L'individuazione del giudice nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento di decreti od ordinanze

Sergio Beltrani
09 Aprile 2018

Un'affermazione incidentale contenuta nella sentenza delle Sezioni unite n. 111 del 2018 ripropone il problema dell'individuazione del giudice nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di decreti od ordinanze: può trattarsi, come persona fisica, del medesimo giudice (monocratico o collegiale) ...
Abstract

Un'affermazione incidentale contenuta nella sentenza delle Sezioni unite n. 111 del 2018 ripropone il problema dell'individuazione del giudice nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di decreti od ordinanze: può trattarsi, come persona fisica, del medesimo giudice (monocratico o collegiale) che ha emesso il provvedimento annullato (come prevedono addirittura le previsioni tabellari di alcuni tribunali) o deve trattarsi di un giudice diverso? Il problema è particolarmente rilevante con riguardo alle ordinanze emesse dal tribunale in funzione di giudice del riesame o appello cautelare.

La disciplina positiva

L'art. 623 c.p.p. stabilisce le conseguenze dell'annullamento di un'ordinanza (comma 1, lett. a)) e di una sentenza (comma 1, lett. b)–d)); nulla dice con riguardo all'annullamento dei decreti.

La composizione del giudice nel giudizio di rinvio a seguito dell'annullamento di un'ordinanza

Secondo l'art. 623, comma 1, lett. a), c.p.p., il giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di un'ordinanza deve essere celebrato dallo stesso giudice che aveva emesso l'ordinanza annullata, il quale è, quindi, legittimato a deliberare nuovamente: la diversità della persona fisica del giudice chiamato a decidere dopo l'annullamento con rinvio è, infatti, imposta soltanto in relazione alle sentenze.

La disposizione, secondo la giurisprudenza, non si pone in contrasto:

  • né con la direttiva 19 dell'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, che prevede «la predeterminazione di criteri oggettivi di scelta del giudice in seguito a rinvio per annullamento»: «tale direttiva intende escludere qualsiasi forma di discrezionalità da parte della Corte di Cassazione nella scelta del giudice di rinvio ed è pienamente attuata anche dall'art. 623, lett. a) c.p.p., il quale “oggettivamente” indica il giudice di rinvio, identificandolo con lo stesso giudice che ha pronunciato l'ordinanza annullata» (Cass. pen., Sez. VI, n. 2997/1992);
  • né con la direttiva 67 dell'art. 2 della stessa legge delega, che prevede i casi di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, ed è stata attuata dall'art. 34 c.p.p.: «tale direttiva riguarda i provvedimenti che hanno rilievo rispetto al “giudizio”, e cioè alla decisione sul merito della regiudicanda, occorrendo inoltre che il giudice abbia pienamente compiuto, sulla base dei risultati complessivi delle indagini preliminari (eventualmente integrati da quelli acquisiti all'udienza preliminare) una valutazione contenutistica della consistenza dell'ipotesi accusatoria, finalizzata al controllo della legittimità dell'esercizio dell'azione penale e del passaggio alla fase del giudizio. Tali ipotesi sono escluse nel caso di annullamento di ordinanza del Tribunale del riesame con rinvio al medesimo Tribunale» (Cass. pen., Sez. VI, n. 2997/1992).

La legittimità di questa disciplina è stata, con notevole frequenza, messa in discussione di caso di annullamento con rinvio di provvedimenti emessi ex artt. 309 ss., 322 e 324 c.p.p. in materia di riesame ed appello di misure cautelari personali o reali.

La giurisprudenza ha, al riguardo, chiarito, con orientamento fino ad oggi univoco, che in tal caso non sussiste alcuna incompatibilità dei magistrati che abbiano adottato la decisione annullata a comporre il collegio chiamato ad operare quale giudice di rinvio, sempre per il rilievo che l'art. 623, comma 1, lett. a) c.p.p. – diversamente dalla lettera d) della stessa norma –, prevede, in caso di annullamento con rinvio di un'ordinanza, che gli atti siano trasmessi allo stesso giudice che l'ha pronunciata.

