Misure di prevenzione patrimoniali e tutela dei terzi. L’operatività temporale della legge 161/2017

09 Aprile 2018

Nel caso in esame, viene in rilievo la disciplina di cui al decreto legislativo, 6 settembre 2011, n. 159, articolo 52, comma 1, lettera b), oggetto di una recente modifica legislativa attraverso la legge 27 settembre 2017, n. 161.
Massima

In tema di misura di prevenzione patrimoniali, le modificheall'art. 52 del codice antimafia in materia di tutela dei terzi introdotte con la legge 161/2017 non si applicano alle procedure rientranti ratione temporis nell'ambito di operatività della c.d. legge di stabilità 2013 (legge 228/2012).

Il caso

Con decreto del 9 marzo 2017 il tribunale di Salerno rigettava l'istanza di ammissione al pagamento del credito, proposta ex artt. 52 d.lgs. 159/2011 e 1, commi 194 e ss., l. 228/2012 nell'interesse di una banca che aveva erogato un mutuo ipotecario in favore del soggetto proposto, poi utilizzato da costui per acquistare un bene sottoposto a confisca di prevenzione.

Il tribunale aveva ritenuto non connotata da affidamento incolpevole la condotta dell'istituto creditore posto che, nella valutazione della solvibilità dei mutuatari, non si era attenuto ai criteri uniformi per la quantificazione della rata di restituzione del prestito, tenuto conto del quadro reddituale del proposto e del suo nucleo familiare.

Avverso l'indicato decreto ha presentato ricorso per cassazione l'istituto di credito soccombente, lamentando l'assenza di motivazione in ordine al requisito della strumentalità del credito ipotecario rispetto all'attività illecita in relazione alla quale il mutuatario è stato ritenuto persona socialmente pericolosa, avendo il Collegio preso in considerazione unicamente il presupposto dell'insussistenza della buona fede in capo al mutuante.

Conformemente alle conclusioni della procura generale, la Suprema Corte ha disposto l'annullamento rinviando per nuovo esame al tribunale di Salerno.

La questione

Nel caso in esame, viene in rilievo la disciplina di cui al decreto legislativo, 6 settembre 2011, n. 159, articolo 52, comma 1, lettera b), oggetto di una recente modifica legislativa attraverso la legge 27 settembre 2017, n. 161.

Nel delineare una delle condizioni in presenza delle quali la confisca non pregiudica i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, la disposizione in esame (nella sua formulazione originaria) richiedeva «che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità».

La citata legge di riforma del codice antimafia, vigente dal 19 novembre 2017, all'articolo 20 ha modificato la norma de qua, agganciando il positivo vaglio ai fini dell'ammissione del credito al pagamento da parte del giudice della prevenzione al presupposto «che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento».

La questione giuridica posta all'attenzione della Corte risiede, quindi, nell'esaminare la portata normativa della condizione così come delineata dalla disciplina anteriore alla novella, rimarcandosi comunque come il Legislatore del 2017 abbia definito in termini più restrittivi la condizione che assicura tutela al terzo creditore: infatti, mentre prima erano posti in termini di alternatività i due requisiti testé indicati (da una parte, la mancanza di strumentalità del credito rispetto all'attività illecita su cui si fonda il giudizio di pericolosità sociale del proposto e, dall'altra, l'ignoranza in buona fede di tale nesso), adesso invece è prevista una configurazione in termini cumulativi dei due presupposti innanzi evidenziati.

Si pone, dunque, il problema dell'individuazione della disciplina applicabile al caso concreto, tenendo conto del fatto che la confisca di prevenzione è stata adottata in base a una proposta avanzata prima dell'entrata in vigore del codice antimafia e, quindi, rientrante nell'estensione – operata dalla c.d. legge di stabilità del 2013 (l. 228/2012) – della disciplina funzionale ad assicurare tutela ai terzi creditori, titolari di diritti reali di garanzia su beni confiscati.

Le soluzioni giuridiche

La Corte, per risolvere la questione posta al suo esame, opera su un doppio versante ricostruttivo.

In primis, tratteggia l'evoluzione legislativa dei profili di tutela dei terzi incisi dal procedimento di prevenzione patrimoniale, evidenziando i diversi passaggi e le differenti soluzioni di volta in volta raggiunte dal Legislatore, sovente coadiuvato da fondamentali interventi da parte della Consulta e della giurisprudenza di legittimità.

