Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali. Le S.U. indicano il criterio per calcolare la soglia di punibilità

11 Aprile 2018

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei ...
Abstract

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio- 16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell'anno precedente e nel novembre dell'anno in corso).

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è stato introdotto dall'art. 1, comma 3, d.l. 338 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389 (l'ultimo di ben quattro decreti legge non convertiti), che ha modificato l'art. 2, commi 1 e 1-bis, d.l. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge 638 del 1983.

Si trattava di reato omissivo istantaneo che si consumava all'inutile scadenza del termine previsto per il versamento delle somme complessivamente dovute all'Inps, il giorno 16 del mese successivo a quello nel quale erano state erogate le retribuzioni oggetto di ritenute contributive. Ogni singola omissione integrava un reato, a prescindere dall'entità degli importi non versati (che avrebbero potuto rilevare, eventualmente, ai soli fini dell'applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p., ovvero della circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p.), sicché, in ipotesi, il datore di lavoro che avesse omesso di versare per un anno intero le somme ritenute a fini contributivi sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti avrebbe commesso dodici distinti reati.

L'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'art. 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), ha modificato profondamente la struttura della fattispecie incriminatrice prevedendo una soglia (10.000,00 euro annui) al di sotto della quale l'omesso versamento delle ritenute costituisce illecito amministrativo. Attualmente, dunque, l'art. 2, comma 1-bis, cit., così recita: «L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l'importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000».

Il problema del calcolo della soglia di punibilità

La questione risolta dalle Sezioni unite penali della S.C., non oggetto – come si vedrà – di un significativo contrasto interpretativo giurisprudenziale, riguarda la modalità di calcolo della c.d. soglia di punibilità e, di conseguenza, l'interpretazione del termine annui inserito nella fattispecie come (nuovo) elemento costitutivo, vero e proprio spartiacque tra l'illecito penale e quello amministrativo.

Il fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva è rappresentato dalla materiale erogazione della retribuzione (cfr. al riguardo Cass. pen., Sez. unite, n. 27641/2003, secondo cui il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione posto che il riferimento letterale alle "ritenute operate" sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore); il tempo dell'adempimento, però, matura nel mese successivo a quello nel quale vengono corrisposte le retribuzioni, sicché per quelle corrisposte nel mese di dicembre il termine del relativo versamento scade il giorno sedici del mese di gennaio dell'anno dopo.

Il punto dunque è questo: l'anno previsto dalla nuova norma riguarda i fatti costitutivi dell'obbligazione contributiva (criterio di calcolo per competenza) oppure il tempo dell'adempimento (criterio di calcolo per cassa)? Nel primo caso i termini iniziali e finali da prendere in considerazione sono rispettivamente il 16 febbraio ed il 16 gennaio dell'anno successivo; nel secondo caso il 16 gennaio ed il 16 novembre del medesimo anno. La S.C. con la sentenza in commento ha optato per la seconda soluzione.

Occorre precisare che sulla questione oggetto di intervento non esisteva, come detto, un contrasto interno di giurisprudenza (almeno non un contrasto consapevole). Il ricorso, infatti, è stato assegnato d'ufficio alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 610, comma 2, c.p.p. in considerazione del fatto che l'Inps aveva segnalato un contrasto tra l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità (criterio di calcolo per competenza) e quella seguita dall'Istituto nelle sue circolari (criterio di calcolo per cassa).

Poiché la questione incide su aspetti attinenti a risorse finanziarie pubbliche di primario rilievo la sua risoluzione è stata assegnata alle Sezioni unite.

La rimessione alle Sezioni unite

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: «se, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, debba essere individuato con riferimento alle mensilità di pagamento delle retribuzioni, ovvero a quelle di scadenza del relativo versamento contributivo».

La S.C. ricorda, innanzitutto, che prima dell'intervento modificativo l'omesso versamento era penalmente sanzionato senza alcuna considerazione degli importi: «non era […] contemplata la c.d. soglia di punibilità. Per tale ragione, il reato veniva qualificato dalla giurisprudenza di questa Corte come omissivo istantaneo, rispetto al quale il momento consumativo coincideva con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, fissato dall'art. 18, comma 1, d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 19 novembre 1998, n. 422, al giorno 16 del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 2015, n. 26732, Bongiorno; Cass. pen., Sez. III, 21 febbraio 2012, n. 10974, Norelli; Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2010, n. 615, Ciampi; Cass. pen., Sez. III, 16 aprile 2009, n. 20251, Casciaro; Cass. pen., Sez. III, 25 giugno 2003, n. 29275, Braiuca)».

Quindi, la sentenza analizza la giurisprudenza immediatamente successiva alla modifica dell'art. 2, comma 1-bis, d.l. 463 del 1983 soffermandosi su due sentenze: 1) Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 37232, Lanzoni; 2) Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 35589, Di Cataldo.

