Legge - 31/05/1995 - n. 218 art. 64 - Riconoscimento di sentenze straniere.Riconoscimento di sentenze straniere. 1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: a) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i princìpi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano; b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge; d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata; e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero; g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico. InquadramentoIl comma 1 della disposizione in esame sancisce il principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere, purché vengano rispettate alcune condizioni. Il riconoscimento si sostanzia nell'attribuzione alla sentenza della stessa imperatività ed efficacia che le è propria nello Stato in cui è emanata, in modo che la stessa possa godere nel territorio di tutti gli Stati membri della medesima autorità che la caratterizzano nell'ordinamento d'origine (cfr. De Cristofaro, 749). Il riconoscimento, sebbene automatico, è subordinato al rispetto di una serie di condizioni, indicate dalla norma in esame, la cui ricorrenza può essere contestata dall'altra parte ex art. 67 della l. n. 218/1995 . Il giudice può, inoltre, rilevare d'ufficio la ricorrenza di circostanze ostative al riconoscimento. Principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniereIl primo comma della disposizione in commento afferma il principio dell'automatico riconoscimento delle sentenze straniere purché vengano rispettate alcune condizioni, la cui insussistenza osta al riconoscimento stesso. A seguito del riconoscimento vengono attribuiti al provvedimento gli stessi effetti che lo stesso ha prodotto nello Stato d'origine, senza necessità di un previo procedimento di delibazione, ossia del procedimento mediante, secondo le opinioni più risalenti, il quale viene «nazionalizzata» la sentenza straniera (Chiovenda, 307) ovvero, come evidenziato negli anni successivi, accerta un'efficacia del giudicato straniero che deriva, sussistendone i requisiti, già dalla legge (Satta, 3 ss.). Mediante il riconoscimento alla sentenza viene attribuita lamedesima imperatività ed efficacia che le è propria nello Stato in cui è emanata, in modo che la stessa possa godere nel territorio di tutti gli Stati membri della medesima autorità che la caratterizzando nell'ordinamento d'origine (cfr. De Cristofaro, 749). L'automatismo vale, in sostanza, per il riconoscimento del giudicato nei suoi due aspetti che lo caratterizzano, ossia la statuizione di ciò che è diritto tra le parti del processo (cosa giudicata materiale) e l'autorità della pronuncia (cosa giudicata formale) (Ballarino, 115-116). Peraltro, sussiste il delicato problema di determinare l'efficacia della sentenza riconosciuta o delibata allorché nello Stato di origine ed in quello di ricezione vigano norme processuali che determinano in maniera diversa i limiti oggettivi del giudicato (cfr., con un interessante esempio trattato dal sistema francese, Consolo, 938 ss.; Gaudemet- Tallon, 220 ss.). In un precedente relativo alla Convenzione di Bruxelles del 1968, la Corte di Giustizia comunitaria ha affermato che una decisione straniera, riconosciuta in forza dell'art. 26 della Convenzione deve avere, nello Stato richiesto, in linea di massima, la medesima efficacia che essa ha nello Stato di origine (CGCE, 4 febbraio 1988, C-145/86, §§ 9 ss.). In dottrina si è osservato che in realtà l'essenza dell'istituto del riconoscimento della sentenza straniera deve essere colta con riguardo alla funzione del processo e della decisione che lo conclude ossia alla definizione di una controversia che, di regola, ha ad oggetto l'esistenza di un diritto, di un rapporto giuridico o status e che gli effetti riportabili alla decisione e manifestantisi nell'ordinamento italiano sono principalmente quelli che rispecchiano tale funzione, a prescindere dalla (eventuale) differente portata delle norme sull'estensione del giudicato nello Stato di provenienza (Attardi, 768 ss., nt. 53). È per converso escluso che la sentenza straniera possa spiegare efficacia esecutiva nel nostro ordinamento senza un previo procedimento di exequatur. Nozione di sentenza riconoscibileAlla medesima stregua