La confisca di prevenzione di polizze di assicurazione sulla vita in danno dell'evasore fiscale
26 Aprile 2018
Massima
Il mero status di evasore fiscale non è sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l'applicazione della confisca, considerato che i requisiti di stretta interpretazione necessari per l'assoggettabilità a tale misura sono indicati dal d.lgs. 159 del 2011, artt. 1 e 4 e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, requisiti non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all'evasore fiscale, in sé e per sé considerato. Viceversa ben può ritenersi pericolo il soggetto condannato in via definitiva ad una significativa pena per associazione a delinquere finalizzata al compimento di una serie plurima ed indefinita di reati fiscali.
La disposizione dell'art. 1923 c.c., secondo cui le somme dovute dall'assicuratore al contraente o ai beneficiari non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare, riguarda i rapporti civilistici e il sequestro penale può avere ad oggetto una polizza assicurativa sulla vita in quanto le finalità di tale misura cautelare reale, funzionale alla confisca, non risentono delle limitazioni riguardanti i rapporti tra privati Il caso
Un soggetto, condannato per associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati tributari e per una serie di reati satelliti, subisce successivamente la misura patrimoniale della confisca di prevenzione in relazione a taluni beni –mobili e immobili- e tra questi anche una polizza sulla vita di cui è beneficiario il coniuge. Il proposto in prima persona e il coniuge –quale terzo interessato- ricorrono in cassazione. In particolare le difese deducono innanzitutto il vizio di motivazione sul presupposto che si è erroneamente ritenuto che l'essere partecipe di una associazione dedita alla commissione di reati tributari fosse presupposto necessario e sufficiente a integrare quella pericolosità sociale del proposto che legittimerebbe la misura. Inoltre, poi, ci si duole del fatto che neppure sarebbe stato dimostrato che i prelievi in contanti effettuati siano stati effettivamente funzionali al pagamento dei beni in sequestro e non al mero risparmio fiscale. In altri termini, secondo la prospettazione difensiva, non sarebbe dimostrato che l'autore abbia vissuto abitualmente con i denari illeciti. Il secondo motivo di ricorso, sempre sotto il profilo del vizio di motivazione, concerne il requisito della sproporzione tra la capacità economica e il valore dei beni acquistati in quanto la difesa ritiene non sussistente alcuna contaminazione del patrimonio del proposto o comunque la stessa non sarebbe idonea a scalfire il rapporto di proporzionalità tra beni legittimamente guadagnati e beni appresi. Il terzo motivo si muove all'interno del principio di non sequestrabilità delle polizze vita sancito dall'art. 1923 c.c. e bypassato dai giudici della misura sul presupposto della non applicabilità del principio alle misure cautelari reali penali e di prevenzione. Tale ricostruzione è però fermamente respinta dalla difesa del ricorrente che invoca invece una interpretazione costituzionalmente -sollevando la relativa questione- orientata e volta ad assicurare una piena tutela della previdenza e del risparmio. La questione
Due sono le questioni cui fondamentalmente si propone di dare risposta la Suprema Corte. La prima concerne specificamente i requisiti che deve possedere il c.d. evasore fiscale per potere essere destinatario della misura di prevenzione patrimoniale della confisca. La seconda questione, altrettanto rilevante, chiarisce in merito ai beni che possono essere oggetto della affrontando il tema della confiscabilità delle polizze di assicurazione sulla vita. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha confermato in toto il provvedimento impugnato della Corte di appello di Milano. Nel fare ciò, in merito ai requisiti richiesti per la applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, viene ribadito l'insegnamento secondo cui l'evasore fiscale non è un soggetto pericoloso in quanto tale. Secondo l'ormai consolidato filone giurisprudenziale in cui si colloca anche la sentenza in commento, infatti il mero status di evasore fiscale non è sufficiente a determinare quel giudizio di pericolosità generica idoneo a giustificare il provvedimento di confisca di prevenzione. I requisiti di stretta interpretazione necessari per l'assoggettabilità