Assegno divorzile: l’autosufficienza va determinata secondo specifici parametri adeguati al caso concreto

04 Maggio 2018

Secondo la Sezione I della Cassazione, nella determinazione del diritto all'assegno divorzile è necessario evitare pericolosi automatismi che possano rendere autosufficienza e non autosufficienza identiche a se stesse e uguali per tutti.
Massima

Va condiviso l'orientamento introdotto dalla sentenza Cass. n. 11504/2017 secondo cui il presupposto del diritto all'assegno divorzile, fondato nel dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale tra persone ormai estranee, è la non autosufficienza del richiedente, la quale deve essere valutata dal giudice del merito con riguardo ad alcuni specifici parametri da adeguare alle singole fattispecie concrete, escludendo in tal modo pericolosi automatismi che renderebbero l'autosufficienza identica sempre a sé stessa ed uguale per tutti.

Il caso

La Corte di Appello di Firenze rigettava la richiesta della ex moglie, di attribuzione di assegno divorzile, considerata l'equivalenza della sua condizione economica rispetto a quella dell'ex marito.

La richiedente ricorreva per cassazione con tre motivi strettamente connessi in quanto involgenti, sotto il profilo del difetto motivazionale e della violazione di legge, il tema del presupposto dell'assegno di divorzio.

La Corte, preliminarmente, respinge l'istanza avanzata dalla Procura Generale per provocare l'intervento della Sezioni Unite riguardo all'orientamento inaugurato dalla sentenza Cass. n. 11504/2017; dichiara poi di aderire al revirement e ribadisce, in linea con la sentenza capostipite, che il presupposto del diritto all'assegno deve essere individuato non nella mancanza di mezzi adeguati a mantenere la condizione di vita pregressa, secondo l'orientamento risalente alle pronunce delle Sezioni Unite, Cass. 29 novembre 1990 n. 11490, 11492, ma nella mancanza di mezzi adeguati a garantire l'autosufficienza economica; infine, considerato che la ricorrente aveva vari immobili dai quali ricavava un reddito tale da consentirle un tenore di vita dignitoso, rigetta il ricorso correggendo la motivazione della sentenza impugnata.

La questione

La sentenza in epigrafe pone essenzialmente tre questioni attinenti, rispettivamente, all'ambito applicativo dell'art. 374, comma 3, c.p.c., al concetto di autosufficienza economica e ai parametri per la relativa valutazione e, infine, al fondamento dell'obbligo di pagamento dell'assegno.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 374, comma 3, c.p.c., poiché ha natura ordinamentale e non processuale, è operativo, nella versione riformata con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, solo per i principi affermati dalle Sezioni Unite dopo l'entrata in vigore della riforma e non per quelli, come il principio per cui l'assegno di divorzio va ancorato alla condizione matrimoniale, enunciati anteriormente. L'autosufficienza deve essere valutata dal giudice del merito in base ai parametri individuati nella sentenza Cass. n. 11504/2017 e ad eventuali, ulteriori parametri individuabili nelle singole fattispecie e, in ogni caso, rifuggendo da «pericolosi automatismi» che possano rendere «autosufficienza e non autosufficienza sempre identiche a se stesse e uguali per tutti»; il fondamento dell'obbligo di pagamento dell'assegno sta nel dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale tra persone ormai estranee.

In merito alla prima delle questioni evidenziate nel paragrafo precedente si osserva che l'argomento opposto dalla Corte all'istanza della Procura che, significativamente, non era stato utilizzato né nella sentenza Cass. n. 11504/2017 per dar corso al revirement senza interpellare le Sezioni Unite (la sentenza si era basata sull'assunto, criticato incisivamente da E. Quadri, I coniugi e l'assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885, per cui l'orientamento espresso nelle «fondamentali sentenze delle Sezioni Unite Cass. 29 novembre 1990 nn. 11490, 11492» è ormai divenuto tanto inattuale, da poter essere modificato dalla sezione semplice senza ricorre alle Sezioni Unite) né nella sentenza Cass. n. 15481/2017 per “bloccare” il primo tentativo della Procura Generale di provocare l'intervento delle stesse Sezioni (la sentenza si era basata sull'argomento, giudicato fortemente autoreferenziale da R. Russo, La seconda sentenza sull'assegno di divorzio. Hybris versus diche, in www.judicum.it, per cui «non è dato scorgere per quali ragioni l'applicazione e lo svolgimento dei principi di diritto enunciati con la sentenza n. 11504/2017 devono ritenersi istituzionalmente attribuiti alla cognizione delle Sezioni Unite») non può essere condiviso per le seguenti ragioni:

