Procura alle liti, contratto di patrocinio e azione diretta nei confronti del sostituto dell'avvocato

Giovanni Verardi
19 Aprile 2018

La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, ha colto l'occasione per precisare con chiarezza il confine tra il campo della procura alle liti e quello del contratto di patrocinio, nonché per evidenziare i riflessi applicativi di tale distinzione con riguardo al profilo della corresponsabilità del mandatario e del sostituto del mandatario, rappresentati rispettivamente, nel caso specifico, dall'avvocato designato dalle parti e dall'avvocato da quest'ultimo incaricato a sua volta come suo sostituto.
Massima

Il contratto di patrocinio è riconducibile alla categoria del contratto di mandato e attiene agli aspetti sostanziali del rapporto tra clienti e avvocato, mentre la procura alle liti riguarda gli aspetti processuali legati alla designazione del difensore. L'avvocato che agisce in giudizio su incarico del difensore di fiducia, senza che questi sia stato autorizzato alla sostituzione dai suoi clienti, è responsabile direttamente nei confronti di questi ultimi per gli atti pregiudizievoli compiuti in qualità di sostituto del mandatario. Sussiste l'obbligo di manleva in capo all'assicurazione con riguardo alle conseguenze dannose provocate dallo svolgimento dell'attività professionale.

Il caso

Il 3 marzo 1977 un aereo dell'Aeronautica Militare Italiana si schiantò sul Monte Serra, rilievo al confine tra le province di Pisa e Lucca, causando 44 vittime di cui 38 allievi dell'Accademia Navale di Livorno. Il Ministero della Difesa fu convenuto in giudizio da alcuni familiari ed eredi delle vittime per il risarcimento del danno, ma la domanda fu rigettata dal tribunale di Roma e gli attori incaricarono un altro avvocato di proporre appello. Il difensore, seppur non autorizzato dai clienti, incaricò a sua volta un suo collega di redigere l'atto di impugnazione. Quest'ultimo commetteva tuttavia un errore e ometteva di indicare alcuni nominativi dei ricorrenti. La Corte d'appello di Roma nel 2000 accolse il ricorso e condannò in via generica il Ministero della Difesa, ma solo con riguardo ad alcuni dei clienti che avevano conferito la procura alle liti, ovvero esclusivamente quelli indicati nell'atto di appello. Ne seguì una proposta di transazione da parte del Ministero della Difesa, alla quale chiesero di partecipare anche coloro che erano stati erroneamente omessi. Il Ministero tuttavia oppose un rifiuto, poiché il provvedimento giudiziale non li comprendeva formalmente tra i beneficiari della condanna.

La sentenza di appello non fu impugnata e passò in giudicato, ma alcuni dei clienti erroneamente omessi nel giudizio di appello nel 2005 citarono in giudizio dinanzi al tribunale di Roma l'avvocato da loro designato in origine, nonché l'avvocato a sua volta incaricato da quest'ultimo, al fine di farne dichiarare la responsabilità professionale per aver causato ad alcuni dei clienti il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e la conseguente esclusione dalla transazione. Nel 2007 il Tribunale accertò solo la responsabilità dell'avvocato incaricato originariamente dai clienti, mentre la Corte d'appello successivamente adita condannò nel 2013 entrambi gli avvocati in solido a pagare le somme liquidate in favore di tutti i clienti. In particolare, la Corte rinveniva la sussistenza di un rapporto professionale con entrambi gli avvocati e riconosceva il dovere dell'assicurazione di manlevare l'avvocato responsabile dell'errore. Si evidenziava nello specifico che l'avvocato che aveva redatto l'atto di appello, seppur non fosse stato autorizzato dai clienti, aveva tuttavia intrattenuto direttamente con essi comunicazioni aventi ad oggetto la vicenda processuale, sia durante sia dopo il giudizio di appello. Ciò avrebbe dimostrato l'esistenza di un vero e proprio rapporto professionale. La Corte evidenziava a questo riguardo che sarebbe stato necessario distinguere tra contratto d'opera professionale e procura alle liti, in quanto il primo avrebbe rappresentato un contratto consensuale, mentre la seconda avrebbe configurato una mera esternazione del rapporto di rappresentanza processuale. La procura, in questo senso, non sarebbe consistita in un elemento costitutivo di tale rapporto, poiché quest'ultimo si potrebbe perfezionare anche in mancanza del rilascio della procura alle liti, come avvenuto nel caso di specie.

La decisione è stata impugnata innanzi alla Corte di cassazione da parte dell'assicurazione, gravata dopo il giudizio di appello dell'obbligo di manleva per entrambi gli avvocati.

