Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 6 - Competenza sussidiariaCompetenza sussidiaria Se nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 e nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato parte della convenzione di Lugano che non sia uno Stato membro è competente in virtù delle disposizioni di detta convenzione, sono competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti. InquadramentoGli artt. 6 e 7 del regolamento (CE) n. 4/2009 prevedono due fori c.d. «sussidiari», destinati cioè ad operare ove la giurisdizione non possa essere radicata alla luce delle norme precedenti. L'art. 6 pone, indubbiamente, una disposizione innovativa rispetto al regolamento (CE) n. 44/2001 il quale (con l'eccezione dei casi di competenza esclusiva e di competenza prorogata) vede(va) limitata la propria efficacia all'ipotesi di convenuto domiciliato in uno Stato membro (Pocar — Villata, 2009, 816). La scelta del regolamento del 2001 si spiega, secondo gli autori da ultimo citati, alla luce della predisposizione di un regime di competenza che integra un sistema completo nel quale la distribuzione della competenza fra gli Stati membri è basata sulla fiducia reciproca in ordine al corretto esercizio dell'attività giurisdizionale; sistema che non richiede, pertanto, la previsione di situazioni eccezionali da regolare con criteri di giurisdizione residuale (Pocar — Viarengo, 2009, 816). Una competenza residuale è prevista invece — mediante il richiamo alla legge dello Stato il cui giudice è adito — dal regolamento (CE) n. 2201/2003 tanto con riferimento alle controversie in materia di divorzio, separazione personale ed annullamento del matrimonio (art. 7) quanto con riferimento alle controversie in materia di responsabilità genitoriale (art. 14). Analoga scelta è stata compiuta dal regolamento (CE) n. 4/2009, teso a delineare un regime di giurisdizione autosufficiente e completo, quasi del tutto impermeabile (un caso di mancata impermeabilità è, in verità, ravvisabile nell'ipotesi in cui, non applicabili i titoli di giurisdizione contemplati all'art. 6 e neppure quello previsto all'articolo 7, i coniugi non abbiano la cittadinanza comune di uno Stato membro) alla possibilità che la cognizione della controversia da parte del giudice di uno Stato membro possa essere fondata su titoli differenti da quelli uniformi (Pesce, 2013, 145; Pocar — Viarengo, 2009, 816-817) quali, in particolare, quelli individuati dalle leggi di diritto internazionale privato nazionali. La tendenza a preferire il foro (pur) sussidiario individuato in modo uniforme rispetto a quello derivante dalle leggi di diritto internazionale privato nazionali si spiega del resto anche nella prospettiva di garanzia di un più elevato grado di prevedibilità del foro competente (Pesce, 2013, 145 — 146). Il criterio della cittadinanza comune delle partiNel caso in cui la giurisdizione non possa essere radicata sulla base degli articoli 3, 4 e 5 e se nessun giudice di uno Stato parte della convenzione di Lugano del 2007 che non sia uno Stato membro è competente sulla base della medesima convenzione di Lugano, il regolamento (CE) n. 4/2009 prevede che sia competente il giudice dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti. La ratio della norma è stata sopra individuata. Appare in questa sede significativo osservare come l'obiettivo di realizzare un sistema di giurisdizione autosufficiente, completo ed assistito da un elevato grado di prevedibilità del foro sia stato conseguito mediante la valorizzazione della cittadinanza comune delle parti del rapporto obbligatorio. Quella medesima cittadinanza comune che (a differenza di quanto previsto all'art. 3, lett. b) del regolamento CE n. 2201/2003) non vale ad individuare un titolo generale di giurisdizione nel caso di parti residenti negli Stati membri è stata dal legislatore europeo assurta quindi a titolo di giurisdizione sussidiario nel caso di cittadini di Stati membri residenti in Stati terzi, in guisa di foro «coloniale» che assicura ai «cittadini dell'impero» l'accesso al giudice di origine (Pesce, 2013, 146; Villata, 2011, 753). Risulta in questo modo assicurata a tutti i cittadini dell'Unione la facoltà di adire il giudice dello Stato di cittadinanza (Giacomelli, 2014, 82). Tanto peraltro può dirsi — stante il tenore letterale della norma — per il solo caso in cui le parti abbiano una comune cittadinanza di uno Stato membro. Ove invece difetti tale comune cittadinanza, la giurisdizione dovrà essere radicata sulla base delle norme nazionali (in particolare, di diritto internazionale privato) del giudice adito. Fermo quanto sopra osservato, il rilievo della norma può comprendersi tenendo presente che, secondo quanto sostenuto in dottrina, ove una simile disposizione non fosse stata prevista dal legislatore, in difetto dei titoli