Esposizione ad uranio impoverito e insorgenza di tumori: c’è un nesso causale?

26 Aprile 2018

L'Autore riassume alcuni tra i più recenti e più importanti studi che permettono di correlare l'esposizione ad uranio impoverito col rischio di sviluppare qualsiasi forma di tumore, anche i più rari. Le conclusioni suggeriscono che vanno adottate tutte le possibili precauzioni per limitare al minimo il rischio di esposizione, anche per brevi periodi, all'uranio impoverito, il quale è in grado nell'organismo umano di favorire la promozione e la progressione tumorale, sia inducendo modifiche epigenetiche sia abbassando le difese immunitarie del soggetto. A ciò andrebbero aggiunti opportuni esami medici sia prima che dopo la missione, per periodi anche prolungati, visto che gli effetti pro-tumorali possono vedersi anche a distanza di anni dall'esposizione.
Inquadramento

Le neoplasie maligne rappresentano una delle principali cause di morte in tutto il mondo, ma in special modo nelle popolazioni a miglior tenore di vita. Questo è dovuto sia al fatto che le popolazioni che vivono in condizioni di sottosviluppo devono fronteggiare problemi legati alla malnutrizione e a carenze igieniche, oltre a quello delle morti da infezioni non adeguatamente curate con una corretta terapia antibiotica, sia al fatto che probabilmente le popolazioni che vivono in zone più “civilizzate” sono maggiormente esposte a inquinanti di varia natura che assorbono attraverso l'aria, l'acqua e il cibo, molti dei quali potenzialmente cancerogeni.

Tra gli inquinanti ambientali bisogna iscrivere i metalli pesanti e le radiazioni a cui sono esposti i militari nelle zone di guerra. È stato dibattuto ampiamente dalla comunità scientifica internazionale quali tumori siano più a rischio di insorgenza nei militari che hanno prestato servizio in zone contaminate. Tuttavia, le più recenti evidenze scientifiche sulle cause dei tumori, e in particolare la combinazione di danni genetici (a carico del DNA delle cellule) ed epigenetici (a carico dei meccanismi cellulari di controllo dell'espressione dei geni cellulari e la loro traduzione in proteine integre e funzionanti) (Montenegro MF, Sánchez-del-Campo L, Fernández-Pérez MP, Sáez-Ayala M, Cabezas-Herrera J, Rodríguez-López JN. Targeting the epigenetic machinery of cancer cells. Oncogene. 2015;34:135-43), portano a pensare che qualsiasi tipo di neoplasia possa essere ingenerata da questi agenti, come ad esempio l'uranio impoverito.

In questo lavoro vengono riassunte, in maniera semplice e concisa e con un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori, le principali e più aggiornate conoscenze sullo sviluppo dei tumori maligni, focalizzando l'attenzione sull'impatto che l'esposizione all'uranio impoverito, anche per brevi periodi, può avere sulla salute umana.

La cancerogenesi, un processo a tappe

I meccanismi molecolari che portano allo sviluppo di un cancro in un tessuto normale (cancerogenesi) sono oggetto di numerosissimi studi da diversi decenni. Oggi c'è consenso nella comunità scientifica internazionale che la cancerogenesi è un processo a tappe (Figura 1), le quali possono essere riassunte come segue:

  1. iniziazione, ossia l'insorgenza di alterazioni iniziali a carico del DNA cellulare, in genere di tipo genetico, che trasformano la cellula da normale a potenzialmente tumorale;
  2. promozione, ossia l'accumulo di ulteriori alterazioni del DNA cellulare, sia di natura genetica che epigenetica (queste ultime in genere indotte da agenti cancerogeni presenti nell'ambiente), che conferiscono a queste cellule potenzialmente tumorali la capacità di proliferare in maniera incontrollata;
  3. progressione, ossia ulteriori eventi (in primo luogo la possibilità di sfuggire al controllo da parte del sistema immunitario dell'individuo) che conferiscono alle cellule tumorali proliferanti la capacità di invadere i tessuti circostanti e metastatizzare in organi a distanza rispetto alla sede di insorgenza del tumore.

Questo processo, dall'epoca del suo avvio, può prendere anche qualche decennio prima di diventare clinicamente evidente.

Il sistema immunitario ha quindi un ruolo molto importante nella cancerogenesi. Tra le cellule immunitarie circolanti, ad esempio, i linfociti NK (Natural Killer) hanno la capacità di identificare nuclei di cellule tumorali ed eliminarli prima che queste invadano e proliferino nei tessuti circostanti e a distanza, quindi intervenendo per bloccarne la progressione.

L'esposizione ad uranio impoverito: danni accertati sui tessuti umani

Un gruppo di ricercatori delle Università di Sarajevo e Zagabria ha recentemente pubblicato una review (Asic A, Kurtovic-Kozaric A, Besic L, Mehinovic L, Hasic A, Kozaric M, Hukic M, Marjanovic D. Chemical toxicity and radioactivity of depleted uranium: The evidence from in vivo and in vitro studies. Environ Res. 2017; 156:665-673) che analizza in maniera sistematica lo stato attuale delle conoscenze sugli effetti della tossicità chimica e della radioattività dell'uranio impoverito (in inglese Depleted Uranium, abbreviato “DU”) sulle cellule dei tessuti e degli organi umani.