A prescindere dal predetto dato testuale, la conclusione trova conferma, con riguardo alle misure cautelari personali, nel rilievo che il procedimento incidentale de libertate non comporta un accertamento sul merito delle contestazioni, e non può quindi essere considerato come “giudizio” ai fini dell'applicazione delle ipotesi di incompatibilità previste dall'art. 34 c.p.p.; l'imparzialità del collegio giudicante non può ritenersi intaccata da una qualsiasi valutazione compiuta nell'ambito dello stesso o di diversi procedimenti, e la disciplina delle incompatibilità è circoscritta ai soli casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto, per il ragionevole pericolo che il giudice possa risultare condizionato dalla propria precedente decisione (Cass. pen., Sez. VI, n. 3156/1992; Cass. pen., Sez. VI, n. 22464/2005; Cass. pen., Sez. V, n. 43/2006; Cass. pen., Sez. VI, n. 3884/2010; Cass. pen., Sez. V, n. 16875/2011; Cass. pen.,Sez. II, n. 15305/2013; Cass. pen.,Sez. VI, n. 33883/2014; nel medesimo senso, in dottrina, tra gli altri, BARGIS, Impugnazioni, in CONSO, GREVI, Compendio di procedura penale, III ed., Padova, 2006, 884, e CIANI, sub art. 623, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da CHIAVARIO, VI, Torino, 1991, 297). Per le medesime ragioni, è stata dichiarata manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 c.p.p., nella parte in cui non prevede come causa di incompatibilità di un giudice a far parte di un collegio che deve decidere, in sede di rinvio, una questione de libertate, il fatto che lo stesso giudice abbia fatto parte del collegio che aveva adottato la decisione annullata (Cass. pen., Sez. I, n. 2687/1997). Si è osservato, in proposito, che la garanzia del giusto processo attiene strettamente alla valutazione nel merito, ed avente attitudine al giudicato, della fondatezza delle accuse, ovvero al momento nel quale (anche ove si sia proceduto con riti alternativi) viene affermata la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato e, conseguentemente, gli viene inflitta la condanna o ne viene pronunziata l'assoluzione; le molteplici decisioni con le quali il giudice delle leggi ha ravvisato nuove ipotesi di incompatibilità, originariamente non previste dall'art. 34 c.p.p., si riferiscono, non a caso, esclusivamente al giudice che, dopo aver emesso una misura cautelare, ovvero dopo aver partecipato in qualsiasi altro modo (in sede di gravame, oppure ex art. 299 c.p.p.) al subprocedimento cautelare, sia stato successivamente chiamato a esaminare nel merito la fondatezza dell'accusa e ad emettere il conclusivo giudizio di condanna o di assoluzione, ovvero a procedere alla propedeutica verifica di fondatezza delle accuse destinata ad aver luogo all'udienza preliminare.

Con riguardo alle misure cautelari reali, inoltre, la predetta conclusione sarebbe confermata dalla natura del procedimento incidentale in questione, che non comporta una valutazione prognostica sulla responsabilità dell'imputato, ma soltanto la verifica dell'astratta configurabilità del reato (Cass. pen., 28 novembre 2008, n. 47405, Di Vicino, inedita).

La giurisprudenza della Corte Edu

La giurisprudenza sovranazionale, premesso che di per sé l'imparzialità del giudicante non è menomata dal fatto che egli, prima del iudicium, sia intervenuto in veste diversa nel procedimento (Corte Edu 22 aprile 1994, caso Saraiva de Carvalho c. Portogallo, § 35 s.), ha ammesso unicamente che in determinati casi essa possa risultare oggettivamente compromessa, ma il termine di riferimento è stato sempre costituito dal successivo svolgimento della funzione giudicante: è stata, ad esempio, ravvisata l'esistenza di un pregiudizio oggettivo all'imparzialità del giudice, in violazione dell'art. 6, comma 1, della Convenzione Edu, nel fatto che al processo di cognizione abbiano partecipato uno o più giudici già coinvolti nel subprocedimento cautelare, anche se tale valutazione è stata ricollegata non al mero esercizio della funzione cautelare, bensì alle specifiche espressioni adoperate nei provvedimenti cautelari emessi (Corte Edu 22 aprile 2004, caso Cianetti c. Italia, ric. n. 55634/00). La vicenda risaliva a data precedente rispetto alle sopravvenute, reiterate declaratorie di incostituzionalità dell'art. 34 c.p.p. in parte qua non, e le affermazioni della Corte Edu adombrano la possibilità che persino la predetta incompatibilità potrebbe, su base convenzionale, non sussistere. La garanzia non opera, al contrario, nelle fasi diverse dal giudizio, come ad esempio nel giudizio incidentale de libertate, che per sua natura non può culminare in una pronunzia di condanna o di assoluzione idonea al giudicato.