a tale misura sono indicati dagli artt. 1 e 4 del d.lgs. 159 del 2011, e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, requisiti non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all'evasore fiscale, in sé e per sé considerato. (in questi termini Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 2016, n. 6067) . Se ciò è vero, procede la Corte, non è men vero come non vi sia alcun dato normativo che consenta di escludere i reati tributari siano ontologicamente inidonei a giustificare e sorreggere l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. Peraltro, proprio partendo da tale premessa, per inciso, si esclude ancora una volta che la sproporzione tra beni posseduti e attività economiche possa essere giustificata in quanto frutto di una presunta evasione fiscale. Viene ribadito cioè in questo modo il principio di diritto affermato dalla sentenza a Sezioni unite Repaci alla stregua del quale, se è obiettivo delle misure patrimoniali è la sottrazione al proposto dei beni frutto di attività illecite o che costituiscano reimpiego delle stesse, non rappresenta una valida giustificazione il fatto che i beni siano frutto di evasione fiscale (Cass. pen., Sez. unite, 29 maggio 2014, n. 33451). Esclusi dunque i due estremi che i reati tributari (o meglio lo status di evasore fiscale) consenta l'automatica applicazione di misure di prevenzione o la escluda in radice, imponendosi una valutazione caso per caso, la Cassazione conferma la validità del provvedimento della Corte di appello di Milano anche rispetto ai beni oggetto di provvedimento. In particolare se nessun problema si è posto in generale con riguardo ai beni mobili e immobili, la difesa – anzi le difese – hanno posto la questione relativa alla polizza vita aperta dal proposto nei confronti del coniuge. Con riferimento alle polizze sulla vita la Corte ha sempre distinto le ipotesi del sequestro conservativo da quelle del sequestro. Nel primo caso, escludendo che possano formare oggetto di sequestro conservativo le polizze di assicurazione sulla vita e le somme dovute e corrisposte sulla base di essa (Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2009, n. 43026). Nel secondo caso, come nella sentenza in commento, ammettendo tale misura anche quando avesse ad oggetto una polizza sulla vita. In particolare si è a più riprese affermato che il sequestro preventivo può avere ad oggetto una polizza assicurativa sulla vita, dal momento che il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva e cautelare stabilito dall'art. 1923 c. c. attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte della responsabilità civile e non riguarda la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade il sequestro preventivo (Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 11945).
Osservazioni
Le misure di prevenzione, si sa, non sono mai state particolarmente apprezzate dalla dottrina più garantista che, oltre a sollevare molteplici dubbi di costituzionalità, ne ha sovente stigmatizzato l'utilizzo sempre più massiccio. Se originariamente l'uso veniva circoscritto alla criminalità organizzata, oggi, anche per effetto della legge 17 ottobre 2017, n. 161, il novero dei potenziali destinatari è ulteriormente aumentato. A fronte di ciò, è evidente che quelle criticità sul piano costituzionale già sorte rispetto al ricorso in una materia sui generis come la criminalità organizzata, sono destinate ad acuirsi per effetto dell'estensione anche in altri settori. Posta questa premessa e segnalato altresì che il caso in esame concerne la disciplina precedente alla novella, dobbiamo osservare che in ordine al rapporto tra evasore fiscale e potenziale destinatario di misure di prevenzione la corte si colloca nel solco della giurisprudenza precedente (Cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 2016, n. 6067), confermando il fatto tale qualifica non colloca automaticamente il soggetto tra i potenziali destinatari di una misura di prevenzione patrimoniale. Per comprendere il ragionamento seguito, occorre comprendere chi è l'evasore fiscale. In termini generali l'evasione si caratterizza per la circostanza che -con le condotte più varie- il presupposto dell'imposta venga in tutto o in parte alterato o comunque celato all'erario e dunque non riportato nella relativa dichiarazione. In altri termini il debitore di imposta rappresenta al fisco una ricchezza inferiore rispetto a quella