Per altro verso, la Corte analizza la natura del rinvio operato dalla l. 24 dicembre 2012, n. 229, articolo 1, commi 194 e ss., al decreto legislativo 159 del 2011, articolo 52, servendosi di tale parametro per addivenire alla risoluzione della questione di diritto prima enunciata.

In ordine al primo profilo, si chiarisce che, in epoca anteriore all'introduzione del decreto legislativo 159 del 2011, la legislazione non contemplava una disciplina ad hoc per la tutela dei terzi creditori, posto che la l. 31 maggio 1965, n. 575, all'articolo 2-ter si limitava a prevedere una forma di tutela interna al procedimento di prevenzione a favore dei terzi cui risultassero appartenere i beni sequestrati (che dovevano essere chiamati dal tribunale a intervenire nel procedimento, nell'ambito del quale potevano svolgere le loro difese).

L'assetto normativo passò, peraltro, indenne il vaglio di costituzionalità in riferimento all'articolo 24, comma 1,Cost.: con la sentenza 190 del 1994, la Corte costituzionale dichiarò, infatti, inammissibile la questione sul rilievo che l'invocata tutela dei terzi creditori sarebbe stata realizzabile attraverso una pluralità di interventi normativi di contenuto diverso e avrebbe, pertanto, comportato l'adozione di scelte discrezionali rimesse in via esclusiva al Legislatore.

La lacuna venne, comunque, almeno in parte colmata dalla giurisprudenza di legittimità che riconobbe tutela al terzo creditore titolare di ipoteca sui beni in sequestro a condizione non solo che la garanzia fosse stata costituita mediante iscrizione nei registri immobiliari prima del sequestro ma anche della buona fede e dell'affidamento incolpevole del creditore ipotecario, la cui prova era a carico del creditore ipotecario originario, nell'ambito del procedimento di prevenzione (così Cass. pen., Sez. I, 6 febbraio 2007, n. 8015, Servizi Immobiliari Banche S.i.b. S.P.A.; Cass. pen., Sez. I, 14 gennaio 2009, n. 2501, San Paolo Imi S.P.A.).

In questo quadro normativo e giurisprudenziale, un primo (limitato) intervento del Legislatore si concretizzò nell'espressa estensione ai titolari di diritti reali di garanzia della facoltà di intervenire nel procedimento di prevenzione, al fine dell'accertamento del diritto, (articolo 2-ter, comma 5, cit., come modificato dalla l. 31 marzo 2010, n. 50).

La vera innovazione è giunta, però, con l'introduzione del c.d. codice antimafia, il cui Titolo IV è appunto dedicato alla tutela dei terzi: come ha osservato la Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 2015, il decreto legislativo 159 del 2011 ha delineato «un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di un “piano di pagamento”, secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare».

Sul contesto disegnato dagli articoli 52 e 58 del decreto legislativo 159/2011, si è poi innestata la c.d. legge di stabilità del 2013 (n. 228 del 24 dicembre 2012), che ha previsto una disciplina specifica per i creditori che vantassero diritti reali di garanzia o avessero intrapreso azioni esecutive sui beni oggetto di confisca di prevenzione nell'ambito di procedimenti non rientranti, ratione temporis, nella sfera di applicazione del decreto 159/2011 perché concernenti proposte di sequestro/confisca depositate prima del 13 ottobre 2011.

In sostanza, i commi da 194 a 206 dell'art. 1 della citata legge per un verso affermano la non proseguibilità e la non proponibilità di azioni esecutive sui beni confiscati e, per altro verso, consentono il soddisfacimento dei creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, nei limiti e con le modalità di legge.

Alla stregua del comma 199, si stabilisce che entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge i titolari dei crediti devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione ai sensi del menzionato articolo 58, comma 2, al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca.

Il successivo comma 200 prevede che il giudice provvede con le forme di cui all'articolo 666, commi 2-9, c.p.p. procedendo all'accertamento della sussistenza e dell'ammontare del credito e verificando il ricorso delle condizioni di cui al citato articolo 52.

La sintetica ricostruzione del tessuto normativo stratificatosi nel corso degli anni conduce la Corte ad affrontare la seconda questione, connessa alla natura del rinvio operato dal citato comma 200 alle norme del codice antimafia: è infatti evidente che, a seconda della soluzione accolta, diverse saranno le conseguenze in punto di regolamentazione dei casi controversi.

Siffatta disamina viene condotta premettendo che tale rinvio non opera rispetto alla normativa del codice antimafia complessivamente considerata e nemmeno rispetto all'intero Titolo IV di esso (dedicato alla tutela dei terzi e ai rapporti con le procedure concorsuali), bensì più specificamente al solo articolo 52, concernente in modo specifico il profilo dell'individuazione delle condizioni, sussistendo le quali la posizione del terzo non risulti recessiva di fronte alla confisca di prevenzione.

