Infortunio dell'alunno: integrale risarcimento e compensatio lucri cum damno

Giuseppe Sileci
11 Aprile 2018

Integrale risarcimento del danno dell'alunno e compensatio lucri cum damno se per il medesimo evento al danneggiato è stato liquidato un indennizzo assicurativo.

Se un alunno si infortuna all'interno dell'Istituto e durante l'orario scolastico a causa della presenza sul pavimento di una non segnalata sostanza scivolosa e se ottiene la liquidazione di un indennizzo dall'assicuratore in virtù di una polizza infortuni stipulata dalla scuola, può anche chiedere al Ministero dell'istruzione il risarcimento del danno? Ed in tal caso può il Ministero (o l'assicuratore della responsabilità civile che sia stato chiamato in causa dall'amministrazione) eccepire che dall'ammontare del risarcimento debba detrarsi quanto già percepito dall'alunno a titolo di indennizzo?

Con l'iscrizione a scuola di un minore, si instaura un rapporto di natura contrattuale che obbliga l'Istituto – tra l'altro - a «vigilare anche sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso» (Cass. civ., Sez. Un., sent., 27 giugno 2002 n. 9346).

La giurisprudenza successiva della Suprema Corte ha ribadito questo principio: pertanto, qualora l'alunno si sia procurato delle lesioni fisiche in seguito ad un infortunio occorsogli all'interno della struttura scolastica (c.d. “danno da autolesione”), risponde la scuola delle conseguenze lesive a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. civ., sez. III, sent., 28 aprile 2017 n. 10516).

Ed è contrattuale anche la responsabilità dell'insegnante per omessa vigilanza perché, pur non instaurandosi con il precettore un vincolo negoziale, su quest'ultimo incombono una serie di obblighi di protezione derivanti dal “contatto sociale” (Cass. civ., Sez. Un., sent., 27 giugno 2002 n. 9346).

Tutto ciò ha riflessi processuali importanti perché l'onere probatorio sarà regolato dall'art. 1218 c.c., gravando sul danneggiato unicamente la prova dell'evento dannoso durante la sua permanenza a scuola e sull'istituto scolastico, invece, la dimostrazione che l'inesatto adempimento è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante (Cass. civ., sez. III, sent., 25 febbraio 2016 n. 3695).

Non è raro che gli istituti scolastici assicurino i propri iscritti stipulando una polizza che preveda la liquidazione di un indennizzo a favore dell'alunno che si sia infortunato durante la sua permanenza a scuola ed a prescindere dalla sussistenza o meno di un qualche profilo di responsabilità imputabile all'amministrazione scolastica.

Questo indennizzo, che è liquidato applicando i criteri previsti dal singolo contratto di assicurazione, normalmente è inferiore al danno civilistico e quindi non ristora integralmente il danneggiato, il quale, però, potrà agire giudizialmente nei confronti dell'eventuale responsabile civile, e cioè l'amministrazione scolastica.

Vi è però incertezza in giurisprudenza, tanto che la questione è stata rimessa alla Sezioni Unite, se dall'ammontare complessivo del risarcimento del danno debba detrarsi l'eventuale indennizzo che sia stato liquidato al danneggiato da un'impresa di assicurazione ovvero se questi possano cumularsi.

In altri termini, si discute da tempo in giurisprudenza circa l'ambito di applicazione della “compensatio lucri cum damno” e cioè se ed in che misura «nella liquidazione del danno debba tenersi conto del vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza del fatto illecito, ad esempio percependo emolumenti versatigli da assicuratori privati, da assicuratori sociali, da enti di previdenza, ovvero anche da terzi, ma comunque in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante» (Cass. civ., sez. III, ord., 22 giugno 2017 n. 15534).

Si contrappongono, infatti, due diversi orientamenti.

Secondo un indirizzo più risalente nel tempo, è necessario – affinché possa parlarsi di compensatio lucri cum damno – che sia il danno che il lucro siano una conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (Cass. civ., sez. III, sent., 30 settembre 2014 n. 20548).

E questa diretta relazione non sussisterebbe se il lucro (e cioè l'indennizzo) fosse stato liquidato in virtù di un contratto di assicurazione contro gli infortuni, rispetto al quale il fatto illecito costituirebbe una mera occasione e non la causa, trattandosi di un diritto la cui fonte sarebbe negoziale.

Più recentemente, però, la Suprema Corte ha cominciato a prendere le distanze da questo orientamento, optando per una applicazione estensiva del principio in esame.

In particolare, è stata esclusa la possibilità per l'assicurato – danneggiato di cumulare indennizzo assicurativo e risarcimento del danno a ciò ostandovi l'art. 1916 c.c. che, «mirando ad impedire il cumulo di indennizzo e risarcimento, costituisce espressione tipica del principio indennitario, applicabile – per effetto dell'estensione attuata dal comma 4 di tale norma – anche all'assicurazione infortuni, alla quale deve pertanto attribuirsi natura indennitaria» (Cass. civ., sez. III, sent., 11 giugno 2014 n. 13233).

