Legge Pinto: “l'indennizzo può essere chiesto anche durante il giudizio”

Redazione Scientifica
27 Aprile 2018

La Corte costituzionale con la sentenza del 26 aprile 2018, n. 88, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e ...

La Corte costituzionale con la sentenza del 26 aprile 2018, n. 88, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 del codice di procedura civile, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d) del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, Misure urgenti per la crescita del paese, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.

Già con la sentenza n. 30 del 2014, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi su analoga questione, aveva ravvisato, nel differimento dell'esperibilità del rimedio, un pregiudizio alla sua effettività, sollecitando l'intervento correttivo del Legislatore. Il monito dei giudici delle leggi è rimasto però inascoltato, i rimedi preventivi introdotti con l'art. 1, comma 777, della legge di stabilità 2016, infatti, non rilevano ai fini della tutela indennitaria una volta che essa sia maturata in quanto non vincolano il giudice e, per espressa previsione normativa, «restano ferme le disposizioni che determinano l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti» (art. 1-ter, comma 7, l. Pinto come modificata).

Per tali considerazioni, la Consulta ha ritenuto di dover concludere nel senso dell'illegittimità costituzionale dell'art. 4 l. 89/2001 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto, motivando che « posta di fronte a un vulnus costituzionale, non sanabile in via interpretativa – tanto più se attinente a diritti fondamentali – la Corte è tenuta comunque a porvi rimedio: e ciò, indipendentemente dal fatto che la lesione dipenda da quello che la norma prevede o, al contrario, da quanto la norma […] omette di prevedere. […] Spetterà, infatti, da un lato, ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione; e, dall'altro, al legislatore provvedere eventualmente a disciplinare, nel modo più sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero bisognevoli di apposita regolamentazione».

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