Tornando alla problematica testé introdotta, la Corte ripercorre la distinzione, tratteggiata dalla giurisprudenza di legittimità, tra rinvio recettizio (o statico) e rinvio formale (o dinamico), spiegando che il primo recepisce per intero, senza che ne sia riprodotto il testo, il contenuto di un altro articolo, mentre il secondo fa riferimento alla norma in sé considerata e cioè al principio contenuto nella formula verbale dell'articolo del codice.

Da ciò discende che in tale ultimo caso il rinvio segue, inevitabilmente, l'eventuale evoluzione della disposizione oggetto di rimando, mutando al mutare di essa.

Calando tali coordinate ermeneutiche nel caso concreto, la Corte afferma che il rinvio operato dall'art. 1, comma 200, della legge 228/2012 all'art. 52 del codice antimafia vada considerato come “recettizio” o “statico”, con la conseguenza che «le vicende della norma richiamata restano prive di effetto ai fini dell'esistenza ed efficacia della norma richiamante» (Corte cost., n. 315 del 2004).

Ulteriore (e finale) snodo dell'articolato iter argomentativo della Corte è quello che fa discendere da tale conclusione l'impossibilità di applicare la modifica dell'art. 52 introdotta con la legge 161/2017 alle procedure rientranti nell'alveo della legge di stabilità 2013.

Pertanto, nelle ipotesi in questione continueranno ad applicarsi i parametri previgenti, certamente più favorevoli nell'ottica del terzo che voglia far valere il proprio diritto su un bene confiscato: egli, infatti, potrà ottenere ragione dimostrando alternativamente o la non strumentalità del credito rispetto all'attività illecita (o a quelle che ne costituiscano il frutto o il reimpiego), ovvero il fatto di avere in buona fede ignorato tale nesso di strumentalità.

Osservazioni

La Suprema Corte si trova ancora una volta a intervenire per delimitare i concreti confini di operatività dei meccanismi di tutela previsti dall'ordinamento nei confronti dei terzi a vario titolo incisi da provvedimenti ablativi di prevenzione.

Nell'ambito dell'actio finium regundorum affidata alla Suprema Corte, si pone il caso oggetto della sentenza in commento, imperniato sulla novella vigente dal 19 novembre 2017 e sulle innovazioni in tema di accertamento dei diritti dei terzi creditori e ammissione degli stessi al pagamento, entro i limiti del 60% del valore dei beni sequestrati o confiscati, ai sensi del successivo articolo 53.

La formulazione originaria della disposizione richiedeva, infatti, la dimostrazione della mancanza di collegamento del credito con l'attività illecita o – qualora esso sussistesse e vi fosse il c.d. nesso di strumentalità – che tale collegamento fosse dovuto a un affidamento incolpevole, perché derivante da una situazione di apparenza che rendeva scusabile la condizione di ignoranza o l'eventuale difetto di diligenza da parte del creditore.

Con l'intervento di riforma, la posizione del terzo sembra aggravarsi, richiedendosi una sorta di dimostrazione cumulativa dei due presupposti, laddove in passato essi erano da ritenere alternativi; nell'assetto vigente, in altre parole, sembrerebbe che il creditore possa ottenere tutela solo dimostrando l'assenza di strumentalità del credito, la buona fede e l'affidamento incolpevole.

Così opinando si dovrebbe, pertanto, escludere dalla tutela colui che abbia ignorato in buona fede l'esistente nesso di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del debitore (o che sia comunque in buona fede, nei termini in cui tale clausola generale è stata declinata in concreto dalla giurisprudenza, se il credito risultasse strumentale all'attività illecita): la sussistenza del nesso di strumentalità, insomma, escluderebbe oggi di per sé l'opponibilità del credito allo Stato, anche qualora il creditore sia stato in buona fede.

Invero, può notarsi che la novella determina la rottura della relazione di conseguenzialità necessaria e subordinata tra l'elemento oggettivo del nesso di collegamento del credito rispetto alle attività illecite ascritte al proposto e l'elemento soggettivo, individuabile nella condizione di buona fede (cui si va ad aggiungere la locuzione inconsapevole affidamento) del terzo creditore.