Da ultimo, come detto, la questione è stata rimessa alla decisione delle Sezioni Unite con la ordinanza interlocutoria del 22 giugno 2017 n. 15534 che merita di essere segnalata perché la Terza Sezione, nell'ottica di «collaborare fattivamente al compito di nomofilachia riservato alle Sezioni Unite», non si è limitata ad evidenziare le “ragioni di criticità degli orientamenti in campo” ma ha apertamente preso posizione per l'opzione interpretativa ritenuta più corretta.

Per la Sezione rimettente, infatti, «l'orientamento che nega la compensatio lucri cum damno quando vantaggio e svantaggio non trovino ambedue causa immediata e diretta nell'illecito si fonda su quattro presupposti teorici che non parrebbero condivisibili».

Non è questa la sede per esaminare partitamente le ragioni che, secondo la Terza Sezione, non consentirebbero di aderire all'orientamento più restrittivo (per un approfondimento, IZZO U., La giurisdizione di fronte al senso della storia comparata della compensatio lucri cum damno, in Resp. Civ. prev., 2018, p. 142), ma sembra utile accennare brevemente all'argomento che, invece, autorizzerebbe il giudice a tenere conto dei vantaggi economici procurati alla vittima dell'illecito: sarebbe l'esatta applicazione del “principio di indifferenza” del risarcimento (ossia la regola in virtù della quale il risarcimento del danno non può rendere la vittima dell'illecito né più ricca né più povera di quanto non fosse prima della commissione dell'illecito) che giustificherebbe la “compensatio lucri cum damno”; ciò ad una condizione, però, e cioè che sussista il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il vantaggio, da intendersi nel senso che senza l'illecito la percezione del vantaggio patrimoniale sarebbe stata impossibile.

Quindi, e tornando al quesito, sembra potersi affermare, anche alla luce della più recente giurisprudenza della Suprema Corte, che il danneggiato potrà chiedere all'amministrazione scolastica – se civilmente responsabile - l'integrale risarcimento del danno, dal quale – però – dovranno detrarsi le somme che, in ipotesi, all'infortunato siano già state liquidate a titolo di indennizzo da un assicuratore privato in virtù di una polizza infortuni.

Ovviamente, la compensazione sarà consentita per poste omogenee: dunque, tornando al quesito, se la polizza infortuni non prevedeva il rimborso delle spese mediche, che è un pregiudizio di natura patrimoniale, il responsabile civile non potrebbe contestare il diritto del danneggiato al risarcimento di questo costo opponendo la liquidazione dell'indennizzo assicurativo.

Argomenti in tal senso potrebbero desumersi dalla giurisprudenza formatasi in materia di “danno differenziale”, secondo la quale «in tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno -conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale» (Cass. civ., sez. lav., sent., 21 novembre 2017 n. 27669) (vedi anche D. SPERA, A. PENTA, Danno differenziale, in Ridare.it).

È appena il caso di aggiungere che i termini della questione non sarebbero diversi qualora la scuola avesse assicurato con la medesima impresa sia l'infortunio occorso ai propri alunni sia i rischi derivanti dalla sua responsabilità civile.

In tal caso, unico sarebbe il soggetto giuridico obbligato ad indennizzare lo studente che abbia subito un infortunio ed anche a manlevare la scuola dalle conseguenze derivanti dal fatto illecito.

In questa ipotesi, quindi, potrebbe perdere forza uno degli argomenti più solidi a favore della tesi che predica la detraibilità dell'indennizzo fruito dal danneggiato dall'ammontare complessivo del risarcimento.

Si è detto, infatti, che, negando il divieto del cumulo, il responsabile civile potrebbe essere esposto ad un esborso maggiore del pregiudizio sofferto dal danneggiato perché, dopo averlo risarcito integralmente, potrebbe essere costretto a rimborsare l'indennizzo erogato dall'assicuratore, se questi decida di surrogarsi nei diritti dell'assicurato.

È evidente osservare, però, che se unica è l'impresa che assicurava l'infortunio e la responsabilità civile, non si avrebbe surroga, non potendosi immaginare che l'assicuratore prima indennizzi l'infortunio e poi, ai sensi dell'art. 1916 c.c., si surroghi nei diritti vantati dall'assicurato nei confronti del responsabile civile che, a sua volta, abbia diritto di essere manlevato dal medesimo assicuratore.

Anche in tale ipotesi, però, il danneggiato non avrebbe diritto di cumulare l'indennizzo ed il risarcimento perché, indipendentemente dalla possibilità che operi la surroga, dovrebbe comunque prevalere il “principio di indifferenza” del risarcimento: principio, come detto, che costituirebbe l'ossatura dell'ordinanza della Terza Sezione di rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Giova aggiungere, in conclusione, che del problema si è occupata anche la Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale «in tema di risarcimento e indennità dovute da enti pubblici per infermità derivanti da cause di servizio, la presenza di un'unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto traenti origine da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo, con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario» (Cons. Stato, Ad. Pl., sent., 23 febbraio 2018 n. 1, con commento di PENTA A., L'istituto della compensatio lucri cum damno: il punto di vista del giudice amministrativo, in Ridare.it 21 marzo 2018).

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