La questione

La Corte di cassazione, oltre a statuire in merito all'interesse ad impugnare dei clienti, ha affrontato il motivo di ricorso con il quale l'assicurazione dell'avvocato ha denunciato la violazione dell'art. 112 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1326 e 2697 c.c., nonché l'erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.. L'assicurazione, in particolare, ha evidenziato come i clienti in questione non avrebbero mai avuto un rapporto professionale con l'avvocato poi caduto in errore, come dimostrato dalla circostanza che sarebbe stata esclusivamente un'autonoma iniziativa dell'avvocato da essi incaricato quella di coinvolgere un suo collega. Si è sostenuto così che la Corte d'appello avrebbe esorbitato i limiti della domanda, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, in quanto i clienti non avrebbero mai affermato di aver conferito un mandato professionale all'avvocato in questione. La Corte avrebbe inoltre giudicato in violazione di legge, con riguardo in particolare alle norme in tema di conclusione del contratto e di onere della prova. A conforto della posizione, l'assicurazione ha sottolineato come la responsabilità professionale dovrebbe essere circoscritta alle sole azioni compiute dall'avvocato incaricato dai clienti e non anche a quelle del collega delegato. L'avvocato incaricato avrebbe infatti violato l'incarico fiduciario nei confronti dei suoi clienti non agendo in prima persona. Tuttavia, essendo solo il rappresentante processuale dei danneggiati ma non il loro rappresentante sostanziale, non avrebbe avuto il potere di nominare nuovi procuratori. Ad avviso del ricorrente, quindi, l'incarico conferito al suo collega sarebbe avvenuto a mero titolo personale, non comportando l'instaurazione di un rapporto giuridico tra il suo collega e i clienti. Non si profilerebbe di conseguenza alcuna responsabilità dell'avvocato delegato nei confronti di tali soggetti e dunque neanche un'obbligazione di manleva in capo all'assicurazione in favore dell'avvocato delegato.

Le soluzioni giuridiche

La Terza Sezione della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso dell'assicurazione e ha quindi confermato l'esito del giudizio di secondo grado. È tuttavia pervenuta a tale conclusione per il tramite di un differente iter logico-argomentativo. In particolare, anche la Corte di cassazione ha ritenuto che vi fosse un rapporto contrattuale diretto tra i clienti e l'avvocato delegato. Una conferma fattuale di ciò si rinverrebbe nelle comunicazioni e nella parcella finale inviate dall'avvocato all'esito del giudizio d'appello, nonché nel dialogo successivo con riguardo alla transazione con il Ministero della Difesa. Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, il rapporto professionale non sarebbe riconducibile alla relazione qualificata instauratasi tra i clienti e l'avvocato delegato e agli obblighi di protezione che sarebbero scaturiti da tale contatto sociale. Il rapporto giuridico sarebbe invece sorto in virtù del contratto d'opera professionale che i clienti hanno stipulato con il loro avvocato di fiducia.

Secondo la Corte di cassazione, infatti, il contratto in questione rientrerebbe nella categoria del mandato e in virtù di ciò si applicherebbe al caso di specie il combinato disposto del primo e dell'ultimo comma dell'art. 1717 c.c.. In base a tali norme, qualora il mandatario sostituisca a sé un altro soggetto senza che sia stato autorizzato dal mandante o senza che risulti necessario per la natura dell'incarico, risponderà delle azioni compiute dal suo sostituto. Nei confronti di quest'ultimo, inoltre, il mandante potrà esperire un'azione diretta, al fine di farne valere la responsabilità. La soluzione accolta dalla Corte di cassazione, dunque, configura un'ipotesi di corresponsabilità dell'avvocato di fiducia (mandatario) e dell'avvocato delegato (sostituto del mandatario), in applicazione della disciplina prevista per il contratto di mandato, nel cui ambito si situa quel particolare contratto d'opera professionale rappresentato dalla stipulazione tra l'avvocato e il cliente per la gestione di una determinata controversia giuridica (cd. “contratto di patrocinio”).

Osservazioni

La Corte di cassazione, al fine di risolvere la questione giuridica sottesa alla fattispecie in esame, ha dovuto preliminarmente esaminare il rapporto intercorrente tra l'istituto della procura alle liti, il contratto d'opera professionale e il contratto di mandato.

La procura alle liti costituisce l'atto unilaterale con il quale la parte designa un difensore che compirà gli atti del processo in suo nome. Il potere in questione va esercitato in prima persona, in quanto basato su un rapporto fiduciario, salvo espressa previsione contraria. A questo riguardo, come specificato in passato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 1756 dell'8 febbraio 2012, nel caso in cui si conferisca al rappresentante processuale il potere di nominare un altro difensore, la procura conterrà un mandato ad negotia, che conferisce un pieno potere di rappresentanza processuale del designante. Sotto questo profilo, dunque, emergerebbe nel caso di specie la responsabilità dell'avvocato incaricato in origine dai clienti per rappresentarli in giudizio, in quanto avrebbe sostituito altri a sé senza esserne stato autorizzato. Ciò, in realtà, è stato statuito pacificamente già nel giudizio di appello e non è l'oggetto della contestazione prospettata dall'assicurazione nel giudizio per cassazione.

