condotta della parte dell'unione civile e' causa di grave pregiudizio all'integrita' fisica o morale ovvero alla liberta' dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, puo' adottare con decreto uno o piu' dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter del codice civile. 15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale puo' presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa. 16. La violenza e' causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui. 17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennita' indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile. 18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile. 19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonche' gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile. 20. Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonche' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti. 21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile. 22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento. 23. L'unione civile si scioglie altresi' nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898. 24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volonta' di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile e' proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volonta' di scioglimento dell'unione. 25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonche' le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 1621. 26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso 2. 27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volonta' di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. 28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni3; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo4; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti5. 29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. 30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, e' trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto puo' essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine e' prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati. 31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo puo' adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30. 32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso». 33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso». 34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a)6. 35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. 36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile. 37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario. 39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonche' di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari. 40. Ciascun convivente di fatto puo' designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacita' di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalita' di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. 41. La designazione di cui al comma 40 e' effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilita' di redigerla, alla presenza di un testimone. 42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (B). 43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. 44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facolta' di succedergli nel contratto. 45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parita' di condizioni, i conviventi di fatto. 46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230-bis e' aggiunto il seguente: « Art. 230-ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di societa' o di lavoro subordinato». 47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto». 48. Il convivente di fatto puo' essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile. 49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite. 50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. 51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullita', con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformita' alle norme imperative e all'ordine pubblico. 52. Ai fini dell'opponibilita' ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. 53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto puo' contenere: a) l'indicazione della residenza; b) le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. 54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza puo' essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalita' di cui al comma 51. 55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignita' degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza. 56. Il contratto di convivenza non puo' essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti. 57. II contratto di convivenza e' affetto da nullita' insanabile che puo' essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di eta'; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile. 58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento. 59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti; b) recesso unilaterale; c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; d) morte di uno dei contraenti. 60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza. 61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto e' tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullita', deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione. 62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonche' al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile. 63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinche' provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza. 64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, e' inserito il seguente: «Art. 30-bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza e' prevalentemente localizzata. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima». 65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. 66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede: a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. 67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attivita' di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67. 69. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
------------------------------------------------ (A) Vedi la Circolare del Ministero dell'Interno 1° giugno 2016 , n. 7 e la Circolare del Ministero dell'Interno 5 agosto 2016, n. 3511. (B) In riferimento al presente comma vedi la Risposta Agenzia delle Entrate 12 ottobre 2018, n. 37. - In riferimento alla Dichiarazione di successione e diritto di abitazione vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 04/11/2019 n. 463. [1] Comma sostituito dall'articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [2] La Corte Costituzionale, con sentenza 22 aprile 2024, n. 66, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. [3] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5. [4] In riferimento alla presente lettera vedi il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 7. [5] In riferimento alla presente lettera vedi i D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 e D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6. [6] Per il regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi del presente comma vedi il D.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144. InquadramentoIn questa sezione, per brevità di commento, si illustreranno gli ulteriori effetti previsti dall'ordinamento nascenti dalla costituzione dell'unione civile ed in particolare i diritti del partner in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione ed inabilitazione, gli obblighi alimentari. Verranno, altresì, illustrate le questioni inerenti il rapporto di filiazione, volutamente non menzionato dalla legge “Cirinnà”, ma già regolamentato dal diritto vivente. Le novità giurisprudenziali devono certamente essere lette con riferimento alla legge n. 154 del 2013, entrata in vigore il 7 febbraio 2014. Con l'art. 1 che ha novellato il codice civile, la legge n. 219 del 2012 aveva già operato una triplice innovazione: l'unicità dello Status di figlio, specialmente, artt. 315 e 315 bis c.c.; la nuova disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio – artt. 251 e 276 c.c.; la costituzione del rapporto di parentela basato su qualsiasi forma di filiazione, artt. 74 e 258 c.c. Non si può non rimarcare la rilevanza dell'innovato art. 74 c.c. il quale precisa che il vincolo di parentela con la famiglia dei genitori è il medesimo al di là delle modalità di acquisizione della filiazione, dentro o fuori del matrimonio. Infine, veranno illustrati i diritti successori degli uniti civilmente, in quanto il comma 21 prevede che alle parti dell'unione civile si applicano gli artt da 463 a 466 (dell'indegnità); da 536 a 564 (dei legittimari – dei diritti riservati ai legittimari – della reintegrazione della quota riservata ai legittimari); da 565 al 685 (delle successioni legittime); da 737 a 751 (della collazione) e da 768-bis a 768-octies (del patto di famiglia). Conseguentemente ogni riferimento al coniuge contenuto in queste norme dovrà essere inteso come riferito anche alla parte dell'unione civile. L'amministrazione di sostegnoLa l. n. 76/2016, ai commi 15 e 48 dell'art. 1, contiene disposizioni in materia di amministrazione di sostegno. In caso di persona priva, in tutto o in parte, di autonomia, il giudice, ai sensi dell'art. 404 c.c., è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno poiché la discrezionalità attribuita dalla norma ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione), e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella invasiva. Alla nomina dell'amministratore di sostegno si fa ricorso anche quando la persona sia impossibilitata a perseguire i propri interessi di natura personale o patrimoniale per effetto di una menomazione esclusivamente fisica, senza ripercussioni in ambito volitivo o cognitivo, senza necessità di comprimere con altri istituti la sua capacità di agire. L'art. 1 comma 15 prevede che, nella scelta dell'amministratore di sostegno, il giudice tutelare debba preferire la parte dell'unione civile, ove ciò sia possibile. L'art. 1 comma 48 attribuisce, invece, al convivente di fatto la mera possibilità di essere nominato amministrazione di sostegno nell'ipotesi in cui ricorrano le condizioni di cui all'art. 404 c.c. L'istituto è attualmente disciplinato dagli artt. 404 -413 c.c. e, a seguito del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (Riforma Cartabia), anche regolato dagli artt. 473-bis. 52 e ss. c.p.c., laddove in particolare l'art. 473-bis.58 prevede per i procedimenti in materia di amministrazione di sostegno l'applicazione delle disposizioni inerenti ai procedimenti di interdizione e inabilitazione in quanto compatibili. Il d.l. 24 febbraio 2023, n. 13 all'art. 38 ha introdotto importanti novità per i procedimenti civili di volontaria giurisdizione, consentendo l'utilizzazione di canali digitali alle persone fisiche che intervengono personalmente nelle procedure di amministrazione di sostegno per il deposito di atti e documenti attraverso il portale gestito dal Ministero della Giustizia. L'istituto dell'amministrazione di sostegno ha lo scopo di tutelare chi si trovi nell'impossibilità, anche solo parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi a causa di una infermità o di una menomazione fisica o psichica (art. 404 c.c.). L’eventuale e generico dissenso da parte del tutelando in sede di audizione non impedisce la nomina di un AdS, a meno che gli interessi del soggetto debole non siano comunque concretamente perseguiti dai suoi familiari, a tal fine dallo stesso delegati ad esempio in momenti di lucidità (Cass. n. 22602/2017) Diversamente il giudice tutelare dovrà tenere conto di una volontà contraria all’applicazione della misura, se il soggetto, per il quale essa viene richiesta, è afflitto da limitazioni esclusivamente fisiche e non incidenti sulla sua salute mentale, in tal modo rispettando il suo diritto all’autodeterminazione (Cass. n. 29981/2020). Per l'applicazione della misura è necessario che vi sia: 1) la sussistenza di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica (elemento soggettivo); 2) tali condizioni devono condizionare le capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi (elemento oggettivo) (Cass. n. 2364/2014). La competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non la sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tenere conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (Cass. n. 9389/ 2013). A differenza dell'interdizione, nell'amministrazione di sostegno è che l'amministrato conserva, in tutto o in parte, la propria capacità di agire. Infatti, proprio per assicurare una certa autonomia, il giudice tutelare nel decreto di nomina dell'amministratore di sostegno è tenuto ad individuare analiticamente gli atti o le categorie di atti rispetto a cui il beneficiario manca di capacità, ossia quelli per i quali necessità della rappresentanza o della mera assistenza dell'amministratore di sostegno. E' stato, altresì, precisato che l'amministrazione di sostegno si configura come cd. sostitutiva o mista, laddove presenta caratteristiche affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è comunque in grado di autodeterminarsi autonomamente in difetto di un intervento, appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo, dell'amministratore; viene, invece, definita amministrazione puramente di assistenza quando si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l'ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento o donazione. Ne discende che, nel caso dell'amministrazione di mera assistenza, il beneficiato è pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con disposizione in favore dell'amministrazione di sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti, amministratore e beneficiario, sussistano vincoli di parentela di qualsiasi genere, o di coniugio, ovvero una stabile condizione di convivenza (Cass. n. 6079/2020). La scelta dell'amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario. La legge non è di facile coordinamento con l'art. 408 c.c., perché non introduce alcuna antecedenza tra le persone indicate nel comma 1, sicchè il giudice tutelare può individuare, secondo il suo prudente apprezzamento e senza alcun vincolo derivante dalla elencazione, il soggetto ritenuto più idoneo tra quelli indicati nel codice. Invece, con la legge n. 76/2016, il legislatore espressamente dispone che “nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”. Non si intende quale sia il motivo per privilegiare il partner dell'unione civile rispetto ai figli nati da un precedente matrimonio o addirittura rispetto ai figli nati con la tecnica di procreazione medicalmente assistita. L'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e, pertanto, può essere validamente designato il convivente di fatto o la parte unita civilmente. In mancanza di tale designazione, o in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare un amministratore di sostegno diverso (art. 408 c.c.), ma sempre preferendo ove possibile il partner dell'unione. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa. La parte unita civilmente, pur mancando una espressa previsione al riguardo, è legittimata a presentare ricorso per l'apertura dell'amministrazione di sostegno del partner in ragione del rinvio del comma 20 dell'art. 1. Con tale previsione il legislatore ha esteso alla parte unita civilmente tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti la parola «coniuge», «coniugi», o termini equivalenti ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge e quindi tutte le disposizioni del codice civile che riguardano l'amministrazione di sostegno. Scelta dell'amministratore di sostegno L'art. 1 comma 15 della l. n. 76/2016 prevede che, ove ciò sia possibile, nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare debba preferire la parte dell'unione civile. Ma il beneficiario, come abbiamo detto, può scegliere la persona che, a suo avviso, offre maggiori garanzie, sia per il soddisfacimento dei suoi bisogni esistenziali, sia per l'amministrazione del suo patrimonio. In questo modo si attribuisce alla designazione effettuata dal futuro beneficiario una efficacia rafforzata, perché solo in presenza di gravi motivi il giudice può indicare, con decreto motivato, un amministratore di sostegno diverso da quello indicato dal beneficiario. Sulla natura non vincolante della designazione dell'amministratore da parte del beneficiario si è espresso il Tribunale di Varese, 29 giugno 2012 (in personaedanno.it) ritenendo che si possa disattendere la scelta se sono ravvisabili gravi motivi. Compiti e doveri dell'amministratore di sostegno I compiti dell'amministratore possono essere più o meno ampi e sono specificati nel caso concreto nel decreto di nomina del giudice tutelare. Essi si modulano sulle capacità dell'amministrato e sugli eventuali deficit fisici o mentali. L'amministratore, in ogni caso, è tenuto ad informare con tempestività il beneficiario in merito agli atti da compiere, come pure il giudice tutelare nel caso di dissenso con lo stesso beneficiario (art. 410, comma 2, c.c.). Il giudice tutelare, all'atto della nomina dell'amministratore di sostegno, deve indicare, in relazione alla situazione ed alle esigenze dell'amministrato, gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e gli atti a cui l'amministratore di sostegno deve dare il suo assenso, prestando così esclusivamente assistenza al beneficiario, senza potersi sostituire a quest'ultimo. Per gli atti di amministrazione straordinaria il beneficiario o l'amministratore devono ottenere l'autorizzazione del giudice tutelare. L'amministratore deve agire nel precipuo interesse del beneficiario, tenendo conto dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni (art. 410, comma 1 c.c.); egli deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso (art. 410, comma 2 c.c.). La mobilità dell'istituto ne ha reso frequente l'applicazione. Una parte della dottrina è indotta a pensare ad una tacita abrogazione delle norme in tema di interdizione ed inabilitazione. Ma, in realtà, rimane il problema della difficile convivenza di un istituto che conduce il soggetto debole ad una “morte giuridica”, spesso per il raggiungimento di vantaggi da parte dei parti, con un istituto che, come si è visto, determina una inferiore invasione nella sfera della persona, indivuando e considerando eccezionali le singole “capacità”. La giurisprudenza di legittimità ha recentemente chiarito che l’amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del c.c. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autostima, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass. n. 6079/2020). I beneficiari di una amministrazione di sostegno sono comunque dotati di una autonoma legittimazione processuale non solo ai fini dell’apertura della relativa procedura ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal giudice tutelare nel corso della stessa, essendo invece necessaria l’assistenza di un amministratore di sostegno e la previa autorizzazione del giudice tutelare, a norma del combinato disposto degli artt. 374 n. 5 e 411 c.c. per l’instaurazione dei giudizi nei confronti di terzi estranei a tale procedura (Cass. n. 5380/2020). La giurisprudenza di legittimità ha precisato che la persona sottoposta alla misura può liberamente disporre delle proprie sostanze con un testamento (Cass. n. 12460/2020). La Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149 del 2022) ha introdotto importanti novità in tema di volontaria giurisdizione, conferendo ai notai un ruolo importantissimo. Gli amministratori di sostegno, come anche i tutori o i genitori, possono scegliere di rivolgersi all’autorità giudiziaria o direttamente al notaio per la stipula dell’atto che richiede una autorizzazione. Nel caso in cui ci si rivolga ad un notaio, quest’ultimo rilascia l’autorizzazione, verificando la necessità o l’utilità evidente dell’atto di straordinaria amministrazione nell’interesse della persona sottoposta a misura di protezione o in relazione ai beni ereditari e determina le cautele necessarie per il reimpiego delle somme riscosse dall’incapace in dipendenza dell’atto autorizzato. Successivamente comunica l’autorizzazione alla Cancelleria del Tribunale e al Pubblico Ministero presso il Tribunale che sarebbe stato competente ad emettere il provvedimento. La domanda di interdizione e di inabilitazioneIn termini generali, l'interdizione può essere chiesta nei confronti della persona maggiorenne che si trova in condizioni di abituale infermità di mente, che la rende incapace di provvedere ai propri interessi quando ciò è necessario per assicurarle adeguata protezione (art. 414 c.c.). L'inabilitazione, invece, riguarda l'infermo di mente il cui stato non è talmente grave da dar luogo a interdizione. Può essere inabilitato, ad esempio, colui che, per prodigalità o per abuso di bevande alcoliche o di stupefacenti, ad esempio espone sé o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici, il non vedente, il sordomuto dalla nascita del tutto incapace di provvedere ai propri interessi (art. 415 c.c.). La legge n. 76/2016 consente di richiedere l'applicazione della interdizione e dell'inabilitazione anche dalla parte dell'unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa. Mentre il comma 48 dell'art. 1 dispone che il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata, ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'art. 404 del codice civile. La condizione di convivente di fatto o di persona unita civilmente ha riflessi sulla durata dell'incarico di tutore e curatore, nel senso che costoro — come il coniuge, gli ascendenti e i discendenti — sono tenuti a continuare nella tutela dell'interdetto o nella curatela dell'inabilitato oltre dieci anni (art. 426 c.c.). La l. n. 76/2016 non prevede espressamente che la parte unita civilmente possa essere nominata curatore o tutore, ma tale facoltà discende dalla cd. clausola di garanzia di cui al comma 20 dell'art. 1 l. n. 76/2016. Con le novità introdotte dalla Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149 del 2022), applicabili anche alle persone unite civilmente, come si è detto sopra, i notai assumono un ruolo importante nei procedimenti di volontaria giurisdizione. I suddetti professionisti possono autorizzare la stipula di atti pubblici e di scritture private autenticate che coinvolgono minori e persone interdette, inabilitate o beneficiarie di amministrazione di sostegno. Annullabilità dei contrattiIl comma 16 dell'art. 1 della l. n. 76/2016, riprende il contenuto dell' 1436 c.c., secondo cui la violenza è causa di annullamento del contratto non solo quando il male minacciato riguarda la persona o i beni del coniuge del contraente o di un discendente o ascendente di lui, ma anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui ,Il legislatore non ha ritenuto di inserire la disposizione modificando l'art. 1436 c.c., adeguando il riferimento al coniuge esteso dal comma 1 all'unito civilmente; ha scelto invece di integrare la norma codicistica, mediante una specifica norma contenuta nella legge sulle unioni civili. Con il comma 16 la parte dell'unione civile beneficia di una tutela maggiore, accordata dal legislatore ai familiari più vicini, mentre l'art. 1436 comma 2, c.c. rimette al giudice ed al suo prudente apprezzamento la valutazione delle circostanze per l'annullamento dell'atto. Secondo alcuni autori, anche in tale contesto, sarebbe stato più coerente ed opportuno un semplice richiamo all'art. 1436 c.c. (Dell'Osta-Spadaro, Unioni civili e convivenze: tutte le novità, in Il Civilista 2016, 34). Si osserva come il legislatore abbia omesso di includere il convivente nell'art. 1, comma 16, probabilmente per una svista, anche se pur non essendo espressamente richiamato, può sempre ricevere tutela dall'art. 1436, comma 2, c.c. Indennità al prestatore di lavoroL'art. 1 comma 17 della l. n. 76/2016 ha introdotto una forma di tutela importante nei confronti delle parti unite civilmente, prevedendo che in caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità di cui agli artt. 2118 e 2010 del codice civile debbano corrispondersi anche alla parte dell'unione civile . Il comma 17 ricalca solo parzialmente senza citare la formulazione dell'art. 2122, comma 1, c.c. (indennità in caso di morte), la quale dispone, in caso di morte del lavoratore, la devoluzione delle somme dovute a titolo di indennità di anzianità, ora di trattamento di fine rapporto, nonché di una somma parti all'indennità di mancato preavviso in caso di recesso