Le tre principali vie di ingresso del DU nel corpo umano, sotto forma di nanoparticelle, sono la cute (per contatto), i polmoni (per inalazione) e la mucosa del canale alimentare (per ingestione). Una volta in circolo, le nanoparticelle di DU vanno incontro ad una serie di reazioni chimiche (formazione di ossidi, idrossidi e carbonati) che ne aumentano l'affinità per l'accumulo in alcuni organi. La review cita ricerche scientifiche che hanno dimostrato che l'esposizione al DU, anche per tempi brevi, aumenta il rischio di cancro e che i meccanismi responsabili sono da imputarsi principalmente alle alterazioni epigenetiche che il DU è in grado di indurre nelle cellule esposte.

Tra gli organi nei quali sono stati accertati gli effetti nocivi dell'accumulo di DU vi sono i reni e le ossa. Nei reni, il DU può causare perfino una necrosi tubulare acuta e letale.

Per quanto riguarda le ossa, è noto che esse costituiscono l'apparato scheletrico del corpo umano. Ciascun osso, o segmento scheletrico, ospita al proprio interno una certa quantità di midollo osseo. Il midollo osseo è l'organo emolinfopoieticopiù importante del corpo umano. A differenza di altri organi, non ha una continuità territoriale ma si trova distribuito all'interno di tutti i segmenti scheletrici. Il midollo osseo, organo altamente vascolarizzato, produce tutti gli elementi corpuscolati del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. I globuli bianchi, o leucociti, vengono classificati in granulociti e agranulociti. Tra i secondi si annoverano i linfociti, a loro volta classificati in cellule B, cellule T e cellule NK.

La capacità del DU di accumularsi a livello del midollo osseo è stata dimostrata in studi sia sull'uomo che sull'animale e l'accumulo di DU nel midollo osseo è stato associato non solo all'insorgenza di tumori specifici del sangue (leucemie) ma anche alla riduzione dell'efficacia della risposta immune, soprattutto in termini qualitativi, ossia la risposta immunitaria di tipo innato nella quale hanno un ruolo importante i linfociti NK (Hao Y, Ren J, Liu J, Yang Z, Liu C, Li R, Su Y. Immunological changes of chronic oral exposure to depleted uranium in mice. Toxicology. 2013; 309:81-90; Miller AC, Bonait-Pellie C, Merlot RF, Michel J, Stewart M, Lison PD. Leukemic transformation of hematopoietic cells in mice internally exposed to depleted uranium. Mol Cell Biochem. 2005; 279:97-104).

Come riportato negli ultimi due articoli citati, oltre che nei reni e nel midollo osseo l'accumulo di DU è stato riscontrato anche in altri organi tra cui l'intestino, il fegato, l'apparato riproduttore, il sistema nervoso e l'occhio. Quindi nessun organo può ritenersi virtualmente al sicuro dall'accumulo di DU. Perfino in un organo come l'occhio, nel quale lo sviluppo di tumori è una evenienza molto rara, l'accumulo di DU può indurre modifiche epigenetiche in senso pro-neoplastico (come ad esempio l'ipermetilazione del DNA), in special modo – e per ragioni sconosciute – negli individui di sesso maschile.

Il cancro: una malattia “evitabile”?

È ormai un principio accettato dalla comunità scientifica internazionale che durante l'arco di vita di un soggetto nel suo organismo si sviluppano varie neoplasie che il sistema immunitario è in grado di controllare e/o di eliminare. L'accumulo di mutazioni in più distretti cellulari e la riduzione dell'efficacia della risposta immune stanno alla base dell'insorgenza di una sintomatologia clinica riferibile a una neoplasia, spesso purtroppo quando questa è ormai in stadio avanzato. Da ciò è nata l'esigenza di favorire campagne di screening per identificare le neoplasie in una fase precoce e ancora curabile.

Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti, rispettivamente genetista e biostatistico della Johns Hopkins University di Baltimora, nel loro ormai noto studio pubblicato nel 2015 su Science (Tomasetti C, Vogelstein B. Cancer etiology. Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell divisions. Science. 2015; 347:78-81) affermarono per la prima volta che di cancro ci si ammala per caso e per sfortuna, suscitando molteplici polemiche da parte di chi invece ritiene unici, o principali, responsabili dell'insorgenza di un tumore gli stili di vita e le cause ambientali. In realtà, lo studio non assolveva affatto i classici fattori di rischio (fumo, radiazioni solari, inquinamento ambientale, cattiva alimentazione, etc.) ma poneva l'accento sul ruolo imprescindibile delle mutazioni genetiche che stanno alla base delle prime tappe (iniziazione e promozione) dell'insorgenza del cancro.