Occorre infatti prestare attenzione a distinguere la procura alle liti, con la quale le parti designano il loro rappresentante tecnico in giudizio, dalla posizione dell'avvocato delegato, la cui condotta va valutata alla luce della disciplina del mandato contrattuale. La responsabilità professionale di quest'ultimo, infatti, deriverà dal suo ingresso, sul piano sostanziale, nel rapporto contrattuale instaurato tra i clienti e l'avvocato originario, per il tramite della delega da quest'ultimo effettuata.

In particolare, il rapporto in questione va individuato nell'ambito della figura giuridica del contratto d'opera professionale, il quale a sua volta è riconducibile nell'ambito della categoria del contratto di mandato e alla relativa disciplina codicistica. Come evidenziato in dottrina, infatti, la procura alle liti involge gli aspetti processuali dell'attività del difensore, mentre i rapporti tra il cliente, l'avvocato e i sostituti di quest'ultimo attengono per lo più al diritto sostanziale e al contratto di prestazione d'opera, definito anche “contratto di patrocinio”. Le vicende di tale negozio giuridico, dunque, non influirebbero su quelle collegate alla procura alle liti (C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile. I. Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino, p. 413).

La Terza Sezione della Corte di cassazione, a questo proposito e con riguardo al caso di specie, ha osservato come per il tramite di tale negozio si instauri tra l'avvocato e il cliente un rapporto gestorio che implica la conduzione professionale di una determinata questione giuridica, in relazione o meno a una vicenda processuale. Anche tale rapporto riposa sulla fiducia, ma, a differenza della procura alle liti, l'elemento dell'intuitus personae non è imprescindibile, tanto che il mandatario può avvalersi di un sostituto. A quest'ultimo può delegare l'espletamento dell'incarico, salvo che tale evenienza sia stata espressamente esclusa dalle parti o sia desumibile dalla natura dell'incarico. È proprio quest'ultimo il caso dell'attività svolta dall'avvocato, professionista che al pari del medico viene scelto dal cliente affinché svolga in prima persona l'incarico e nei confronti del quale il cliente ripone la sua fiducia, in quanto dotato di una determinata competenza o affidabilità.

È quindi da escludere in questo caso la possibilità di una sostituzione del mandatario non autorizzata dal mandante. Qualora tale evenienza si verifichi, si delineerebbe una responsabilità del mandatario ai sensi dell'art. 1717 c.c., come evidenziato ad esempio dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 15412 del 28 giugno 2010, nonché del sostituto del mandatario, come osservato dalla Suprema Corte nel caso di specie.

È infatti a tale profilo che occorre fare riferimento per delineare nel caso di specie la responsabilità giuridica dell'avvocato delegato dal legale di fiducia. Quest'ultimo potrà essere chiamato in giudizio in via diretta per i pregiudizi causati ai clienti dell'avvocato incaricato in origine, in applicazione della previsione contenuta dall'ultimo comma dell'art. 1717 c.c.. Tale norma contempla infatti un'azione diretta nei confronti del sostituto del mandatario al fine di farne valere la corresponsabilità.

Riportando tali coordinate generali al caso di specie, dunque, è possibile riconoscere la sussistenza di un rapporto professionale tra i clienti e l'avvocato delegato dal loro avvocato di fiducia. Ciò non avverrà solo in virtù delle comunicazioni intercorse direttamente tra le parti in questione, che pure contribuiscono a rafforzare la consistenza di tale rapporto, bensì in base al contratto d'opera professionale, disciplinato dalle norme in tema di mandato, che i clienti hanno stipulato con l'avvocato incaricato in origine. In particolare, i clienti potranno agire direttamente nei confronti del sostituto del mandatario per far accertare la sua responsabilità professionale per i pregiudizi arrecati nella loro sfera giuridico-patrimoniale e il conseguente risarcimento del danno. L'assicurazione, pertanto, dovrà assolvere il proprio dovere di manlevare anche l'avvocato delegato con riguardo alle conseguenze dannose provocate a terzi dallo svolgimento dell'attività professionale.

La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, ha dunque colto l'occasione per precisare con chiarezza il confine tra il campo della procura alle liti e quello del contratto di patrocinio, nonché per evidenziare i riflessi applicativi di tale distinzione con riguardo al profilo della corresponsabilità del mandatario e del sostituto del mandatario, rappresentati rispettivamente, nel caso specifico, dall'avvocato designato dalle parti e dall'avvocato da quest'ultimo incaricato a sua volta come suo sostituto.

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