dell'abrogato art. 796 c.p.c. e diversamente dal successivo art. 65 della stessa l. n. 218/1995, la norma in commento fa riferimento esclusivo, quanto al riconoscimento, alla nozione di sentenza. Tuttavia, già con riguardo all'art. 796 c.p.c., la dottrina più autorevole aveva elaborato la nozione c.d. materiale di sentenza nella quale si facevano rientrare le decisioni adottate, a prescindere dalla veste formale assunta, da un organo dello Stato munito di potere giurisdizionale ed avente carattere di definitività, provvedimento che quindi nel nostro ordinamento avrebbe avuto la forma della sentenza (Franchi, 651 ss.). Nella relazione illustrativa alla l. n. 218/1995 si precisa espressamente che per sentenza può intendersi anche la decisione amministrativa o comunque emessa da una pubblica autorità, non identificabile con quella giudiziaria, in materie che in Italia sono trattate dal giudice e decise con sentenza. Occorre considerare, inoltre, che come hanno di recente precisato le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in tema di riconoscimento dell'efficacia della sentenza straniera di affidamento dei minori, qualora trovi applicazione la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996 in base all'art. 42 legge n. 218 del 1995, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori disposte dalla giurisdizione straniera risultano fissate dall'art. 23 di detta Convenzione e non dall'art. 64 della legge n. 218 del 1995, mentre il procedimento del riconoscimento innanzi al giudice italiano resta disciplinato, come previsto dall'art. 24 della medesima Convenzione, dalla legge italiana (S.U. n. 18199/2023). Condizioni per il riconoscimento automaticoTuttavia il carattere automatico del riconoscimento non significa che la sentenza straniera sia assolutamente equiparata a quella nazionale, in quanto è sufficiente una contestazione perché si renda necessaria la procedura legale di riconoscimento di cui all'art. 67 della l. n. 218/1995 in esame (cfr. Ballarino, 118): detta contestazione si fonda sul ricorrere di una circostanza ostativa al riconoscimento, per l'assenza di una delle condizioni di delibazione della sentenza previste dalla norma in esame. Peraltro, anche a prescindere dalla contestazione della parte che si oppone al riconoscimento, la carenza dei requisiti previsti dalla norma in esame è rilevabile d'ufficio dal giudice: anche in detta ipotesi l'onere della prova circa la ricorrenza, per converso, di detti requisiti grava su colui che invoca l'accertamento avvenuto all'estero (Consolo, 935). Sul punto, in via generale, in sede di legittimità è stato chiarito che, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, la Corte di appello, adita per la delibazione, deve limitarsi ad accertare l'esistenza dei requisiti del riconoscimento, indicati nell'art. 64 della l. n. 218/1995, non potendosi procedere né ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento dei requisiti del riconoscimento (Cass. I, n. 15163/2012). Competenza giurisdizionale La disposizione in commento prevede, quale prima condizione per l'efficacia di accertamento e costitutiva automatica della sentenza straniera (ovvero condizione di fondatezza della domanda di riconoscimento: Consolo, 936), che il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano. In sostanza, occorre verificare il rispetto delle regole poste in tema di collegamento della giurisdizione dagli artt. 3 e ss. della l. n. 218/1995. In forza di tale condizione del riconoscimento, la S.C. ha ritenuto che, in sede di riconoscimento di una sentenza straniera con la quale si è dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell'art. 64, lett. a), l. n. 218/1995, la competenza internazionale del giudice straniero si accerta in base ai principi secondo i quali il giudice italiano esercita, in casi analoghi, la giurisdizione nei confronti dello straniero e, tra tali criteri, vi è il luogo di celebrazione del matrimonio (cfr. Cass. VI, n. 4304/2014, con riguardo ad una fattispecie nella quale era pacifico che il matrimonio tra le parti, di cittadinanza siriana, oltre che italiana, fosse stato celebrato in Siria). Peraltro, il difetto di «competenza giurisdizionale», secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ex art. 64, comma 