Compravendita senza forma scritta: il possesso di immobile non costituisce occupazione senza titolo

Maurizio Tarantino
09 Maggio 2018

Chiamato ad accertare l'occupazione sine titulo da parte di soggetti che avevano acquistato l'immobile senza mai formalizzare l'acquisto con atto pubblico, il Tribunale di Salerno, ritenendo la domanda infondata, ha evidenziato che, seppur la compravendita verbale era nulla per vizio di forma, tuttavia...
Massima

Ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione occorre che sia dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla res per il tempo necessario ad usucapirla e non viziato da violenza e clandestinità. Pertanto devono essere posti in essere atti conformi alla qualità e alla destinazione della res secondo la sua specifica natura, adottando un comportamento rivelatore anche all'esterno di un'indiscussa e piena signoria di fatto su di essa. Ne consegue che l'animus possidendi può essere provato mediante l'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall'effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui.

Il caso

Alla morte di Sempronio, i suoi locali erano stati trasferiti per atto di successione a Caia; al decesso di quest'ultima, la proprietà degli immobili veniva trasferita agli ultimi eredi legittimi. Tuttavia, detti locali, al momento del decesso di Sempronio, erano occupati da Mevia e Filano, i quali, senza alcuna autorizzazione da parte dei legittimi proprietari, avevano successivamente immesso nei locali da loro occupati il figlio Tizio, che aveva adibito gli stessi a studio legale. Pertanto, sul presupposto che - a fronte dell'occupazione di tali locali - fosse stato concluso tra Sempronio e i conduttori (Mevia e Filano) un regolare contratto di locazione, nel 1999 gli eredi di Caia proponevano azione di convalida di sfratto per morosità. Nel corso del giudizio, il giudice rigettava la domanda in quanto non risultava provato alcuno rapporto di locazione. Nel 2001 i coniugi Mevia e Filano, con atto notarile, donavano i locali in questione al figlio Tizio. Nel 2003, invece, con altro atto notarile, gli attori (eredi di Caia) trasferivano i diritti della loro dante causa sulle unità immobiliari in questione ad altri parenti sottoponendo l'efficacia del trasferimento, per quanto concerneva le unità immobiliari occupate dal figlio di Mevia e Filano, alla condizione sospensiva del positivo esito del giudizio che i venditori preannunciavano di intraprendere nei confronti dei soggetti a favore dei quali i beni erano stati trasferiti. Ebbene, in virtù di quanto innanzi esposto, gli attori (eredi di Caia) hanno intrapreso due giudizi: ilprimo, diretto ad accertare l'occupazione sine titulo da parte dei convenuti dei locali in questione; il secondo finalizzato ad annullare la donazione avvenuta nel 2001.

Costituendosi in entrambi i giudizi, i convenuti eccepivano in riconvenzionale che gli immobili in questione erano stati acquistati per usucapione.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: costituisce occupazione senza titolo l'aver occupato un immobile senza autorizzazione degli eredi legittimari? È valido l'atto di donazione di un immobile acquistato in precedenza mediante usucapione?

Le soluzioni giuridiche

Dall'espletata istruttoria di causa era emerso che gli attori erano divenuti proprietari dei suddetti beni in forza della successione ereditaria di Caia (deceduta nel 1993) di cui erano unici eredi; Caia, a sua volta, aveva ereditato i beni de quibus da Sempronio (deceduto nel 1989), di cui era l'unica erede. I convenuti (coniugi Mevia e Filano ed il loro figlio Tizio), invece, evidenziavano di aver iniziato a possedere uti domini i locali per cui è causa dal 1964, quando il proprietario degli stessi era Sempronio, da cui assumevano, infatti, di aver acquistato i beni, pagando anche il relativo prezzo, senza però formalizzare l'acquisto con l'atto pubblico; sicché alla data del 1989, epoca del decesso di Sempronio (proprietario formale dei locali), avevano già usucapito i beni per essere trascorso il ventennio (1964-1989). Dal punto di vista temporale, ne deriva che i convenuti hanno allegato l'inizio del possesso (1964) prima del perfezionarsi dell'acquisto degli attori in rivendicazione, i quali acquistavano i locali nel 1993, iure hereditatis, a seguito della morte di Caia, che, a sua volta, aveva acquistato i beni, iure successionis, nel 1989 con l'apertura della successione di Sempronio. A questo punto, il thema decidendum riguardava l'acquisto per usucapione dei convenuti.

Dalle dichiarazioni testimoniali era risultato che i coniugi Mevia e Filano si comportavano da proprietari dei locali adibiti all'esercizio della macelleria, eseguendo anche dei lavori all'interno di tali locali, senza alcuna autorizzazione del Sempronio, e dichiarando pubblicamente a terzi di essere i proprietari dei predetti locali per averli acquistati da Sempronio, senza, però, provvedere a formalizzare l'acquisto in atto scritto e, men che mai, in atto pubblico. Premesso ciò, dunque, a parere del giudice, sicuramente la vendita di un bene immobile in forza di atto di compravendita verbale era nulla per vizio di forma, ma la circostanza in sé era rilevante ai fini dell'animus possidendi e del possesso ad usucapionem da parte di Mevia e Filano, i quali manifestavano, anche in pubblico, il convincimento di essere proprietari dell'immobile per averlo acquistato Sempronio. Ed ancora, risultava in atti (in fascicolo di parte dei convenuti) un verbale di assemblea dei proprietari del condominio dei locali in oggetto, sottoscritto da Sempronio e i coniugi Mevia e Filano; questi ultimi definiti come condomini.

