Effetti della morte del coniuge in pendenza del giudizio di separazione e divorzio

13 Aprile 2018

La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla domanda di riconoscimento dell'assegno di divorzio, si trova ad affrontare con la sentenza in commento il problema degli effetti del decesso del ricorrente in corso di causa.
Massima

La morte del coniuge, in pendenza di giudizio di separazione o divorzio, anche nella fase di legittimità, fa cessare il rapporto coniugale e la stessa materia del contendere, sia sul giudizio relativo allo status che su quello relativo alle domande accessorie.

Il caso

Il ricorrente adiva il Tribunale di Latina chiedendo lo scioglimento del matrimonio, pronuncia che veniva emessa con sentenza non definitiva, impugnata dalla resistente. Il giudizio relativo alle altre domande veniva quindi sospeso sino al passaggio in giudicato della sentenza sul vincolo, dopo di che il Tribunale decideva sulle domande accessorie e onerava il ricorrente di versare un assegno divorzile all'ex coniuge, a far data dal deposito della sentenza definitiva, ma negava il contributo per il mantenimento dei figli.

Il marito impugnava la decisione chiedendo la riduzione dell'assegno; la moglie proponeva invece appello incidentale chiedendo il ripristino del contributo per il figli e l'aumento dell'importo dell'assegno divorzile. La Corte di appello di Roma respingeva entrambi i gravami e confermava la decisione di primo grado, sia con riferimento al quantum dell'assegno, sia relativamente alla decorrenza del medesimo (dalla data della sentenza definitiva).

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per la cassazione il marito e resisteva con controricorso la moglie.

La questione

Quali sono gli effetti del decesso di una delle parti su un giudizio pendente (anche quando si è formato il giudicato sulla pronuncia parziale sul vincolo) avente ad oggetto la richiesta di assegno divorzile?

La domanda di riconoscimento di un contributo al mantenimento ha, infatti, carattere accessorio rispetto a quella principale inerente al vincolo; in ragione delle peculiarità del procedimento divorzile, in seguito al decesso di una delle due parti possono verificarsi due diverse ipotesi: la morte può intervenire prima della decisione sul vincolo (o prima che questa sia passata in giudicato), oppure quando è divenuta definitiva la sentenza sul vincolo, ma non si è ancora formato il giudicato sulle domande accessorie.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla domanda di riconoscimento dell'assegno di divorzio, si trova ad affrontare il problema degli effetti del decesso del ricorrente in corso di causa.

La questione si è verificata spesso nelle aule di giustizia, dando luogo a diverse soluzioni. In primo luogo è opportuno operare una distinzione a seconda del momento in cui si verifichi la morte di una delle parti.

L'evento può infatti verificarsi prima che intervenga la decisione definitiva sul vincolo e, in tal caso, è pacifico che ciò faccia venir meno la materia del contendere, in quanto viene a mancare, per effetto di quanto previsto dall'art. 149 c.c., il rapporto coniugale sul quale la pronuncia avrebbe dovuto incidere. In tale ipotesi, dunque, non può essere dichiarata l'interruzione del processo, poiché gli eventuali eredi non sono legittimati a succedere nella stessa posizione soggettiva e giuridica del de cuius (si può porre, tuttavia, il problema della legittimazione passiva degli eredi nell'appello avverso una sentenza di divorzio non ancora passata in giudicato, promosso al solo fine di ottenere una pronuncia che accerti che il vincolo si è sciolto per una diversa causa, cfr. Cass. civ., 25 giugno 2003, n. 10065).

Diversa è invece la questione se la morte interviene quando la decisione sul vincolo è coperta dal giudicato, ma il giudizio è ancora pendente per le questioni accessorie, come si è verificato nel caso di specie.

Secondo parte della giurisprudenza, se il procedimento pendente ha ad oggetto esclusivamente domande di natura personale (es. l'affidamento dei figli) il decesso di una parte determina la cessazione della materia del contendere (trattandosi di questioni che non possono essere trasmesse agli eredi) mentre, se le domande sub iudice hanno carattere patrimoniale, si ritiene si debba dichiarare l'interruzione del processo, con possibilità di riassunzione nei confronti degli eredi (v. Cass. civ., sez. VI, 24 luglio 2014, n. 16951; Cass. civ., 11 aprile 2013, n. 8874; Cass. civ., sez. I, 3 agosto 2007, n. 17041). Si afferma, in sostanza, che gli eredi del de cuius possano essere evocati in giudizio solo in relazione a quei diritti già acquisiti al patrimonio dell'istante al momento della morte dell'obbligato, e che colui che richiede l'assegno può ottenere una sentenza che accerti il suo diritto per il periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio e la morte dell'obbligato (cfr. Cass. civ., 1 agosto 2014 n. 17567). Il motivo per cui si ritiene sussistere un “interesse” alla pronuncia, secondo la dottrina (D. Chindemi, A. Leonardi) è dato dal fatto che l'avente diritto potrebbe voler ottenere il pagamento dei ratei di assegno maturati e non riscossi e, soprattutto, voler partecipare alla ripartizione della pensione di reversibilità.

