La legittimazione a ricorrere dell'AGCM

Leila Nadir Sersale
17 Aprile 2018

Il Collegio nella sentenza in commento esamina in via preliminare l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, per contrasto con gli art. 24, 103 e 113 della Costituzione.
Massima

Il ricorso ai sensi dell'art. 21-bis, l. n. 287 del 1990 non configura un'ipotesi di “giurisdizione oggettiva”, ma delinea piuttosto un ordinario potere d'azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche qualificate e differenziate. La struttura sostanzialmente bifasica dell'art. 21-bis consente di individuare una prima fase a carattere consultivo, che concerne l'emissione del parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate e una seconda fase in sede giurisdizionale. La mancanza di una previsione legislativa suscettibile di individuare un dies a quo cui ancorare la decorrenza del termine di sessanta giorni entro il quale l'Autorità può adottare il parere non assume un carattere dirimente e decisivo ai fini di rilevare l'esistenza di un contrasto con gli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione.

Il caso

La controversia trae origine dal ricorso dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, preceduto dal necessario parere precontenzioso, avverso le delibere dell'Università di Firenze, recanti l'affidamento diretto di servizi informatici disposto in favore del Consorzio CINECA.

L'Autorità deduceva l'illegittimità dell'affidamento, in considerazione dell'assenza dei requisiti per qualificare il consorzio come organismo in house.

La questione

Il Collegio esamina in via preliminare l'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, per contrasto con gli art. 24, 103 e 113 della Costituzione.

Ad avviso dell'Università, la legittimazione riconosciuta all'AGCM configurerebbe un'ipotesi di giurisdizione oggettiva, finalizzata alla tutela del mero interesse alla legalità dell'azione amministrativa. L'illegittimità costituzionale della norma risulterebbe confermata dall'assenza del dies a quo del termine di sessanta giorni entro cui l'Autorità può formulare il proprio parere motivato. Tale lacuna avrebbe l'effetto di incidere negativamente sulla stabilità dei provvedimenti, i quali potrebbero essere impugnati anche a notevole distanza di tempo dalla loro adozione.

Le soluzione giuridiche

Il TAR dichiara infondata l'eccezione d'illegittimità costituzionale, sulla base delle seguenti ragioni.

In primo luogo, si sottolinea che la ratio della speciale legittimazione a ricorrere prevista dall'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 consiste nella necessità di assicurare una tutela efficace della concorrenza. Tale esigenza, come chiarito dalla giurisprudenza anche costituzionale, non si identifica nel mero interesse alla legalità dell'azione amministrativa, ma in un interesse individuale qualificato e differenziato, benché soggettivizzato in capo ad una pubblica autorità. Ciò in quanto le singole norme in materia di concorrenza disciplinano fattispecie in cui si muovono interessi individuali e qualificati, tali da fondare situazioni giuridiche soggettive in capo a tutti coloro che agiscono sul mercato.

Chiarito che l'art. 21-bis non introduce un'eccezionale forma di giurisdizione di tipo oggettivo, il TAR esclude che l'assenza del dies a quo del termine per l'emanazione del parere possa assumere carattere dirimente ai fini della possibile illegittimità della norma.

In proposito, viene innanzitutto valorizzata la struttura necessariamente bifasica dell'art. 21-bis, nell'ambito della quale la fase d'interlocuzione con l'Amministrazione che ha adottato l'atto risulta indispensabile, a pena d'inammissibilità del successivo ricorso.

Viene inoltre richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di sessanta giorni per l'emanazione del predetto parere avrebbe natura amministrativa e non di iniziativa processuale, con la conseguenza che lo stesso potrebbe iniziare a decorrere non dalla mera pubblicazione del provvedimento, ma solo dal momento della ricezione, da parte dell'Autorità, di una specifica comunicazione recante gli elementi rilevanti dell'atto che dovrebbe divenire oggetto del parere.

Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per circoscrivere in maniera eccessiva l'azione di quest'ultima, incidendo così sulla reale applicabilità dell'istituto e, ciò, in conflitto con la ratio stessa dell'art. 21-bis.