A parere del Tribunale, dunque, appariva evidente che nel documento in esame era lo stesso Sempronio a qualificare Mevia e Filano come proprietari del locale. Premesso quanto innanzi esposto, il giudice adito, richiamando i principi giurisprudenziali in materia, ha precisato che in tema di azione di rivendicazione, ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un'eccezione riconvenzionale, invocando un possesso ad usucapionem iniziato successivamente al perfezionarsi dell'acquisto ad opere dell'attore in rivendica (o del suo dante causa), l'onere probatorio gravante su quest'ultimo riduce alla prova del suo titolo di acquisto, nonché della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il thema disputandum all'appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell'invocata usucapione e non già all'acquisto del bene medesimo da parte dell'attore (Cass. civ.,sez. II, 22 aprile 2016, n. 8215; Cass. civ.,sez. II, 23 luglio 2015, n. 15539). Ne consegue che essendo iniziato l'esercizio del possesso ad usucapionem del locale per cui è causa da parte di Mevia e Filano dall'anno 1964-1965, l'acquisto si era già verificato, per il decorso del termine ventennale, nell'anno 1989, allorquando decedeva Sempronio. Pertanto, è stata ritenuta provata la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dai convenuti.

Quanto all'altra domanda dell'altro giudizio “inefficacia dell'atto di donazione”, il Tribunale di Salerno ha precisato che l'acquisto della proprietà di un immobile per effetto dell'usucapione, affinché possa essere fatto valere e formare oggetto di un contratto di vendita, deve essere dapprima accertato e dichiarato nei modi di legge (Cass. civ.,sez. II,12 novembre 1996, n. 9884). Ne caso di specie, è stato accertato che i donanti, all'epoca della conclusione dell'atto di donazione del 2001, erano già divenuti proprietari del bene immobile di cui disponevano in favore del figlio, per averlo acquistato per usucapione per effetto del possesso ultraventennale. Quindi le domande di annullamento dell'atto di donazione sono state rigettate.

In conclusione, il Tribunale di Salerno ha accolto la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dai convenuti e per l'effetto ha ordinato la trascrizione della presente sentenza nei Pubblici Registri Immobiliari.

Osservazioni

Tra i modi di acquisto della proprietà, il codice civile prevede, all'art.1158, la fattispecie dell'usucapione. Con tale termine si fa riferimento alla possibilità di acquistare la proprietà di un bene attraverso il possesso continuato ed ininterrotto per un periodo determinato stabilito per i beni immobili in 20 anni, oppure in 10 anni per il caso particolare di acquisto in buona fede, in base ad un titolo debitamente prescritto.

Per quanto attiene il caso generale dell'usucapione immobiliare ventennale, perché possa prodursi l'effetto dell'acquisto della proprietà è necessario, in primo luogo, che il soggetto che usucapisce abbia posseduto il bene per il tempo indicato; deve trattarsi di “possesso”, non di semplice “detenzione”, nel senso di esercizio di poteri e attività sul bene qualificabili come atti che il proprietario stesso porrebbe in essere.

Il possessore cioè, a differenza del detentore, si comporta come se fosse il proprietario, mentre il semplice detentore riconosce la titolarità altrui ed agisce di conseguenza. Si è detto, inoltre, che il possesso deve essere esercitato nel ventennio in modo continuato ed ininterrotto: ciò significa che i poteri e le attività posti in essere sul bene devono essersi protratti senza essere stati interrotti da atti che dimostrino la volontà, propria o del legittimo proprietario, di impedire l'acquisto del bene per usucapione. L'acquisto per usucapione del bene è un effetto automatico del possesso continuato ed ininterrotto; tuttavia, per poter essere opposto ai terzi, dovrà essere accertato in giudizio, dinanzi al Tribunale competente per territorio, il quale, in caso di accoglimento della domanda di accertamento dell'usucapione, pronuncerà sentenza dichiarativa, da trascriversi nei registri immobiliari.

Premesso quanto innanzi esposto, si segnala una particolare sentenza della Corte di legittimità (Cass. civ.,sez. II, 23 aprile 2014, n. 9216) la quale ribadisce i principi essenziali ai fini del legittimo acquisto di beni immobili a titolo di usucapione. Sul piano generale, i giudici di legittimità osservano che chi agisce in giudizio deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'animus possidendi nell'indicato soggetto.

Tale principio è stato ripreso anche dalla recentissima giurisprudenza di merito (Trib. Caltagirone 19 gennaio 2018, n. 61) secondo cui ai fini della sussistenza dell'animus domini in capo al richiedente, è necessaria una adeguata prova testimoniale del suddetto possesso da parte di terzi estranei.

Guida all'approfondimento

Ferretti, Animo possidere, Torino, 2017;

Mazzon, Il possesso, Padova, 2011;

Bianca, Donazione di beni altrui e acquisto per usucapione, in Diritto per i concorsi, Dike giuridica, 2010;

Natoli, Il possesso, Milano, 1992;

Portale, Note in tema di compossesso e di usucapione, in Riv. trim. proc. civ., 1966.

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