La tutela del terzo avverso i provvedimenti cautelari

19 Aprile 2018

La possibilità che l'adozione o l'attuazione di un provvedimento urgente coinvolga anche soggetti che non hanno partecipato al procedimento di emanazione dell'ordinanza cautelare impone di stabilire quali siano gli strumenti che l'ordinamento predispone a favore dei terzi, onde garantire loro un'efficace tutela.
Premessa

Frequentemente all'interno del processo cautelare si pone l'esigenza di tutelare la posizione del terzo. Si pensi all'ipotesi in cui, ottenuto da Tizio nei confronti di Caio sequestro giudiziario su un determinato bene, Sempronio affermi di esserne proprietario. Ancora, si consideri l'eventualità che, adottato un provvedimento d'urgenza avente ad oggetto obblighi di fare, l'esecuzione della misura coinvolga anche gli interessi di un terzo. Non è poi da escludere che nel corso dell'esecuzione-attuazione di un sequestro conservativo concesso a Tizio per la tutela di un suo credito nei confronti di Caio, venga per errore coinvolto un bene di Sempronio, terzo estraneo alla procedura.

La possibilità che l'adozione o l'attuazione di un provvedimento urgente coinvolga anche soggetti che non hanno partecipato al procedimento di emanazione dell'ordinanza cautelare impone allora di stabilire quali siano gli strumenti che l'ordinamento predispone a favore dei terzi, onde garantire loro un'efficace tutela.

Dagli esempi appena fatti si evince che i pregiudizi che il terzo può lamentare sono di diversa tipologia, potendo derivare dalla semplice adozione del provvedimento (è ad esempio il caso del terzo che afferma essere titolare della proprietà sul bene da sequestrarsi) o dalla sua attuazione.

In particolare, occorre vedere se oggetto del provvedimento cautelare siano somme di danaro o se questo concerna obblighi di fare, non fare, consegna o rilascio; ancora, bisogna distinguere il caso in cui il terzo lamenti di aver ricevuto un pregiudizio dall'erronea attuazione del provvedimento cautelare da quello in cui al terzo derivi un danno dalla concessione del provvedimento in sé.

Il pregiudizio derivante dall'attuazione di una ordinanza cautelare avente ad oggetto una somma di danaro

Ciò posto, stando alla prevalente dottrina, qualora il terzo subisca un pregiudizio dall'esecuzione di un'ordinanza avente ad oggetto una somma di denaro, l'errore compiuto in sede di attuazionepotrà essere censurato dal terzo mediante la proposizione dell'opposizione di terzo all'esecuzione ex art. 619 c.p.c. (v. tra gli altri, Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 362; Luiso (-Consolo-Sassani), La riforma del processo civile, Milano, 1991, 511; Tarzia-Saletti, Processo cautelare, in Enc. dir., Agg., Milano, 2001, 861-862).

Nonostante il rinvio ai soli artt. 491 e ss. c.p.c. «in quanto compatibili» porti ad escludere che l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di danaro si realizzi integralmente nelle forme e nei modi del libro III del codice di rito, è possibile ammettere l'esperibilità del rimedio di cui all'art. 619 c.p.c., facendo leva proprio sul rinvio contenuto nell'art. 669-duodecies. A questa conclusione può giungersi a prescindere dal riconoscimento o meno della natura di titolo esecutivo ai provvedimenti cautelari; difatti, anche a voler escludere che l'attuazione coattiva delle misure cautelari faccia acquistare a detti provvedimenti la natura e il carattere di titolo esecutivo, deve comunque riconoscersi che la situazione processuale derivante dall'erronea individuazione dei beni su cui si attua la cautela presenta fortissime affinità con l'ipotesi in cui nel corso del pignoramento vengano vincolati all'esecuzione beni non appartenenti al debitore esecutato.

Il pregiudizio derivante dall'attuazione di una misura cautelare avente ad oggetto obblighi di fare e non fare, consegna o rilascio

Ove il terzo lamenti invece di aver ricevuto pregiudizio dall'attuazione di una misura cautelare avente ad oggetto obblighi di fare e non fare, consegna o rilascio, si deve ritenere che costui debba proporre le proprie doglianze innanzi al giudice che coordina l'attuazione della cautela. Quest'ultimo, convocate le parti, emetterà i provvedimenti opportuni: così infatti dispone l'art. 669-duodecies che attribuisce espressamente al giudice che ha emanato il provvedimento il potere di determinare le modalità di attuazione e di risolvere con ordinanza tutte le difficoltà o contestazioni che possono sorgere in quella sede (Corsini, Il reclamo cautelare, Torino, 2002, 273-274; Merlin, Provvedimenti cautelari ed urgenti in generale, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, 426; Recchioni, L'attuazione delle misure e le opposizioni esecutive, in REF, 2005, 54).

