Sì all’assegno divorzile se la nuova convivenza non si traduce in vera e propria “famiglia di fatto”

30 Aprile 2018

In quali ipotesi la convivenza more uxorio instaurata dall'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile fa venir meno il diritto all'assegno stesso?
Massima

Il rapporto di convivenza, ove non si traduca in una vera e propria famiglia di fatto, basata su un progetto e modello di vita comuni e caratterizzata da stabilità e continuità, non fa venir meno il diritto all'assegno di divorzio.

L'onere della prova dell'instaurazione, da parte del coniuge beneficiario, di un nuovo rapporto familiare che assuma i suddetti connotati, come fatto estintivo del diritto all'assegno, grava sul coniuge onerato.

Il caso

Con l'ordinanza in commento, la Cassazione rigetta il ricorso presentato da un marito avverso la Sentenza della Corte d'Appello dell'Aquila che, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva confermato il contributo al mantenimento a favore della ex moglie ritenendo che «il diritto all'assegno divorzile viene meno solo qualora l'ex coniuge beneficiario instauri una convivenza stabile avente i caratteri di vera e propria famiglia “di fatto”, basata su un modello e un progetto di vita comuni». Nel caso di specie, secondo i Giudici di merito, dalle prove assunte era emersa «una mera relazione di convivenza protrattasi per circa sei mesi, senza alcun riscontro probatorio di natura economica da parte del nuovo convivente in favore del coniuge beneficiario dell'assegno».

La questione

Quando la convivenza more uxorio instaurata dall'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile fa venir meno il diritto all'assegno stesso?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte conferma il proprio consolidato orientamento secondo il quale, affinché una convivenza incida sul diritto al mantenimento dell'ex coniuge, occorre che assuma i connotati della stabilità e della continuità, ben diversa dalla mera coabitazione tra soggetti estranei.

Interessante appare l'excursus della giurisprudenza di legittimità che, a partire dai primi anni ‘90 (Cass. civ., n. 4158/1989; Cass. civ., n. 4761/1993; Cass. civ., n. 5024/1997; Cass. civ., n. 3503/1998), ha lentamente e progressivamente aperto all'attenuazione del diritto all'assegno divorzile a fronte di una convivenza che, sin da subito, si è richiesto avesse i connotati della cosiddetta "famiglia di fatto", caratterizzata dalla libera e stabile condivisione di valori e modelli di vita (perciò stesso anche economici) e comportante un arricchimento e un potenziamento reciproco della personalità dei componenti del nucleo.

Tale convivenza, ben lungi dal legittimare un'applicazione in via estensiva e/o analogica, dell'art. 5, comma 10, l. n. 898/1970, rappresentava, in tale avvio, esclusivamente un elemento valutabile ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno dei “mezzi adeguati” in capo al richiedente, rispetto al tenore di vita goduto durante il matrimonio (Cass. civ., n. 14921/2007; Cass. civ., n. 24056/2006; Cass. civ., n. 1179/2006; Cass. civ., n. 12557/2004; Cass. civ., n. 13060/2002; Cass. civ., n. 13053/1999; Cass. civ., n. 5024/1997; Cass. civ., n. 3720/1993). Come tale, dunque, poteva, in presenza di un mutamento in melius delle condizioni economiche del beneficiario incidere unicamente sul quantum dell'erogazione.

Tale effetto è dovuto alla natura precaria di questa organizzazione familiare, che non determina obblighi di mantenimento e non ha quella stabilità giuridica, propria del matrimonio (Cass. civ., n. 24858/2008; Cass. civ., n. 1096/2010).

Un successivo filone giurisprudenziale, iniziato con la sentenza Cass. civ., n. 17195/2011, ha offerto una maggiore apertura alla possibilità di “sospendere” l'erogazione dell'assegno divorzile.

Tale orientamento, che rivolgeva ancora attenzione ai miglioramenti economici derivanti dalla nuova unione, nel ribadire che la convivenza dell'ex coniuge con altra persona, avente carattere occasionale, non incideva di per sé sull'assegno di mantenimento, precisava che, in caso di divorzio la sperequazione dei mezzi del coniuge economicamente più debole a fronte delle disponibilità dell'altro, che avevano caratterizzato il tenore di vita della coppia nel matrimonio, non giustificava la corresponsione di un assegno, a carico del primo, ove questi avesse instaurato una convivenza con altra persona con i connotati di stabilità e continuità, con un progetto ed un modello di vita in comune. Nel caso esaminato nella citata decisione Cass. civ., n. 17195/2011, peraltro, oltre a verificare l'esistenza di un rapporto stabile di convivenza, si era, altresì, accertato che il nuovo compagno aveva dato un apporto notevole al ménage familiare, mettendo a disposizione per la convivenza un'abitazione.