- un principio delle Sezioni Unite, pur enunciato antecedentemente alla entrata in vigore della norma, rimane fermo fino a che non è modificato;

- l'art. 374 c.p.c., che già prima della riforma del 2006, specie se letto con l'art. 376 c.p.c., avrebbe indotto a favorire l'intervento delle Sezioni Unite in coerenza con la loro funzione istituzionale, desumibile dall'art. 65 l. ord. giud., «di dirimere i contrasti di giurisprudenza emersi in seno alla Corte» (R. Rodordof, Stare decisis: osservazioni sul valore del precedente giudiziario nell'ordinamento giuridico italiano, in Foro it., 2006, V, 282; Gorla, Postilla su “l'uniforme interpretazione della legge ed i tribunali supremi”, in Foro it., 1976, V, 127), stabilisce, dopo la riforma, la condotta che la Sezione semplice ha l'obbligo di tenere ove non condivida un principio delle Sezioni Unite;

- la limitazione dell'ambito applicativo della disposizione riformata ai principi posti dopo l'entrata in vigore della riforma non è giustificata dalla lettera dell'art. 374 c.p.c. né dall'art. 27 d.lgs. n. 40/2006, secondo cui la disposizione si applica «ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto»;

- la qualificazione della norma come ordinamentale e non processuale, corretta o meno che sia (nel senso della correttezza può dirsi che è norma processuale quella che, diversamente dalla norma in esame, attribuisce un potere o impone un onere alla parte; in senso contrario, v., invece, gli argomenti di R. Russo, Quer pasticciaccio brutto dell'assegno divorzile. Errare humanum est…, in www.judicium.it), non è rilevante perché il rapporto di implicazione necessaria, apoditticamente affermato, tra tale qualificazione ed il limite temporale di applicazione della norma, in realtà non esiste.

L'affermazione in oggetto, in altri termini, «trascura la regola fondamentale, in virtù della quale il principio tempus regit actus prevede, da un lato, che il comportamento sia disciplinato dalla norma vigente nel momento in cui esso è tenuto, ma stabilisce altresì, dall'altro, che la fattispecie descritta dalla nuova norma ben possa collocarsi temporalmente in un momento antecedente all'entrata in vigore della stessa … il comportamento previsto dall'art. 374, comma 3, c.p.c. … deve essere collocato temporalmente in un momento successivo all'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40; ma la fattispecie della norma (la sussistenza di un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite) ben può essere anche antecedente alla modifica dell'art. 374 c.p.c.» (F. P. Luiso, nota a Cass. 25 ottobre 2017, n. 25524 in corso di pubblicazione su Giur.it).

Per quanto riguarda la seconda delle questioni poste dalla sentenza in commento si osserva:

a) fino dalle prime pronunce successive a Cass. n. 11504/2017, la giurisprudenza si è data carico di precisare il concetto astratto di autosufficienza economica ravvisandola in una situazione tale da permettere un'esistenza “libera e dignitosa” (Cass. n. 11538/2017; Cass. n. 2043/2018; analogamente, Cass., ord., n. 15481/2017, ove viene utilizzata l'espressione “indipendente e dignitosa”) oppure nella disponibilità di «risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)» (Trib. Milano, 22 maggio 2017). Questa seconda impostazione è apparsa troppo restrittiva perché riduce l'assegno divorzile all'assegno alimentare, riconosciuto, ai sensi dell'art. 438 c.c., a chi «versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento»; contro di essa si ricava un argomento dall'art. 9 bis, comma 1, l.div., che riconosce al divorziato, titolare di un assegno di mantenimento, il diritto ad un assegno a carico dell'eredità dell'ex coniuge, qualora versi in stato di bisogno. La prima impostazione è dunque prevalsa (oltre alla sentenza in epigrafe, Cass. n. 3015/2018). Anche in riferimento ad essa deve peraltro osservarsi che è possibile non ridurre l'assegno divorzile all'assegno alimentare, in quanto il livello della vita libera e dignitosa ai fini del primo sia fissato più in alto rispetto a al livello della vita libera e dignitosa ai fini del secondo; distinzione in concreto difficilissima (come già notato da C. M. Bianca in riferimento alla sentenza Cass. 2 marzo 1990, 1652, in Riv. dir. civ., 1990, II, 539, con osservazioni riprese, e riproposte a critica della sentenza n. 11504/2017, da C. M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, in Foro it., 2017, I, 2715 e ss.);