di giurisdizione destinati ad operare in via principale, il giudice adito avrebbe dovuto (sulla base dell'art. 10 del regolamento qui in esame) spogliarsi della controversia, senza poter far riferimento ad eventuali, diverse previsioni interne di diritto internazionale privato, con il conseguente rischio di dar luogo ad un diniego di giustizia (Pesce, 2013, 145). Quanto alla nozione di cittadinanza, deve osservarsi che, in difetto di previsione autonoma a livello europeo, la stessa dovrà essere desunta dalla disciplina dettata nei singoli ordinamenti degli Stati membri, ferma la mancata possibilità, alla luce della giurisprudenza di seguito indicata, di operare discriminazioni tra la nazionalità del foro e quella di uno Stato terzo (Pesce, 2013, 148). Qualche perplessità può suscitare il richiamo, quale elemento idoneo ad escludere l'applicabilità del foro sussidiario in esame, alla convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. In dottrina (Marino, 2010, 380), si è in effetti osservato che l'equiparazione posta dall'art. 6 del regolamento tra Stati membri e Stati aderenti alla convenzione da ultimo citata è criticabile, essendo in verità discutibile che tra i giudici degli Stati parte della convenzione di Lugano vi sia lo stesso grado di fiducia esistente tra i giudici degli Stati membri. Tanto considerato sia che gli Stati della convenzione di Lugano non partecipano al mercato interno, ma, solo, ad un'associazione di libero scambio, sia che rispetto a tali Stati (ove gli stessi non siano anche Stati membri) non possono trovare applicazione i molteplici strumenti di cooperazione giudiziaria in vigore nell'Unione europea, sia, infine, che sussistono importanti differenze, quanto al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni, tra la disciplina dettata dalla convenzione e quella prevista dal regolamento, sì che per le parti può non essere indifferente l'adozione di una decisione da parte di uno o di altro giudice. La stessa autrice da ultimo citata giustifica tuttavia l'equiparazione compiuta dall'art. 6 alla luce della necessità di non disconoscere i titoli di giurisdizione relativi alla competenza di autorità giudiziarie comunque vicine a quelle dell'Unione e che trovano la loro fonte in un atto (la convenzione di Lugano, appunto) al quale l'Unione è vincolata. Tale ultima circostanza appare particolarmente importante atteso che ove il giudice dello Stato membro si ritenesse sussidiariamente competente con riferimento ad un giudizio per il quale, sulla base della convenzione di Lugano, è competente uno Stato dell'EFTA, vi sarebbe una violazione della convenzione (Marino, 2010, 381). Chiamata a pronunciarsi sull'interpretazione dell'art. 3, n. 1, lett. b) del regolamento (CE) n. 2201/2003, Corte giustizia UE (con decisione che è destinata ad avere rilievo anche con riferimento alla norma qui esaminata) 16 luglio 2009, C-168/08, Laszlo Hadadi c. Csilla Marta Mesko, ha chiarito che la norma da ultimo citata osta a che il giudice dello Stato membro richiesto consideri i coniugi aventi entrambi la cittadinanza sia dello Stato del foro, sia di altro Stato membro unicamente come cittadini dello Stato membro richiesto. Il giudice, prosegue la Corte, è invece tenuto a valutare che i coniugi possiedono anche la cittadinanza dello Stato membro di origine e che, pertanto, i giudici di quest'ultimo Stato avrebbero potuto essere competenti a conoscere della controversia. Ne discende, quindi, che nel caso in cui le parti abbiano in comune più cittadinanze di Stati membri, sussisteranno diversi giudici residualmente competenti, non potendo il giudice dello Stato richiesto, in quanto tale, dar prevalenza alla cittadinanza del foro. Alla luce della giurisprudenza da ultimo citata si è prospettata l'incompatibilità con il diritto dell'Unione dell'art. 19, comma 2, legge 31 maggio 1995, n. 218 nella parte in cui tale disposizione prevede che, ove tra le più cittadinanze vi sia quella italiana, questa è destinata a prevalere (Queirolo — Schiano di Pepe, 2010, 354-355). BibliografiaCastellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; Giacomelli, La competenza giurisdizionale nelle controversie in materia di obbligazioni alimentari, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014; Milano, 2010; Marino, Il difficile coordinamento delle fonti nella cooperazione giudiziaria in materia di obbligazioni alimentari, in Contr. impr. EU 2010, 363 ss.; Pesce, Le obbligazioni alimentari tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea, Roma, 2013; Pocar - Viarengo, Il regolamento (CE) n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2009, 805 ss.; Queirolo - Schiano di Pepe, Lezioni di diritto dell'Unione europea e relazioni familiari, Torino, 2010; Villata, Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. internaz. 3, 2011, 731 ss.. |