Legge - 31/05/1995 - n. 218 art. 68 - Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero.Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero. 1. Le norme di cui all'articolo 67 si applicano anche rispetto all'attuazione e all'esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva. InquadramentoPer richiedere il riconoscimento è necessario, come precisato anche in sede di legittimità, che ricorra almeno uno dei presupposti indicati dalla norma in esame, ossia la mancata ottemperanza alla sentenza straniera o la contestazione del suo riconoscimento ovvero la necessità di procedere ad esecuzione forzata (cfr. Cass., n. 16991/2007). Il d.lgs. n. 150/2011, in tema di semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ha stabilito, all'art. 30, che le controversie relative all'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono sottoposte al rito sommario di cognizione, regolato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c Giova ricordare cheil procedimento sommario di cognizione è un rito speciale cognitivo che si affianca a quello ordinario a cognizione piena per la tutela delle situazioni soggettive sostanziali con l'emanazione di provvedimenti idonei al giudicato e nel quale, invero, non muta la qualità della cognizione. Nel giudizio di riconoscimento, l'accertamento del giudice ha natura puramente dichiarativa — non costitutiva —, risolvendosi nel mero accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti perché l'atto straniero possa esplicare i propri effetti in Italia e la Corte di appello adita deve limitarsi ad accertare l'esistenza di tali requisiti, indicati (per le sentenze) dall'art. 64, non potendo procedere né a una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento di quei requisiti (Cass. I, n. 16991/2007).. PremessaLa disposizione in commento prevede che per chiedere il riconoscimento è necessario, come precisato anche in sede di legittimità, che ricorra almeno uno dei presupposti indicati dalla disposizione in esame , ossia la mancata ottemperanza alla sentenza straniera o la contestazione del suo riconoscimento ovvero la necessità di procedere ad esecuzione forzata (Cass., n. 16991/2007). Pertanto il giudizio di cui all'art. 67 è concepito dalla norma in termini di accertamento, non necessario, ma richiesto se sia presente ed avvertito un sufficiente interesse alla certezza giuridica (Consolo, 1997, 590). In questa prospettiva la S.C. ha di recente affermato che, in tema di stato e capacità delle persone, la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della trascrizione del provvedimento straniero può essere proposta anche in assenza del rifiuto dell'ufficiale dello stato civile a provvedervi, atteso che l'interesse ad agire sussiste, ai sensi dell'art. 67 l. n. 218 del 1995, tutte le volte in cui ricorra, in concreto, almeno uno dei presupposti di cui al comma 1 di tale norma – e, cioè, la mancata ottemperanza alla sentenza straniera o la contestazione del suo riconoscimento o la necessità di procedere ad esecuzione forzata – e può sopravvenire anche nel corso del giudizio, non essendo necessaria la sua sussistenza al momento della domanda, purché sia presente al momento della decisione (Cass. I, n. 10671/2023, in fattispecie nella quale la S.C., con riguardo ad una domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di efficacia in Italia di una sentenza tedesca di accertamento della paternità, ha confermato la sentenza di accoglimento della corte territoriale, in quanto il ricorrente, costituendosi in giudizio dinanzi alla predetta autorità giudiziaria, aveva espressamente contestato il riconoscimento della pronuncia straniera, così facendo sorgere l'interesse ad agire della parte istante). Rito applicabileDopo alcune iniziali incertezze, la S.C. aveva chiarito che la domanda di accertamento dei requisiti per dichiarare l'efficacia delle sentenze straniere ed eseguirle era assoggettata al rito ordinario di cognizione, pur potendo svolgersi in forme camerali ove fosse stato rispettato il diritto di difesa delle parti (v., tra le altre, Cass. I, n. 17065/2012). Quanto all'atto introduttivo del giudizio, in sede applicativa si era evidenziato che l'art. 67 l. 218/1995, nel disporre che l'istanza per l'accertamento dei requisiti del riconoscimento di una sentenza straniera va proposta alla corte di appello, nulla dice in ordine al come detta istanza debba essere proposta, se cioè con citazione o con ricorso, dimodoché non assume valore dirimente la forma dell'atto introduttivo del giudizio di delibazione della sentenza straniera, alla esclusiva e necessaria condizione che il contraddittorio