Per espressa volontà di legge, «l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgono difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti» (art. 669-duodecies): non v'è dubbio che nel concetto di «contestazioni» si debbano far rientrare anche le doglianze che un terzo può avanzare contro l'attuazione di una misura cautelare di tal specie, per cui a questi non è dato altro strumento di tutela se non quello di proporre apposita istanza al giudice della cautela (Cass. civ., 10 luglio 2014, n. 17561; Trib. Aosta, 9 aprile 2013).

Quest'ultimo deciderà con ordinanza non impugnabile: difatti, la soluzione delle contestazioni in ordine alle modalità esecutive da parte del giudice dell'attuazione non tiene in alcun modo il luogo delle opposizioni esecutive, limitandosi il giudice a provvedere in via non definitiva e senza il modulo della cognizione piena tipico delle opposizioni (Merlin, op. ult. cit.).

Il pregiudizio derivante dalla mera adozione della misura cautelare

Ben più complesso il discorso da svolgere laddove il pregiudizio al terzo derivi dalla mera adozione di un provvedimento cautelare.

Invero, poiché alla tutela cautelare manca qualsiasi efficacia di accertamento nei termini di cui agli artt. 2907 e 2909 c.c., va escluso che il relativo provvedimento possa, da sé solo, incidere su una situazione giuridicamente rilevante. Il pregiudizio che il terzo può lamentare in questo caso è da individuare in quello del cd. danno da esecuzione, intendendosi per tale «non l'esecuzione in senso stretto né il mero fatto dell'accertamento contenuto nella decisione, ma più in generale l'attuazione inter partes della situazione sostanziale accertata nella sentenza» (Luiso, Commento all'art. 404, in Aa. Vv., Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, Milano, 2007, 3226).

Alcuni autori attribuiscono al terzo la legittimazione ad agire con l'opposizione di terzo ordinaria (Cecchella, Il processo cautelare. Commentario, Torino, 1997, 221 ss.). In contrario può osservarsi che se corrisponde al vero che l'ambito di applicazione dell'art. 404 c.p.c. è stato via via dilatato, ciò è accaduto sempre con riferimento a provvedimenti aventi carattere (oltre che decisorio, anche) definitivo, requisito quest'ultimo che non è ravvisabile nei provvedimenti cautelari, essendo questi destinati ad essere assorbiti dalla successiva sentenza di merito (Cass. civ., 19 marzo 2012, n. 4327; Cass. civ., 29 ottobre 1999, n. 12191, in Foro it., Rep., 1999, voce Procedimenti cautelari, n. 80; Pret. Macerata, 3 agosto 1992, id., 1993, I, 1707).

La strada del ricorso all'impugnazione di cui all'art. 404, peraltro, oltre ad essere «tecnicamente» impercorribile, si rileva anche poco opportuna. Il giudizio in questione segue infatti le regole della cognizione piena; esso non può innestarsi, per rimuoverlo, su un provvedimento cautelare che si è limitato a fissare un assetto di interessi, senza alcun valore decisorio sui diritti cautelati.

A fronte di un provvedimento cautelare avente immediata efficacia, occorre allora offrire al terzo che assume essere stato leso uno strumento che possa garantirgli con celerità la tutela della propria posizione soggettiva. A tal fine, è stato proposto in giurisprudenza l'utilizzazione del reclamo di cui all'art. 669-terdecies, quale strumento volto al riesame di circostanze preesistenti all'adozione del provvedimento (Trib. Verona, 30 maggio 2000, in Giur. it., 2001, 2294 che tuttavia limita la legittimazione al reclamo ai soli terzi litisconsorti necessari pretermessi; Trib. Roma, 27 marzo 2000; Trib. Catanzaro, 27 maggio 1997, in Giust. civ., 1998, I, 2653).

A mio avviso, però, tale rimedio può essere concretamente praticato dal terzo nella sola ipotesi in cui egli sia già intervenuto nel primo grado del processo cautelare, avendo acquistato la qualità di parte e per tale via la legittimazione alla sua proposizione.