Il legame tra i suddetti fattori, previsto nel testo previgente, è dunque destinato a venir meno laddove si richiede al terzo “sempre” la prova della propria buona fede e del proprio inconsapevole affidamento, pur in difetto di un collegamento tra il titolo da cui scaturisce la propria pretesa creditoria e le attività illecite contestate al prevenuto. Insomma, mentre il testo originario dell'art. 52 era ispirato alla nozione di estraneità al reato, elaborata dalla giurisprudenza di legittimità soprattutto con riferimento alla confisca penale, la riforma di cui si discute, al contrario, pare aver spezzato questo rapporto di subordinazione eventuale e necessaria tra l'elemento oggettivo e l'elemento soggettivo, correlato quest'ultimo al più ampio concetto di estraneità al reato.

In tal modo si finirà per dare rilevanza a condizioni di conoscenza/conoscibilità da parte del terzo – rilevanti anche sotto il profilo “colposo” del difetto di diligenza in fase precontrattuale, di cui all'art. 52, comma 3 – svincolate dal dato oggettivo della correlazione tra il diritto di costui e le attività illecite del soggetto pericoloso, da cui i beni dovrebbero trarre origine.

Indubbiamente, ciò pone alcuni interrogativi all'interprete.

In primo luogo, potrà discutersi sull'opportunità di escludere la pretesa giuridica del terzo anche allorché il suo rapporto con le attività del debitore proposto (e/o del terzo intestatario) non presenti alcun nesso di strumentalità, essendo l'attività del creditore pienamente lecita e avulsa dal collegamento con quelle illecite sulle quali è fondato il giudizio di pericolosità sotteso alle misure di prevenzione.

Così opinando, infatti, si perverrebbe al risultato di dovere negare tutela al terzo creditore e avente causa del proposto (e/o del soggetto interposto) soltanto perché, ad esempio, questi sapeva o avrebbe potuto sapere dei precedenti giudiziari che hanno interessato il proposto, sebbene il rapporto giuridico tra loro instaurato non presenti alcuna correlazione con le attività illecite del primo e riguardi (o possa riguardare) beni lecitamente acquisiti, neppure eventualmente costituenti il reimpiego dei proventi illeciti.

Altro profilo problematico concerne, poi, il contenuto di questo elemento di conoscenza (o conoscibilità) che dovrebbe stare a fondamento dell'atteggiamento soggettivo di buona o mala fede del terzo, anche considerato che – è bene ribadirlo – dai meccanismi di tutela di cui si discute esula qualsivoglia profilo di responsabilità penale o di pericolosità sociale del terzo creditore che, viceversa, se sussistenti impedirebbero in radice il positivo superamento del vaglio ex art. 52.

In altre parole, occorrerà comprendere l'ubi consistam dell'atteggiamento soggettivo del terzo creditore, il cui titolo sarebbe comunque svincolato dai fatti illeciti per cui è disposta la misura di prevenzione: se, oltre alla pericolosità soggettiva del proposto, si debba avere riguardo alla provenienza illecita dei beni, ovvero alla vicenda interpositoria tra il prevenuto e il debitore e/o dante causa, laddove si tratti di rapporti intrattenuti con un terzo intestatario e non direttamente con il proposto.

Peraltro, giova osservare che l'applicazione di una misura di prevenzione non priva costui della capacità d'agire, né elide il diritto di proprietà sui beni, di talché può immaginarsi che egli intrattenga efficacemente rapporti giuridici con terzi, ingenerando incolpevole affidamento in costoro; inoltre, è noto che alla stregua dell'art. 25 del codice antimafia, parimenti modificato nel 2017 con un considerevole ampliamento della sfera operativa dell'istituto della confisca di prevenzione per equivalente, possono essere attinti pure beni di provenienza lecita, in misura – appunto – equivalente al valore di quelli sottratti all'azione di prevenzione.

Si è, quindi, da taluno ventilato il rischio che la riforma dell'art. 52 determini il sacrificio delle posizioni di quei terzi creditori che - conoscendo (ovvero potendo conoscere con la diligenza ordinaria o con quella qualificata, connessa alle particolari attività svolte) la caratura criminale del proprio contraente, sebbene senza alcun collegamento con le sue attività illecite - abbiano comunque deciso di intrattenere con questo rapporti giuridici, finendo così per accettare il rischio di restare recessivi nell'ambito di un giudizio estremamente restrittivo e, potrebbe dirsi, sommario sul piano giuridico.