b) la sentenza in commento rimarca che la soglia dell'autosufficienza deve essere verificata utilizzando gli indici elencati dalla sentenza Cass. n. 11504/2017 e quelli di volta in volta individuati dal giudice del merito come significativi in riferimento al caso concreto. Sul punto vi è stata un'ampia elaborazione da parte del Tribunale di Treviso (sentenza 14 ottobre 2017) il quale ha distinto tra indici di natura personale («le capacità fisiche e condizioni personali delle parti; le possibilità effettive di lavoro delle parti in relazione alla salute, all'età, al sesso; la ricerca da parte del coniuge eventualmente disoccupato di un'occupazione lavorativa consona all'esperienza professionale maturata e al titolo di studi conseguito o l'esistenza di concrete giustificazioni dell'impossibilità, per impedimento fisico o altra condizione personale, a svolgere qualsivoglia attività lavorativa; le condizioni dei coniugi a seguito del divorzio, anche in relazione alla circostanza che uno dei coniugi si sia occupato prevalentemente della cura della famiglia, a scapito della propria attività lavorativa e della propria crescita professionale») e indici «inerenti la sfera patrimoniale dei coniugi» (le possibilità effettive di lavoro delle parti in relazione al mercato del lavoro esistente nella zona geografica in cui esse risiedono; il possesso di patrimoni mobiliari ed immobiliari e di redditi, tenuto conto anche degli oneri che essi comportano; il costo della vita nel luogo di residenza dei coniugi come certificato dai dati ISTAT più recenti e con eventuale riferimento alla provincia o regione di appartenenza; la stabile disponibilità di una casa di abitazione ed il titolo in base al quale è detenuta; la capacità di far fronte direttamente alle spese essenziali di vita o la necessità di accedere a sussidi economici erogati da enti territoriali o altre strutture pubbliche o private in base al reddito);

c) la sentenza in esame sottolinea che il concetto di autosufficienza non deve essere considerato sempre uguale a se stesso. Sarebbe pertanto sbagliato prefissare una soglia di autosufficienza (come pure è stato fatto variamente v. Trib. Milano, 22 Maggio 2017, cit.; Trib. Ravenna, 21 settembre 2017, n. 886; Trib. Mantova, sez. I. 16 maggio 2017; Trib. Udine, 1 giugno 2017; in dottrina G. Savi, La rilevanza del “tenore di vita” dei consorti nel riconoscimento del contributo al mantenimento in regime di separazione personale e dell'assegno post-coniugale, in www.osservatoriodifamiglia.it, 23, nota 33) e poi utilizzare gli indici sopra elencati per verificarne il raggiungimento. Peraltro, in linea con la sentenza Cass. n. 11504/2017, data la funzione solo assistenziale dell'assegno, dato che il beneficiario deve essere considerato persona singola e priva di un passato familiare, gli indici dovrebbero essere impiegati privilegiando un'ottica oggettiva e dando poi rilievo a quelle condizioni soggettive, quali l'età e lo stato di salute, suscettive di accrescere le necessità del richiedente (Trib. Bologna 9 agosto 2017) e comunque sempre evitando una relativizzazione alla condizione sociale o alle «esigenze che l'ex coniuge, per il suo vissuto sia durante il matrimonio sia prima, ha maturato» (così, invece App. Genova, sent., 12 ottobre 2017, n. 106), che finirebbe per far riemergere lo status di vita matrimoniale e per sovrapporre quanto attiene all'an a quanto attiene alla liquidazione dell'assegno.