La sentenza Lanzoni, ricorda, aveva affermato che «nello stabilire la soglia di punibilità, il legislatore ne ha configurato il superamento, collegato al periodo temporale dell'anno, quale specifico elemento caratterizzante il disvalore di offensività, che consente anche di individuare il momento consumativo del reato, da ritenere perfezionato nel momento e nel mese in cui l'importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell'anno considerato, abbia superato i 10.000 euro, escludendo peraltro, proprio in ragione della connessione con il dato temporale dell'anno, che eventuali successive omissioni nell'arco del medesimo periodo e fino al mese finale di dicembre possano dare luogo ad ulteriori reati». Si tratta di «una fattispecie caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno rappresentano momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell'ultima mensilità, indicata nel giorno 16 del mese di gennaio dell'anno successivo».

La coeva sentenza Cataldo aveva qualificato il reato come avente una struttura unitaria «rispetto alla quale la condotta omissiva può configurarsi anche attraverso una pluralità (eventuale) di omissioni, che possono di per sé anche non costituire reato, con la conseguenza che la consumazione può essere, secondo i casi, tanto istantanea quanto di durata e, in quest'ultimo caso, ad effetto prolungato, sebbene nel solco del periodo annuale di riferimento, sino al termine del quale può realizzarsi o protrarsi il momento consumativo del reato».

Tali pronunce, dunque, avevano interpretato la norma nel senso che ai fini del calcolo dell'importo annuo occorre far riferimento al momento genetico dell'obbligazione contributiva; l'anno è quello di competenza, con la conseguenza che rileva anche la data del 16 gennaio successivo all'anno di riferimento.

Altre sentenze, ricorda la S.C., hanno fatto generico riferimento all'anno solare” quale criterio di calcolo della c.d. soglia di punibilità (Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2016, n. 28046, Lazzeri; Cass. pen., Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 20217, Pelli; Cass. pen., Sez. III, 31 maggio 2016, n. 14211, Lorusso; Cass. pen., Sez. III, 31 maggio 2016, n. 14206, Vona; Cass. pen., Sez. III, 22 marzo 2016, n. 52858, Giosuè; Cass. pen., Sez. III, 9 marzo 2016, n. 46896, Verratti; Cass. pen., Sez. III, 25 febbraio 2016, n. 41457, Bordon; Cass. pen., Sez. III, 23 febbraio 2016, n. 53722, Guastelluccia) ma solo una ha affermato che, utilizzando il termine annui, il Legislatore ha voluto riferirsi all'anno solare globalmente inteso ed alle singole omissioni di versamento commesse in quello stesso anno (Cass. pen., Sez. III, 23 febbraio 2016, n. 53722, Guastelluccia).

In ogni caso, ricordano le Sezioni unite, la questione relativa alle modalità di computo della c.d. soglia di punibilità è sempre stata affrontata in modo incidentale dalla giurisprudenza della Corte; solo una sentenza l'ha risolta ex professo, si tratta della Cass. pen., Sez. III, 11 gennaio 2017, n. 22140, Mor, «nella quale si assume che l'anno di riferimento è quello nel quale il debito è sorto, secondo un principio di competenza e non di cassa, dovendosi aver riguardo alla entità complessiva delle omissioni, tenendo conto del momento in cui le relative obbligazioni, poi rimaste inadempiute, sono sorte e prescindendo dal termine di scadenza per il versamento, che rileva solamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato».

Conclusivamente, afferma la Corte: «risulta pressoché unanime, sebbene talvolta solo implicitamente espresso, il richiamo alle modalità di individuazione dell'arco temporale dell'anno rilevante per l'accertamento dell'eventuale superamento della soglia di punibilità, con riferimento alle mensilità di erogazione della retribuzione».

L'Inps e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali interpretano la norma nel senso che il periodo annuo cui fa riferimento l'art. 2, comma 1-bis, cit., comprende il mese di dicembre dell'annualità considerata - con versamento da effettuare entro il 16 gennaio successivo - ed il mese di novembre della stessa annualità, con versamento entro il successivo 16 dicembre, secondo un criterio di cassa.

La sentenza n. 10424/2018

Le Sezioni unite avallano quest'ultima interpretazione.

Dopo aver rilevato che «la formulazione della norma, a causa del generico riferimento all'importo superiore a euro 10.000 annui, rende del tutto plausibile, in astratto, il ricorso ad entrambe le soluzioni interpretative prospettate», a sostegno della decisione presa osservano quanto segue:

  • oggetto della condotta incriminata sono le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, somme cioè che il datore di lavoro trattiene per versarle all'INPS in loro vece e delle quali non può disporre, in quanto di pertinenza dei dipendenti, prima, e dell'Istituto previdenziale, poi;
  • l'intenzione del legislatore è sostanzialmente quella di reprimere, non tanto il fatto omissivo del mancato versamento dei contributi, quanto, piuttosto, il più grave fatto commissivo dell'indebita appropriazione, da parte del datore di lavoro, di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti, con la conseguenza che l'obbligo di versare le ritenute nasce solo al momento della effettiva corresponsione della retribuzione, sulla quale le ritenute stesse debbono essere operate, non rilevando, peraltro, le vicende finanziarie dell'azienda (Cass. pen., Sez. unite, 28 maggio 2003, n. 27641, Silvestri; Cass. pen., Sez. III, 14 aprile 2015, n. 26712, Vismara; Cass. pen., Sez. III, 21 novembre 2013, n. 19574, Assirelli; Cass. pen., Sez. III, 14 giugno 2011, n. 29616, Vescovi; Cass. pen., Sez. III, 25 settembre 2007, n. 38269, Tafuro);
  • le procedure di inoltro delle denunce mensili contenenti i dati retributivi e le informazioni utili al calcolo dei contributi, attualmente effettuata utilizzando il sistema UNIEMENS, prevedono un controllo di congruità delle dichiarazioni, con possibilità di correzione o rettifica, ricorso a successivi processi di regolarizzazione ed ulteriori attività di verifica che possono dar luogo ad eventuali variazioni contributive, sia a credito che a debito;
  • anche sulla base di tali adempimenti può compiutamente definirsi l'ammontare del debito contributivo, attraverso un sistema che in alcuni casi consente l'esatta individuazione degli importi dovuti solo all'esito di determinati calcoli;
  • se è vero, come si sostiene nella citata sentenza Mor, che il debito previdenziale sorge a seguito della corresponsione delle retribuzioni, al termine di ogni mensilità, è altrettanto vero che la condotta del mancato versamento assume rilievo solo con lo spirare del termine di scadenza indicato dalla legge, sicché appare più coerente riferirsi, riguardo alla soglia di punibilità, alla somma degli importi non versati alle date di scadenza comprese nell'anno e che vanno, quindi, dal 16 gennaio (per le retribuzioni del precedente mese dicembre) al 16 dicembre (per le retribuzioni corrisposte nel mese di novembre);
  • tale ultima soluzione, peraltro, appare maggiormente in linea con il contenuto letterale della norma in esame e con le finalità della stessa e consente al datore di lavoro una più agevole individuazione delle eventuali conseguenze penali della sua condotta.
In conclusione

Occorre innanzitutto ribadire la singolarità del caso: l'intervento nomofilattico nel suo massimo consesso non è stato provocato da un irrisolto contrasto giurisprudenziale ma dalla speciale importanza della questione, proposta su segnalazione dell'Istituto previdenziale. Esigenze di chiarezza su aspetti attinenti a risorse finanziarie pubbliche di primario rilievo hanno imposto il ricorso alla procedura di assegnazione alle Sezioni unite prevista dall'art. 610, comma 2, c.p.p., benché, come ricordato dalla sentenza in commento, la giurisprudenza della Corte fosse sostanzialmente allineata sull'interpretazione della norma in senso contrario a quella proposta dall'INPS nelle sue circolari, tant'è vero, ricordano le Sezioni unite, che l'Istituto si era da ultimo sostanzialmente adeguato all'interpretazione della giurisprudenza di legittimità.

Nel merito, l'interpretazione adottata dalla Suprema Corte appare la più convincente.

L'oggetto materiale della condotta omissiva sanzionata dall'art. 2, comma 1-bis, d.l. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, è costituito dalle somme trattenute a titolo contributivo che il datore di lavoro non versa all'INPS, purché l'importo annuo superi 10.000 euro. Il reato si consuma senza alcun dubbio al momento dell'inutile scadenza dell'obbligazione contributiva, nell'esatto momento in cui da sola o sommata alle precedenti il debito inadempiuto supera la soglia, non un momento prima, non un momento dopo. Se, dunque, ai fini della sussistenza del reato rileva il tempo dell'adempimento, non può esservi dubbio che il criterio di calcolo della soglia di punibilità deve prendere in considerazione il momento dell'adempimento e non quello nel quale è sorta l'obbligazione.

Dato l'anno civile di riferimento, dunque, il reato sussiste solo se la somma matematica dei versamenti omessi è superiore a 10.000 euro e si perfeziona, come detto, nel momento esatto in cui viene superato tale limite, non importa se in conseguenza di un unico ovvero più inadempimenti.

Quel che conta rilevare, piuttosto, è che: a) la soglia di punibilità, poiché rileva ai fini dell'offesa penalmente rilevante, costituisce elemento costitutivo del reato e non condizione obiettiva di punibilità; b) in quanto tale, l'elemento soggettivo (dolo generico) deve riguardare anche tale elemento strutturale della fattispecie (e dunque l'entità delle somme complessivamente non versate nell'anno civile); c) il datore di lavoro non è in ogni caso punibile se provvede al versamento della somma complessivamente dovuta entro tre mesi dalla contestazione ovvero dalla notifica dell'accertamento (art. 2, comma 1-bis, d.l. 463 del 1983; d) l'accertamento non potrà essere contestato al debitore prima del superamento della soglia.

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