1, lett. a), della l. n. 218/1995, non può essere invocato, per la prima volta, davanti al giudice italiano se il vizio, ove tempestivamente dedotto avanti al giudice straniero, ne avrebbe inficiato il giudizio (cfr. Cass. S.U., n. 21946/2015, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto tempestiva l'eccezione, benché formulata per la prima volta davanti al giudice italiano, negando la sua utile proponibilità, in precedenza, innanzi a quello americano, atteso che la normativa interna statunitense sull'immunità giurisdizionale degli Stati ne escludeva la rilevanza per le richieste risarcitorie derivanti da fatto illecito quando — come nella specie — la relativa domanda fosse stata proposta da un cittadino statunitense e lo Stato convenuto fosse stato designato come sostenitore del terrorismo con atto del Governo statunitense). Notifica dell'atto introduttivo conforme alla legge dello Stato di provenienza e rispetto dei diritti essenziali di difesa La lettera b) della norma in esame condiziona, inoltre, l'automaticità del riconoscimento della sentenza straniera alla circostanza che l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa. Deve dunque accertarsi che l’atto sia stato notificato al soggetto nei confronti del quale avrebbe dovuto essere proposta la domanda, sulla base della legge applicabile al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio promosso dinanzi al giudice straniero (Cass. I, n. 38141/2022). La mancanza di tali presupposti e della loro prova non consente che la sentenza straniera possa essere riconosciuta nel nostro ordinamento (Cass. I, n. 6276/2016). Per la validità della notifica occorre aver riguardo alle attestazioni contenute nella sentenza riconoscenda e far riferimento a quelle che sono le previsioni contenute nella normativa dello Stato nel quale il processo si è svolto e non in quella nazionale (Cass. n. 13425/2008). È stato tuttavia precisato, sempre in sede di legittimità, che, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, con la precisazione che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non ove investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie. Invero, secondo quanto si evince dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia 2 aprile 2009, causa C-394/2007), il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo, quantomeno nella fase precedente a quella conclusasi con l'emissione del provvedimento (Cass. I, n. 17519/2015). Su un piano generale, inoltre, nel vigore della disciplina introdotta dagli artt. 64 e segg. della l. n. 218/1995 (così come sotto la vigenza dell'abrogato art. 797 c.p.c.), gli eventuali vizi e la stessa mancanza della motivazione della sentenza straniera non costituiscono cause ostative al riconoscimento invocato, posto che, quando il contraddittorio sia stato assicurato e la sentenza sia passata in giudicato (tanto da doversi presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione non siano più discutibili), è da ritenere che l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo l'art. 111 Cost., che siffatto obbligo prevede, un assetto organizzativo della giurisdizione che attiene esclusivamente all'ordinamento interno (v., da ultimo, Cass. I, n. 597/2017). In particolare, integra tipica violazione dei diritti essenziali di difesa, secondo l'esperienza già propria dell'art. 797 n. 2 c.p.c. la mancata concessione al convenuto di un congruo termine a comparire. A riguardo, è stato più volte ribadito l'assunto per il quale, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, la valutazione circa la congruità dei termini a disposizione del convenuto, residente in uno Stato diverso da quello ove ha sede il giudice avanti al quale è chiamato in giudizio, in maniera da verificare se consentano in concreto, oltre la conoscenza del processo, l'apprestamento della difesa in giudizio, deve essere compiuta di volta in volta, in relazione alle specifiche circostanze di fatto, e può essere censurata in sede di legittimità unicamente sotto il profilo dell'adeguatezza della motivazione, trattandosi di un giudizio di fatto, che comporta un accertamento ed un apprezzamento di elementi materiali, riservato al giudice di merito (Cass. I, n. 16272/2014). Regolare costituzione in giudizio o dichiarazione di