La giurisprudenza ha più volte affermato che in dette ipotesi il diritto all'assegno venisse a trovarsi in una fase di quiescenza, potendosi ripristinare in caso di rottura della nuova unione (Cass. civ., n. 17195/2011; Cass. civ., n. 3923/2012; Cass. civ., n. 4539/2014) dato che il rapporto di convivenza, seppur “qualificato”, non comporta la nascita di reciproci doveri di mantenimento.

Con un'evoluzione più recente (Cass. civ., n. 6855/2015; Cass. civ., n. 18111/2017) i Giudici della Cassazione, mutando il precedente orientamento, hanno ritenuto che la formazione di un nuovo nucleo familiare, con i caratteri di cui sopra, comporti il venire meno di ogni presupposto per la riconoscibilità in favore del coniuge, che tale famiglia ha formato, dell'assegno divorzile e che tale contributo non possa risorgere in caso di cessazione della convivenza. La Suprema Corte motiva tale indirizzo evidenziando la necessità, da un lato, della piena assunzione, da parte dell'ex coniuge, del rischio che anche l'unione che dà vita alla nuova famiglia di fatto possa concludersi e, dall'altro, la necessità di tutela dell'affidamento che l'ex coniuge onerato riponga sull'esonero definitivo dell'obbligo di contribuzione divorzile in favore di colui che abbia dimostrato di voler ulteriormente recidere ogni legame con la pregressa vita matrimoniale.

Ciò non senza precisare che non vi è analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che comporta la cessazione automatica del diritto all'assegno divorzile e la fattispecie de quo che necessita di un accertamento del Giudice.

La nuova linea interpretativa è stata confermata dalla recente pronuncia Cass. civ., n. 2732/2018 per cui «la scelta dell'ex coniuge di costituire una convivenza more uxorio stabile e duratura, che all'evidenza, ben diversa da una mera coabitazione tra soggetti estranei, fa venir meno il diritto all'assegno. Ciò del tutto indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente».

Osservazioni

Con questa ultima apertura, pienamente condivisibile, che sentenzia la perdita definitiva, con la costituzione di un nuovo nucleo familiare, del diritto al mantenimento, la nostra giurisprudenza si è portata sulle posizioni già da tempo assunte, a livello normativo, da Paesi europei vicini al nostro come la Francia dove l'art. 283 code civil prevede che, analogamente ad un nouveau mariage, anche un concubinage notoire è idoneo a far cessare de plein droit la pretesa dell'ex coniuge alla pension alimentaire. Anche in Spagna, l'art. 101 código civil dispone che «el derecho a la pensión se extingue… por contraer el acreedor nuevo matrimonio o por vivir maritalmente con otra persona».

Con riferimento alla prova della convivenza si ritiene pacificamente che tale onere incomba sul coniuge obbligato.

Una pronuncia risalente (Cass. civ., n. 17684/2004), ad esempio, ha ritenuto che le prove debbano essere assunte, ove possibile, nel processo. La suprema Corte nel cassare la sentenza del Giudice territoriale, che aveva sensibilmente ridotto il contributo maritale, ha motivato la decisione ritenendo non condivisibile la preferenza accordata dalla Corte d'Appello rispetto alla prova testimoniale, pure offerta dalla ricorrente, ad altri elementi probatori acquisiti fuori dal processo, come la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante collaborazione lavorativa con il convivente, la targhetta all'ingresso di casa con i nomi dell'ex moglie e del nuovo compagno e due foto comprovanti il parcheggio dell'auto della stessa presso l'abitazione del partner. Elementi, questi, non ritenuti, da soli, prova sufficiente a dimostrare la stabile convivenza more uxorio dell'ex moglie.

Nel presente caso, come spesso si legge in analoghe decisioni sull'assunta violazione dell'art. 2697 c.c., la Suprema Corte dichiara l'inammissibilità del relativo motivo di impugnazione data l'insindacabilità, in questa sede di legittimità, dell'accertamento di merito compiuto dal Giudice di secondo grado, qualora esso sia «adeguatamente argomentato e non presenti vizi».

In ordine all'onere probatorio sugli eventuali benefici economici derivanti dalla convivenza, essendo risultato assorbente il motivo in punto sull'an, non sappiamo come la Suprema Corte si sarebbe pronunciata sul punto. Basterà, pertanto, qui ricordare che se in precedenza, con riferimento al mutamento in melius della situazione economica del beneficiario, l'incombente probatorio a carico dell'onerato doveva spingersi fino a dimostrare l'esistenza di «prestazioni economiche continuative effettuate dal convivente in favore dell'ex coniuge convivente» (per tutte cfr. Cass. civ., n. 1179/2006), con l'ultimo orientamento, che prescinde da tale miglioramento, si può agevolmente ritenere che tale onere venga a cessare.

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