La costrizione a compiere atti sessuali è compatibile con l'induzione indebita a dare o promettere utilità?

24 Aprile 2018

La condotta di induzione indebita a dare o promettere utilità è compatibile con quella di costrizione nella violenza sessuale? Quando l'atto sessuale costituisca esecuzione di un comune accordo ...
Massima

Quando l'atto sessuale è il frutto di un accordo comune, anche se raggiunto con una intensità di volizione diversa dalle parti dell'accordo, non è ragionevole ritenere che possa al contempo sussistere una compressione della libertà sessuale che giunge al livello di offensività proprio della integrazione del reato di violenza sessuale.

Il caso

Il ricorrente, componente della commissione per il riconoscimento della protezione internazionale, è stato condannato, con sentenza di primo grado, alla pena di anni nove di reclusione per i delitti di concussione e violenza sessuale, commessi ai danni di diversi uomini extracomunitari, per averli costretti, nella sua qualità di pubblico ufficiale a compiere atti sessuali.

La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello e avverso tale decisione la difesa ha proposto ricorso per cassazione, rilevando, con i primi due motivi, l'insufficienza della motivazione della sentenza di merito, in quanto sommaria, nonché il travisamento delle prove raccolte in sede istruttoria.

Ulteriore motivo di impugnazione attiene invece alla violazione degli artt. 317 e 319-quater c.p., sul presupposto che l'imputato era soltanto un componente supplente della commissione deputata all'accertamento del diritto di asilo, privo dunque di reali poteri di condizionamento nei confronti delle pretese vittime.

Sostiene la difesa del ricorrente che nel caso di specie non sussisterebbe il delitto di concussione, in mancanza di alcun abuso costrittivo, mediante violenza o minaccia, effettuato dal pubblico ufficiale, da cui sia derivata una grave limitazione della libertà di autodeterminazione dei destinatari, ritenendo che questi ultimi non avrebbero ricevuto alcun vantaggio e si trovassero nell'alternativa di subire il male prospettabile o di evitarlo con la d'azione/promessa di utilità.

Con il ricorso si chiede pertanto la riqualificazione della condotta ai sensi dell'art. 319-quater c.p., norma introdotta successivamente al verificarsi dei fatti, che comporta tuttavia effetti favorevoli per l'imputato.

Con il quarto motivo di ricorso, la difesa denuncia la violazione dell'art. 609-bis c.p., sul presupposto che l'iniziativa degli atti sessuali sarebbe stata presa, in un'occasione, dalla vittima, e in altri casi per volontà delle persone offese, al fine di ottenere la protezione internazionale richiesta. Si nega pertanto che possa ravvisarsi la sussistenza del predetto delitto in ragione della sola qualità di pubblico ufficiale dell'imputato, senza alcuna prova dell'abuso di detta posizione.

Un ultimo motivo attiene infine alla quantificazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

La Corte di cassazione, terza Sezione penale, con la sentenza in commento ha dichiarato inammissibile il primo motivo e infondato il secondo, ritenendo invece meritevole di accoglimento il terzo motivo di ricorso, ritenuto assorbente delle ulteriori doglianze. La sentenza impugnata è stata pertanto annullata con rinvio.

In particolare, i giudici di legittimità hanno riscontrato la mancanza di un adeguato accertamento in merito alla riconducibilità dei singoli episodi alla più grave fattispecie criminosa di cui all'art. 317 c.p., che implica un'assoluta compressione della libertà di autodeterminazione del destinatario della condotta dell'imputato, invece che alla meno grave ipotesi delittuosa di cui all'art. 319-quater c.p.

Nell'accogliere il motivo di ricorso, la Corte ha altresì evidenziato che l'esito di tale accertamento incide ineludibilmente anche sulla contestazione dei reati di violenza sessuale, precisando che «L'inserimento nel fatto di un conforme elemento volitivo - pur se non di intensità volitiva pari a quella del soggetto inducente - da parte del soggetto indotto ex art. 319-quater c.p. non è infatti compatibile con i reati suddetti, come già è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, 17 maggio 2016, n. 33049: "Non è configurabile il concorso del reato di violenza sessuale commesso mediante costrizione della vittima, previsto dall'art. 609-bis c.p., comma 1, con quello di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater c.p., essendo logicamente incompatibile la condotta di "costrizione", di cui alla prima fattispecie, con quella di "induzione", prevista nella seconda")».

Si legge nella motivazione della sentenza in commento che se «l'atto sessuale è il frutto di un accordo comune, anche se raggiunto con una intensità di volizione diversa dalle parti dell'accordo, non è ragionevole ritenere che possa al contempo sussistere una compressione della libertà sessuale che giunge al livello di offensività proprio della integrazione del reato di violenza sessuale, come contestato qui all'imputato».

La questione

La questione affrontata nella sentenza in commento attiene, in primo luogo, al rapporto che intercorre tra il delitto di concussione e la fattispecie introdotta nel 2012, per effetto della legge 190, all'art. 319-quater, di induzione indebita a dare o promettere utilità; in secondo luogo alla possibilità di ravvisare un concorso formale tra i suddetti delitti e quello di violenza sessuale, di cui all'art. 609-bis c.p.

Quando la condotta del reo integra gli estremi del delitto di concussione e quando invece è ravvisabile la fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità?

Ulteriore questione collegata a quella principale:

La condotta di induzione indebita a dare o promettere utilità è compatibile con quella di costrizione nella violenza sessuale?