contumacia Il riconoscimento automatico degli effetti di accertamento ed eventualmente costitutivi della sentenza straniera è condizionato, poi, alla regolare costituzione in causa delle parti nel procedimento che ha dato luogo alla pronuncia della decisione riconoscenda ovvero alla regolare dichiarazione di contumacia della parte che non si è costituita. Sotto quest'ultimo profilo, la condizione di cui alla lettera c) appare strettamente connessa a quella di cui alla lettera b), poiché si ha regolare dichiarazione di contumacia soltanto se il convenuto abbia ricevuto valida notifica dell'atto introduttivo del procedimento e sia stato rispettato il termine a comparire. Sul punto, la S.C. ha precisato che in tema di opposizione all'«exequatur» di sentenze straniere, l'attestazione del giudice straniero sulla regolarità della notificazione dell'atto introduttivo al convenuto contumace non preclude l'autonoma valutazione da parte del giudice nazionale, in quanto limitare la portata del potere di esame, di cui dispone il giudice dello Stato membro, per il fatto che è stato prodotto l'attestato significherebbe impedire la garanzia del contraddittorio ed il rispetto del diritto di difesa. (cfr. Cass. I, n. 4392/2014 la quale ha tuttavia evidenziato, al contempo, che la verifica circa la validità della notificazione di un atto di citazione introduttivo del giudizio svoltosi all'estero va compiuta dal giudice alla stregua della normativa dello Stato estero, ai sensi della Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, in quanto costituisce principio generale del diritto internazionale privato, del quale sono espressione gli artt. 12 e 64, comma 1, lett. b), della l. n. 218/1995, che le regole di instaurazione di un processo civile siano quelle stabilite dalla legge dello Stato nel quale il processo si svolge). Stabilità della pronuncia oggetto di riconoscimento Il riconoscimento delle sentenze straniere è subordinato al passaggio in giudicato nello Stato di provenienza, ossia al raggiungimento da parte della stessa di un elevato grado di stabilità, costituito dall'impossibilità di aggredire la medesima con impugnazioni di frequente esperimento e di non raro successo (De Cristofaro, 745). In generale, in dottrina è controversa la nozione di sentenza passata in giudicato cui si deve avere riguardo. Invero, specie tra gli internazionalisti, è ricorrente la tesi per la quale, a tal fine, oltre alla valutazione compiuta in base alle regole processuali dello Stato di origine della sentenza, va effettuata una concorrete verifica che la sentenza delibanda non sia ancora soggetta a quell'ordinamento ad un'impugnazione che sarebbe sospensiva del passaggio in giudicato della decisione, sul modello dell'art. 324 c.p.c. (Condorelli, 12 ss.). I processualisti, anch'essi già nella vigenza dell'abrogato art. 797 n. 4 c.p.c., tendono invece a ritenere che in sede di applicazione del criterio in esame non assume alcun rilievo diretto e qualificatorio l'art. 324 c.p.c. e quindi il riferimento alle impugnazioni sospensive del passaggio in giudicato rispetto alle altre ( Consolo, 1082 ss.). La necessità che la pronuncia straniera sia passata in giudicato implica, da un lato, che non è ammessa la circolazione delle sentenze di primo grado, anche se immediatamente esecutive, e che, a maggior ragione, dal regime del riconoscimento automatico di cui alla norma in esame esulano i provvedimenti cautelari e quelli monitori (Consolo, 940). Intervenendo sulla questione, la S.C., premesso che condizione per la proposizione dell'azione di riconoscimento di una sentenza straniera è che il provvedimento, al momento della domanda, sia divenuto definitivo, dovendo, in caso contrario, dichiararsi inammissibile la domanda di delibazione, ha evidenziato che ne consegue che non può procedersi al riconoscimento di una sentenza straniera di 1° grado, riformata in secondo grado e divenuta esecutiva solo nel corso del giudizio di delibazione, tenendo conto delle modifiche apportate in sede di riforma, atteso che, così operando, si determina la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, oltre che la compromissione del diritto di difesa sia delle parti private che della parte pubblica la quale, nella specie, aveva espresso il proprio parere in