Occupazione sine titulo di bene immobile: il danno in senso descrittivo non fa venir meno l'onere di allegazione e prova del c.d. danno conseguenza

Roberta Nardone
11 Aprile 2018

La Corte d'Appello di Bari, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva accertato la insussistenza in capo all'appellante di un titolo che giustificasse l'occupazione dell'immobile, ha respinto il gravame...
Massima

In materia di occupazione illegittima, la determinazione dell'indennità viene effettuata dal giudice sulla base del c.d. danno figurativo, avendo riguardo cioè al valore locativo del bene usurpato e con decorrenza dall'inizio dell'occupazione abusiva - che può essere fatto coincidere con il momento in cui il proprietario ha chiesto la restituzione del bene - sino all'effettivo rilascio.

Il caso

Il giudizio di opposizione a precetto, che aveva visto contrapporsi colei che assumeva di vantare un diritto di abitazione vita natural durante su quella che era stata l'abitazione coniugale, in forza del decreto di omologa della separazione consensuale, e l'assegnataria dell'immobile, si concludeva con la soccombenza della prima e l'accoglimento della domanda riconvenzionale della esecutante finalizzata al rilascio dell'immobile e al risarcimento per occupazione senza titolo.

La pronuncia di primo grado che aveva ritenuto cessato il diritto di abitazione dell'opponente per effetto della successiva regolamentazione dei rapporti tra i coniugi nel procedimento ex art. 710 c.p.c., veniva confermata in appello anche in punto di riconoscimento dell'indennità per l'occupazione senza titolo dell'immobile, quantificata dal giudice di prime cure avuto riguardo al valore locativo di mercato del bene usurpato, ritenuto, per sua natura, destinato a produrre frutti attraverso la locazione, quale si ricavava da una perizia di parte non contestata.

La questione

La pronuncia in commento affronta, tra l'altro, la questione del danno derivante dall'occupazione senza titolo di un immobile. Questa, generalmente, si realizza in tutti i casi in cuiuna res sia posseduta o detenuta da un soggetto non legittimato o, meglio ancora, privo di qualunque titolo giustificativo.

Tali ipotesi si concretizzano, quindi, sia nel caso in cui un soggetto apprenda un immobile senza alcun titolo oppure, quando, vi sia un titolo invalido o la cui efficacia sia, per qualsiasi ragione, terminata - come nel caso esaminato nella sentenza in commento - nel quale il diritto di abitazione della “occupante” sulla ex casa coniugale, sorto per effetto del decreto di omologa della separazione consensuale, debitamente trascritto, era cessato in forza di successivo provvedimento giudiziale emesso nell'ambito di un procedimento ex art. 710 c.p.c. Il terzo, acquirente dell'immobile in forza di decreto di trasferimento di vendita esecutiva, aveva invano richiesto il rilascio del bene ottenendo, da detto momento, il risarcimento ragguagliato al valore locativo del bene occupato ingiustamente.

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento al danno/pregiudizio derivante dalla predetta situazione si riscontrano in giurisprudenza due orientamenti.

Secondo il primo - cui sembra allinearsi la Corte d'Appello pugliese - qualora si verifichi un'occupazione sine titulo di immobile altrui il danno subìto dal proprietario si considera in re ipsa, verificandosi una soppressione delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene che forma oggetto del diritto di proprietà.

Si ritiene il danno sussistente sulla base di una praesumptio hominis, la quale è tuttavia superabile qualora si riesca a dimostrare concretamente che il proprietario, anche nell'ipotesi in cui lo spoglio non si fosse verificato, non avrebbe comunque utilizzato l'immobile, disinteressandosene completamente.

Sempre secondo tale primo orientamento, la stima del danno nel caso concreto può essere fatta con riferimento al c.d. danno figurativo, e cioè al valore locativo dell'immobile occupato. Sul punto v. Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2013, n. 9137; Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2012, n. 14222; Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2010, n. 5568 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Palermo n. 5326/2016).

La ratio dell'orientamento appena richiamato è da ricercare nel fatto che secondo la tradizione romanistica, il «diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo» di cui all'art. 832 c.c. giustificherebbe l'indifferenza a che il proprietario disponga o meno del bene, ne goda oppure no, o lo adibisca a realizzazione del proprio diritto. Il non esercizio del diritto di proprietà, non valendo come dismissione del bene, sarebbe perciò sempre privo di giuridica rilevanza.

Secondo un altro orientamentoil danno da occupazione abusiva non puòritenersi in re ipsa, cioè coincidente con l'evento, che è invece un elemento del fatto, produttivo del danno, poiché il danno risarcibile è pur sempre un danno conseguenza anche nella responsabilità aquiliana, giusti i principi di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c. Sicché il danneggiato, che ne chieda in giudizio il risarcimento, è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o, altrimenti, direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice di merito (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 378).