posseduta e che dovrebbe essere la base imponibile, il parametro di riferimento per l'applicazione dei tributi. Il risultato delle operazioni evasive è dunque il pagamento di un'imposta di importo sensibilmente inferiore a quanto dovuto. Mediante ciò, il contribuente -a prescindere dalla modalità utilizzate- nasconde all'Amministrazione finanziaria somme realmente percepite e detenute ottenendo un vantaggio non dovuto. Analizzando però il decreto legislativo 74 del 2000 in materia di reati tributari balza immediatamente agli occhi come manchi una fattispecie specifica di evasione, procedendosi piuttosto alla descrizione di una serie di condotte differenti, penalmente rilevanti, il cui risultato finale è l'evasione fiscale. Peraltro, e il punto è puntualmente valorizzato dalla Suprema corte, ciò determina la conseguenza che non ogni condotta di evasione fiscale assume rilevanza penale. L'evasione, in altri termini, è sempre una condotta illecita ma non anche penalmente sanzionabile e ne discende senz'altro che un evasore seriale di imposta non è perciò solo passibile di misura di prevenzione. Compiuto questo primo passo, occorre poi comprendere se, sul piano normativo, sussistano degli ostacoli di qualche natura alla riconducibiltà dei reati tributari nelle fattispecie che possano originare l'applicazione di una misura di prevenzione. Circa i possibili destinatari di una misura di prevenzione patrimoniale, l'art. 16 del d.lgs. 159 del 2011 fa espresso rinvio all'art. 4 del medesimo testo normativo per cui possono essere destinatari della misura reale coloro potenzialmente destinatari della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con o senza obbligo o divieto soggiorno. Si tratta, tra gli altri, dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni per delinquere di tipo mafioso ovvero di uno dei delitti di cui agli artt. 5, comma 3-bis, c.p.p., e 12-quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, ovvero di altri gravi reati (quali ad esempio gli artt. 284, 285, 286, 306, c.p.). Accanto a queste ipotesi tra cui, non rientrano i reati tributari né le associazioni per delinquere semplici, il legislatore prevede altre categorie che sono: a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Orbene è chiaro che l'interpretazione seguita dalla Corte, nel caso in esame, valorizza proprio questo secondo gruppo di soggetti, individuando nell'evasore fiscale, condannato per reati tributari, un soggetto che non è pericoloso in quanto tale ma che lo diviene se e in quanto si dimostri essere abitualmente dedito a traffici delittuosi e che vive, almeno in parte, con i proventi di attività delittuose.. In altri termini sembra potersi concludere sul punto che la Corte, in applicazione di un orientamento consolidato, esclude ogni automatismo tra lo status di chi si sottrae al pagamento di tributi e il soggetto pericoloso possibile destinatario di misure di prevenzione, imponendo una valutazione caso per caso per verificare se e in che misura questa condotta illecita abbia rilevanza penale e possa denotare pericolosità sociale del soggetto, idonea a giustificare un provvedimento di confisca. Per quanto attiene alla seconda questione affrontata dalla sentenza in commento, la stessa risolve definitivamente una questione apparentemente controversa. Invero rappresenta un dato di comune esperienza che il carattere della impignorailità è uno degli aspetti che rende più appetibile la forma di investimento in prodotti finanziari quali le assicurazioni del ramo vita. Tuttavia, però, la sentenza in commento chiarisce ancora una volta quale estensione debba essere riconosciuta a questo carattere delle assicurazioni sulla vita sancito dall'art. 1923 c.c. In ambito penale. Come ricordato in precedenza, la giurisprudenza dominante è ormai da lungo tempo arroccata sulla posizione per la quale il divieto di cui all'art. 1923 c.c. in materia di assicurazioni sulla vita, riguarda il sequestro conservativo e non anche quello preventivo. La ragione di tale differenziazione va colta nella diversa funzione delle misura reali in commento. Il sequestro conservativo nel processo penale è posto a presidio della garanzia patrimoniale a fronte di responsabilità per obbligazioni di natura civilistica, pagamento delle spese o risarcimento dei danni. Esso è cioè funzionale ad una espropriazione forzata ed esso si converte in pignoramento al momento della irrevocabilità della sentenza