Legge - 31/05/1995 - n. 218 art. 65 - Riconoscimento di provvedimenti stranieri.

Rosaria Giordano

Riconoscimento di provvedimenti stranieri.

1. Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa.

Inquadramento

La norma in esame condiziona l'efficacia automatica delle decisioni straniere relative alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da un'autorità di altro Stato, esclusivamente al rispetto dell'ordine pubblico e dei diritti essenziali di difesa.

Si ritiene che venga in rilievo il «riconoscimento sostanziale internazionalprivatista»: in particolare, nelle materie relative alla capacità delle persone, ai rapporti di famiglia ed ai diritti della personalità, i provvedimenti avrebbero rilievo non soltanto agli effetti processuali ma anche a quelli sostanziali di diritto privato, in ragione dell'avvenuta concretizzazione normativa dei precetti generali di legge dettati dall'ordinamento competente, in base alle nostre norme di conflitto, a regolare tali rapporti (cfr., tra gli altri, Ziccardi, 485 ss.; Gaja, 409).

È discusso in dottrina, in questa prospettiva, il rapporto tra la disposizione in commento e l'art. 64 della stessa l. n. 218/1995 e, nello specifico, se si tratti di rapporto di specialità o di concorrenza.

Premessa

La disposizione subordina l'efficacia automatica delle decisioni straniere relative alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, esclusivamente al rispetto dell'ordine pubblico e dei diritti essenziali di difesa (contra, tuttavia, la posizione autorevole ma isolata di Attardi, 775 ss., per il quale dovrebbe ritenersi implicito il necessario rispetto anche degli altri requisiti prescritti dall'art. 64 della legge in esame).

In effetti, già nella vigenza dell'abrogato art. 796 c.p.c. (che condizionava il riconoscimento delle sentenze straniere al procedimento di delibazione), si tendeva, ad esempio, a riconoscere la libertà di stato conseguita dagli stranieri nel loro ordinamento nazionale in base ad una sentenza di divorzio emessa dai tribunali del loro stato oppure di uno Stato terzo ma riconosciuta in quello di cittadinanza, ammettendoli a contrarre nuove nozze. Questo dipendeva dalla circostanza che non si aveva, si riteneva, nel caso attribuzione di effetti alla sentenza straniera intesa come atto giurisdizionale quanto disciplina attraverso il richiamo internazionalprivatistico di una situazione soggetta ad una legge straniera dichiarata competente (cfr. Ballarino, 122 ss., il quale evidenzia che «si aveva, in sostanza, una forma di riconoscimento dei diritti acquisiti regolato sulla base delle nostre norme di diritto internazionale privata).

Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel regime previgente avevano ritenuto, in linea con questa ricostruzione, che la necessità della delibazione della sentenza straniera, come condizione della sua efficacia in Italia, può essere esclusa o nel caso in cui la sentenza stessa sia invocata come semplice documento probatorio, o per effetto di norme di diritto internazionale privato (sempre che la situazione considerata non sia già compiutamente regolata da norme del diritto materiale dell'ordinamento del foro), o nel caso in cui la situazione è regolata da una norma di diritto italiano che assuma a presupposto della disciplina uno o più elementi qualificanti alla stregua del diritto straniero. In base a quest'ultimo criterio, la sentenza straniera di divorzio può essere posta a base della domanda di scioglimento del matrimonio in Italia, ai sensi dell'art 3 n 2 l. n. 898/1970, senza necessita di previa delibazione (Cass.S.U., n. 2126/1974, in Foro it. 1974, I, 1, 2617, con nota di Florino).

Rapporti con l'art. 64 della l. n. 218/1995

Dalla stessa relazione alla legge n. 218/1995 e dai lavori preparatori, si evince che l'art. 65 è una norma che risente fortemente della figura del richiamato «riconoscimento sostanziale internazionalprivatista». Secondo autorevole dottrina, infatti, nelle materie relative alla capacità delle persone, ai rapporti di famiglia ed ai diritti della personalità, i provvedimenti avrebbero rilievo non soltanto agli effetti processuali ma anche a quelli sostanziali di diritto privato, in ragione dell'avvenuta concretizzazione normativa dei precetti generali di legge dettati dall'ordinamento competente, in base alle nostre norme di conflitto, a regolare tali rapporti (cfr., tra gli altri, Ziccardi, 485 ss.; Gaja, 409; Luzzatto, 1 ss.; rileva Condorelli, 94, che la concezione positivistica ed i riflessi della stessa sull'azione di delibazione non hanno mai radicalmente interrotto il nesso profondo tra il tema del riconoscimento e le norme di rinvio internazionalprivatistiche).