La giurisprudenza costituzionale

La Corte costituzionale (sentenza n. 183 del 2013) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale:

  • nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 c.p.p.;
  • nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale, ai sensi dell'art. 671 c.p.p.

Nel fare ciò, ha ribadito il proprio orientamento consolidato (cfr. Corte cost. n. 224 del 2001, n. 177 del 2010 e n. 153 del 2012), secondo il quale «le norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 c.p.p., presidiano i valori della sua terzietà e imparzialità» risultando, in particolare, volte «ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda».

Con specifico riferimento all'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell'art. 34, comma 1, c.p.p. viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell'art. 623 c.p.p., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione: «l'insussistenza dell'incompatibilità nel caso di annullamento di un'ordinanza trova, per questo verso, specifica conferma. Il citato art. 623 prende, infatti, espressamente in considerazione l'esigenza di evitare la coincidenza soggettiva tra giudice del rinvio e giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato solo con riguardo alle sentenze (lettera d): mentre, nel caso di annullamento di un'ordinanza, si limita puramente e semplicemente a stabilire che gli atti debbano essere trasmessi “al giudice che l'ha pronunciata” (lettera a)».

Tuttavia, la mancata previsione dell'incompatibilità con riferimento all'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione determina una incongruenza interna tra la ratio dell'art.671 c.p.p. e i suoi effetti: «l'applicabilità della continuazione in sede esecutiva consente tuttora di evitare irragionevoli sperequazioni dovute a fattori meramente casuali, per effetto dei quali i reati in continuazione (o in concorso formale) siano stati giudicati nell'ambito di processi distinti, anziché in un unico processo cumulativo (ordinanza n. 43 del 2013). Ma se l'esigenza di ripristinare l'eguaglianza vale in rapporto alla determinazione del trattamento sanzionatorio (applicazione del cumulo giuridico delle pene, in luogo del cumulo materiale), essa non può non valere anche in relazione all'applicazione della disciplina sull'incompatibilità del giudice, posta a presidio della sua imparzialità. Come denuncia l'odierno rimettente, se è il giudice della cognizione a negare l'identità del disegno criminoso, l'annullamento su questo punto della sua sentenza lo rende incompatibile a partecipare al giudizio di rinvio, ai sensi dell'art. 34, comma 1, c.p.p. Se l'identica valutazione è operata dal giudice dell'esecuzione, ciò viceversa non avviene».

Di qui la sussistenza della dedotta incostituzionalità: «da un lato, infatti, il giudice dell'esecuzione si vede investito di un accertamento che non attiene affatto all'esecuzione (sia pure lato sensu intesa) delle pronunce di condanna delle quali si discute, quanto piuttosto al merito delle imputazioni […]. Dall'altro lato, la soluzione normativa in discorso comporta l'apertura di una evidente breccia nel principio di intangibilità del giudicato […]. All'esito del riconoscimento della continuazione (o del concorso formale), il giudice dell'esecuzione si trova, infatti, abilitato a modificare il trattamento sanzionatorio inflitto in sede cognitiva: non solo, e anzitutto, riducendo le pene principali, ma anche, eventualmente, eliminando o riducendo pene accessorie e misure di sicurezza o altri effetti penali della condanna (sono i provvedimenti consequenziali cui si riferisce il comma 3 dell'art. 671 cod. proc. pen.). Lo stesso comma 3 dell'art. 671 riconosce, altresì, espressamente al giudice dell'esecuzione il potere di concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando ciò derivi dal riconoscimento della continuazione (o del concorso formale)».

L'apprezzamento demandato al giudice dell'esecuzione presenta, dunque, tutte le caratteristiche del giudizio, come delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, «espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda». Tale è, infatti, il «giudizio contenutisticamente inteso, e cioè [...] ogni sequenza procedimentale – anche diversa dal giudizio dibattimentale – la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l'attività "pregiudicante", implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224 del 2001): in altre parole e più in breve, è pregiudicante «qualsiasi tipo di giudizio, [...] che in base a un esame delle prove pervenga a una decisione di merito» (sentenza n. 131 del 1996). Tratti, questi, senz'altro riscontrabili – per quanto detto – nella decisione assunta dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 671 c.p.p.