Diviene invece difficile ammettere il terzo all'esperibilità del reclamo nell'ipotesi in cui sia rimasto estraneo al processo, giacché: a)- se è vero che nel silenzio del legislatore si applicano al reclamo le regole generali in tema di impugnazioni, si deve senz'altro escludere la legittimazione del terzo a proporre reclamo, costituendo principio generale in tema di impugnazioni che abilitato alla proposizione dei gravami è solochi ha assunto la qualità in senso formale di parte con esclusione dunque dei terzi, salve esplicite eccezioni previste dalla legge; b)- qualora venisse concessa al terzo la possibilità di proporre reclamo, vi sarebbe il pericolo della proposizione di una pluralità di impugnazioni avverso la medesima misura, potendo avvalersi di tale rimedio non solo il terzo ma anche (e prima ancora del terzo) il destinatario della cautela. Non da ultimo occorre poi considerare che la deduzione all'interno del procedimento di reclamo del diritto del terzo potrebbe aprire la strada per l'ammissibilità del ricorso straordianario per cassazione avverso il provvedimento di reclamo, in aperta violazione del diritto vivente formatosi sul punto.

Se al terzo è preclusa la possibilità di proporre reclamo, non può escludersi la possibilità per costui di intervenire nell'ambito del giudizio di reclamo di cui all'art. 669-terdecies eventualmente proposto dalle parti. Sembra infatti condivisibile quell'interpretazione secondo la quale, al fine di garantire una migliore protezione per il terzo, deve ritenersi consentito l'intervento dei terzi nel corso del reclamo nell'ipotesi in cui essi siano legittimati a proporre opposizione ordinaria di terzo, in applicazione analogica della norma dell'art. 344 c.p.c. (Consolo, Intervento del terzo nel giudizio cautelare, reclamo del terzo e pregiudizio da mera attuazione scorretta (da farsi valere in altro modo), in Giur. it., 1996, I, 2, 192-193).

Qualora le parti non abbiano proposto reclamo o il relativo procedimento si sia già concluso, occorre poi distinguere.

Laddove il provvedimento lesivo dei diritti del terzo sia costituito da una misura cautelare conservativa, è onere di colui il quale ha ottenuto ante causam la misura di instaurare il relativo giudizio di merito ai sensi dell'art. 669-octies (Cass. civ., 29 ottobre 1999, n. 12191; Trib. Termini Imerese, 7 ottobre 2003; Trib. Treviso, 4 ottobre 2001, in Corr. giur., 2002, 377; contra Cass. civ., 20 luglio 2001, n. 9925, ibid., 379, per la quale il terzo che vanti un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello accertato nel provvedimento cautelare (nella specie un sequestro giudiziario), deve prima sollecitare il potere di ordinanza del giudice dell'attuazione e poi far valere nel giudizio di merito il proprio diritto); dunque, al terzo che si ritenga leso dall'adozione di un provvedimento cautelare, è data la facoltà di intervenire nell'ambito del giudizio di merito, onde ottenere al suo interno la tutela immediata dei suoi diritti tramite la richiesta di revoca del provvedimento cautelare ex art. 669-decies.

L'ipotesi ricostruttiva appena descritta, però, potrebbe anche non essere idonea a consentire al terzo un'adeguata difesa dei propri interessi, potendo l'intervento del terzo essere impedito dallo stato di avanzamento del giudizio di merito. La soluzione appena accennata, soprattutto, presenta un'ulteriore difficoltà, consistente nella circostanza che il terzo non è messo nella condizione di ottenere una tutela immediata del suo diritto, essendo il giudice del merito privo del potere di sospendere il provvedimento.

D'altronde, laddove il provvedimento cautelare lesivo dei diritti del terzo abbia poi contenuto anticipatorio(o consista in un provvedimento d'urgenza) e come tale sia sottratto alla regola della strumentalità rigida, la possibilità per il terzo di vedere tutelato il proprio diritto nel giudizio di merito è meramente eventuale, essendo l'instaurazione del giudizio a cognizione piena frutto della libera scelta delle parti del giudizio cautelare.

Acclarata l'impossibilità (i.e. l'inutilità) per il terzo di intervenire nel giudizio di merito, l'esigenza di non lasciare il terzo privo di tutela, pena la violazione del precetto di cui all'art. 24 Cost., mi spinge, allora, sul presupposto dell'impossibilità di avvalersi delle opposizioni esecutive (giacché rispetto ai provvedimenti cautelari non si tratta di rendere la situazione di fatto corrispondente al diritto, ma di attuare anche praticamente la tutela interinale del diritto), a prospettare il ricorso all'azione ordinaria di cognizione, con contestuale istanza di sospensione del provvedimento cautelare considerato lesivo del proprio diritto ai sensi dell'art. 700 c.p.c.: in tal modo, il terzo che si affermi titolare di un diritto inciso da un provvedimento cautelare potrà ottenere immediata tutela dei propri diritti e contestualmente paralizzare gli effetti esecutivi della misura urgente che lo pregiudica.