Al fine di evitare che tale soluzione, ispirata dall'esigenza di potenziare l'azione dell'Autorità, possa incidere negativamente sulla certezza dei rapporti giuridici, il Collegio richiama la disciplina generale dell'annullamento d'ufficio.

In questa prospettiva, un eventuale provvedimento di annullamento, in conformità del parere dell'AGCM, dovrebbe essere adottato entro il termine ragionevole di diciotto mesi e risultare motivato anche in ordine agli ulteriori presupposti di cui all'art. 21-nonies, della l. n. 241 del 1990.

Allo stesso modo, se detti presupposti non siano ritenuti esistenti, l'Amministrazione dovrebbe necessariamente darne atto, con una motivazione idonea a produrre effetti nella fase in cui la stessa AGCM dovrà valutare se proporre ricorso.

Applicando i richiamati principi alla fattispecie in esame, il TAR ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21-bis e le eccezioni di inammissibilità del sollevate dalla parte resistente. Nel merito, ha accolto il ricorso, annullando per l'effetto le delibere del Consiglio di Amministrazione dell'Università di Firenze recanti l'affidamento diretto disposto in favore del Consorzio Interuniversitario CINECA dei servizi informatici.

Con ordinanza n. 389 del 2018, il Consiglio di Stato ha disposto la sospensione dell'esecuzione della predetta sentenza.

Osservazioni

La sentenza affronta diverse questioni poste dalla norma che attribuisce all'AGCM la legittimazione a ricorrere avverso gli atti che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.

Come noto, l'interpretazione dell'art. 21-bis aveva dato luogo a due letture differenti.

Secondo una prima tesi, la norma avrebbe introdotto un'eccezionale forma di giurisdizione oggettiva, finalizzata ad assicurare la tutela dell'interesse generale alla legalità dell'azione amministrativa, in possibile contrasto con l'art. 103 della Costituzione.

I dubbi di legittimità costituzionale prospettati da tale orientamento sono stati tuttavia superati aderendo alla diversa impostazione secondo cui l'art. 21-bis delinea piuttosto un'azione a tutela di una situazione giuridica qualificata, ossia l'interesse alla miglior attuazione della concorrenza, che si soggettivizza in capo all'AGCM come posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato.

La concezione della concorrenza come bene della vita si pone del resto anche alla base del riconoscimento della risarcibilità del danno da illecito antitrust, oggi puntualmente disciplinata dagli art.10 e ss. del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, attuativo della Direttiva 2014/104/UE.

L'interesse al corretto funzionamento del mercato è dunque un interesse giuridicamente rilevante, idoneo a fondare situazioni giuridiche soggettive, la cui violazione consente l'attivazione dei rimedi giurisdizionali.

Ciò posto, la sentenza si sofferma su un ulteriore profilo di criticità dell'art 21-bis, rappresentato dalla mancata indicazione del dies a quo del termine per emettere il parere motivato.

Sul punto, si richiama l'orientamento secondo cui il predetto termine inizia a decorrere non dalla mera pubblicazione legale del provvedimento, ma solo dalla specifica conoscenza, da parte dell'Autorità, dell'atto reputato anticoncorrenziale. A sostegno di tale tesi, si osserva che, altrimenti, l'Autorità sarebbe costretta ad un gravoso e continuo monitoraggio di tutti gli atti adottati da qualsiasi pubblica amministrazione.

Tale soluzione, ispirata dall'esigenza di potenziare l'azione dell'Autorità, si espone tuttavia al rischio di ledere la certezza dei rapporti giuridici, in quanto ricollega la decorrenza del termine ad episodi, quali la ricezione di una specifica segnalazione, che potrebbero verificarsi anche a distanza di molto tempo dall'adozione dell'atto.

Il TAR ritiene tuttavia che tali rilievi possano essere superati evocando la disciplina generale dell'annullamento d'ufficio. In quest'ottica, l'Amministrazione che intenda aderire alle indicazioni dell'Autorità dovrebbe adottare l'atto entro un termine ragionevole e motivare anche in ordine alla sussistenza degli altri presupposti richiesti dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.