Proprio in virtù di queste considerazioni, riguardanti unicamente la peculiare disciplina oggetto del devoluto scrutinio, la valutazione d'incostituzionalità non appare estensibile agli altri casi di giudizio di rinvio celebrato a seguito dell'annullamento di un'ordinanza.

La composizione del giudice nel giudizio di rinvio a seguito dell'annullamento di un decreto

In ordine all'individuazione del giudice di rinvio nel caso di annullamento con rinvio del decreto emesso dalla Corte d'appello nell'ambito del procedimento di prevenzione, la giurisprudenza si è divisa: in siffatta situazione, invero, il riferimento alle previsioni letterali desumibili dall'art. 623 c.p.p. risulta non decisivo, poiché la disposizione menziona unicamente ordinanze e sentenze.

Un orientamento non recente (Cass. pen., 13 marzo 1996, L.; Cass. pen., 3 giugno 1997, M.) ha ritenuto che in questo caso, ai sensi dell'art. 623, comma 1, lett. a) c.p.p., gli atti vanno trasmessi alla stessa Corte che ha emesso il provvedimento, e non ad altra sezione di essa (come diversamente previsto dall'art. 623, comma 1, lett. c) c.p.p.), poiché la legge prevede il rinvio ad altra sezione solo nel caso della pronuncia di una “sentenza”; d'altro canto, il decreto applicativo della misura di prevenzione sarebbe analogicamente equiparabile alle ordinanze applicative di misure cautelari.

Altro orientamento, più recente e senz'altro dominante (Cass. pen., 30 ottobre 2002, F.; Cass. pen., 2 febbraio 2006, C.; Cass. pen., Sez. V, n. 21582/2015; Cass. pen., Sez. VI, n. 40999/2015; nel medesimo senso, in dottrina, RUSSO, voce Processo di prevenzione, in Enc. Giur. Treccani, XXIV, 1991, 8; MILETTO, Misure di prevenzione (profili processuali), in Digesto pen.,VIII, Torino 1994, 129; MOLINARO, Individuazione del giudice di rinvio nel procedimento di prevenzione, in Cass. pen., 1997, 1874 ss.) ha, al contrario, sostenuto che in questo caso gli atti devono essere trasmessi, ai sensi dell'art. 623, comma 1, lett. c) c.p.p., a una sezione della Corte d'appello diversa da quella che ha emesso il provvedimento (o, in mancanza, alla Corte più vicina), in quanto il procedimento di prevenzione ha carattere giurisdizionale ed i decreti che ne concludono le fasi hanno natura sostanziale di sentenza.

Un orientamento intermedio, isolato e abbastanza risalente (Cass. pen., 27 settembre 2004, L.), pur partendo dalla premessa che gli atti devono essere trasmessi, ex art. 623, comma 1, lett. a) c.p.p., alla stessa sezione che ha emesso il decreto annullato, e non ad altra sezione, sostiene che il giudizio di rinvio deve comunque essere celebrato da un collegio diversamente composto, stante l'incompatibilità ex art. 34 c.p.p. dei magistrati che si sono già pronunciati sul merito della questione.

In argomento, avevamo sostenuto (S. BELTRANI, Il giudizio di rinvio, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. V, Le impugnazioni, Torino 2009) che «Per risolvere il problema l'interprete, non potendo richiamare alcun dato letterale desumibile dall'art. 623 c.p.p. (che dei decreti si disinteressa), non può che valorizzare la natura intrinseca del provvedimento de quo, cui non sembra poter essere negato carattere giurisdizionale e contenuto decisorio definitivo, trattandosi di provvedimento di natura sostanziale che conclude una fase del giudizio ed è soggetto agli ordinari mezzi di impugnazione (appello e ricorso per cassazione) previsti per le sentenze (diversamente dalle ordinanze cautelari, che hanno efficacia meramente provvisoria, salva la successiva verifica in sede di plena cognitio, e per le quali è inoltre previsto un regime impugnatorio ad hoc). Ciò induce a ricondurne la disciplina all'ambito delineato dall'art. 623, 1° comma, lett. c) c.p.p.: gli atti andranno, pertanto, trasmessi ad altra sezione della stessa Corte che ha emesso il decreto annullato, ovvero alla Corte dappello viciniore, se quella a qua ha un'unica sezione».

La sentenza n. 111/2018 delle Sezioni unite

Le Sezioni unite, chiamate a decidere una diversa questione controversa, all'atto dell'individuazione del giudice di rinvio, hanno recentemente accolto l'orientamento intermedio, affermando che «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all'art. 623, comma 1, lett. a), c.p.p.; per contro, la natura decisoria dell'atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l'incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione» (Cass. pen., Sez. unite, n. 111 del 2018).