La tutela del terzo avverso i sequestri

Infine, un discorso a parte deve essere condotto per i sequestri.

In relazione a tali misure si è ritenuto che il rinvio contenuto nell'art. 669-duodecies agli artt. 677 e seguenti non esaurisca tutte le questioni concernenti l'esecuzione, comprese quelle relative ai diritti vantati da terzi sui beni oggetto dei sequestri.

Secondo alcuni autori (D'Ascola, Attuazione del sequestro giudiziario e tutela del terzo, in Corr. giur., 2002, 381; Ferri, Sequestro, in Digesto civ., XVIII, Torino, 1998, 470), per risolvere tali questioni occorre aver riguardo proprio alle regole dettate dall'art. 669-duodecies, per cui le contestazioni mosse dai terzi in ordine all'esecuzione dei sequestri non possono essere dedotte mediante le opposizioni esecutive, conservando la loro natura di eccezioni da far valere con un'apposita istanza al giudice cautelare (Cass. civ., 12 dicembre 2003, n. 19101; Pret. Salerno, sez. Eboli, 23 novembre 1993, in Giur. mer., 1995, 68, con nota di Di Cecilia).

Secondo altri, invece, il tenore letterale del combinato disposto degli artt. 669-duodecies e 677 ss. evidenzierebbe la volontà del legislatore di sottrarre al giudice della cautela ogni competenza in punto di attuazione: i problemi inerenti all'esecuzione sarebbero devoluti alla cognizione del giudice dell'esecuzione (Montesano, Attuazione delle cautele e diritti cautelabili nella riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, 935-936 ss.), con conseguente applicazione della normativa dei processi esecutivi. Stando a quest'opinione, il terzo che assuma di essere titolare di un diritto sul bene oggetto del sequestro potrebbe perciò avvalersi delle opposizioni esecutive (e segnatamente dell'opposizione di terzo all'esecuzione): Trib. Padova, 11 agosto 1995, in Foro it., 1995, I, 1445 con riferimento al caso di un sequestro conservativo concesso su di bene determinato (nella specie una nave); Trib. Milano, 18 giugno 1997 e Trib. Alba, 8 luglio 1997, entrambe pubblicate in Giur. it., 1998, 2312 ss.; Conte, Il sequestro conservativo nel processo civile, Torino, 2000, 208 ss.).

A mio avviso, entrambe le interpretazioni riportate possono ritenersi persuasive, a patto però che si riferisca la prima all'attuazione del sequestro giudiziario e la seconda a quella del sequestro conservativo.

Difatti, mentre il sequestro conservativosi risolve in una forma di pignoramento anticipato, che rende logico che si applichi subito la disciplina dell'esecuzione forzata, investendo il giudice dell'esecuzione e consentendo che eventuali contestazioni possano essere svolte nelle forme delle opposizioni esecutive, il sequestro giudiziario, invece, consiste in un provvedimento in cui il giudice della cautela, poiché deve sin dalla sua emanazione indicarne lo specifico oggetto (oltre che nominare il custode), potrà anche stabilire in quella sede le modalità di attuazione.

Sembra allora ragionevole ritenere che, nella fase di attuazione, i soggetti destinati a disporre le modalità di attuazione delle misure siano diversi.

Nel sequestro conservativo, la competenza passerà al giudice dell'esecuzione; si applicherà in toto la disciplina del processo esecutivo, salve le norme concernenti la notificazione del titolo esecutivo e del precetto. Il terzo che voglia affermare la titolarità di un proprio diritto inciso dalle concrete modalità esecutive potrà incanalare le proprie contestazioni nell'alveo dell'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. (va invece esclusa la possibilità che il terzo subisca un danno dalla mera adozione di una misura siffatta, non inerendo tale provvedimento a beni specifici, ma limitandosi a colpire la generica consistenza patrimoniale).


L'attuazione del sequestro giudiziario sarà invece affidata al giudice che ha reso la misura, in analogia a quanto previsto dall'art. 669-duodecies per gli altri provvedimenti cautelari. Pertanto, al giudice dell'attuazione spetterà unicamente la competenza a risolvere unicamente le difficoltà di ordine materiale; eventuali contestazioni del terzo in ordine alla titolarità del bene inciso dall'esecuzione della misura dovranno essere fatte valere altrove, in un apposito e separato giudizio di merito.

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