Le soluzioni giuridiche

Nell'affrontare, in via preliminare, la prima questione, relativa ai rapporti tra le fattispecie penali di cui agli artt. 317 c.p. e 319-quater c.p., a seguito della novella attuata con legge 190 del 2012, la Corte di Cassazione richiama la recente sentenza delle Sezioni unite, (24 ottobre 2013, dep. 14 marzo 2014, n. 12228, c.d. Maldera), in cui si evidenziano «in modo netto e chiaro, i confini tra la fattispecie dell'art. 317 e quella dell'art. 319-quater c.p. insorti dopo la novella del 2012, affermando che il delitto di concussione si caratterizza, sul piano oggettivo, in un abuso costrittivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, attuato mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra jus da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita; e che la concussione si distingue dal delitto di induzione indebita ex art. 319-quater c.p. in quanto la condotta che integra quest'ultima fattispecie consiste in persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di maggiormente ampi margini decisionali, giunge a prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta perché motivato dalla prospettiva di conseguire un vantaggio personale, il che giustifica logicamente la previsione, nel comma 2 dell'articolo, di una sanzione anche per il destinatario della condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio».

Così esplicitata la premessa propedeutica all'esame della seconda questione, i giudici di legittimità osservano che nel caso di specie i giudici di merito avrebbero dovuto accertare l'effettiva compressione della libertà di autodeterminazione delle persone offese e, in particolare, se queste avessero «subito un pregiudizio derivante dalla volontà dell'imputato oppure se si fosse verificata una compressione di minor calibro, in considerazione dell'interesse e della volontà del destinatario di ottenere un personale vantaggio indebito».

Rilevata tale carenza sul piano istruttorio e motivazionale, la Corte precisa quindi che la mancanza di una compromissione dell'autodeterminazione della persona offesa e la sussistenza di una volontà conforme da parte di quest'ultima, tali da qualificare ai sensi dell'art. 319-quater c.p. la condotta dell'imputato, impediscono di ritenere perfezionato il delitto di violenza sessuale, di cui all'art. 609-bis c.p., per difetto della condotta di costrizione, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra indicata.

Pertanto, quando l'atto sessuale costituisca esecuzione di un comune accordo, sebbene concluso tra parti in posizione asimmetrica, non è ravvisabile alcuna compressione della libertà sessuale tale da integrare la condotta di costrizione, punita a titolo di violenza sessuale.

Osservazioni

La sentenza in commento conferma gli approdi cui le Sezioni unite della Corte di cassazione sono pervenute in merito al rapporto tra le predette fattispecie penali di cui agli artt. 317 e 319 quater c.p., a seguito dello “spacchettamento” operato con la riforma del 2012.

La pronuncia mette, nel contempo, in evidenza la necessità che i giudici di merito operino un effettivo e motivato accertamento circa il grado di incidenza sulla volontà del privato della condotta del pubblico ufficiale e riguardo la sussistenza in concreto degli indici che la giurisprudenza di legittimità ha scandito al fine di individuare un idoneo discrimen tra i due delitti. Tale operazione non dovrà dunque risolversi in una mera riproposizione dei principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione, richiedendo invece che gli stessi siano adoperati con riferimento alla fattispecie concreta, valorizzando le emergenze istruttorie ed argomentando adeguatamente in merito alla qualificazione giuridica del fatto.

Sulla scorta di tali premesse, la Corte evidenzia che la mancanza di una coartazione della volontà della persona offesa, nelle ipotesi riconducibili all'induzione di cui all'art. 319-quater c.p., impedisce di ritenere contemporaneamente integrato il delitto di violenza sessuale; quest'ultimo, infatti, presuppone una condotta di costrizione della vittima, che non appare compatibile con il residuare della conforme volontà della stessa che caratterizza la fattispecie di induzione.

Si precisa infatti, al riguardo, che la qualifica di pubblico ufficiale e l'abuso della medesima qualità non può considerarsi di per sé sufficiente a integrare il delitto di cui all'art. 609-bis c.p., dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilità da posizione e occorrendo, al contrario, accertare la condotta costrittiva e l'effetto di obliterazione della volontà della vittima.

Quest'ultimo manca nel caso di induzione indebita a dare o promettere utilità, punito ex art. 319-quater c.p.

Appare di particolare interesse, sul punto, anche per le implicazioni di carattere generale che ne derivano, il seguente passaggio della sentenza in commento in cui i giudici di legittimità affermano che «un accordo può essere raggiunto anche tra soggetti che si trovano in posizioni differenti quanto al potere di determinarne il contenuto (si pensi, nel settore civile, ai noti e frequenti contratti ex artt. 1341 e 1342 c.c.), in quanto, pur in tale difformità di posizioni, essi possono essere titolari di interessi che comunque trovano realizzazione nella stipulazione e nella esecuzione dell'accordo. Ciò non cambia quando si tratta d un accordo illecito: quel che rileva è la sussistenza di un obiettivo comune, che proprio l'accordo incarna».

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte conclude sulla questione principale oggetto della sentenza, con la massima, sopra riportata, secondo cui «Se l'atto sessuale è il frutto di un accordo comune, anche se raggiunto con una intensità di volizione diversa dalle parti dell'accordo, non è ragionevole ritenere che possa al contempo sussistere una compressione della libertà sessuale che giunge al livello di offensività proprio della integrazione del reato di violenza sessuale, come contestato qui all'imputato».

Osservazioni

CADOPPI, sub art. 609-bis, in Comm. Cadoppi, IV, Padova, 2006;

CARINGELLA, DE PALMA, FARINI, TRINCI, Manuale di diritto penale, parte speciale, Roma, 2017, 1146;

FIANDACA, Violenza sessuale, in ED, agg., IV, Milano, 2000, 1153;

MORONE, Concussione, induzione indebita e corruzione. Luci ed ombre dopo le leggi 190/2012 e 69/2015, Vicalvi, 2016.

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