dal contratto subordinato a tempo indeterminato ai superstiti del prestatore di lavoro. Il comma 17 sembra integrare la previsione dell'art. 2122 comma 1, c.c., aggiungendo ai superstiti indicati nel codice civile, aventi diritto primario a beneficiare di tale indennità, anche il partner dell'unione civile.Ne consegue che in caso di morte di un prestatore di lavoro, il datore di lavoro deve corrispondere alla parte unita civilmente un'indennità pari all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La indennità sstitutiva del preavviso di cui all'art .2118, secondo comma, c.c., spetta in ogni caso di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non vi sia stato il preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno per la parte receduta. La norma è applicabile solo all'ipotesi di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, come può desumersi dal tenore letterale della stessa rubrica dell'art. 2118 c.c. (recesso del contratto a tempo indeterminato). Alla parte unita civilmente spetta, in caso di morte dell'altro partner, anche il trattamento di fine rapporto previsto dall'art. 2120 c.c. La parte dell'unione civile, così come il coniuge nell'ipotesi di vincolo matrimoniale, andrà a concorrere con gli altri familiari del prestatore di lavoro deceduto, indicati dall'art. 2122 c.c. ovverosia: - ai parenti entro il terzo grado - agli affini entro il secondo grado. In merito alle rispettive quote di indennità, il comma 2 dell'art. 2122 c.c. precisa che la ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi causa, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno. Il mancato rinvio all'art. 2122 c.c. e la particolarità del contenuto del comma 17 della l. n. 76/2016 determinano ostacoli interpretativi, la cui soluzione non può prescindere dalla esatta definizione del titolo di attribuzione dell'indennità alla parte superstite dell'unione civile e dal corretto inquadramento della fattispecie. Il problema è che il comma 17 non precisa esplicitamente che, in mancanza dei familiari indicati nell'art. 2122, comma 3, c.c.., l'indennità omnicomprensiva sia attribuita secondo le norme della successione legittima e sia rimessa alla eventualità di una disposizione testamentaria. Il problema che si è posto la dottrina è se si possa interpretare estensivamente il comma 17, secondo il senso contemplato dall'art. 2122 c.c., oppure sia necessario attenersi al significato proprio dell'espressione utilizzata dal legislatore. La coppia che stipula una unione civile può vantare altri diritti previsti in materia di lavoro per i coniugi. Ciò in ragione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, comma 20, della legge in commento. In particolare: - fruizione del congedo matrimoniale, con relativa indennità economica nei casi previsti; - divieto di licenziamento per causa di matrimonio, dal giorno della richiesta della costituzione di un' unione civile, ad un anno dopo la celebrazione, con conseguente necessità di convalida presso la DTL delle eventuali dimissioni rese durante tale periodo. In merito al riconoscimento di detta tutela anche alle unioni tra uomini è necessaria una conferma perché si tratta di una disposizione posta a tutela delle sole donne; - in caso di scioglimento dell'unione civile, diritto del partner titolare dell'assegno di mantenimento a percepire il 40% del TFR maturato dall'altra parte, in caso di cessazione del rapporto di lavoro; - assegni per il nucleo familiare, in quanto nucleo familiare composto dalla coppia unita civilmente; - rendita INAIL in caso di morte del lavoratore per infortunio sul lavoro nonché pensione indiretta e di reversibilità in caso di morte del pensionato o del lavoratore assicurato; - permesso di tre giorni per gravi motivi familiari che può esser concesso in caso di decesso o di comprovata grave infermità del coniuge; - tre giorni di permesso per assistere il coniuge con handicap in situazione di gravità; - congedo straordinario della durata massima di due anni, per assistere il coniuge con handicap in situazioni di gravità accertata; - facoltà di revocare il concesso alle clausole elastiche e diritto di trasformare il rapporto a part time per assistere il partner affetto da patologie oncologiche; - non concorrenza a formare il reddito dei compensi corrisposti all'imprenditore /altra parte dell'unione civile; tali compensi non possono essere dedotti dal reddito dell'imprenditore; - benefici regolamentati nei contratti collettivi di lavoro (es. permessi aggiunti). PrescrizioneAi sensi dell'art. 1 comma 18 della legge in commento prevede che anche tra le parti dell'unione civile la prescrizione rimane sospesa (v. art. 2941, comma 1, n. 1, c.c.). La sospensione della prescrizione rimane in vigore fino a quando le parti rimangono unite civilmente. Al pari di quanto accade per i coniugi, anche per le parti dell'unione civile la sospensione della prescrizione non pregiudica l'esercizio di un'azione reale o personale di una parte nei confronti dell'altra, finalizzato alla difesa dei propri diritti.La giurisprudenza di legittimità, con riferimento al matrimonio, ha chiarito che il disposto di cui all'art. 2941, comma 1 n. 1 trova applicazione fino a quando non venga meno il rapporto di coniugio (Cass. III, ord. n. 7533/2014). La ratio di tale previsione deve essere rintracciata nel tentativo di evitare che la difficoltà a convenire in giudizio il coniuge, ed ora anche la parte dell'unione civile, si risolva in un vantaggio per il medesimo (App. Torino, 23 marzo 2007; in senso conforme Cass. I, n. 7981/2013). Obbligo di prestare gli alimentiL'art. 1, comma 19 l. n. 76/2016 rinvia alle disposizioni sul titolo XIII libro I del codice civile, in tema di alimenti (artt. da 433 a 448 c.c.), di conseguenza le parti dell'unione sono tenute ad adempiere reciprocamente in caso di bisogno ad una obbligazione alimentare. Anche con riferimento a questo specifico aspetto la parte dell'unione civile viene equiparata al coniuge. Ne consegue che in relazione all'ordine degli obbligati agli alimenti, le parti unite civilmente hanno la stessa posizione dei coniugi, ossia i primi in ordine di chiamata (art. 433 c.c.). Laddove concorrano nell'obbligo verso colui che si trova in stato di bisogno l'ex coniuge e l'unito, l'obbligazione alimentare dovrà ripartirsi fra questi in modo proporzionale rispetto alle loro condizioni economiche. Il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c. è legato alla prova dello stato di bisogno e dell'impossibilità di provvedere in modo autonomo alle proprie esigenze fondamentali. Questi sono i presupposti dell'obbligo alimentare in capo all'unito, in forza del vincolo solidaristico determinato dal rapporto, assimilabile al rapporto di coniugio. Lo stato di bisogno viene a sussistere in caso di mancanza di disponibilità per soddisfare le primarie esigenze esistenziali, con rischio di deterioramento fisico e psichico. L'assegno dovrà essere quantificato secondo i criteri indicati dall'art. 438 c.c., e quindi in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Rimane invariato il regime probatorio a carico di colui che si assume in stato di bisogno, il quale sarà tenuto a fornire la prova dell'impossibilità di procurarsi redditi sufficienti al proprio bisogno per circostanze a lui non imputabili, mentre sarà esonerato dal dimostrare la disponibilità economica del destinatario della richiesta. L'assegno non deve superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alle sue condizioni di vita. L'obbligo agli alimenti sussiste finché dura il vincolo, sicché cessa al momento del cessare dell'unione civile. Per omesso rinvio all'art. 78 c.c., non sono obbligati al versamento degli alimenti il suocero, la suocera, il genero e la nuora (art. 433 e 434 c.c.) poiché tra una parte dell'unione civile ed i parenti dell'altra non sorgono vincoli di affinità (Sesta, 885), a meno che il rapporto di affinità riguardi e sia sorto da un precedente vincolo matrimonio, nei limiti di quanto previsto dall'art. 78, comma 2 c.c. e dall'art. 434 c.c. Unione civile dello straniero in ItaliaAi sensi del comma 19 della legge in commento, che richiama espressamente l'art. 116, comma 1, c.c., viene regolamentata l'unione civile dello straniero in Italia. Secondo tale disposizione, il cittadino straniero che intenda costituire una unione civile in Italia deve presentare all'ufficiale di stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese di origine dalla quale risulti che non vi siano impedimenti, per leggi del Paese di provenienza, alla costituzione dell'unione civile. Egli è anche tenuto a documentare la regolarità del suo soggiorno nel territorio italiano. Lo straniero ed il partner devono presentare una richiesta di costituzione di unione civile all'ufficio dello stato civile del comune di loro scelta (art. 70-bis d.P.R. n. 396/2000 introdotto dal d.lgs. n. 5/2017). La legge non pone, pertanto, vincoli nella scelta del comune presso cui è possibile costituire l'unione civile. La disposizione precisa che nella richiesta devono essere indicati i dati anagrafici delle parti (nome e cognome, data e luogo di nascita, cittadinanza e luogo di residenza) e l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione civile previste dall'art. 1, comma 4 legge 20 maggio 2016, n. 76. Ricevuta la richiesta di costituzione, l'ufficiale dello stato civile redige un processo verbale in cui indica l'identità delle persone comparse, la richiesta a lui fatta, le dichiarazioni delle parti o di chi le rappresenta, e lo sottoscrive unitamente ai richiedenti (art. 70-bis, comma 3 d.P.R. n. 396/2000). La richiesta di costituzione dell'unione civile può essere presentata anche da persona incaricata dalle parti nei modi indicati dall'art. 12, comma 7 d.P.R. n. 396/2000. Disposizioni di chiusuraIl legislatore ha regolamentato la disciplina delle unioni civili servendosi di una norma di chiusura, una clausola di salvaguardia ai sensi della quale: «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Si legge nella Relazione illustrativa della legge in commento: “Fermi i contenuti e gli assetti della delega appena riassunti, il comma 20 dello stesso articolo 1 della legge detta una norma di coordinamento, limitata nel suo oggetto, nelle sue finalità e con riguardo all'ambito di applicazione: al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contneuti le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”. La portata generale di tale clausola, dalla quale discenderebbe una radicale equiparazione tra matrimonio ed unione civile, viene limitata dal fatto che il legislatore ci tiene a precisare che «la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Ne consegue che all'unione civile si applicano le norme del codice civile in tema di matrimonio solo ove richiamate della legge n. 76/2016. In tale prospettiva, all'unione civile non si estendono una serie di disposizioni come ad esempio, quelle in tema di separazione personale dei coniugi (artt. da 150 a 158 c.c.), l'obbligo di fedeltà, il regime delle affinità ex art. 78 c.c. (con la conseguenza che tra una parte dell'unione civile e i parenti dell'altra parte non si crea un rapporto di affinità), l'assegno alimentare in favore del coniuge assente (art. 51), la promessa di matrimonio (art. 79 ss. c.c.), le pubblicazioni (art. 93 ss. c.c.), l'ammissione del minorenne al matrimonio (art. 84, comma 2 c.c.), le norme sulla celebrazione del matrimonio (art. 106 ss c.c.), la disciplina del cognome del marito. La clausola di salvaguardia ha lo scopo di sottolinerare la differenza tra l'unione civile e il matrimonio, chiarendo altresì la disciplina applicabile nell'ipotesi in cui, mediante una interpretazione analogica o estensiva si volesse applicare agli uniti civilmente norme del codice civile, riguardanti il matrimonio, non espressamente richiamate. Ne consegue che all'interprete è vietato effettuare operazioni di interpretazione analogica, dovendosi limitare ad applicare alle unioni civili le norme espressamente richiamate dal testo di legge. Proprio per puntualizzare la differenza esistente tra matrimonio e unione civile, il legislatore ha voluto precisare che il fine della clausola di salvaguardia è unicamente quello di «assicurare l'effettività delle tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso». Il comma 20 stabilisce, come