Tale orientamento si fonda anche sull'osservazione secondo cui la risarcibilità del danno in re ipsa sarebbe in netto contrasto con i principi in materia di prova (art. 2697 c.c.). Sarebbe, quindi, onere del danneggiato dimostrare la effettiva entità del danno e cioè la concreta lesione del proprio patrimonio derivante, ad esempio, dal non aver potuto locare l'immobile o comunque utilizzare direttamente e tempestivamente il bene oppure dall'aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli (Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2015, n. 18494; Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15111; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 378).

Quest'ultimo orientamento, parte dalla distinzione tra danno evento (inteso come lesione di un interesse tutelato dall'ordinamento e coincidente con il danno contra ius) e danno conseguenza (inteso come il pregiudizio patito dalla vittima in conseguenza del verificarsi del danno evento), così come già espresso dalle Sezioni Unite con le quattro sentenze gemelle (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, Cass. civ., sez. un. 11 novembre 2008 n. 26973, Cass. civ., sez. un. 11 novembre 2008, 26974, Cass. civ., sez. un. 11 novembre 2008, n. 26975), ribadendo che il danno non può esistere in re ipsa e come tale essere risarcito.

Non è mancato chi ha messo in discussione detto ultimo orientamento, precisando che la distinzione tra danno conseguenza e danno evento avrebbe una sua ragione di esistere soltanto nella sfera del ristoro del danno non patrimoniale, atteso che le predette sentenze gemelle si riferivano soltanto a quest'ultima tipologia di danno (in tal senso, l'osservazione di Trib. Brindisi, sez. distac. Ostuni, 19 dicembre 2011, secondo cui la configurazione del danno-conseguenza sarebbe stata consacrata dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con le pronunce del novembre 2008 in relazione al solo danno non patrimoniale, in ragione sia della peculiare natura dello stesso, in quanto idoneo ad attingere beni costituzionali di rilevanza costituzionale, sia della tendenza affermatasi nell'àmbito della giurisprudenza di prossimità, a moltiplicare le ipotesi di danno risarcibile).

La distanza tra le due tesi sopra illustrate è stata ritenuta solo “apparente” in una più recente pronuncia della Suprema Corte che sembra a chi scrive apprezzabile.

Cass. civ. sez. III, 27 luglio 2015, n.15757 osserva, infatti, che anche la giurisprudenza che considera in re ipsa il danno da occupazione illegittima di un immobile non nega la necessità, da parte del danneggiato, quantomeno, di un onere di “allegazione” delle situazioni fattuali dimostrative dell'esistenza del danno conseguenza. Ciò si evince - secondo la Corte - nel richiamo ai criteri di normalità per l'individuazione dell'uso di cui il titolare del diritto è stato privato e, così facendo, non prescindendo dagli oneri di allegazione e prova, questi ultimi assolti anche sulla base di presunzioni.

Utilizzando le parole della Suprema Corte, «occorre intendersi sull'identificazione del danno evento da occupazione senza titolo». Questo è certamente rappresentato dall'instaurarsi sul bene di una situazione di godimento diretto dell'occupante, che preclude il godimento diretto del titolare e nel contempo non gli permette di goderlo indirettamente, cioè conferendone il godimento, ossia la detenzione, ad altri. Si tratta del danno evento, cioè come lesione della situazione vantata sull'immobile dal titolare.

Diverso il danno come conseguenza in senso patrimoniale che dipenderà dall'atteggiarsi del godimento del titolare sul bene al momento in cui si verifica l'occupazione e successivamente dal verificarsi di situazioni che, se l'occupazione non esistesse, consentirebbero la fruizione di utilità al titolare del bene.

È in relazione all'atteggiarsi del godimento al momento dell'occupazione altrui che, per il suo protrarsi, potrà emergere o meno un danno conseguenza in relazione all'esistenza o no di una privazione della facoltà di godimento com'era in atto.

Infatti, la situazione del titolare che godeva direttamente dell'immobile svolgendovi un'attività e che, dunque, vede preclusa la continuazione di tale possibilità, va differenziata da quella del titolare che non svolgeva alcuna attività sull'immobile, cioè non esercitava un godimento diretto su di esso e nemmeno lo godeva indirettamente, cioè riscuotendo un'utilità economica da un terzo (ad esempio, un conduttore), ossia frutti civili, oppure soddisfaceva un'esigenza affettiva o amicale (come nel caso di utilizzazione gratuita da parte di un figlio o di un amico).