È in tale prospettiva controverso, in dottrina, il rapporto tra la disposizione in esame e l'art. 64 della stessa l. n. 218/1995 (v. relativo Comm.) che riguarda, in via generale, il riconoscimento delle sentenze straniere.

Per alcuni, le due norme si pongono in rapporto di specialità, sicché il riconoscimento dei provvedimenti esteri in tema di famiglia e stato delle persone è ammesso soltanto alle condizioni semplificate previste dalla norma in commento purché, tuttavia, detti provvedimenti provengano dalle autorità dello Stato le cui leggi sono competenti nel caso secondo il diritto internazionale privato (cfr. Carpi, per il quale il provvedimento straniero nell'art. 65 viene in rilievo come diritto applicato, come norma che disciplina concretamente il rapporto).

Per altri, invece, le due norme sono concorrenti, potendosi avere il riconoscimento delle sentenze straniere in materia di stato delle persone e di famiglia, avendo riguardo ai requisiti prescritti dall'una o dall'altra, a prescindere dalle modalità operative delle norme di conflitto secondo le modalità semplificate previste dalla norma in esame (Consolo, 1997, 590).

Intervenuta sulla questione, la S.C. ha chiarito che il nuovo complesso della disciplina del riconoscimento delle sentenze straniere in Italia, così come configurato dalla legge di riforma del sistema italiano di diritto privato italiano n. 218/1995, non ha delineato un trattamento esclusivo e «differenziato» delle controversie in tema di rapporti di famiglia riconducendole obbligatoriamente nell'ambito operativo della disciplina di cui all'art. 65 (e perciò anche dei suoi presupposti), ma ha descritto, con l'art. 64, un meccanismo di riconoscimento di ordine generale (riservato in sé alle sole sentenze), valido per tutti tipi di controversie, ivi comprese perciò anche quelle in tema di rapporti di famiglia e presupponente il concorso di tutta una serie di requisiti descritti nelle lett. da a) a g) di questa ultima disposizione normativa. Rispetto ad un tale modello operativo di ordine generale, la legge ha affidato poi, all'art. 65, la predisposizione di un meccanismo complementare più agile di riconoscimento — allargato, di per sé e questa volta, alla più generale categoria dei «provvedimenti» — riservato all'esclusivo ambito delle materie della capacità delle persone, dei rapporti di famiglia o dei diritti della personalità — il quale, nel richiedere il concorso dei soli presupposti della «non contrarietà all'ordine pubblico» e dell'avvenuto «rispetto dei diritti essenziali della difesa», esige tuttavia il requisito aggiuntivo per cui i «provvedimenti» in questione siano stati assunti dalle autorità dello Stato la cui legge sia quella richiamata dalle norme di conflitto (Cass. I, n. 10378/2004; Cass. I, n. 17463/2013).

Provvedimenti riconoscibili

A differenza dell'art. 64 della l. n. 218/1995, la norma in esame fa riferimento rispetto agli atti riconoscibili non già alla sola sentenza, come nella precedente esperienza dell'abrogato art. 796 c.p.c., bensì alla più lata locuzione di provvedimenti, consentendo così la riconoscibilità di atti amministrativi, frequenti, peraltro, nella materia dello stato delle persone e della famiglia (Consolo, 1997, 588).

In sede applicativa si è ad esempio ritenuto che ai sensi degli artt. 64 ss. l. n. 218/1995 la sentenza di adozione di minori cittadini italiani, da parte di un cittadino italiano ed una cittadina venezuelana, pronunciata all'estero tra persone residenti tutte nel medesimo Stato, può produrre effetti nel nostro ordinamento senza che sia necessaria alcuna procedura di verifica del titolo rinviando il controllo dei requisiti della loro ricevibilità nell'ordinamento italiano alla fase, meramente eventuale, della contestazione del titolo estero, di cui è investita la Corte d'appello, ex art. 67 della l. n. 218/1995 (Trib. min. Roma 4 giugno 2009, in Giur. merito 2010, n. 6, 1517, con nota di Giunti).

