Alla Consulta la messa alla prova per minorenni. È legittimo non computare il periodo di prova nella determinazione della pena?

Redazione Scientifica
18 Aprile 2018

La Corte di cassazione, Sez. I, con ordinanza del 5 dicembre 2017 (depositata il 12 aprile 2018), ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 657-bis c.p.p., Computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca, e art. 29 d.P.R. 448/1988, Sospensione del processo e messa alla prova, nella parte in cui ...

La Corte di cassazione, Sez. I, con ordinanza del 5 dicembre 2017 (depositata il 12 aprile 2018), ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 657-bis c.p.p., Computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca, e art. 29 d.P.R. 448/1988, Sospensione del processo e messa alla prova, nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova, con riferimento agli artt. 3, 31, comma 2, e 27, comma 3, Cost.

Il Collegio ha ritenuto, anzitutto, impraticabile un'applicazione estensiva dell'art. 657-bis c.p.p. alla messa alla per minorenni alla luce delle sue differenze, strutturali e funzionali, con l'istituto disciplinato dall'art. 168-bis c.p.

La messa alla prova per i minorenni prevede la sospensione del processo, per un periodo non superiore a 1 anno o 3 anni a seconda del reato per cui si sta procedendo, al fine di valutare la personalità del minorenne alla fine del periodo di sospensione. Durante detto periodo il minore è affidato ai servizi minorili e il giudice può altresì impartire una serie di prescrizioni che possono essere di vario tipo: prescrizioni formali per pure esigenze di controllo; prescrizioni di tipo riparatorio; prescrizioni di contenuto positivo come l'obbligo di frequentare scuole professionali o svolgere attività lavorative; ovvero prescrizioni di vario contenuto, quali trattamenti sanitari, terapie disintossicanti, trattamenti psicologici/psichiatrici.

Al termine del periodo di sospensione, il giudice, se ritiene di dover valutare positivamente la personalità dell'imputato, dichiara estinto il reato. In caso di esito negativo il giudice dispone la prosecuzione del processo e valuta, nel merito, i fatti oggetto di imputazione. Trattandosi di una valutazione avente ad oggetto la personalità del minore ben può essere che questa abbia esito negativo anche nel caso in cui le prescrizioni siano state formalmente rispettate.

La sospensione del processo per messa alla prova dell'imputato maggiorenne si configura, invece, come procedimento alternativo a quello ordinario, riconducibile, sul piano sostanziale, alle cause estintive del reato, effetto che si produce in caso di esito positivo della prova.

Il rito si instaura esclusivamente su iniziativa dell'imputato, il quale deve altresì fornire il proprio consenso all'esecuzione del programma di trattamento. Il beneficio è precluso sulla base della pena edittale ovvero per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e non può essere concesso più di una volta.

La prova consiste in un'attività, indefettibile, dal contenuto retributivo, consistente nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale, secondo le modalità definite nel programma di trattamento concordato con l'Uepe e nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità; nonché in un'attività, soltanto facoltativa, di natura riparativa, diretta all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, alle restituzioni, al risarcimento del danno, ove possibile nonché alla eventuale mediazione della persona offesa.

In caso di esito positivo della prova, il giudice dichiara che il reato è estinto; in caso contrario dispone la prosecuzione del processo e, in caso di condanna, l'art. 657-bis c.p.p. stabilisce che il P.M. , nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente alla prova comunque eseguita, computando un giorno di reclusione o di arresto, oppure duecentocinquanta euro di multa o di ammenda per ogni giorno di prova o di ammenda.

Poste le oggettive differenze tra i due istituti, il Collegio rileva però che, nel concreto, anche l'istituto destinato ai minorenni può assumere quei profili di afflittività tipici della messa alla prova per adulti che giustificano il computo del periodo di messa alla prova nel calcolo della pena. «Ciò è evidente» è indicato nell'ordinanza «nelle situazioni in cui , tra le prescrizioni sia previsto l'inserimento comunitario obbligatorio con obbligo di permanenza all'interno della struttura, attesa la consistente limitazione della libertà di movimento che esso implica. Ma ad analoga valutazione deve pervenirsi anche nel caso in cui le prescrizioni, lungi dal presentare un contenuto “debole”, consistente in una mera offerta trattamentale e di sostegno educativo, consistano […] in un obbligo di fare (o di non fare), atteso che anche in tali ipotesi è comunque configurabile una limitazione della libertà personale, il cui contenuto presenta, ontologicamente un carattere afflittivo, al di là della finalizzazione verso un obiettivo di natura prettamente educativa».

Il dubbio di legittimità costituzionale riguarda, dunque, non tanto la mancata applicazione sic et simpliciter dell'art. 657-bis c.p.p. nel rito minorile, quanto, piuttosto, l'impossibilità, per il giudice, di tenere in alcun conto, per il minore condannato a seguito di esito negativo della messa alla prova, il periodo trascorso in assoggettamento a tale regime, valutando, all'esito del pur negativo esperimento, le limitazioni della libertà personale alle quali il soggetto sia stato, comunque, nelle more sottoposto.

«In questa prospettiva» concludono i giudici di legittimità «la previsione del regime giuridico chiaramente sfavorevole per il minore, il quale […] non potrebbe in alcun modo o misura scomputare dalla pena inflittagli il periodo trascorso in messa alla prova, diversamente da quanto previsto per l'omologo istituto applicabile agli adulti, sembra, configurare una violazione dei principi di tutela del minore e della finalità educativa dell'intervento penale posti dagli artt. 31, secondo comma, e 27 terzo comma, Cost., e del principio di uguaglianza, non apparendo il regime, che per il minorenne non prevede alcun computo delle restrizioni eventualmente patite nella pena ancora da espiare, giustificato in rapporto alla rilevanza costituzionale degli interessi in gioco, riconducibili nell'ambito della libertà personale, sottoposta a limitazioni di varia intensità e cogenza nel corso della prova».

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