Revoca del mantenimento al figlio maggiorenne a tre anni dal cambiamento di sesso

Sabina Anna Rita Galluzzo
27 Aprile 2018

L'ordinanza in esame spicca per la sua peculiarità perché, pur inserendosi in un consolidato filone giurisprudenziale relativo al mantenimento del figlio maggiorenne, pone in rilievo una situazione particolare quale quella del mutamento di sesso del giovane considerando, per la prima volta in giurisprudenza, tale evento come una causa di vulnerabilità e debolezza che può legittimamente impedire al ragazzo di impegnarsi per rendersi autosufficiente.
Massima

In tema di mantenimento del figlio maggiorenne, il mutamento di sesso dello stesso può dare diritto alla prosecuzione dell'assegno versato dal genitore. Il cambiamento dei caratteri sessuali costituisce infatti una causa di vulnerabilità e di difficoltà psicologica e relazionale legata al difficile processo di adeguamento della propria identità sessuale, con evidenti conseguenze sull'inserimento sociale e nel mondo del lavoro, e quindi nella acquisizione di una posizione di indipendenza. Trascorsi tre anni da quel momento e raggiunta l'età dei trenta anni, in assenza di deduzioni specifiche da parte del maggiorenne, va presunto però il raggiungimento di una situazione di indipendenza economica o di una capacità lavorativa potenziale cui non ha fatto riscontro una concreta ricerca del lavoro e, pertanto, deve essere revocato il diritto all'assegno di mantenimento.

Il caso

Una ragazza maggiorenne, dopo aver sostenuto l'intervento per il mutamento chirurgico del sesso, richiedeva al padre di essere mantenuta/o. Il Tribunale adito, in considerazione del fatto che la mancata indipendenza economica del “nuovo” ragazzo non era dovuta a inescusabile trascuratezza, ma alle inevitabili difficoltà che lo stesso avrebbe incontrato nell'abituarsi alla rinnovata identità, aveva determinato in € 400 l'importo che il padre avrebbe dovuto versargli a titolo di mantenimento.

Dopo alcuni anni, con il raggiungimento da parte del maggiorenne del trentesimo anno di età, il padre si rivolgeva alla Corte di appello chiedendo la revoca dell'assegno. La Corte, in accoglimento della richiesta, revocava il diritto al mantenimento ritenendo compiuto il percorso di adattamento al nuovo sesso e reputando altresì il figlio in grado di acquisire una propria indipendenza economica.

La questione

Ai sensi dell'art. 337-septies c.c., il Giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. L'obbligo dei genitori di mantenere i figli infatti, sancito dall'art. 30 Cost., art. 147 c.c. e art. 337-ter c.c., non cessa al sopraggiungere della maggiore età, ma perdura fino al momento in cui i ragazzi non siano divenuti economicamente autosufficienti. L'obbligo di mantenimento, si sottolinea, ricomprende l'educazione e l'istruzione e non è dunque possibile prevedere in astratto un termine finale, in quanto il raggiungimento dell'indipendenza economica varia caso per caso. Difficoltosa diviene pertanto, nelle singole situazioni, l'individuazione del momento in cui il figlio viene considerato in grado di essere economicamente autosufficiente, o anche, come nel caso di specie, la definizione di quelle cause che rendono giustificata una prolungata situazione di mancata indipendenza economica.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione dichiara, respingendo il ricorso del maggiorenne, cessato l'obbligo per il padre di mantenere il figlio. La Suprema Corte, aderendo in toto al verdetto della Corte di appello, considera determinante il tempo trascorso dal momento del mutamento di sesso del giovane.

La giurisprudenza ha affermato più volte che il genitore può ritenersi liberato dall'obbligo di mantenimento del figlio in assenza di una raggiunta indipendenza economica, solo quando il mancato inserimento nel mondo del lavoro sia causato da negligenza o comunque dipenda da fatto imputabile al figlio stesso per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l'esercizio di un'idonea attività lavorativa (Cass. civ., n. 21773/2008).

Nel caso di specie, peraltro, la situazione era peculiare in quanto il ragazzo aveva cambiato sesso passando dall'essere femmina all'essere maschio e ciò, secondo quanto affermato dal Giudice di primo grado che aveva stabilito l'assegno di mantenimento, richiedeva un periodo di adattamento psicologico e sociale. Il mutamento dei caratteri sessuali viene infatti considerato, con deduzioni fatte proprie anche dalla Corte di legittimità, una causa di vulnerabilità e di difficoltà psicologica e relazionale. Si tratta di un momento legato al difficile processo di adeguamento della propria identità sessuale, con evidenti conseguenze sull'inserimento sociale e nel mondo del lavoro, e quindi nella acquisizione di una posizione di indipendenza.