Il limite dell'ordine pubblico in materia familiare

La condizione di fondatezza dell'azione di riconoscimento costituita dalla compatibilità della sentenza straniera con l'ordine pubblico assume peculiare rilevanza in materia familiare.

A riguardo, su un piano generale, la S.C. aveva enunciato il principio per il quale non può essere ritenuta contraria all'ordine pubblico, per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana, una sentenza di scioglimento del matrimonio pronunciata, fra cittadini italiani, dal giudice straniero il quale abbia fatto applicazione del diritto straniero, atteso che attiene in realtà all' «ordine pubblico» solo l'esigenza che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato solo all'esito di un rigoroso accertamento — condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, e sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti stesse — dell'irrimediabile disfacimento della comunione familiare, il quale ultimo costituisce l'unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall'art. 3 della l. n. 898/1970 (Cass. I, n. 10378/2004).

In sostanza, è ammesso il riconoscimento di una sentenza di divorzio pronunciata su presupposti diversi da quelli previsti dall'ordinamento italiano, ove non sia in dubbio la dissoluzione del vincolo coniugale e l'impossibilità di ricostruzione del nucleo familiare (Gancitano, 880).

Pertanto, non è stata ritenuta incompatibile con l'ordine pubblico la decisione statunitense di divorzio immediato per mutuo consenso (Cass. I, n. 16978/2006).

Inoltre, la S.C. ha chiarito che non è contraria ai principi fondamentali dell'ordine pubblico la sentenza straniera di divorzio che non indichi compiutamente le condizioni di affidamento e di mantenimento inerenti alla prole minorenne degli ex coniugi, dal momento che nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia dettato in un unico contesto, tant'è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo «status» e rinvia per l'adozione dei provvedimenti conseguenti (Cass. I, n. 13556/2012). In senso analogo, in sede di merito, è stata ritenuta riconoscibile la sentenza straniera che non stabiliva nulla sui figli (Trib. Belluno 5 novembre 2010, n. 221, in Il civilista 2010, 18).

Sempre in sede applicativa, si è affermato che, ai sensi degli artt. 67 e 64 lett. g) della l. n. 218/1995, può essere dichiarata efficace in Italia una sentenza svizzera di divorzio nella parte in cui ha omologato le pattuizioni accessorie sottoscritte dalle parti sul mantenimento della moglie, in quanto esse non contrastano con l'ordine pubblico poiché concordate nell'ambito del giudizio di divorzio (App. Milano 23 luglio 2002, in Riv. dir. internaz. priv. proc. 2003, 177).

Problematiche peculiari in ordine alla compatibilità con l'ordine pubblico derivano nella fase patologica dei matrimoni regolati dalla legge islamica.

A riguardo, sono state ritenute compatibili con i principi essenziali del foro le norme marocchine ed albanesi che prevedono il divorzio immediato per maltrattamenti (v., in sede applicativa, tra le altre, Trib. Pordenone 14 settembre 2005, in Riv. dir. internaz. priv. proc. 2006, 181; Trib. Tivoli 14 novembre 2002, ivi 2003, 402; Trib. Napoli 26 aprile 2000, in Giur. napoletana 2000, 460).

Più volte la giurisprudenza interna ha invece escluso la compatibilità con l'ordine pubblico del ripudio unilaterale previsto da alcune legislazioni islamiche.

Invero, il rispetto dell'uguaglianza tra i coniugi costituisce principio fondamentale ed inderogabile del nostro ordinamento sicché deve essere negato il riconoscimento a provvedimenti esteri di divorzio basati sull'arbitrio di uno dei coniugi ed integranti sostanzialmente un ripudio (App. Milano 17 dicembre 1991, in Riv. dir. internaz. priv. proc. 1993, 109).

In sede applicativa, inoltre, si è ritenuto legittimo il diniego dell'ufficiale di stato civile di trascrivere nel nostro ordinamento lo scioglimento del matrimonio avvenuto per ripudio unilaterale, attesa la violazione del contraddittorio e, quindi, dell'ordine pubblico processuale nei confronti della moglie (App. Venezia9 aprile 2015, in Nuova giur. civ. comm. 2015, n. 11, 1102).