si è detto, che tutte le disposizioni concernenti i coniugi ed il matrimonio contenute in leggi speciali devono estendersi alle unioni civili. Ciò vale, ad esempio, per la disciplina in materia di lavoro, assistenza, previdenza, sanità, pensioni, immigrazione, quelle in campo penitenziario, fiscale (Ferrando, 2016 891), con l'unica eccezione riguardante la legge 4 maggio 1983, n. 184 in tema di adozione. La legge n. 76/2016, infatti, esclude espressamente l'estensione alle parti dell'unione civile delle disposizioni di cui alla legge sull'adozione aggiungendo che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» (comma 20). In dottrina si è osservato che il testo normativo «per quanto pleonastico, pare volutamente ambiguo; non si è voluta riconoscere espressamente alla parte dell'unione civile la facoltà di adottare (con adozione in casi particolari) il figlio dell'altra (e a maggior ragione si è esclusa l'adozione «piena» per entrambi), ma nel contempo si è fatta salva l'attuale disciplina, necessariamente come interpretata dalla giurisprudenza (il c.d. «diritto vivente»)» (Figone, 2016). È stato correttamente rilevato che l'inciso, inserito quasi come se il legislatore si sia reso conto della gravità delle conseguenze di un'esclusione assoluta, abbia sostanzialmente rimesso ogni decisione sulla possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali ai magistrati (Arceri, 959). Tale «abdicazione alla giurisprudenza da parte del legislatore» (Quadri, Indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposta di legge c. 3634, approvata dal Senato, recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in articolo29.it) provocherà incertezze applicative (Arceri, Unioni civili, convivenze, filiazione, in Fam. e dir. n. 10/2016, 959), pur dovendosi riconoscere che era l'unica possibilità per consentire l'approvazione della legge in tempi rapidi, senza eliminare la possibilità di adottare da parte degli uniti civilmente. Gli uniti civilmente non sono una coppia genitoriale. Il legislatore ha, infatti, omesso ogni richiamo alle norme sui doveri genitoriali e sulla responsabilità genitoriale. Tale chiusura non non appare giustificata, tenuto conto che non è del tutto esclusa la possibilità che le coppie unite civilmente possano avere prole in comune e quindi di essere anche una coppia genitoriale. Anzi gli uniti civilmente desiderano avere prole comune, proprio per realizzare quel progetto di famiglia che hanno inteso condividere, quel programma di vita che vede anche configurarsi un programma genitoriale. In tal caso la responsabilità genitoriale verrà disciplinata secondo le regole generali che riguardano il rapporto di filiazione non fondato sul matrimonio e anche la domanda di affidamento e mantenimento della prole, in caso di scioglimento del vincolo, potrà essere comunque proposta ai sensi dell'art. 337-ter c.c. In tal caso la responsabilità genitoriale verrà disciplinata secondo le regole generali che riguardano il rapporto di filiazione non fondato sul matrimonio e anche la domanda di affidamento e mantenimento della prole, in caso di scioglimento del vincolo, potrà essere comunque azionata ai sensi dell'art. 337-ter c.c. La filiazione nelle unioni civiliQuando si parla di famiglia, come nel caso delle unioni civili, non si può limitare il riferimento alla configurazione atomistica di essa. Il legislatore sembra avere dimenticato e completamento escluso che gli uniti civilmente potessero avere figli, probabilmente perché si è pensato che non potessero dare origine a filiazione naturale, da un lato per evidenti ragioni fisiologiche, dall'altro a causa dell'attuale divieto vigente in Italia di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa. La legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), infatti, consente l'accesso a tali pratiche solo a soggetti, conviventi o uniti in matrimonio, di sesso diverso (art. 5). I rapporti di filiazione possono interessare anche solo uno dei partner dell'unione civile, come nel caso di prole nata da una precedente relazione. In tale evenienza, siè verificato che l'omosessualità del genitore venisse strumentalizzata dall'altro genitore per mettere in discussione l'inidoneità genitoriale del primo, ai fini dall'affidamento e/o del collocamento del figlio minore. Sul tema, con la sentenza Cass. n. 601/2013, la Corte aveva affermato il principio secondo cui la convivenza omosessuale di un genitore non poteva costituire ex se un ostacolo all'affidamento dei figli al medesimo genitore, in quanto le condotte di quest'ultimo andavano apprezzate concretamente, in virtù della loro effettiva idoneità a costituire fonte di nocumento per il minore. La decisione della Corte è coerente con la posizione Corte europea dei diritti dell'uomo sul tema della genitorialità delle persone omosessuali (Causa Gas e Dubois c. Francia, ric. n. 25951/07, 15 marzo 2012), nonché della giurisprudenza comunitaria secondo cui la scelta dell'affidamento ovvero del collocamento dei figli, non può in alcun modo risentire dell'instaurata convivenza del genitore, trattandosi di una situazione giuridica in sé certamente priva d'implicazioni negative ai fini dello sviluppo della personalità del minore. Oggi, anche alla luce della novella legislativa, non si può almeno in linea di principio ritenere che vi sia alcuna incidenza negativa nella presenza di un convivente omosessuale nella crescita di un figlio. Occorre invece dimostrare, alla luce dell'allegazione di circostanze concrete, che dette relazioni o condotte, a prescindere dall'orientamento sessuale, costituiscono fonte di un effettivo danno per il minore. Di recente è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 19599/2016) che, in controversia concernente la trascrivibilità in Italia dell'atto di nascita di un minore con due madri, ha precisato il concetto di genitorialità delle coppie omosessuali. La Suprema Corte ha infatti sostenuto che se l'unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale ove la persona svolge la sua personalità e se quella dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce «espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi» della persone, ricondotta dalla Corte costituzionale agli artt. 2, 3 e 31 Cost. (e non all'art. 29 Cost.), allora deve escludersi che esista, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e figli. La Corte, con tale decisione ha precisato che: «Il riconoscimento e la trascrizione, nei registri dello stato civile italiani, di un atto straniero validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne in particolare, da una donna italiana (indicata come «madre B») che ha donato l'ovulo a una donna spagnola (indicata come «madre A») che l'ha partorito, nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel Paese non contrastano con l'ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell'interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all'estero (nella specie, in un altro Paese della Ue)”. L'atto di nascita straniero (valido, nella specie, sulla base di una legge in vigore in un altro Paese della Ue), da cui risulti la nascita di un figlio da due madri (per avere l'una donato l'ovulo e l'altra partorito), non contrasta di per sé con l'ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell'ordinamento italiano dalla legge n. 40 del 2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate. I giudici della Corte hanno anche precisato che la regola secondo cui è madre colei che ha partorito, ex art. 269 comma 3 c.c., non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che l'ha partorito e l'altra che ha donato l'ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola. Sono di rilevante importanza le precisazioni fatte in tema di genitorialità delle coppie omosessuali: «non è possibile sostenere l'esistenza di un principio costituzionale fondamentale — in tal senso, di ordine pubblico e, quindi, immodificabile dal legislatore ordinario — idoneo ad impedire l'ingresso in Italia dell'atto di nascita di T., in ragione di un'asserita preclusione ontologica per le coppie formate da persone dello stesso sesso (unite da uno stabile legame affettivo) di accogliere e di allevare figli. Si è detto che la contraria scelta manifestata in tale senso dalla legislazione vigente (con la l. n. 40 del 2004, art. 5) — ispirata all'idea di fondo che l'unica comunità nella quale sarebbe possibile generare figli sia quella formata da persone di sesso diverso, sul presupposto che le altre unioni beneficerebbero della, in tesi, più limitata tutela prevista dall'art. 2 Cost. — non esprime una opzione costituzionalmente obbligata». Infatti, «il matrimonio non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti tra i coniugi e figli (...) identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri» (v. Corte cost. n. 166/1998): di conseguenza, l'elemento di discrimine rappresentato dalla diversità di sesso tra i genitori — che è tipico dell'istituto matrimoniale — non può giustificare una condizione deteriore per i figli né incidere negativamente sul loro status. Inoltre, la Corte ha escluso che vi siano certezze scientifiche, dati di esperienza o indicazioni di specifiche ripercussioni negative sul piano educativo e della crescita del minore, derivanti dall'inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale, atteso che l'asserita dannosità di tale inserimento va dimostrata in concreto e non può essere fondata sul mero pregiudizio. Questo indirizzo è stato sostenuto anche con altre decisioni, con le quali si è affermato che le coppie di persone dello stesso sesso possano adeguatamente accogliere e accudire i figli. La legge n. 76/ 2016 va rivista, tenuto conto che si deve valorizzare questa nuova dimensione del diritto di famiglia, che supera le classificazioni tradizionali e attribuendo al rapporto di filiazione all'interno delle coppie omosessuali una inedita dimensione. Le coppie omosessuali, infatti possono adottare, a norma della l. 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d) (cfr. Cass. n. 12962/2016). La Corte, con la decisione richiamata, il cui contenuto verrà approfondito nei paragrafi che seguono ha, infatti, affermato che: «Nel procedimento di adozione in casi particolari, di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184/ 1983, non è configurabile un conflitto di interessi “in re ipsa” anche solo potenziale, tra il minore adottando ed il genitore legale rappresentante, che imponga la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., dovendo, anzi, individuarsi nella necessità dell'assenso del genitore dell'adottando, una chiara indicazione contraria all'ipotizzabilità astratta di tale conflitto, che, invece, va accertato in concreto da parte del giudice del merito. L'art. 44, comma 1, lett. d) integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottato, con l'unica previsione del condicio legis della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato di evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità di “diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non di impossibilità “di fatto”, derivante da una situazione di abbandono del minore in senso tecnico- giuridico». Tra le sentenze di merito si cita il Tribunale Ordinario di Napoli (sentenza 6 dicembre 2016) ha accolto la richiesta di trascrizione dell'atto di nascita di un minore nato all'estero ed avente due madri, così anche la Corte di Appello di Milano (sentenza 28 ottobre 2016, n. 3990) chiamata a decidere se possano essere trascritti, in quanto non contrari all'ordine pubblico ex art. 18 d.P.R. n. 396/2000, gli atti di nascita di due gemelli nati per il tramite della tecnica della «gestazione per altri» in California (USA), ha riformato la decisione dell'ufficiale di stato civile nella parte in cui aveva ritenuto che, essendo i bambini nati per il tramite di una tecnica vietata in Italia dalla legge n. 40/2004, i loro atti di nascita fossero tout court contrari all'ordine pubblico ex art. 18 d.P.R. n. 396/2000. I giudici di appello hanno ritenuto che la mera difformità della legge straniera da quella italiana in materia di procreazione medicalmente assistita non sia causa di violazione di ordine pubblico, precisando che la legge n. 40/2004, e di converso il divieto in essa contenuto, sia frutto di scelte discrezionali del legislatore