Al rigore del novellato articolo 52 va, poi, aggiunto che già la legge contempla un meccanismo potenzialmente idoneo a comprimere in maniera notevole pure i diritti di quei terzi che siano riusciti a dimostrare di essere in possesso dei requisiti per l'ammissione: da una parte, infatti, non bisogna dimenticare la riduzione della garanzia patrimoniale al sessanta per cento alla stregua del citato articolo 53 e, d'altro canto, giova osservare che il creditore de quo avrà diritto ad essere soddisfatto, nella gradazione ai sensi del comma 2 dell'art. 61, soltanto dopo i creditori per titoli assunti in costanza della procedura con l'amministratore giudiziario, qualificati dalla legge come crediti prededucibili.

Conclusivamente, quanto alla decisione in commento, va detto che la ricostruzione teorico-formale fondata sulla natura del rinvio al codice antimafia appare certamente ineccepibile: invero, la disciplina della legge di stabilità non è delineata sulla base di un richiamo complessivo al Titolo IV del decreto legislativo 159/2011 ma emerge dalla giustapposizione di diversi segmenti normativi, estrapolati sia da tale fonte che dalle norme dei due codici di rito.

Infatti, la novella del 2012 ha delineato una disciplina tendenzialmente organica non già sulla base del complessivo richiamo al Titolo IV del codice cntimafia, bensì richiamando, per un verso, specifiche norme del decreto legislativo 159/2011 e, per altro verso, puntuali disposizioni dei due codici di rito.

Ciò risulta, del resto, in linea con la fisionomia della disciplina in esame, ossia il suo atteggiarsi a “legge ponte” nel senso prima chiarito; d'altro canto, mentre la legge 161/2017 ha esteso l'applicazione, a determinate condizioni, della normativa del 2012 ai beni confiscati ex art. 12-sexies della legge 356/1992, non ha viceversa operato alcun riferimento all'articolo 52 del codice antimafia (cfr. articolo 37 della legge 161/2017).

Nonostante ciò, il principio enucleato dalla Suprema Corte potrebbe risultare di problematica applicazione in concreto, nella misura in cui rischia di diversificare in maniera considerevole il grado di tutela di posizioni giuridiche soggettive sostanzialmente identiche e difformi solo sotto il profilo cronologico.

Si tratteggia, infatti, un canale di protezione dei diritti dei terzi modellato sulla disciplina anteriore alla modifica per coloro che vantano crediti su beni confiscati in forza della vecchia legge 575/1965, per il tramite della “legge ponte” del 2012, e un altro e diverso statuto, ben più restrittivo, che invece deve conformarsi al nuovo assetto normativo.

Ancora una volta, quindi, com'è avvenuto già – ad esempio – per i creditori chirografari, non contemplati dalla legge 228/2012 e assoggettati alla disciplina anteriore al codice antimafia, irrimediabilmente pregiudicati proprio per effetto del regime “transitorio” introdotto dalla citata norma, un dato casuale come l'epoca in cui venne avanzata la proposta di confisca si presenta come discrimine per l'accesso a forme ampiamente differenziate di tutela, a fronte di posizioni sostanziali analoghe.

In tal senso si osserva che anche per la legge 161/2017 la mancata previsione di un'analitica disciplina transitoria (il testo contiene, nella parte finale, delle norme che regolamentano l'area di operatività solo di talune delle disposizioni riformate, come ad esempio quelle concernenti il termine più breve per l'emissione del decreto di confisca, cfr. art. 36) pone seri problemi di diritto intertemporale e ha già costretto, pochissimi mesi dopo l'approvazione del testo, la giurisprudenza di legittimità a intervenire per fornire una risposta concreta alle domande di tutela dei terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione, categoria le cui sorti – ad onta dell'originario disegno del codice antimafia, volto a fornire per la prima volta a costoro un apparato di tutela valido – paiono sempre più in pericolo anche a causa di una stratificazione normativa spesso confusa e poco organica, cui tenta di porre rimedio la Corte di cassazione nell'ambito della sua funzione nomofilattica.

Guida all'approfondimento

AIELLO, Brevi riflessioni sulla disciplina del codice antimafia in tema di tutela dei terzi alla luce dell'ultima proposta di riforma, in Dir. Pen. Cont., 20 aprile 2016;

CALVIGIONI, Confisca e tutela dei creditori: sulla proposta di modifica dell'art. 52, lett. b), del codice antimafia, in Dir. Pen . Cont., fasc. 7-8/2017, p. 5 ss.;

FORTE, Il Nuovo codice antimafia e la tutela dei terzi, in Dir. Pen. Cont. n. 11/2017, 127;

MENDITTO, Le confische di prevenzione e penali, Teoria e pratica del diritto, 256, Milano 2015

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