Analogamente, si è affermato che qualora un uomo ed una donna, entrambi cittadini giordani, hanno contratto in Palestina matrimonio sciaraitico, trasferendosi successivamente in Italia, dove entrambi risiedono, allietati dalla nascita di due gemelli, ed acquisendo la cittadinanza italiana, se il marito ha ripudiato la moglie con sentenza davanti ad un Tribunale sciaraitico, sentenza trascritta nei registri, qualora occorra un'altra sentenza sciaraitica per la definitività dello scioglimento del vincolo, va dichiarata la giurisdizione esclusiva ed inderogabile del giudice italiano, giurisdizione affermata dalla moglie, la mancata partecipazione al procedimento di ripudio della donna che nulla ha saputo del procedimento di ripudio, va affermata la contrarietà del procedimento di ripudio all'ordine pubblico italiano, tanto più qualora la sentenza di ripudio nessuna norma contenga sul mantenimento della donna e dei figli; va, quindi, accolta la richiesta muliebre di cancellare la trascrizione in Italia della sentenza di ripudio malgrado ogni opposizione del marito, costituitosi in giudizio e contrario ad ogni richiesta della donna (App. Roma 12 dicembre 2016, in Dir. fam. 2017, n. 2, I, 347, con nota di Virgadamo).

Questa impostazione è stata confermata dalla S.C. la quale ha affermato il principio per il quale la decisione di ripudio emanata all'estero da un'autorità religiosa (nella specie il tribunale sciaraitico palestinese), seppure equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta all'interno dell'ordinamento italiano, sotto il duplice profilo dell'ordine pubblico sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna) e dell'ordine pubblico processuale (mancanza della parità difensiva e di un effettivo contraddittorio, oltre che di ogni accertamento sulla definitiva cessazione della comunione di vita tra i coniugi) (Cass. I, n. 16804/2020, in Ilfamiliarista.it, con nota di DI MARZIO P.).

Peraltro, occorre verificare gli effetti in concreto raggiunti dal provvedimento che, anche se formalmente denominato di ripudio, può essere riconosciuto ove si accerti l'insanabile rottura dell'unione coniugale e che lo stesso non lede la dignità dei coniugi (Baratta, 101).

Sotto altro profilo, anche ai fini del riconoscimento di un provvedimento straniero di omologazione della Kafalah — atto di affidamento dei minori del diritto islamico — si applica la procedura generale stabilita dagli artt. 64 ss. l. n. 218/1995, e non quella prevista per le adozioni internazionali.

La S.C. ha chiarito che l'istituto della kafalah negoziale, quando sia assoggettato ad un controllo da parte della pubblica autorità sulla sua conformità all'interesse superiore del minore, non contrasta con l'ordine pubblico italiano (Cass. I, n. 1843/2015). Sulla questione, in sede applicativa, premesso che la kafala è il tipico atto di affidamento di diritto islamico, che non consente interventi sulla famiglia vera e propria, ed è efficace nel nostro ordinamento ai sensi dell'art. 65 l. n. 218/1995 ed atteso che la kafala presuppone l'impegno della famiglia ospitante ad occuparsi del minore fino al raggiungimento della maggiore età e quindi presenta dei caratteri comuni all'istituto dell'affidamento di diritto interno, si è ritenuto che non vi è alcuna ragione per ritenere impossibile la comparazione tra i due istituti ai fini dell'applicazione della disposizione di cui all'art. 26 del d.lg. n. 151 del 2001 che prevede la fruizione di cinque mesi di congedo (Trib. Bergamo lav., 20 gennaio 2017).