Secondo la Cassazione, correttamente, il Giudice di primo grado aveva dichiarato il diritto del ragazzo di essere mantenuto dal padre. Tuttavia, trascorsi tre anni da quel momento, sostengono i Giudici di legittimità, in conformità con quanto già affermato dalla Corte di appello va reputato che il figlio, che ha compiuto i trenta anni, abbia raggiunto una capacità lavorativa potenziale cui peraltro non aveva fatto riscontro, in mancanza di prove contrarie, una concreta ricerca di occupazione.

Sottolinea infatti la Cassazione che non vi erano state deduzioni specifiche da parte del figlio in relazione ad una ricerca di lavoro o ad eventuali ostacoli incontrati o anche sul permanere della difficile situazione psicologica.

Già in passato Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2003, n. 2147 aveva dichiarato il diritto del figlio maggiorenne ad essere mantenuto dal genitore in presenza di situazioni particolari. Nella specie si trattava di una ragazza divenuta madre, che non poteva, presumibilmente, rendersi autonoma. La Corte in particolare aveva sostenuto che la nascita di un bambino fuori dal matrimonio costituisce un evento sicuramente condizionante la possibilità di indipendenza economica della neo mamma ed incidente sulla natura e sull'entità delle esigenze di vita della stessa e del nucleo familiare. Nella fattispecie infatti la donna viveva una situazione sicuramente gravosa posto che si trovava da sola a dover crescere e mantenere il bambino non riconosciuto dall'altro genitore. Il nuovo nato inoltre veniva considerato dalla Cassazione come causa idonea ad incidere sulla quantificazione in aumento delle esigenze economiche della famiglia.

Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente indipendente è stato riconosciuto anche in casi di malattia del ragazzo, come ad esempio in ipotesi di una grave forma depressiva (Trib. Roma, 31 ottobre 2006, n. 22443), o anche nel caso di problemi di tossicodipendenza, in virtù dell'incapacità del giovane di rendersi indipendente sul fronte economico, e dell'impossibilità di reperire e conservare un posto di lavoro, nell'attesa peraltro dell'auspicabile buon andamento di un percorso di rieducazione (Trib. Taranto, n. 2257/2016).

In tali casi dunque non si tratta di valutare, se il maggiorenne ha terminato il ciclo di studi o se ha la possibilità di intraprendere un'attività lavorativa consona alle sue attitudini. Il ragazzo si trova in una situazione nuova, difficile e ha bisogno di tempo per assestarsi.

Nel caso in esame peraltro la Corte pone un limite: passati tre anni dall'evento e al raggiungimento del trentesimo anno di età, il diritto all'assegno di mantenimento deve essere revocato. La Cassazione in proposito richiama il consolidato orientamento di legittimità secondo cui l'obbligo del genitore viene meno quando il figlio ha raggiunto un'età tale da far presumere la capacità di provvedere a sé stesso. Si sostiene infatti in giurisprudenza che raggiunta l'età in cui nella normalità dei casi il percorso formativo e di studi è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, il maggiorenne abbia acquisito presumibilmente la capacità di essere economicamente autosufficiente (Cass. civ., n. 12952/2016). Vari provvedimenti giurisprudenziali hanno infatti revocato il diritto all'assegno di fronte a giovani per lo più trentenni, ancora senza una stabile occupazione, o che pur iscritti da anni all'università non avevano ancora conseguito il titolo di studio (Cass. civ., n. 9109/1999; Cass. civ., n. 2338/2006).

Si sottolinea peraltro che i casi non sono tutti uguali e che il Giudice di merito è tenuto a valutare ogni singola situazione, con prudente apprezzamento, e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari (Cass. civ., n. 10207/2017). Più l'età è avanzata e più rigorosa dovrà dunque essere la valutazione della situazione, fermo restando comunque che l'obbligo di mantenimento, secondo costante interpretazione, non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché «il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori» (Cass. civ., n. 18074/2014).

Nel caso in esame, precisa la Cassazione, il figlio, a tre anni di distanza dal mutamento di sesso aveva ormai raggiunto una capacità lavorativa potenziale cui non ha fatto riscontro una concreta ricerca di occupazione e tale valutazione, effettuata dalla Corte territoriale non è censurabile in sede di legittimità.

Osservazioni

L'ordinanza in esame spicca per la sua peculiarità perché, pur inserendosi in un consolidato filone giurisprudenziale relativo al mantenimento del figlio maggiorenne, pone in rilievo una situazione particolare quale quella del mutamento di sesso del giovane considerando, per la prima volta in giurisprudenza, tale evento come una causa di vulnerabilità e debolezza che può legittimamente impedire al ragazzo di impegnarsi per rendersi autosufficiente. I Giudici di legittimità ribadiscono peraltro che, anche in una situazione come quella di specie, va sempre tenuto in debito conto un limite temporale, che non può superare quell'età in cui presumibilmente il maggiorenne va ritenuto in grado di acquisire una propria indipendenza.

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