Secondo altro filone giurisprudenziale, invece, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere anche quando sono sottoposte al vaglio del Giudice unicamente questioni di carattere economico, in quanto la morte della parte, determinando il venir meno del vincolo, travolge tutte le eventuali pronunce accessorie non ancora passate in giudicato.

La Corte di Cassazione ritiene di dover aderire al secondo orientamento indicato (si precisa, però, che alcune delle sentenze richiamate dal Collegio a sostegno del proprio pensiero si riferiscono, in realtà, a procedimenti di separazione, nei quali pacificamente non era ammessa l'interruzione del procedimento, non essendoci interesse alla pronuncia intermedia proprio perché in tale ipotesi non vi è necessità di attribuzione della pensione di reversibilità), ritenuto più “coerente” al principio, sancito dall'art. 149 c.c., che la morte di una parte fa venir meno il rapporto coniugale.

Osserva in merito il Giudice di legittimità che il giudizio di divorzio ha carattere unitario, e che la possibilità di ottenere una sentenza non definitiva sul vincolo risponde esclusivamente alla necessità di evitare che ragioni di complessità istruttoria possano ritardare la “non procrastinabile” attribuzione dello status di divorziato, ma non per questo determina una deroga al principio generale di unitarietà del processo. La morte di una delle parti travolge quindi le domande accessorie non ancora definite, e l'azione promossa al fine di veder riconosciuto un assegno divorzile non può essere proseguita nei confronti di eventuali eredi.

La Suprema Corte, però, non si limita a questa riflessione, e precisa che l'accertamento relativo all'obbligo di contribuire al mantenimento dell'altro coniuge non ha carattere meramente patrimoniale, ma è anch'esso personalissimo: si tratta di una «posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale» che, in quanto tale, può essere accertata solo in relazione all'esistenza della persona alla quale lo status si riferisce.

Pur trattandosi di una domanda di carattere economico, quindi, la stessa non può essere decisa prescindendo dalla valutazione della persona nei confronti della quale la stessa è spiegata e, pertanto, il relativo giudizio non può proseguire se la parte viene a mancare.

Dalla natura strettamente personale dell'onere deriva, infine, un'ulteriore conseguenza: gli eredi del de cuius non possono subentrare neppure nella posizione del dante causa al fine di far accertare l'insussistenza dell'obbligo al mantenimento e ottenere la restituzione delle somme versate in esecuzione di provvedimenti non definitivi.

Osservazioni

La decisione in esame risulta particolarmente interessante sotto un duplice profilo.

Da un lato il Collegio qualifica il diritto all'assegno di divorzio come «strettamente personale» non solo in relazione al richiedente/percipiente, ma anche con riferimento all'onerato, in quanto intrinsecamente connesso allo status dell'obbligato, più che al patrimonio dello stesso, circostanza che non consente di proseguire il giudizio una volta che sia venuta a mancare la parte obbligata. Una siffatta ricostruzione sembra trovare conferma nella circostanza che l'onere di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge non può essere trasmesso agli eredi (si veda in merito la scelta legislativa di optare per l'istituto dell'assegno a carico dell'eredità, previsto dall'art. 9-bis, l. n. 898/1970, che ha natura e requisiti diversi rispetto all'assegno divorzile di cui all'art. 5, l. n. 898/1970, anche se non sono mancate voci contrastanti, cfr. M. Dogliotti il quale ritiene che l'assegno a carico dell'eredità sia una continuazione di quello divorzile).

Altro aspetto rilevante è costituito dal rilievo prevalente attribuito al principio, di natura processuale, dell'unitarietà del processo rispetto a quello sostanziale dell'obbligo di assistenza, in virtù del quale l'applicazione della causa speciale di scioglimento del vincolo, prevista dall'art. 149 c.c., comporta l'impossibilità di proseguire il giudizio, indipendentemente dal fatto che sia stata emessa un pronuncia parziale.

Qualche dubbio però la decisione lo pone: si è affermato da tempo (v. G. Bonilini) che, una volta maturato il diritto di credito derivante dal riconoscimento dell'assegno divorzile (es. in caso di ratei di assegno scaduti e non pagati) si determina una “spersonalizzazione” del credito medesimo, che si trasmette e si confonde con il patrimonio dell'erede e, quindi, in tale ipotesi potrebbe essere lo stesso erede del de cuius ad avere interesse alla prosecuzione del giudizio al solo fine di una diversa determinazione del quantum dell'assegno. Se il principio affermato con la decisione in commento sarà ulteriormente ribadito, gli eredi della parte venuta a mancare, nel caso in cui il de cuius abbia lasciato un debito, potranno solamente farsi carico dell'obbligazione, senza possibilità di revisione.

Sembra di intuire, infine, che anche con tale pronuncia si intenda attribuire valore al venir meno in via definitiva del vincolo coniugale, continuando così nel filone interpretativo (introdotto con la nota sentenza del 2017) volto a dare particolare rilievo agli aspetti personali, per non dire affettivi dell'unione, rispetto a quelli eminentemente patrimoniali.

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