riferimento alla sentenza non definitiva prodotta al momento della domanda (Cass. I, n. 21367/2018). Non contrarietà della sentenza ad altra decisa con sentenza definitiva dal giudice italiano Si prevede, inoltre, che possano dispiegarsi gli effetti del riconoscimento automatico se la sentenza straniera non è contraria ad altra decisione pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato. Nell'ipotesi speculare, ossia ove sopravvenisse la pronuncia italiana, nell'ambito di un procedimento iniziato dopo quello estero, in contrasto con quella straniera riconosciuta, la decisione nazionale dovrebbe essere oggetto di revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c. (Ballarino, 121). In ogni caso, per accertare la sussistenza del contrasto di giudicati sarà necessario effettuare un test di compatibilità tra gli effetti delle pronunce (cfr. Lupoi, 147). Ciò significa che una sentenza di divorzio non sarà sempre incompatibile con una pronuncia di separazione personale, mentre una siffatta incompatibilità ricorrerà in ogni caso nella situazione opposta. Non potrà inoltre essere riconosciuta una decisione di divorzio ove nello Stato richiesto sia efficace una pronuncia di annullamento del matrimonio. Tuttavia non sempre le decisioni rese in materia matrimoniale sono idonee a passare in giudicato, soggiacendo, per alcuni aspetti (ad esempio, quelli economici) alla clausola rebus sic stantibus. In giurisprudenza si è evidenziato che il giudizio di separazione italiano non è assimilabile a quello straniero di divorzio sotto il profilo degli effetti dell'uno e dell'altro procedimento (Cass. I, n. 24542/2016): pertanto, al fine di valutare la sussistenza di un contrasto di giudicati ostativo al riconoscimento di una sentenza di divorzio straniera, non può effettuarsi alcuna comparazione rispetto ad una sentenza di separazione emessa in Italia (Cass. I, n. 21741/2016). Pendenza in Italia di un giudizio iniziato precedentemente a quello straniero Osta al riconoscimento della sentenza estera la circostanza che penda tra le parti la medesima controversia dinanzi all'autorità giudiziaria italiana e che ivi il giudizio sia stato incardinato prima che di fronte al giudice straniero. Come evidenziato in dottrina, la soluzione in parte qua avallata dalla norma in esame è molto più equa della disciplina previgente dettata dagli artt. 797 e ss. c.p.c. per la quale a prevalere era la sentenza italiana purché il giudizio fosse iniziato nel nostro Stato prima del passaggio in giudicato della decisione straniera (Ballarino, 121). Effetti conformi all'ordine pubblico dello Stato richiesto Di solito l'accertamento delle condizioni ostative al riconoscimento è un'operazione obiettiva ed automatica, mentre il requisito dell'ordine pubblico è più delicato, implicando una valutazione di discrezionalità nel riconoscimento di un provvedimento straniero (Gancitano, 879). La rilevanza dell'ordine pubblico nelle cause matrimoniali è maggiore rispetto a quanto avviene nelle controversie civili ed in quelle commerciali (Lupoi, 145). Il Regolamento ha peraltro cercato di limitare la rilevanza del motivo ostativo al riconoscimento rappresentato dalla contrarietà del provvedimento all'ordine pubblico. Si è infatti stabilito che la contrarietà all'ordine pubblico deve essere «manifesta» e, inoltre, il disposto di cui all'art. 24 impedisce che le Corti nazionali possano invocare, quale condizione ostativa al riconoscimento del provvedimento, la circostanza che lo stesso abbia dichiarato lo scioglimento del matrimonio per cause non previste dalla legge nazionale (Lupoi, 145). Di talché alla clausola dell'ordine pubblico potrebbe farsi riferimento solo in situazioni eccezionali, con un onere di motivazione effettivo circa la ricorrenza di siffatte circostanze nel caso concreto (Bruneau, 803). Si è evidenziato che il concetto di ordine pubblico — già inteso da autorevole dottrina anche come ordine pubblico processuale che racchiude i principi che definiscono i tratti indefettibili della giurisdizione (Morelli, 325 ss.; Salerno, 86) — quale limite al riconoscimento automatico delle sentenze straniere dovrebbe essere oggetto di una rimeditazione che tenga conto e della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e di quella della Corte