italiano, suscettibili dunque di eventuale modifica, e non vincolate da alcun principio costituzionale (in tal senso già: Cass. n. 19599/2016) e, pertanto, non può assurgere a principio di ordine pubblico una legge nazionale fondata su valori e scelte passibili di revisione in futuro. La Corte ha osservato, inoltre, che la contrarietà all'ordine pubblico non può nemmeno ricavarsi — come invece ritenevano il Tribunale e l'Ufficiale di Stato civile — dal fatto che l'indicazione del genitore biologico, di sesso maschile, fosse stata effettuata dall'ufficiale di stato civile statunitense nella casella mother/parent: secondo la Corte, infatti, si tratta di un campo in cui va posto il nome della madre o del genitore, senza connotazione di genere. Da ultimo, i giudici hanno ritenuto che il mancato accoglimento della domanda di trascrizione proposta arrecherebbe un intollerabile pregiudizio all'interesse del minore — da salvaguardare in qualsiasi decisione giurisdizionale o amministrativa che lo riguardi — in violazione, dunque, di numerose disposizioni nazionali e sovranazionali, tra cui l'art. 3 Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, ratificata con l. n. 176/1991, l'art. 6 Convenzione europea dei diritti del fanciullo; l'art. 24, par. 2, CEDU. La mancata trascrizione dei certificati, infatti, ledendo il diritto all'identità personale dei minori, compromette la loro possibilità di acquisire ed esercitare i diritti scaturenti dalla cittadinanza italiana, pregiudicando l'esercizio della libera circolazione su territorio nazionale ed europeo, oltre che la possibilità di essere rappresentati nei rapporti con i terzi dal rispettivo padre: ma soprattutto, viola il diritto fondamentale alla vita privata e familiare, tutelato dall'art. 8 CEDU. Nelle sentenze sopra citate si fa riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU sul favor filiationis. Quest'ultima, con la sentenza del Corte EDU 27 gennaio 2015, nella causa Paradiso e Campanelli c. Italia, ha condannato l'Italia per il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione formatosi all'estero. Il caso riguardava due coniugi italiani che erano ricorsi alla tecnica della gestazione surrogata in Russia. Con la fecondazione in vitro, in una clinica di Mosca, erano stati impiantati due embrioni a loro appartenenti nell'utero della madre gestante, che aveva dato il consenso per la registrazione del neonato, nell'atto di nascita, come figlio degli stessi ricorrenti. Nato il bambino, i due coniugi venivano registrati come genitori conformemente al diritto russo, senza indicazione della maternità surrogata. Il certificato russo non menzionava la gestazione di terzi e veniva munito di apostilla, in conformità alle disposizioni della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961. Rientrata in Italia, la ricorrente chiedeva la registrazione dell'atto di nascita, mentre il Consolato italiano di Mosca informava il tribunale per i minorenni che la documentazione relativa alla nascita del bambino conteneva dati falsi. I ricorrenti venivano imputati del reato di alterazione di stato ed incriminati ai sensi dell'art. 72 legge adozione. Contestualmente il Tribunale per i minorenni di Campobasso apriva un procedimento per la dichiarazione di adottabilità del bambino. Il marito, inoltre, risultava non essere il padre biologico del bambino. Di conseguenza, il tribunale per i minorenni stabiliva che il minore doveva essere sottratto dai ricorrenti e dato in affidamento. Dopo essere stato in una struttura dei servizi sociali, nel 2013 il minore veniva affidato ad una famiglia e riceveva una nuova identità. Nel 2013, inoltre, veniva confermato il rifiuto — per contrarietà con l'ordine pubblico — di registrare in Italia il certificato di nascita rilasciato in Russia, nonostante i ricorrenti sostenessero di aver agito in buona fede. La Corte Edu ha riconosciuto nel caso concreto l'esistenza di una «de facto family life between the coupe and the child», alla quale ha ritenuto applicabile l'art. 8 della Convenzione (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), nonostante i ricorrenti avessero passato solo otto mesi con il bambino. Infatti, questo pur breve periodo aveva consentito l'instaurarsi di una relazione tra i coniugi e il minore a fronte della quale le misure adottate dalle autorità italiane avevano integrato, ad avviso della Corte, un distacco illegittimo e un'illegittima interferenza nella vita privata e familiare senza tenere conto dell'interesse del minore. Secondo la Corte EDU, nonostante l'assenza di un qualsiasi vincolo parentale tra i pretesi genitori ed il minore, ai fini del perseguimento del superiore interesse di quest'ultimo e della tutela della famiglia di fatto, si imponeva il riconoscimento del rapporto di filiazione nato all'estero. La stretta applicazione delle disposizioni legislative nazionali da parte delle autorità italiane non avevano rappresentato il giusto bilanciamento tra gli interessi pubblici e privati in gioco, in considerazione del principio essenziale secondo il quale, ogni volta che la situazione coinvolge un minore di età, l'interesse di quest'ultimo deve prevalere. Il 27 gennaio 2017 la Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'Uomo si è pronunciata in seconda istanza nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia, ribaltando la decisione precedente ed escludendo la violazione dell'art. 8 CEDU da parte dell'Italia. La Grande Camera, dopo aver riassunto le circostanze di fatto e di diritto riguardanti la prima decisione, ha sottolineato la distinzione tra il ricorso in esame e le sentenze Mennesson e Labassee, nelle quali era stata invocata la violazione dell'art. 8 CEDU in relazione alla registrazione dei certificati di nascita di minori nati all'estero con ricorso alle tecniche di maternità surrogata. Mentre in questi casi il tema centrale era rappresentato dal problema del riconoscimento della relazione genitoriale tra la coppia committente ed i minori, in Paradiso e Campanelli, la violazione dell'art. 8 CEDU viene invocata in relazione alle misure adottate dalle autorità italiane per la tutela del miglior interesse del minore, allontanato dai ricorrenti e dato in affidamento ad un'altra famiglia. La Corte osserva che le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti del minore e dei ricorrenti costituiscono un'interferenza nella vita privata di questi ultimi e si chiede, pertanto, se tale interferenza possa essere giustificata alla luce dei criteri previsti dal secondo comma dell'art. 8 CEDU. I giudici rilevano che le misure adottate dalle autorità italiane sono state conformi alla legge ed hanno perseguito uno scopo legittimo, individuato nella necessità di proteggere il minore. Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha assunto una posizione più prudenziale, sostenendo che in caso di minore concepito mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nato all'estero, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l'ha partorito, anche della donna che a costei legata in unione civile, perché in contrasto con l'art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (Cass. n. 8029/2020). Gli ultimi arresti della Cassazione si esprimono nel senso di sollecitare un intervento del legislatore in una materia molto delicata. La Corte ha affermato, con sentenza n. 38162 del 2022 resa dalle Sezioni Unite, l'impossibilità di trascrivere atti di nascita formati all'estero e riguardanti minori nati da coppie che hanno fatto ricorso alla tecnica della GPA, riconoscendo al genitore intenzionale la medesima posizione del genitore biologico. In particolare, recentemente, si è affermato che il divieto assoluto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, in quanto volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva, è ostativo al riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'esteso mediante il ricorso alla gestazione per altri e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana (Cass. n. 26967/2023). La Corte di legittimità ha confermato il principio secondo il quale “ In caso di concepimento all'estero mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l'accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere; non può inoltre ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legabili parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 79 del 2022” (Cass. 23527/2023). Va rammentato, però, che la Corte Europera dei Diritti dell'Uomo ha ritenuto sanzionabile il nostro Stato nella fattispecie relative al divieto di trascrizione dell'atto di nascita redatto all'estero nei confronti del genitore biologico del minore nato con PMA eterologa (Corte Europea Dir. Uomo, ric. 47196/21, sentenza 31 agosto 2023). Esclusione dell'adozione legittimanteLa clausola di garanzia contenuta nell'art. 1, comma 20 legge n. 76/2016, dopo aver esteso alla parti dell'unione civili tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e ai coniugi, precisa che tale estensione non si applica alle disposizione del codice civile non richiamate e alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (“Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”). Ne consegue che l'adozione legittimante (o c.d. piena) non è consentita alle parti dell'unione civile. L'istituto prevede l'irrevocabilità dell'adozione, l'attribuzione all'adottato dello status di figlio degli adottanti, l'assunzione del loro cognome e la cessazione di ogni rapporto tra adottato e famiglia d'origine. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9006 del 2021 ha riconosciuto l’adozione legittimante a una coppia di uomini, uniti civilmente negli Stati Uniti, affermando che il loro progetto procreativo non crea effetti contrari alle norme nazionali di ordine pubblico. La «stepchild adoption» e l'adozione in casi particolariSe l'adozione legittimante è assolutamente esclusa per gli uniti civilmente, la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno recentemente espresso delle aperture con riferimento alla adozione coparentale, detta più comunemente stepchild adoption, istituto di origine anglosassone diffusosi in molti Paesi europei, che consente l'adozione del figlio del partner, al fine di accrescere la tutela del minore, attribuendogli un secondo genitore e assicurandogli l'assistenza morale e materiale in caso di morte dell'unico genitore naturale o adottivo. Nell'ordinamento italiano l'adozione coparentale costituisce una delle quattro fattispecie di «adozione in casi particolari», previste dell'art. 44, comma 1 legge n. 184/1983, il quale consente che i minori possano essere adottati anche quando non ricorra una delle condizioni di cui al comma 1 dell'art. 7, da parte di: a) persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Tale forma di adozione è consentita anche alle persone non coniugate, ad eccezione dell'ipotesi sub lettera b). Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. L'impianto dell'adozione in casi particolari ha come obiettivo di rafforzare i legami di fatto esistenti nell'ambito di una nuova unità famigliare (quanto all'ipotesi di cui alla lett. b) e di evitare una prolungata istituzionalizzazione ai minori per i quali non fosse possibile l'adozione legittimante (nelle altre ipotesi). Un indirizzo della dottrina (Cipriani, 50) ritiene necessario un intervento della Consulta. Secondo l'autore «in attesa di un intervento del legislatore, si deve ritenere che la soluzione da adottare sia quella della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 55, l. adoz., nella parte in cui, richiamando l'art. 294 cpv. c.c., preclude alle coppie omosessuali, in quanto non coniugate, l'accesso all'istituto nei casi contemplati dall'art. 44, lett. a), c) e d), l. adoz.; nonché, per quanto riguarda l'adozionale coparentale, dell'art. 44, lett. b), l. adoz., nella parte in cui non consente l'adozione al partner omosessuale del genitore dell'adottando. È chiaro peraltro che una simile statuizione, qualora riserata ai soli contesti omogenitoriali, porrebbe il problema del trattamento delle coppie eterosessuali non coniugate: per quanto per esse potrebbe opporsi l'ovvio rilievo che l'ordinamento consente loro di risolvere il problema semplicemente contraento matrimonio, è chiaro che difficilmente la soluzione potrebbe non essere estesa anche alle convivenze eterosessuali more uxorio». Negli ultimi anni si sono registrate sentenze dei tribunali di merito che hanno esteso l'ambito di operatività dell'adozione in casi particolari di cui alla lett. d) art. 44 (adozione in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo) anche a favore del convivente del genitore biologico, dapprima all'interno di una convivenza eterosessuale, quindi di una convivenza omoaffettiva tra due donne (Trib. Roma, 30 luglio 2014, confermata da Corte App. Roma, 23 dicembre 2015; Trib. min. Roma, 22 ottobre 2015; Trib. min. Roma, 30 dicembre 2015) e, in seguito, anche tra due uomini (di cui uno genitore naturale di un bimbo nato con la surrogazione di maternità e l'altro padre sociale) (Trib. min. Roma, sent. 23 dicembre 2015). Il Tribunale per i minorenni di Roma, con sentenza n. 299 del 30 luglio 2014, ha accolto per la prima volta in Italia la richiesta di stepchild adoption tra conviventi omosessuali. Il caso riguardava due donne italiane conviventi da più di dieci anni e sposate in Spagna, ove una delle quali aveva avuto un figlio con la tecnica della fecondazione eterologa. Il ricorso è stato accolto ai sensi dell'art. 44, lett. d) legge adozione, sul rilievo che il carattere stabile di quell'unione dimostrava l'idoneità genitoriale in relazione al superiore interesse del minore. Tale decisione è stata basata sulle seguenti argomentazioni: a) non è ravvisabile nel nostro ordinamento, diversamente dall'adozione «legittimante», il divieto per la persona singola di adottare ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184 del 1983; b) nessuna limitazione normativa può desumersi dall'orientamento sessuale della richiedente l'adozione in casi particolari; c) con la menzionata disposizione, il legislatore ha inteso favorire il consolidamento di rapporti tra minore e parenti o persone che già se ne prendono cura, prevedendo un modello adottivo con effetti più limitati rispetto a quello di cui all'art. 6 della stessa legge n. 184 del 1983; d) la ratio legis deve essere individuata nella verifica della realizzazione dell'interesse del minore, da intendersi come limite invalicabile e chiave interpretativa dell'istituto; e) la condizione dell'impossibilità dell'affidamento preadottivo, contenuta nella lettera d) del comma 1 dell'art. 44, deve essere interpretata non già, restrittivamente, come impossibilità di «fatto», bensì come impossibilità di «diritto», così da comprendere anche minori non in stato di abbandono ma relativamente ai quali nasca l'interesse al riconoscimento di rapporti di genitorialità; f) tale ultimo requisito è sussistente nella specie, non trovandosi il minore in stato di abbandono e risultando, di conseguenza, non collocabile in affidamento preadottivo in ragione della presenza della madre, perfettamente in grado di occuparsene; g) la minore, in virtù dello stabile legame di convivenza tra le parti ha sviluppato una relazione di tipo genitoriale con entrambe che, attraverso il paradigma dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, non può avere riconoscimento giuridico entro i limiti dettati dal peculiare modello adottivo applicabile; h) non sussistono, al riguardo, ostacoli normativi costituiti dall'assenza del rapporto matrimoniale e dalla riscontrata natura del rapporto tra la madre della minore e la convivente, in quanto persone dello stesso sesso; i) le indagini richieste dall'art. 57 della stessa legge n. 184 del 1983 hanno consentito di rilevare la piena corrispondenza dell'adozione al preminente interesse della minore. La sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma è stata confermata in sede di appello (App. Roma, sez. minori, sentenza 23 dicembre 2015, n. 7127) e anche dalla Corte di Cassazione con la decisione sopra richiamata (Cass. n. 12962/2016). Q ha precisato che nella fattispecie, il rapporto di filiazione esistente tra la minore e la madre biologica e legale, al pari del rapporto che lega la minore alla richiedente l'adozione ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1981, non è riconducibile ad alcuna delle forme di cosiddetta «surrogazione di maternità» realizzate mediante l'affidamento della gestazione a terzi: la minore, infatti, è stata riconosciuta dalla donna che l'ha partorita, in applicazione dell'art. 269, terzo comma, c.c. Nella sentenza viene affermato che la particolare ipotesi normativa di adozione, di cui all'art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184 del 1983, ha lo scopo di dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall'adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali. Il fine dell'istituto è quello di consolidare, ove ricorrano le condizioni dettate dalla legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato. Con riferimento all'istituto dell'adozione richiamato, la Corte precisa che l'art. 44, comma 1 legge n. 184/1983 non richiede l'accertamento di una situazione di abbandono, a differenza di quanto previsto per l'adozione legittimante, e che tale prescrizione di carattere generale si applica a tutte le ipotesi previste dalle lettere a), b), c) e d) dello stesso art. 44 legge adozione. La Corte, con riferimento alle quattro fattispecie di adozione in casi particolari previste dall'art. 44 legge adozione, afferma che quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore rispetto alle altre tre, in quanto non viene indicato alcun requisito per definire i profili dell'adottante e dell'adottato, essendo soltanto prevista la condicio legis della «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo». La Suprema Corte, richiamando la legge n. 173/ 2015 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) che nell'ottica di salvaguardare la continuità affettiva, ha facilitato l'accesso all'adozione legittimante da parte delle famiglie affidatarie che abbiano condiviso con il minore un lungo periodo di affidamento, conclude ritenendo che l'interpretazione dell'espressione «constatata l'impossibilità dell'affidamento preadottivo», adottata dalla Corte di appello di Roma, sia da condividere, in quanto è coerente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente. Di conseguenza, ha ritenuto sufficiente l'impossibilità «di diritto» di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella «di fatto», derivante da un condizione di abbandono in senso tecnico — giuridico o di semi abbandono (art. 8, comma 1 legge adozione). La decisione della Corte di Appello di Roma è stata seguita anche da altre sentenze di merito, che hanno cercato di allargare le maglie dell'adozione a situazioni come quella illustrata nelle decisioni commentate. Così, la Corte di Appello di Torino, sezione per i minorenni, con sentenza del 27 maggio 2016 ha disposto l'adozione da parte della ricorrente del figlio minorenne della partner, sposata in Islanda. Il Collegio ha rilevato che il comma 1 lett. d dell'art. 44 legge adozione, «prevede la possibilità, in generale, di procedere all'adozione in casi particolari «anche quando non ricorrano le condizioni di cui al comma 1 dell'art. 7 — che consente l'adozione legittimante «a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità», per i quali è stato accertato lo stato di abbandono: dunque, l'adozione ex art. 44, stando al significato letterale delle parole, puo' essere pronunciata sia che ricorra sia che non ricorra l'accertamento dello stato di abbandono, e la dichiarazione dell'adottabilità». Il Tribunale per i Minorenni di Roma, con la sentenza 30 dicembre 2015, prima della decisione della Corte aveva disposto l'adozione incrociata dei figli di due conviventi, sostenendo che «l'art. 44 c. lett. d) l. n. 184/1983, come modificato dalla l. n. 149/2001, non deve essere interpretato nel senso di prevedere come presupposto l'impossibilità di affidamento preadottivo solo di fatto, ma anche di diritto. L'unico presupposto è quindi l'impossibilità dell'affidamento preadottivo senza ulteriori specificazioni. Una diversa interpretazione non consentirebbe il perseguimento dell'interesse preminente del minore in situazioni, come quella nel caso di specie, in cui la figlia di persona convivente con l'adottante abbia con quest'ultima un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l'ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela». La posizione favorevole all'adozione coparentale tra coppie non sposate manifestata della Suprema Corte non ha, comunque, spianato completamente la strada all'adottabilità del figlio del partner civile. Il Tribunale per i Minorenni di Milano, con sentenza n. 261 del 17 ottobre 2016, ha successivamente disatteso esplicitamente la posizione della Cassazione e ha rigettato i ricorsi riuniti presentati da due donne unite civilmente che chiedevano di poter adottare reciprocamente i propri figli. La pronuncia del Tribunale per i Minorenni ha aderito all'interpretazione tradizionale della nozione di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» da intendersi «come una constatata impossibilità di fatto di procedere alla adozione legittimante ritenendo che la fattispecie riguardi solo i casi in cui sussista una effettiva situazione di abbandono (seguita, per taluni interpreti, anche dalla espressa dichiarazione di adottabilità) e non sia stato possibile di fatto collocare il minore ad es. per l'età già adolescenziale, per caratteristiche personologiche e/ o psicologiche «difficili» etc. che non hanno consentito il reperimento di una famiglia disponibile ad accoglierlo». Il medesimo Tribunale (sentenza 20 ottobre 2016, n. 268) ha rigettato anche la richiesta di adozione ai sensi della lettera d) del convivente more uxorio. La Corte di Cassazione ha rilevato come la giurisprudenza abbia tenuto in considerazione l’interesse del minore, ammettendo l’adozione non legittimante in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d) della legge 4 maggio 1983, n. 184. In questa chiave si è affermato che: “si esclude che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore possa fondarsi esclusivamente sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner, non incidendo l’orientamento sessuale della coppia sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale “ (Cass. n. 221/2019). L'adozione in seguito ad affidamento preadottivoL'adozione in casi particolari può essere compiuta anche da «persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre» (art. 44, comma 1 lett. a legge n. 184/1983). Non vi è dubbio che le parti dell'unione civile possono essere affidatarie di un minore, la cui famiglia si trovi in momentanea situazione di difficoltà, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 184/1983, norma che estende detta possibilità anche al singolo, ovvero a conviventi. L'affidamento, se relativo ad un minore orfano di entrambi i genitori, può trasformarsi in adozione in casi particolari in favore degli affidatari, in base al nuovo testo dell'art. 44 lett. a) della l. n. 184/1983, novellato dalla legge n. 173/2015 in tema di salvaguardia della continuità affettiva. Non è quindi escluso che, proprio per legge, anche le parti dell'unione civile possano procedere ad un'adozione (sempre in casi particolari) di un minore privo di legame biologico con entrambe. Unioni civili e riconoscimento delle sentenze straniere di adozione pienaIn base a quanto previsto dall'art. 24 della Convenzione dell'Aja del 1993 (Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione), ratificata dall'Italia con legge n. 476/1998, lo Stato contraente può rifiutare il riconoscimento dell'adozione straniera solo se essa è manifestamente contraria all'ordine pubblico, tenuto conto del superiore interesse del minore. Quest'ultimo è un valore tutelato e riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, 26 giugno 2003, Maire c. Portugal). In Italia si sono registrate sentenze di merito favorevoli al riconoscimento di sentenze straniere di adozione del figlio del partner, qualificate come adozioni piene. Si segnalano due decreti dell'8 marzo 2017 depositati da due diversi collegi del Tribunale per i minorenni di Firenze che hanno riconosciuto efficacia in Italia a provvedimenti esteri di adozione a favore di due coppie di uomini. Tra le decisioni più significative, si segnala anche quella della Corte di appello di Milano, sez. famiglia, 1 dicembre 2015, n. 2543, che ha esaminato la questione della validità ed