Tale tesi presuppone dunque che il potere sollecitato dall'Autorità sia riconducibile all'annullamento d'ufficio, cosicché l'Amministrazione potrebbe decidere di non annullare l'atto non solo nei casi in cui ritiene che lo stesso non violi le norme in materia di concorrenza, ma anche quando ritiene non sussistano gli altri presupposti necessari per annullare d'ufficio.

La soluzione prospettata dal Collegio, pur ispirata dall'apprezzabile esigenza di bilanciare il potenziamento del ruolo dell'Autorità con il principio di certezza del diritto, sembra tuttavia determinare conseguenze anche sul piano del thema decidendum del giudizio instaurato dall'AGCM.

Ci si potrebbe infatti chiedere se, in caso di mancato adeguamento, motivato sulla base dell'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 21-nonies, il ricorso dell'Autorità debba essere proposto contro l'atto successivo, con cui l'Amministrazione, all'esito di una valutazione discrezionale, ha ritenuto non opportuno intervenire in autotutela. In tal caso, si tratterebbe di verificare non solo se l'atto sia illegittimo per contrasto con le norme a tutela della concorrenza, ma se sia ragionevole la motivazione con cui l'Amministrazione, pur riconoscendo l'illegittimità dell'atto, ha deciso di non annullarlo, non ravvisando gli ulteriori presupposti di cui all'art. 21-nonies.

Tali considerazioni non sembrano tuttavia trovare conferma nel tenore letterale e nella ratio dell'art. 21-bis.

Sotto un primo profilo, è possibile evidenziare come tale norma individui chiaramente l'oggetto del giudizio instaurato dall'Autorità nell'atto ritenuto lesivo della concorrenza e non anche in quello successivo, con il quale l'Amministrazione decida di non conformarsi al parere dell'Autorità. Sembra dunque escluso un onere di contestazione degli ulteriori atti della fase precontenziosa.

Al riguardo, si è opportunamente evidenziato che il comma successivo dell'art. 21-bis, relativo al parere e alla valutazione rimessa all'Amministrazione, non individua l'oggetto del giudizio, ma si limita a delineare le modalità procedimentali per l'esercizio del predetto potere d'azione, coerentemente con il principio di legalità cui è improntata tutta l'attività della pubblica amministrazione.

Il parere emesso all'esito della fase interlocutoria – necessario ai fini dell'ammissibilità del ricorso – mira solo a stimolare uno spontaneo adeguamento dell'atto alle norme in tema di concorrenza, all'esito di un confronto che costituisce espressione del principio di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni. Con la conseguenza che le determinazioni adottate dall'Amministrazione in esito al parere rimarrebbero attratte al momento dell'interlocuzione, senza assumere una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela in senso stretto.

Definito in questi termini l'oggetto del giudizio, si deve escludere che il potere sollecitato dall'Autorità garante sia riconducibile all'annullamento d'ufficio e che l'amministrazione compulsata dal parere possa rifiutarsi di rimuovere o modificare l'atto evocando l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 21-nonies.

Tali conclusioni sembrano del resto essere confermate anche dalla stessa ratio dell'art. 21-bis, che come visto, si rinviene nell'esigenza di assicurare la miglior tutela della concorrenza, nella consapevolezza dell'importanza primaria che assume, sia a livello interno che eurounitario, il corretto funzionamento del mercato, quale fattore di competitività e di benessere sociale.

Guida all'approfondimento

M.A. Sandulli, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell'AGCM nell'art. 21-bis l.n. 287/1990, in Federalismi.it, 2012;

Id., La legittimazione dell'AGCM a ricorrere avverso i provvedimenti della p.a. ex art. 21-bis, l. 287/1990 e la violazione delle norme sugli aiuti di Stato, in L. F. Pace (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Napoli, 2013.

Id., Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle Autorità indipendenti, www.giustizia-amministrativa.it;

F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in Federalismi.it, 2012;

R. Giovagnoli, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell'Agcm nell'art. 21-bis legge n. 287/1990, in Giustamm.it;

M. Cappai, Legittimazione a ricorrere dell'AGCM, in L'amministrativista.it

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