In conclusione

Le diverse previsioni dell'art. 623 c.p.p. riguardanti l'individuazione del giudice competente per il giudizio di rinvio e l'eventuale incompatibilità alla celebrazione di esso da parte del giudice-persona fisica autore o coautore del provvedimento annullato, sono animate dal concorrere di diverse rationes.

Nei casi di annullamento di una ordinanza (art. 623, comma 1, lett. a) c.p.p.), attesa la peculiare natura giuridica del provvedimento annullato (insuscettibile di definire una fase del giudizio di merito, potendo al più definire un subprocedimento incidentale), è stata privilegiata l'esigenza di conservare l'unità del giudizio.

La fattispecie di cui all'art. 623, comma 1, lett. b) c.p.p. «richiama, invece, le ipotesi di nullità della sentenza di condanna nei casi previsti dall'art. 604, comma 1, e stabilisce che in tali casi la corte disponga la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, in armonia con quanto il richiamato articolo prevede per i casi in cui il medesimo vizio sia stato rilevato in grado di appello» (Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G.U. 24 ottobre 1988, n. 2500, Serie generale, suppl. ordinario n. 2, 136), riprendendo il disposto dell'art. 185, commi 3 e 4, c.p.p., quanto agli effetti della dichiarazione di nullità.

Infine, con riguardo alle fattispecie di cui alle lettere c) e d) dell'art. 623 c.p.p., pur nel rispetto della garanzia del giudice naturale (art. 25, comma 1, della Costituzione), è stato precostituito un giudice diversamente composto (o tout court diverso, ove sussista l'impossibilità di precostituirne uno diversamente composto), valorizzando l'esigenza di non consentire di partecipare al giudizio rescissorio al giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare la sentenza (a seconda dei casi, emanata in composizione monocratica o collegiale) annullata, onde salvaguardare la terzietà del nuovo giudicante dall'eventuale praeiudicium che sarebbe potuto derivare dall'aver già reso una deliberazione potenzialmente conclusiva nell'ambito del medesimo iudicium. Si è, in tal modo, inteso prevenire una potenziale situazione di incompatibilità, suscettibile di assumere rilievo ex art. 34 c.p.p.

Ciò premesso, quanto affermato dalle Sezioni Unite con riguardo all'individuazione del giudice di rinvio in caso di annullamento con rinvio del decreto emesso nell'ambito del procedimento di prevenzione non appare suscettibile di assumere rilievo in ordine all'analoga questione che si pone in caso di annullamento con rinvio delle ordinanze cautelari emesse dal Tribunale del riesame ed appello. In primo luogo, l'art. 623 c.p.p. prevede per le ordinanze, diversamente che per i decreti, una disciplina ad hoc (dichiarata costituzionalmente illegittima solo con riferimento alle “parentesi” del giudizio di cognizione che si innestino nell'ambito del procedimento di esecuzione); inoltre, le ordinanze cautelari non condividono quella “natura decisoria” propria delle sentenze, e riconosciuta anche ai decreti emessi nell'ambito del procedimento di prevenzione. Resta, quindi, ferma la legittimità della celebrazione del giudizio di rinvio a seguito dell'annullamento di un'ordinanza cautelare da parte dei medesimi magistrati-persone fisiche che avevano concorso ad emettere quella annullata.

Con riferimento ai decreti emessi nell'ambito del procedimento di prevenzione, la decisione delle Sezioni Unite (che mostra di non considerare i contrastanti orientamenti emersi in argomento, riproponendone uno abbastanza risalente e isolato) non appare del tutto condivisibile: invero, il riferimento al disposto di cui all'art. 623, comma 1, lett. a), c.p.p. appare improprio, perché la disposizione non menziona i decreti, ma le sole ordinanze; al contrario, in difetto di una disciplina espressamente riguardante i decreti, proprio la natura decisoria riconosciuta dalle stesse Sezioni unite ai decreti in oggetto avrebbe imposto, per analogia (in parte qua senz'altro consentita), l'applicazione della disciplina dettata per le sentenze, e quindi il rinvio (non soltanto alla medesima sezione, ma dinanzi a collegio diversamente composto, bensì) a diversa sezione (e, in difetto, alla Corte d'appello viciniore).

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