efficacia in Italia del provvedimento giudiziario spagnolo decretante l'adozione legittimante della figlia biologica della partner omosessuale. Il giudice ha accolto la richiesta di trascrizione, nei registri dello stato civile, dell'ordinanza di adozione facendo ricorso ai principi cardine di rilevanza nazionale e sovranazionale che devono ispirare il legislatore e l'interprete in materia di tutela e adozione dei minori, a partire dalla previsione costituzionale dell'art. 30 Cost. La corte territoriale ha escluso che si trattasse di un caso adozione internazionale, in quanto adottante ad adottata erano di cittadinanza italiana; ha altresì escluso che il caso potesse configurare un'ipotesi di adozione particolare ex art. 44, lett. b), legge n. 194 del 1983, non essendo le madri unite da un vincolo matrimoniale efficace in Italia al momento dell'adozione (le due donne avevano contratto matrimonio in spagna). La Corte di appello ha rilevato che gli artt. 65 e 66 della legge n. 218/ 1995 prevedono che i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone, nonché all'esistenza di rapporti di famiglia, come quelli di volontaria giurisdizione (tra i quali rientrano anche quelli di adozione) hanno effetto nell'ordinamento italiano e sono quindi riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando producono effetti nell'ordinamento dello Stato in cui sono stati pronunciati, non sono contrari all'ordine pubblico e sono stati rispettati i diritti di difesa. La Corte ha, quindi, dedotto la non contrarietà all'ordine pubblico (inteso come «ordine pubblico internazionale») dell'adozione con effetti legittimanti da parte di persona, ritenuta non coniugata per lo Stato Italiano, della figlia della partner dello stesso sesso, pronunciata legittimamente in uno Stato europeo, in base alle leggi di quel paese. La Corte ha, quindi, dedotto la non contrarietà all'ordine pubblico interno dell'adozione da parte di una persona singola, argomentando che l'adozione nell'ambito di una coppia dello stesso sesso non è in astratto contraria all'interesse del minore e che «ogni situazione deve essere valutata singolarmente, tenuto conto del preminente interesse del minore rispetto alle figure genitoriali e al suo diritto di convivere e/o mantenere regolari rapporti significativi con tutte le figure adulte di riferimento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali, ritenute in concreto adeguate ad assicurargli l'affetto e la cura indispensabili per la sua armoniosa crescita». Il Collegio ha, quindi, concluso ritenendo efficace anche nel nostro ordinamento la situazione giuridica di adozione piena o legittimante del minore. In seguito, anche la Corte di Appello di Napoli, con sentenza 30 marzo 2016, che ha accolto il ricorso di due donne, di cui una di cittadinanza italiana, sposate in Francia, che avevano richiesto all'ufficiale dello stato civile di un comune italiano di trascrivere le due sentenze di adozione piena e legittimante rese dal Tribunale di Lille, con le quali le ricorrenti avevano adottato ciascuna il figlio naturale dell'altra. La Corte di appello di Napoli ha riconosciuto l'efficacia nell'ordinamento giuridico italiano delle sentenze di adozione e ha ordinato la trascrizione delle stesse. La Corte ha confermato due importanti principi: 1) l'efficacia automatica nel nostro ordinamento dei provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché dell'esistenza dei rapporti i famiglia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, ai sensi degli artt. 65 e 66 legge in materia di diritto internazionale privato; 2) la non contrarietà all'ordine pubblico del provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra persone coniugate e i rispettivi figli riconosciuti dai coniugi, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell'adozione corrisponde al superiore interesse del minore. È il concetto di ordine pubblico internazionale che risiede l'unica possibile ragione ostativa al riconoscimento dell'adozione estera. Questo concetto è stato oggetto di pronunce di merito recenti (App. Napoli 30 marzo 2016; App. Milano 16 ottobre 2015, riguardante l'adozione della figlia della coniuge dello stesso sesso avvenuta in Spagna), che hanno considerato la genitorialitàsame sexnon contraria all'ordine pubblico internazionale. Un riferimento importantissimo, come abbiamo detto, è rappresentato dalla sentenza della Cass. n. 19566/2016. Il disegno che se ne trae è quello di un ordinamento aperto verso l'esterno, in ossequi agli artt. 10,11 e 117 della Costituzione e alla filosofia sottostante alle nostre disposizioni di diritto internazionale privato, e tollerante nei confronti di istituti sconosciuti o regolati diversamente, dovendosi l'analisi dell'interprete concentrarsi, anziché sulla diversità in sé, sugli «effetti»prodotti da tali istituti in Italia. Riconoscimento degli atti di nascita formati all'esteroUn'altra strada percorribile per attribuire rilevanza ai rapporti di filiazione nell'ambito delle unioni civili è quella del riconoscimento degli atti di nascita stranieri, ai sensi degli artt. 17,18 e 19 d.P.R. n. 396/2000 e dell'art. 33 legge n. 218/1995. La valutazione relativa al rispetto dell'ordine pubblico in merito alla trascrizione in Italia degli atti di nascita formati all'estero a seguito di contratti di maternità surrogata si presenta molto complicata, non solo alla luce della disciplina prevista dall'ordinamento dello stato civile, ma anche in considerazione dell'orientamento concernente il riconoscimento degli status personali, come parte integrante del rispetto della vita familiare sancito e tutelato dall'art. 8 della CEDU. In tema di filiazione, è stato, infatti, affermato che è la nascita a far sorgere il legame tra genitore e figlio ed è tale legame che deve essere protetto ai sensi dell'art. 8 della CEDU, anche nel caso in cui manchi la coabitazione familiare, o vi sia stato ritardo nel riconoscimento da parte del padre naturale, o affidamento del figlio ad altri partenti (Corte EDU, 24 aprile 1996, Boughanemi c. Francia, ric. n. 22070/93, par. 35). Nell'individuazione degli obblighi degli Stati per assicurare il rispetto di tale diritto alla vita familiare, appare di fondamentale rilevanza l'equilibrio tra il diritto dei singoli e gli interessi della collettività, soprattutto nell'interpretazione del par. 2 dell'art. 8 secondo il quale «non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del Paese, la difesa dell'ordine, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui». La Corte di Cassazione con sentenza, Cass. n. 7668/2020 ha affermato che non può essere accolta la domanda di rettificazione dell'atto di nascita di un minore nato n Italia, mediante l'inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica, sebbene la prima avesse in precedenza prestato il proprio consenso alla pratica della procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero, poiché nell'ordinamento italiano vige, per le persone dello stesso sesso, il divieto di ricorso a tale tecnica riproduttiva. La Corte Costituzionale con sentenza n. 230 del 2020 ha, invece, recentemente dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 20 della legge n. 76 del 2016 e dell'art. 29, comma 2, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sollevata, con riferimento agli artt. 2,3, primo e secondo comma, 30 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Secondo la Consulta, non è privo di rilievo il fatto che, ai fini della trascrivibilità in Italia di certificati di nascita formati all'estero, l'annotazione sugli stessi di una duplice genitorialità (nella specie femminile) è stata riconosciuta dalla giurisprudenza non contraria all'ordine pubblico, secondo le disposizioni di diritto internazionale privato (Cass. n. 12193/2019; Cass. n. 14878/2017; Cass. n. 19599/2016). La Corte di Cassazione, con sentenza Cass. n. 23319/2021, è recentemente intervenuta sulla questione affermando che in materia di stato civile, è legittimamente trascritto in Italia l'atto di nascita formato all'estero, relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo contrario all'ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso all'impiego da parte della ‘partner' di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali tecniche non sono consentite nel nostro ordinamento. La stessa Corte, con altra pronuncia, aveva invece assunto una posizione più prudenziale, sostenendo che in caso di minore concepito mediante l'impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nato all'estero, non è accoglibile la domanda di rettificazione dell'atto di nascita volta ad ottenere l'indicazione in qualità di madre del bambino, accanto a quella che l'ha partorito, anche della donna che a costei legata in unione civile, perché in contrasto con l'art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (Cass. n. 8029/2020). La giurisprudenza di legittimità oggi ha assunto una posizione più rigida. Per un aggiornamento v. sopra. Diritti successoriIl legislatore delle unioni civili tra persone appartenenti allo stesso sesso, nel suo sforzo di garantire agli uniti civilmente gli stessi diritti assicurati alle persone unite in matrimonio, ha provveduto ad estendere molta della disciplina in materia successoria, almeno per una sua parte. Ai sensi dell'art. 1, comma 21, il partner superstite di una unione civile ha i medesimi i medesimi diritti successori riconosciuti al coniuge, in virtù del rinvio operato dall'art. 1, comma 21 alla gran parte delle disposizioni del libro II del codice civile titolato «Delle successioni». La parte dell’unione civile è considerata un legittimario al pari del coniuge e, pertanto, alla medesima spetta una quota di patrimonio riservata, nella misura riconosciuta dalla legge al coniuge superstite (variabile a seconda del concorso con altri eventuali legittimari). Essa ha, altresì, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. In qualità di legittimario, la parte dell’unione civile può esercitare le azioni a tutela dei suoi diritti alle quali è titolato il coniuge superstite, nonché beneficiare dell’applicazione di tutte le norme dettate in tema di tutela della quota di riserva. La persona unita civilmente perde la qualifica di legittimario con lo scioglimento dell’unione civile conformemente alla procedura stabilita al riguardo dalla l. n. 76/2016. Nello specifico, si applicano alle unioni civili le norme relative a: - Indegnità (libro II, titolo I, capo III) - Legittimari (libro II, titolo I, capo X) - Successioni legittime (libro II, titolo II) - Collazione (libro II, titolo IV, capo II) - Patto di famiglia (libro II, titolo IV, capo IV bis) In virtù della clausola di garanzia contenuta nell'art. 1, comma 20, con la conseguenza che sono applicabili alle unioni civili anche tutte le disposizioni generali in tema di successione, con la conseguenza che l'unito civilmente è successore legittimo e legittimario. In mancanza di testamento del partner premorto o nel caso in cui il testamento non regolamenti l'intero asse, il partner concorre con gli altri eventuali eredi e allo stesso l'ordinamento riserva una quota dell'asse ereditario, in ragione della previsione sostanziale contenuta nell'art. 540, recante “Riserva a favore del coniuge” a questi, o della parte dell'unione civile, rimane riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge (o dell'altra parte dell'unione civile), facendosi salve le disposizioni di cui all'art. 542, segnatamente per il caso di concorso con i figli. Quindi, ai sensi del succ. comma 2 al coniuge (o alla parte dell'unione civile), restano riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. La previsione della norma sostanziale di cui all'art. 544 c.c., reca la disciplina della materia riguardante il concorso degli ascendenti e del coniuge. Essa stabilisce, pertanto, che quando chi muore non lascia figli, ma ascendenti e il coniuge (o la parte dell'unione civile, rimane riservate a quest'ultimo) la metà del patrimonio, mentre agli ascendenti è riservato un quarto. Per il caso, poi, di pluralità di ascendenti la quota di riserva ad essi attribuita, resta ripartita tra gli stessi in base ai criteri fissati dalla norma di cui all'art. 569 c.c. Come per il matrimonio, il partner superstite è legittimato a chiedere la divisione delle comunione ereditaria, è tenuto alla