In senso diverso, nella giurisprudenza precedente si era ritenuto che deve essere dichiarata inammissibile la domanda, proposta ai sensi degli artt. 66 e 67 l. n. 218/1995, di riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in Kafalah di un minore in stato d'abbandono, ad una coppia di coniugi italiana, emessa dal Tribunale di prima istanza di Casablanca (in Marocco), atteso che l'inserimento di un minore straniero, in stato d'abbandono, in una famiglia italiana, può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina dell'adozione internazionale regolata dalle procedure richiamate dagli artt. 29 e 36 l. 184/1983 (come modificata dalla l. 31 dicembre 1998 n. 476, di ratifica ed attuazione della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993), con la conseguenza che, in tale ipotesi, non possono essere applicate le norme generali di diritto internazionale privato relative al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ma devono essere applicate le disposizioni speciali in materia di adozione ai sensi dell'art. 41 comma 2 l. n. 218/1995 (Cass. I, n. 19450/2011).

Per altro verso, la dichiarazione di efficacia nell'ordinamento nazionale delle sentenze di nullità di un matrimonio concordatario emesse da un tribunale ecclesiastico è subordinata all'accertamento della sussistenza dei requisiti cui l'art. 797 c.p.c. e non già alle norma in esame, in quanto il rinvio al riguardo contenuto alla disposizione codicistica nell'art. 8, n. 2, dell'Accordo di revisione del Concordato 11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato in data 18 febbraio 1984, e reso esecutivo con l. 25 marzo 1985, n. 121, deve ritenersi di natura materiale e non formale.

In ragione di tale assetto, in giurisprudenza si è affermato che la censura relativa alla violazione del diritto di difesa nella procedura adottata dal tribunale ecclesiastico riferita alle modalità di espletamento degli atti istruttori non può essere esaminata dal giudice della delibazione, per effetto del disposto del citato art. 797 c.p.c., siccome attinente allo svolgimento del processo ecclesiastico (Cass. I, n. 11416/2014).

Non si può trascurare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che la convivenza «come coniugi» deve intendersi — secondo la Costituzione (artt. 2,3,29,30,31) le Carte Europee dei Diritti (art. 8, par. 1, della convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, ed il Codice civile — quale elemento essenziale del «matrimonio — rapporto», che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile, e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari. La S.C. ha precisato che, in tal modo intesa, la convivenza «come coniugi», protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio «concordatario» regolarmente trascritto, connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di ordine pubblico italiano e, pertanto, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1, Cost. e del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa — ai sensi dell'Accordo, con Protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 19129, tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, reso esecutivo dalla l. 25 marzo 1985 n. 121 (particolare dell'art. 8, n. 2, lett. c, dell'Accordo e del punto 4, lett. b, del Protocollo addizionale), e dell'art. 797, comma 1 n. 7, c.p.c.alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell''ordine canonico' nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale (Cass. S.U., n. 16379/2014, in Dir. fam. 2014, n. 4, I, 1368, con nota di Giacobbe).

Per altro verso, è stato chiarito che la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, per incapacità di un coniuge di assumere gli oneri derivanti dal matrimonio per cause di natura psichica, non si pone in contrasto con l'ordine pubblico italiano (Cass. I, n. 8772/2012, la quale ha nella specie confermato la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che aveva dichiarato nullo il matrimonio, in quanto la personalità evidenziata dal marito risultava fortemente disturbata, caratterizzata tra l'altro da rigidezza, intolleranza, difficoltà di espressione degli affetti, che lo rendeva inidoneo a un rapporto di comunione con l'altro coniuge).

Più in generale, sempre in tema di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della invalidità del matrimonio concordatario, la S.C. ha chiarito che deve negarsi l'esistenza, nell'ordinamento nazionale, di un principio di ordine pubblico secondo il quale il vizio che inficia il matrimonio possa essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato. (Cass. I, n. 9044/2014).

Casistica

Può essere dichiarata efficace in Italia una sentenza svizzera di divorzio limitatamente alle statuizioni relative agli alimenti allorché ricorrano tutti i requisiti previsti dall'art. 67 l. n. 218/1995 (App. Milano 27 luglio 1999, in Riv. dir. internaz. priv. proc. 2000, 763).

Qualora i coniugi, dopo avere ottenuto rituale sentenza canonica di nullità del proprio matrimonio concordatario, ed avere, successivamente al provvedimento canonico, divorziato con sentenza definitiva, abbiano a chiedere, congiuntamente, la delibazione in Italia della sentenza ecclesiastica, la domanda di esecutorietà è inaccoglibile (App. Firenze, 15 maggio 2001, in Dir. fam. 2001, 986).

Bibliografia

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