Per rispondere alle polemiche, i due ricercatori hanno continuato i loro studi e nel 2017 hanno pubblicato, nuovamente su Science, la seconda parte del lavoro (Tomasetti C, Li L, Vogelstein B. Stem cell divisions, somatic mutations, cancer etiology, and cancer prevention. Science. 2017; 355:1330-1334), con una tale mole di dati che stavolta le polemiche non hanno trovato spazio sui giornali. Il secondo lavoro ha comprovato che le mutazioni al DNA dipendono da errori casuali che insorgono durante la vita delle cellule, in particolare quando queste si replicano. Queste mutazioni, come riportato dagli autori «avverrebbero comunque, qualunque cosa facciamo, anche andando a vivere su un altro pianeta con l'aria pulita, senza raggi del sole e mangiando solo cose sanissime» e pertanto «ci farebbero ammalare di cancro lo stesso».

Pertanto, secondo questi due lavori, non potendo evitare l'insorgenza di queste mutazioni che stanno alla base dello sviluppo del cancro, l'unico modo per cercare di difendersi è mantenere elevate le difese immunitarie dell'organismo, le quali tuttavia sono minate da numerosi (e ancora non del tutto identificati e caratterizzati) fattori di rischio legati agli stili di vita e/o all'inquinamento ambientale, incluso quello potenzialmente presente nel luogo di lavoro.

Nesso causale tra esposizione ad uranio impoverito e decesso per tumore maligno

Alla luce di quanto riportato fin qui, la sussistenza di un nesso causale tra esposizione a DU e decesso a seguito di tumore maligno trova conferma in due ordini di fattori:

  • Virtualmente tutti gli organi sono sedi potenziali di accumulo di DU, in special modo quelli maggiormente vascolarizzati (per ovvie ragioni dovute al fatto che, comunque venga assorbito, il DU viaggia nell'organismo attraverso il sangue); in questi organi il DU è in grado di indurre alterazioni epigenetiche in senso pro-neoplastico stimolando la promozione tumorale e aumentando quindi le probabilità che le cellule potenzialmente tumorali generatesi attraverso processi induttivi spontanei (mutazioni genetiche) acquisiscano una maggiore aggressività biologica.
  • Una delle sedi elettive per l'accumulo di DU è il midollo osseo, organo altamente vascolarizzato. Il DU è in grado di determinare alterazioni quantitative e/o qualitative del processo emopoietico, compreso l'abbassamento della risposta immunitaria di tipo innato, che include la funzione antitumorale delle cellule NK. Una ridotta funzione immunitaria antitumorale aumenta le probabilità di progressione tumorale, inclusa la formazione di metastasi a distanza.

Quindi il DU è in grado di agire sia come elemento promuovente che come elemento progredente la cancerogenesi.

La figura 2 mostra un modello schematico di relazione tra esposizione a DU e insorgenza di tumori.

Conclusioni

Trascorrere un periodo di svariate settimane o mesi in una zona militarizzata contaminata da nanoparticelle di DU aumenta significativamente il rischio di accumulo delle stesse in varie regioni anatomiche, tra cui il midollo osseo, rispetto alla popolazione non esposta.

Sebbene lo sviluppo (iniziazione) di un qualsiasi tumore può essere dovuto, in prima istanza, al caso e alla sfortuna, le evidenze scientifiche presenti in letteratura inducono a ritenere altamente probabile il nesso di causalità tra l'esposizione a DU e la promozione e la progressione del tumore e quindi il conseguente sviluppo di metastatizzazione in vari distretti anatomici (polmone, fegato, ossa, etc.) e il successivo exitus del paziente per le complicanze dovute alle stesse. Di contro, non è possibile ovviamente stabilire se, in assenza di esposizione al DU, le neoplasie insorte negli stessi soggetti avrebbero avuto la stessa aggressività biologica e/o se l'evoluzione del tumore sarebbe stata bloccata dal sistema immunitario del soggetto, sebbene l'ipotesi appaia altamente plausibile.

Pertanto, una raccomandazione di buon senso sarebbe quella di far adottare tutti gli strumenti precauzionali possibili (come ad esempio l'utilizzo di tute protettive e l'effettuazione di esami periodici dell'aria e dell'acqua per verificare l'eventuale presenza di DU) nei soggetti (come ad esempio i militari) che si trovano ad operare in zone potenzialmente inquinate da DU, nonché l'effettuazione di adeguati e prolungati controlli sanitari sia prima che al rientro dalla missione. Queste precauzioni rappresenterebbero quindi utili misure di prevenzione sia primaria (abbattimento del rischio biologico) che secondaria (diagnosi precoce) per la prevenzione di patologie tumorali potenzialmente indotte da DU.

In assenza di tali strumenti di prevenzione, il decesso per qualsiasi forma di tumore maligno da parte di militari o altri operatori esposti al rischio di accumulo di DU potrebbe essere ritenuta, dalla magistratura competente, più probabile che non.

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