collazione, e partecipa alle operazioni previste in caso di patto di famiglia. Sul piano dei diritti successori la nuova formazione sociale può ritenersi sovrapponibile al matrimonio. Anche in ambito previdenziale, la parte dell'unione civile è equiparata al coniuge e ad essa è riconosciuto il diritto di percepire l'indennità di mancato preavviso, il TFR di spettanza del defunto lavoratore subordinato e la pensione di reversibilità. All'expartner dell'unione civile sono riconosciuti alcuni diritti sull'asse relitto del de cuius. In ragione del richiamo espresso all'art. 9-bis della legge n. 898 del 1970 (ex art 1, comma 25 legge n. 76), è prevista l'attribuzione all' expartner superstite, al quale sia stato riconosciuto il diritto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento di cui all'art. 5 della legge divorzio e che versi in stato di bisogno, di un assegno periodico a carico dell'eredità. L'unico modo che ha il divorziato di partecipare alla successione, in relazione alla pregressa qualità di coniuge è quello indicato dall'art. 9-bis della legge n. 898 che prevede che il beneficiario di somme periodiche di denaro corrisposte a norma dell'art. 5 della legge citata, possa ricevere, in caso di morte dell'obbligato, qualora versi in stato di bisogno, un assegno a carico dell'eredità. Si tratta di un diritto che si giustifica a motivo della cessata corresponsione dell'assegno di divorzio per morte dell'obbligato, permanendo lo stato di bisogno del percettore, diritto che nasce sulla base di presupposti e condizioni diverse da quelle su cui si fonda l'assegno divorzile. I pochi precedenti giurisprudenziali sull'argomento provano la scarsa applicazione pratica dell'istituto. Non vi è accordo in dottrina sulla qualificazione giuridica dell'assegno e la diversità di posizioni dottrinali influisce concretamente sull'interpretazione della norma e sulla sua portata. Alcuni considerano l'assegno a carico dell'eredità un diritto di natura successoria, qualificando lo stesso come «legato ex lege» (in tal senso Mezzanotte, La successione anomala del coniuge, Napoli, 1989, 101; Bruscuglia — Giusti, Commentario alla riforma del divorzio, Milano, 1987, 127; Dogliotti, 268). Altri attribuiscono la natura di diritto di credito, mentre secondo alcuni la locuzione «stato di bisogno» contenuta nell'art. 9-bis depone per la funzione alimentare del diritto (M. Finocchiaro, in A.e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Il divorzio, Milano, 1988, n. 645). L'assegno periodico non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 l. n. 898/1970 legge divorzio sono stati soddisfatti in un'unica soluzione. Il giudice ordinario ne determina l'entità, tenendo conto della misura dell'assegno di mantenimento, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della quantità di eredi e delle condizioni economiche. A tale riguardo, l'entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell'indigenza, bensì in relazione al contesto socio-economico del richiedente e del de cuius (Cass. n. 1253/2012). Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno a carico dell'eredità può avvenire in unica soluzione. Il diritto all'assegno si estingue se il beneficiario contrae una nuova unione civile, si sposa o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno, l'assegno può essere nuovamente attribuito. Patto di famiglia Il capo V-bis del titolo V libro II (artt. 768-bis a 768-octies c.c.) cui l'art. 1, comma 21 legge n. 76/2016 espressamente rinvia, disciplina il c.d. patto di famiglia, il contratto con cui l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote, ad uno o più discendenti (art. 768-bis c.c.). La disciplina relativa alla costituzione di un patto di famiglia si applica alle unioni civili, con la conseguenza che al contratto, che deve essere concluso per atto pubblico, deve partecipare anche il partner dell'unione civile e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione, ai quali viene così liquidata in anticipo la quota di legittima. La pensione di reversibilità e la pensione indiretta Ai sensi dell'art. 1, comma 20, legge n. 76 del 2016, norma che estende le garanzie previste per il coniuge agli uniti civilmente, alla morte del partner pensionato, la parte superstite acquisisce il diritto alla pensione di reversibilità, ovverosia ad una prestazione economica calcolata sulla pensione del defunto, in una percentuale variabile a seconda che il partner sia l'unico beneficiario o se concorra con altri beneficiari ex lege e a seconda che goda o meno di altri redditi e, eventualmente, in quale ammontare. Sotto questo profilo vi è una sostanziale equiparazione tra coniuge ed unito civilmente. La pensione di reversibilità è uno strumento, introdotto con il regio decreto legge 14 aprile 1939 n. 636, volto a tutelare i coniugi, soprattutto le donne, che non avevano una pensione propria e che spesso avevano un reddito al di sotto della soglia di povertà. Come è noto, il partner concorre alla pensione di reversibilità con altri beneficiari. Tali sono: 1) Figli del de cuius, minori di 18 anni o studenti di scuola media superiore di età compresa tra i 18 e i 21 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa o studenti universitari per tutta la durata del corso legale di laurea e, comunque, non oltre i 26 anni, a carico del genitore deceduto e che non svolgono attività lavorativa o inabili di qualunque età a carico del genitore deceduto. A ciascuno dei figli spetta il 20% se ha diritto a pensione anche il coniuge/partner, oppure il 40% se hanno diritto a pensione soltanto i figli. 2) Nipoti del de cuius, che la Corte Costituzionale ha equiparato ai figli includendoli tra i destinatari della pensione di reversibilità, purché di età inferiore ai 18 anni e a carico del dante causa, anche se non formalmente affidati allo stesso. È beneficiario della pensione di reversibilità oltre al partner superstite anche l'ex partner. Quest'ultimo, ai sensi dell'art. 9, comma 2 l. n. 898/1970 (legge div.) (espressamente richiamato dall'art. 1, comma 25 legge n. 76), ha diritto alla pensione di reversibilità se è titolare di assegno di mantenimento e non ha contratto nuova unione civile o matrimonio, purché il dante causa risulti iscritto all'ente pensionistico prima della sentenza di scioglimento dell'unione civile. Nel caso in cui vi sia concorso tra partner superstite ed ex partner (o ex coniuge), aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione spettante al partner è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, all'ex partner. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze. In caso di morte di uno dei due partner titolari della pensione di reversibilità, a quello sopravvissuto viene attribuita la quota intera. In caso di costituzione di una nuova unione civile (o matrimonio) da parte del beneficiario, quest'ultimo perde il diritto alla pensione di reversibilità, ma acquisisce il diritto a percepire una somma una tantum, pari a due annualità della pensione. Si tratta di una sorta di «buonuscita» prevista dal decreto luogotenenziale n. 39 del 18 gennaio 1945. Qualora il de cuius, al momento del decesso ancora lavorasse e avesse versato un minimo di contributi previsti dalla legge, al partner superstite spetta comunque la pensione indiretta (d.lgs. n. 503/1992). La totale parificazione tra coniuge ed unito civilmente anche sotto il profilo previdenziale ha consentito al legislatore italiano di conformarsi ai principi comunitari. La Corte di Giustizia europea, con la sentenza pronunciata il 10 maggio 2011 (causa C. 147/08, J. Romer contro Freie und Hansestadt Hamburg) ha affermato che costituisce una violazione della direttiva n. 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, la situazione in cui una pensione complementare di vecchiaia versata ad una persona legata ad un partner in un'unione civile sia inferiore, a parità di altre condizioni, a quella concessa ad una persona sposata. La pronuncia riguarda il caso di un cittadino tedesco omosessuale cui era stata negata la pensione maturata dal compagno di vita con i propri contributi previdenziali. Secondo la Corte di giustizia i contributi previdenziali sono versati da tutti i lavoratori senza distinzione di sesso, pertanto, negare le pensioni di reversibilità alle coppie di unioni civili avrebbe significato, pertanto, violare una direttiva comunitaria contro le discriminazioni sul lavoro. Modifica dell'art. 86 c.c. in materia di libertà di stato per contrarre matrimonioCon l'art. 1, comma 32, si introduce una modifica all'art. 86 (libertà di stato) c.c., prevedendo tra le cause di invalidità del matrimonio anche la sussistenza di una precedente unione civile tra persone dello stesso sesso. L'art. 86 c.c. stabilisce che: «Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente». Al fine di accertare la libertà di stato di un soggetto, è necessario verificare presso i registri dello stato civile che questi non sia unito da altro matrimonio produttivo di effetti civili. Ne consegue che la libertà di stato ha rilievo solo per gli effetti civili del matrimonio, non riguarda il matrimonio religioso. Il divieto è diretto non solo a chi sia già vincolato da precedente matrimonio ed intenda celebrare nuove nozze (il quale deve dichiarare la libertà di stato), ma anche all'Ufficiale di stato civile al quale provenga la richiesta di pubblicazione, il quale deve verificare l'esattezza dell'autocertificazione e può acquisire d'ufficio gli eventuali documenti necessari (art. 51, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). L'Ufficiale di Stato civile è quindi tenuto a verificare, per consentire le pubblicazioni, che le parti che intendono unirsi in matrimonio non abbiano contratto una unione civile. Nel caso di cessazione degli effetti civili o di annullamento del precedente matrimonio, è necessario che la relativa sentenza abbia efficacia di cosa giudicata e sia annotata nei registri dello stato civile. Con riguardo alla nullità del matrimonio derivante dalla violazione degli artt. 86, 87 e 88 c.c. (mancanza di libertà di stato, vincolo di parentela, affinità, adozione ed affiliazione, omicidio), lo «interesse legittimo ed attuale», la cui titolarità è richiesta, ai sensi dell'art. 117 primo comma c.c., per la legittimazione dell'impugnazione del matrimonio stesso da parte di soggetti diversi dai coniugi, dagli ascendenti, prossimi e dal pubblico ministero, non può identificarsi con qualunque interesse, morale o patrimoniale, giuridicamente rilevante per la rimozione del vincolo invalido, secondo gli ampi criteri operanti per l'Azione di nullità del contratto (art. 1421 c.c.), ma è ravvisabile, alla stregua dei principi generali che circoscrivono e limitano le cause di invalidità del matrimonio e le azioni per farle valere, nei soli casi in cui siano posizioni soggettive di terzi attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene da incidere, e che inoltre traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso (Cass. n. 720/ 1986). Modifica dell'art. 124 c.c. in materia di libertà di stato per contrarre matrimonioIl comma 33 dell'art. 1 della legge in commento, modifica l'art. 124 (vincolo del precedente matrimonio) prevedendo l'impugnabilità in ogni tempo da parte del coniuge della precedente unione civile contratta dall'altro coniuge. La giurisprudenza di legittimità si era già espressa ritenendo che l'azione di impugnazione del matrimonio contratto in violazione dell'art. 86 c.c. (vincolo di un precedente matrimonio), qualunque fosse il soggetto ammesso dall'art. 117 c.c. ad esercitarla era imprescrittibile (Cass. n. 629/ 1979). Più in particolare l'art. 124 c.c. dispone che «Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile tra persone dello stesso sesso dell'altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata». Come noto, il rapporto nascente dal matrimonio è monogamico: sono pertanto legittimati alle nozze solo coloro che hanno lo stato libero. Chi ha già contratto matrimonio può contrarne uno nuovo vincolo solo nel caso in cui il precedente sia stato sciolto, annullato o dichiarato nullo. In ipotesi contraria, il nuovo matrimonio può essere impugnato, con azione imprescrittibile, dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che vi abbiano interesse. 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