Il giudice potrà in questi casi ritenere l'esistenza di un danno emergente, come tale suscettibile di valutazione economica e il titolare dovrà allegarlo. Se invece un godimento diretto non vi era e nemmeno ve n'era uno indiretto fonte di utilità, come nel caso in cui venga occupato un terreno che il titolare del diritto su di esso si limitava a godere a distanza senza svolgervi alcuna attività e lasciandolo inutilizzato (ad esempio incolto) non si configurerà un danno conseguenza per effetto della privazione. Infatti, la situazione del godimento del titolare resta, infatti, immutata ed egli non patisce un danno conseguenza per effetto della privazione del godimento.

In quest'ultimo caso, potrebbe, al più, ipotizzarsi un danno derivante dall'impossibilità di realizzare una modalità di godimento diretto che era stata programmata prima dell'occupazione o una modalità di godimento indiretto (come nel caso in cui un terzo formuli un'offerta locativa, che non possa essere soddisfatta per l'occupazione del bene): in tali casi si tratterà di danno da lucro cessante ma, ugualmente, la situazione determinativa del danno andrà allegata e dimostrata.

Anche in Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2016, n.25898 si colgono indicazioni utili per superare l'apparente contrasto di cui sopra abbiamo dato conto.

La Suprema Corte precisa che il danno in re ipsa va inteso in senso “descrittivo”, di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, tale che «non fa comunque venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, ed anche di provare il fatto base da cui il pregiudizio discende», ovvero il fatto che, ove il proprietario avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile l'avrebbe impiegato per una finalità produttiva, fosse essa il godimento diretto o la locazione; onere probatorio che può anche ritenersi soddisfatto dimostrando che il bene era stato sempre destinato alla locazione nel periodo immediatamente precedente l'occupazione anche in conseguenza delle finalità istituzionali del proprietario (si pensi agli immobili di proprietà degli enti previdenziali o di assistenza ordinariamente locati a terzi: al riguardo, v. Trib. Roma 19 gennaio 2018, n. 1320).

La Suprema Corte ribadisce, poi, la validità del ricorso alle presunzioni (come già si legge in Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 378, che pure le indicava come “gravi, precise e concordanti”, o in Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2013, n. 9137, con riferimento, quale presunzione semplice, al valore locativo del bene usurpato (in Trib. Roma n. 1320/2018 sopra richiamata, la fattispecie all'esame del Tribunale riguardava un immobile dell'INPS, ex INPDAP, locato a terzi sin dagli anni 80': il giudice ha considerato “elemento presuntivo semplice” il valore locativo del bene in regime di libero mercato che l'ente quantificava in base al valore dei canoni determinati ai sensi del comma 3 dell'art. 2 della l. n. 431/1998 e del d.m. 5 marzo 1999 optando per il canone relativo alla fascia minima della clausola di salvaguardia adeguato alla variazione ISTAT dei prezzi, trattandosi del canone che l'ente avrebbe applicato all'immobile oggetto di causa se fosse stato locato a terzi, come in precedenza avvenuto).

Osservazioni

Conclusivamente, la sentenza in commento non consente di verificare se, nel caso concreto, all'esame dei giudici pugliesi il terzo acquirente dell'immobile avesse o meno allegato il danno per il cui ristoro agiva. Fatto sta, comunque, che non risulta che ci sia stata una contestazione alcuna sulla consulenza che stimava il canone locativo di mercato.

Rimane da osservare che il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, è una perdita ingiusta conseguente ad un fatto lesivo, ma non si identifica con questo né si pone in termini di automatismo.

Sostenere il contrario significherebbe presupporre che, una volta verificatosi il fatto dannoso - occupazione senza titolo - la dimostrazione del danno ingiusto risarcibile sarebbe in re ipsa, per cui non ricadrebbe sull'attore originario l'onere della allegazione o dimostrazione delle singole situazioni di pregiudizio subite e risarcibili.

Addirittura, portando alle estreme conseguenze si potrebbe sostenere - come è avvenuto in Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 378 - la sussistenza di una «presunzione in base alla quale, una volta verificatosi il fatto, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno ingiusto patrimoniale oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale», ponendo a carico del convenuto danneggiante l'onere della prova contraria, senza che esso sia provato dall'attore. Eventualità non proprio lontana se anche in Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2015, n. 20283 è stato ritenuto che il danno da occupazione illegittima, in re ipsa riconnesso alla perdita temporanea delle utilità normalmente conseguibili da parte del proprietario, costituisce una «presunzione iuris tantum, superabile ove si accerti che la proprietà si sia intenzionalmente disinteressata dell'immobile» (negli stessi termini, v. Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2012, n. 14222).

Francamente, ci appare un'impostazione pericolosa soprattutto se si pensa che un bene immobile può «normalmente» produrre un reddito da locazione, ma non è detto che il proprietario abbia necessariamente interesse a immettere sul mercato il bene.

Guida all'approfondimento

Di Marzio - Falabella, La locazione, Torino, 2001.

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