In merito alla terza questione posta dalla sentenza in epigrafe si osserva:

a) per la Corte, l'assegno deve essere versato non in ragione del pregresso vincolo matrimoniale, bensì in virtù del fatto che il beneficiario è una persona (singola) alla quale, in quanto incapace di procurarsi le condizioni per un'esistenza libera e dignitosa, è dovuta assistenza. L'affermazione ricalca quella della sentenza capostipite: «La complessiva ratio dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 (...) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di “solidarietà economica” (art. 2 Cost., in relazione all'art. 23 Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economicamente più debole (c.d. «solidarietà post-coniugale»)» (Cass. 10 maggio 2017, n. 11504);

b) l'affermazione non sfugge ad un duplice rilievo critico. L'art. 23 Cost. fa riferimento al principio di solidarietà economico-sociale non al principio di solidarietà post coniugale. É poi incomprensibile perché una persona debba essere obbligata ad una prestazione di solidarietà economica nei confronti di chi le è (ormai) estraneo ossia come possa la Corte trasformare «l'assegno di divorzio in una sorta di indennità di disoccupazione, imposta non allo Stato ma all'ex» (A. Simeone, L'assegno di divorzio secondo la Cassazione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto in www.ilfamiliarista.it);

c) il fondamento costituzionale dell'assegno va rintracciato non nell'art. 23 Cost., il cui richiamo è fuori luogo, ma negli artt. 2 e 29 Cost.: in particolare, nell'art. 2 Cost. non per la parte in cui vi è prevista l'imposizione di doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale ma per la parte in cui vi è posta l'esigenza che sia assicurata la dignità della persona per come sviluppatasi nella formazione sociale “famiglia”; nell'art. 29 Cost. che stabilisce il principio di uguaglianza tra i coniugi e che non può non essere riferito anche alla fase della crisi del matrimonio, pena l'evidente contraddizione di affermare un principio per quando la fisiologia del rapporto lo rende superfluo e non per quando deve invece esserne effettivamente garantita l'attuazione (E. Al Mureden, L'assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam. e dir., 2017, 646 cit., 648 ss.).

Osservazioni

Il riconoscimento dell'assegno non prescinde dunque dal passato matrimoniale. Al contrario, l'assegno, per il suo radicamento nell'art. 29 Cost., spetta se, al momento della crisi del rapporto, emerge la necessità concreta di assicurare l'uguaglianza tra le parti facendo sì che ognuna abbia ciò che le spetta della ricchezza familiare in proporzione a quanto vi ha contribuito e in considerazione anche del sacrificio di opportunità esterne alla famiglia; per il suo radicamento nell'art. 2 Cost., l'assegno spetta se, nel momento della crisi familiare, emerge la necessità di assicurare all'ex coniuge una condizione di autosufficienza.

Merita di essere ripensata dunque l'affermazione, ribadita nella sentenza in commento in linea con la pronuncia Cass. n. 11504/2017 ed anche con la giurisprudenza precedente, ma sempre più diffusamente messa in discussione in dottrina (C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l'agonia del fondamento assistenziale, nota a Cass., sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504 e a Cass., sez. I, 16 maggio 2017, n. 12196, in Giur.it., 2017, 1799; E. Quadri, L'assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita e autoresponsabilità: gli ex coniugi “persone singole” di fronte al loro passato comune, in Nuova giur. Civ., 2017, 9, 1261 ss.) e nella giurisprudenza di merito (v. in particolare Trib. Treviso, 14 ottobre 2017) e incompatibile con la valorizzazione sia della gran parte dei criteri di cui al comma 6, dell'art. 5, l. div., legati alla “dimensione storica” della vita familiare degli ex coniugi , sia del riferimento normativo alla durata del matrimonio, per cui l'assegno ha una funzione esclusivamente assistenziale, per affermare invece che esso ha, costituzionalmente, o una funzione perequativa o una funzione assistenziale (la seconda potendo peraltro restare soddisfatta una volta soddisfatta la prima), nonché, sancita a livello primario (dal riferimento nell'art. 5 comma 6, l. div. alle “ragioni della decisione”), una funzione risarcitoria.

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