di condanna ex art. 320 c.p.p. La cassazione civile ha peraltro puntualizzato che all'art. 1923 c.c. deve essere riconosciuta una funzione previdenziale, «stante che le forme di assicurazione privata risultano affini alle assicurazioni sociali e tendono a porsi, nel presente momento storico, caratterizzato dalla difficoltà dello Stato Sociale di venire incontro ai bisogni, come "Terzo Pilastro" della previdenza» (Cass. civ., Sez. unite, 31 maggio 2008, n. 8271). Per effetto di ciò si è concluso che le somme inerenti a polizze assicurative siano protette da azioni esecutive e cautelari ai sensi dell'art. 1923 c.c. anche davanti all'esecuzione concorsuale, così che risultano non acquisibili alla massa fallimentare le somme dovute al fallito in base al contratto di assicurazione sulla vita. Analogamente, si è ritenuto e si ritiene che il sequestro conservativo penale non possa insistere sulla polizza vita prima e sulle somme dovute e corrisposte poi in via della impignorabilità delle stesse a garanzia della funzione previdenziale che le polizze vita svolgono (Cass. pen. Sez. V,11 novembre 2009, n. 43026). Tuttavia in una recente pronuncia si è ulteriormente distinto in relazione alla finalità per cui si è stipulata la polizza assicurativa sulla vita. Se la stessa risponde a esigenze di investimento finanziario è stata ritenuta assoggettabile alla misura del sequestro conservativo, se invece persegue finalità previdenziali non può essere oggetto della predetta misura (Cass. pen., Sez. V, 30 marzo 2016, n. 16570). Diversamente è a dirsi per il sequestro preventivo e di prevenzione (e per la conseguente confisca) che, ben lungi dallo svolgere una funzione di tutela di interessi civilistici, perseguono interessi meramente pubblicistici. Per il tramite degli stessi si tende infatti a intervenire in quelle ipotesi in cui la libera disponibilità di un bene possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati ovvero per sottrarre al soggetto le cose di cui è consentita la confisca e che sono ritenute pericolose in sé. Ovvero, più in generale anche con riferimento alle misure di prevenzione, mediante tali misure si vuole contrastare la circolazione e il reinvestimento della ricchezza illecitamente prodotta. Il corollario del percorso così descritto è che rispetto agli interessi garantiti attraverso tali misure, le funzioni costituzionali della previdenza e del risparmio sono interpretate in termini recessivi, ritenendo che le stesse debbano cedere il passo di fronte alle esigenze di ordine pubblico sottese ail sequestro preventivo e di prevenzione (in questo senso cfr: Cass. pen. Sez. III, 10 novembre 2016, n. 11945 e Cass. pen. Sez. III, 20 novembre 2015, n. 12902). A fronte di questo insegnamento la difesa del ricorrente ha prospettato una questione di legittimità sotto il profilo della violazione degli artt. 36 e 38 Cost. in materia di risparmio e previdenza individuale, questione dichiarata manifestamente infondata. Senza volere entrare nel merito della vicenda processuale, in termini generali deve sottolinearsi come il monolitico approdo della giurisprudenza di legittimità, allo stato, non sembri passibile di ripensamenti. D'altronde, a leggere tra le righe delle motivazioni, risulta difficile immaginare che si possa consentire che la scelta di un determinato tipo di investimento finanziario consenta di sottrarre beni anche illecitamente ottenuti all'applicazione di misure cautelari o di prevenzione. Non v'è chi non veda come in tal modo si creerebbe una assai agevole via di fuga dalle misura e una evidente disparità di trattamento motivata solo dal tipo investimento perpetrato. A nostro avviso, però, a differenza di quanto fatto dalla Corte, i termini della questione non sono tanto o solo nel presunto bilanciamento di interessi tra tutela della previdenza e del risparmio da una parte e ordine pubblico dall'altra, quanto, piuttosto nella individuazione dei beni confluiti nella polizza vita. Se cioè la polizza vita costituisce una forma di reinvestimento di ricchezza illecitamente prodotta e di ciò se ne fornisce la dimostrazione, è logico ritenere che il tipo di investimento non possa costituire alcuno schermo protettivo dalla misura. Viceversa, nel caso opposto in cui i beni fossero lecitamente nella disponibilità del soggetto, non dovrebbe residuare alcuno spazio per misure ablatorie, e ciò a prescindere dal modo in cui gli stessi siano gestiti.
|