sia stato assicurato (App. Bari I, n. 1123/2004, in giurisprudenzabarese.it). La S.C. aveva comunque sia chiarito che rispetto al procedimento previsto dalla norma in esame, per il caso di contestazione del riconoscimento di una sentenza straniera, l'erronea adozione del rito camerale, in luogo di quello ordinario di cognizione, costituisce una irregolarità che può assumere rilievo solo in quanto abbia determinato uno specifico pregiudizio allo svolgimento dell'attività difensiva delle parti (Cass. I, n. 13662/2004). Il d.lgs. n. 150/2011, in tema di semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, stabiliva, all'art. 30, che le controversie relative all'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono sottoposte al rito sommario di cognizione, regolato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. Tale disposizione, per i procedimenti incardinati dalla data del 28 febbraio 2023, è stata modificata nel senso che il rito applicabile è quello semplificato di cognizione. È stato previsto che la causa venga trattata in composizione collegiale, in conformità all'assetto previgente (v., in sede di legittimità, Cass. I, n. 365/2003). La competenza è demandata alla Corte d'appello del luogo di attuazione o esecuzione del provvedimento straniero. Sotto quest'ultimo profilo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno precisato che nel giudizio di riconoscimento di sentenze straniere in Italia ai sensi dell'art. 67 l. n. 218/1995, quando si renda necessario procedere ad esecuzione forzata per la loro attuazione, sussiste la giurisdizione del giudice italiano anche se all'attualità manchino in Italia beni da sottoporre all'esecuzione e la corte d'appello, attesa la natura ed i limiti di tale giudizio, deve limitarsi ad accertare, al fine di pronunciare il riconoscimento, la sussistenza dei soli requisiti per il riconoscimento automatico di cui all'art. 64 l. cit. (Cass. S.U., n. 27338/2008: nella specie, è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d'appello la quale aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano reputando insufficiente la allegazione delle parti attrici riguardante l'intenzione di eseguire la sentenza in Italia, in assenza della indicazione dei beni sui quali doveva essere effettuata l'esecuzione). Nei procedimenti per i quali l'art. 70 c.p.c. prevede l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero, come in quelli in tema di divorzio, detto intervento deve realizzarsi anche nel giudizio di riconoscimento di cui alla disposizione in esame (in senso contrario v., però, Attardi, 781). Sul punto, infatti, la S.C. ha chiarito che, pur essendo venuta meno, in via generale, l'obbligatorietà della presenza del p.m. nelle cause di riconoscimento di sentenze straniere per effetto dell'abrogazione dell'art. 796, ultimo comma, c.p.c. ad opera dell'art. 73 l. n. 218/1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il coordinamento di quest'ultima legge con le disposizioni del codice di rito civile che regolano la presenza del p.m. in specifiche tipologie di controversie, in ragione dei profili pubblicistici e dell'interesse generale sotteso a tali giudizi, rende pur sempre necessaria la partecipazione del p.m. nelle cause di riconoscimento di sentenze straniere di divorzio, ai sensi dell'art. 70, comma 1, numero 2, c.p.c. (Cass. I, n. 19277/2003). Ove in concreto il pubblico ministero intervenga, dovrà ritenersi operante l'art. 72, comma 4, c.p.c. e quindi ritenere sussistente il potere dello stesso di impugnare la sentenza (Consolo, 1997, 594). Il procedimento si conclude, essendo ora assoggettato al rito semplificato di cognizione, con sentenza, impugnabile nei modi ordinari. Oggetto del giudizioIn caso di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera, ai sensi dell'art. 67 l. n. 218/1995, l'indagine relativa alla sussistenza dei requisiti del riconoscimento deve essere compiuta dal giudice anche d'ufficio, a prescindere, cioè, dai termini in cui la richiesta sia stata formulata dalla parte richiedente, ancorché tale indagine incontri i limiti delle risultanze processuali, restando a carico della parte che abbia chiesto il riconoscimento il mancato riscontro delle prescritte condizioni (Cass. I, n. 13662/2004). Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno recentemente chiarito che, in sede di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale estero ex art. 67 della l. n. 218 del 1995, la verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale deve riguardare esclusivamente gli effetti che l'atto è destinato a produrre nel nostro ordinamento e non anche la conformità alla legge interna di quella straniera posta a base della decisione, né è consentito alcun sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione adottata, essendo escluso il controllo contenutistico sul provvedimento di cui si chiede il riconoscimento (Cass. SU, n. 9006/2021). Peraltro, l'azione di riconoscimento non ha ad oggetto l'accertamento del rapporto giuridico sostanziale, che è già stato compiuto dalla sentenza straniera automaticamente efficace in Italia: in sostanza, l'accertamento verte su situazioni processuali, le condizioni del riconoscimento, e non sostanziali (Attardi, 760 ss.). Questa prospettiva appare accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità, nell'ambito della quale è stato più volte affermato che nel procedimento previsto dalla norma in esame, l'accertamento del giudice ha natura puramente dichiarativa — non costitutiva —, risolvendosi nel mero accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti perché l'atto straniero possa esplicare i propri effetti in Italia e la Corte di appello adita deve limitarsi ad accertare l'esistenza di tali requisiti, indicati (per le sentenze) dall'art. 64, non potendo procedere né a una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento di quei requisiti (Cass. I, n. 16991/2007). Poiché il giudizio di riconoscimento non ha ad oggetto situazioni di carattere sostanziale, nello stesso non è ammesso l'intervento volontario di terzi ex artt. 105 e ss. c.p.c. e contro la decisione assunta non potrà essere proposta l'opposizione di terzo, ordinaria o revocatoria, non potendo esservi diritti di terzo pregiudicati o avvantaggiati nelle loro situazioni di carattere sostanziale dal riconoscimento, quanto direttamente dalla pronuncia riconoscenda (Consolo, 1997, 595). Per alcuni deve ritenersi sussistente, tuttavia, la legittimazione straordinaria a proporre azione di riconoscimento ai terzi titolari di rapporti dipendenti da quello deciso, attesa l'ampia locuzione «chiunque vi abbia interesse» utilizzata dalla norma in esame (Attardi, 781). In relazione, poi, alla natura di azione di mero accertamento che non fa valere una situazione sostanziale di quella di riconoscimento della sentenza straniera, si è ritenuto che la stessa sia imprescrittibile, non trovando applicazione i termini di prescrizione del codice civile, trattandosi di un'azione assoggettata a decadenza che deve essere espressamente prevista dalla legge (Consolo, 1997, 592). In questa direzione v. anche App. Milano, 27 luglio 1999, in Riv. dir. internaz. priv. proc. 2000, 763. È inoltre incontroverso che nei giudizi di riconoscimento di sentenze straniere, a norma dell'art. 67 della l. n. 218/1995, non sono ammissibili — data la natura speciale della prevista competenza in unico grado della Corte d'appello, che deroga alla regola del doppio grado di giurisdizione, e attesi i limiti propri di tali giudizi, domande cumulate di natura diversa da quella del mero accertamento dei requisiti per il riconoscimento della sentenza (Cass.S.U., n. 22663/2006). Contestazione incidentale dell'efficacia della sentenza stranieraIl codice di procedura civile del 1942, già prevedeva, con l'art. 799 c.p.c., l'istituto del riconoscimento incidentale della decisione straniera in un giudizio pendente, in quanto consentiva la delibazione incidentale quando ricorrevano le condizioni per il riconoscimento del provvedimento estero a titolo principale ma il caso pendeva dinanzi al giudice italiano che non era quello investivo della competenza funzionale per il riconoscimento in via principale, ossia la Corte d'appello competente per territorio (Ballarino, 132). La sentenza straniera poteva essere fatta valere sia in via di azione, mediante la proposizione di una domanda riconvenzionale, sia in via di azione. Nel sistema attuale, il § 3 della norma in esame prevede che se la contestazione ha luogo nel corso di un processo, il giudice adito pronuncia con efficacia limitata al giudizio in corso. In dottrina si è osservato che sotto tale profilo la formula normativa lascia aperta la questione se se sia possibile proporre una domanda di accertamento con efficacia piena ove il giudice in concreto adito sia la Corte d'appello munita della relativa competenza funzionale: all'interrogativo potrebbe darsi una risposta affermativa in detta ipotesi, ove le parti del giudizio in corso ricomprendano quelle obbligate del giudizio principale di riconoscimento e quindi della sentenza straniera (Consolo, 1997, 597; v., con riferimento all'art. 799 c.p.c., in senso analogo, Satta, 1970, 148). 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