europea dei diritti dell'uomo e quindi dell'avvenuta ricostruzione in sede pretoria di una serie di principi alla base dell'ordine pubblico processuale europeo (Nascimbene, 659). L'ordine pubblico rilevante è quello internazionale, costituito dall'insieme dei principi fondamentali caratterizzanti la struttura etico-sociale della comunità nazionale, esistenti in un preciso momento storico e nell'ordinamento interno, in quanto già nella vigenza dell'abrogato art. 797 c.p.c., la giurisprudenza riteneva che il limite al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di stato delle persone e di rapporti di famiglia fosse costituito dal rispetto di un nucleo essenziale di principi fondamentali (Nascimbene , 93). La S.C. ha precisato che il concetto di ordine pubblico italiano, cui la sentenza straniera deve conformarsi per poter essere delibata consiste nel complesso dei principi cardine dell'ordinamento giuridico, i quali caratterizzano la stessa struttura etico sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, conferendole una individuata e inconfondibile fisionomia, nonché nelle regole inderogabili, provviste dal connotato della fondamentalità, che le distingue dal più ampio genere delle norme imperative, immanenti ai più importanti istituti giuridici, ivi compresi i principi desumibili dalla Carta costituzionale, tenuto conto del contesto europeo, internazionale e convenzionale nel quale tali principi cardine etico giuridici sono da collocare (Cass. I, n. 7613/2015). La Corte di Cassazione ha riconosciuto che agli effetti del diritto internazionale privato, l'ordine pubblico che impedisce l'ingresso nell'ordinamento italiano della norma straniera che vi contrasti si identifica con l'«ordine pubblico internazionale», da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo (Cass. III, n. 19405/2013). I principi di ordine pubblico internazionale devono essere intesi alla stregua del diritto vivente, concretizzati in un dato momento storico e soggettivi, sotto il profilo della relatività in termini di concretezza, a mutamenti in relazione all'evoluzione sociale (Cass. n. 17349/2001). In definitiva, come affermato nella più recente giurisprudenza di legittimità, la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico (Cass. S.U., n. 12193/2019). E' stato ulteriormente specificato dalle medesime Sezioni Unite della Corte di cassazione che l'ordine pubblico internazionale svolge sia una funzione preclusiva, quale meccanismo di salvaguardia dell'armonia interna dell'ordinamento giuridico statale di fronte all'ingresso di valori incompatibili con i suoi principi ispiratori, sia una funzione positiva, volta a favorire la diffusione dei valori tutelati, in connessione con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale, nell'ambito della quale, il principio del "best interest of the child" concorre a formare l'ordine pubblico che, in tal modo, tende a promuovere l'ingresso di nuove relazioni genitoriali, così mitigando l'aspirazione identitaria connessa al tradizionale modello di filiazione, in nome di un valore uniforme rappresentato dal miglior interesse del bambino (Cass. S.U., n. 38162/2022). Tende a svilupparsi, inoltre, come già evidenziato, una declinazione del concetto di ordine pubblico inteso anche quale ordine pubblico processuale: in proposito si è osservato il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, con la precisazione che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non quando, invece, investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie (cfr. Cass. I, n. 22183/2024 la quale ha sottolineato che, secondo quanto si evince dalla giurisprudenza comunitaria e in particolare dalla pronuncia della Corte di Giustizia 2 aprile 2009, causa C-394/2007, il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo, quantomeno nella fase precedente a quella conclusasi con l'emissione del provvedimento; analogamente v. anche Trib. Milano, 25 ottobre 2018, n. 10773). In base al favor per il riconoscimento deve essere esclusa ogni valutazione sul merito del provvedimento in un controllo estrinseco che va svolto esclusivamente sulla compatibilità degli effetti della decisione con l'ordine pubblico (cfr. Cass. n. 8462/2023). 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