Autosufficienza economica come parametro per l'assegno divorzile: un concetto elastico

11 Maggio 2018

La Corte si interroga sull'interpretazione del concetto di adeguatezza cui rapportare i mezzi del richiedente l'assegno, fornendo un'interpretazione modulata dei principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504/2017.
Massima

Il parametro dell'autosufficienza economica, cui devono rapportarsi i mezzi del richiedente l'assegno divorzile, deve intendersi in maniera differenziata, caso per caso e in modo che, da un lato, siano impedite ingiustificate rendite di posizione e, dall'altro, siano tutelati i fondamentali obblighi di solidarietà sociale che il legislatore ha inteso siano conservati anche dopo il venire meno del vincolo; l'assegno di divorzio può essere fissato in un importo superiore all'assegno di separazione determinato dalle parti in via transattiva, anche perché i criteri di determinazione del primo sono differenti da quelli di determinazione del secondo.

Il caso

Tizio, libero professionista, e Caia, insegnante, si sono sposati nel 1974 e separati consensualmente nel 2005; a Caia è stata riconosciuta l'assegnazione della casa coniugale e un assegno ex art. 156 c.c. (attualizzato al 2017) di 1.900,00 euro mensili. Nel 2012 Tizio chiede al Tribunale la pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio; Caia si costituisce formulando domanda di assegno di € 8.000,00, da elevarsi a € 10.000,00 nel caso di mancata assegnazione della casa coniugale. Dall'istruttoria svolta in primo grado era emerso che: Tizio aveva un reddito di € 150.000,00 (2010/2013) poi scesi a € 100.000,00 (2014/2015), nonché un patrimonio valorizzato dal CTU in € 3.335.000,00; Caia, invece, era titolare di una pensione di € 1.200,00 euro e di un patrimonio di € 870.000,00 consistente nel 50% della casa coniugale in cui la donna abitava, di una multiproprietà in uso al marito (ma di fatto non utilizzata a causa di un incendio), nonché di un altro immobile, che le procurava un piccolo reddito. Considerati tutti questi elementi, e preso atto che dall'istruttoria era altresì emerso che la moglie si era «occupata dei figli ausiliando peraltro anche il coniuge e quindi contribuendo al suo successo professionale» il Tribunale ha posto a carico di Tizio un assegno ex art. 5 l. n. 898/1970 di € 2.500,00 mensili.

La decisione è stata impugnata dall'obbligato che ha chiesto l'esonero dal pagamento dell'assegno o, in subordine, la sua determinazione nell'importo massimo di € 600,00 euro, assumendo:

i) l'errata valutazione del tenore di vita;

ii) che il Giudice non aveva valutato l'esperienza acquisita dalla moglie dopo il pensionamento derivante dal supporto prestato all'attività professionale del marito;

iii) l'errata determinazione del quantum, anche in considerazione del fatto che, nelle more, il reddito dell'obbligato era crollato a 44.000,00 euro annui;

iv) l'errata determinazione del patrimonio ad opera del CTU.

Nel giudizio si è costituita la moglie, formulando altresì appello incidentale e osservando, in sintesi, che:

a) il presunto calo reddituale dell'ex marito era imputabile a una serie di condotte dissimulative (fondo patrimoniale costituito con il nuovo coniuge; costituzione di un trust; costituzione di una s.r.l. svolgente attività simili, per non dire identiche, a quelle che l'obbligato svolgeva presso lo studio professionale);

b) nelle more del giudizio il marito aveva formulato domanda per indennità di occupazione della casa familiare, pari a 1.400,00 euro mensili.

La Corte d'appello ha respinto entrambi i gravami e confermato la sentenza di primo grado.

La questione

Nella sentenza in commento la Corte affronta due questioni di particolare interesse:

i) l'individuazione del parametro cui raffrontare, alla luce del révirement giurisprudenziale inaugurato da Cass. 10 maggio 2017, n. 11504, il giudizio di adeguatezza dei mezzi ai fini della concessione dell'assegno e, dunque, dell'ambito nel quale il Giudice deve valutare i presupposti dell'an dell'assegno;

ii) i criteri di quantificazione dell'assegno divorzile e il rapporto tra questo e l'assegno di separazione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte si interroga sull'interpretazione del concetto di adeguatezza cui rapportare i mezzi del richiedente l'assegno, fornendo un'interpretazione modulata dei principi espressi dalla Corte di Cassazione. I Giudici bresciani escludono che «il concetto di adeguatezza...può essere sic et simpliciter riferito alle esigenze di mera sussistenza materiale», fornendo alla propria valutazione una solida base logica e argomentativa: se il legislatore avesse voluto agire in tal senso «avrebbe fatto espresso richiamo all'istituto dell'assegno alimentare», mentre invece «l'art. 5 l. n. 898/1970 prevede come presupposto del diritto alla percezione dell'assegno la mancanza di mezzi adeguati e non, come prevede per l'assegno alimentare l'art. 438 c.c., il riscontro dello stato di bisogno del richiedente e della impossibilità di poter autonomamente provvedere al proprio mantenimento».

Una volta escluso che l'assegno di divorzio possa “scolorare” nell'assegno alimentare, la Corte assume che, sì, i mezzi del richiedente non devono essere tali da garantirgli il pregresso tenore di vita matrimoniale (con ciò sposando dunque il nuovo orientamento giurisprudenziale), ma non esclude che un assegno possa essere riconosciuto anche a chi è in grado di soddisfare le proprie esigenze basilari di vita, dovendosi ritenere «che l'adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente va parametrata alla possibilità, in base ad essi, di poter o meno condurre un'esistenza libera e dignitosa, in modo che da un lato siano impedite rendite di posizione fondate su un rapporto coniugale non più esistente e che, dall'altro, siano tutelati e salvaguardati i fondamentali obblighi di solidarietà sociale che il legislatore ha comunque voluto restino conservati anche dopo la definitiva soluzione del vincolo coniugale».

Così interpretato il principio cardine del nuovo orientamento giurisprudenziale, la Corte ha respinto l'appello e confermato la debenza dell'assegno, giacché «l'ammontare dell'assegno pensionistico percepito dalla moglie non sarebbe sufficiente a pagare l'indennità di occupazione della casa familiare richiesta dal marito» (problema analogo si porrebbe nell'ipotesi in cui la donna fosse costretta a trasferirsi in una casa in locazione); inoltre la donna «ormai settantenne non è nelle condizioni, per ragioni anagrafiche, di poter conseguire un reinserimento lavorativo...alla stessa non può dunque imputarsi una qualche neghittosità o resistenza a procurarsi...i mezzi adeguati ad assicurarle...l'indipendenza economica» .

Accertata la spettanza dell'assegno, il Giudice dell'appello ha confermato anche la misura fissata in primo grado, applicando puntualmente i criteri di cui all'art. 5 l. n. 898/1970 e, dunque, tenendo conto della lunga durata della convivenza matrimoniale (38 anni) e del matrimonio (43 anni), delle capacità economiche di entrambi (accertate dalla CTU), del fatto che l'asserito calo reddituale dell'obbligato era da imputarsi a “condotte dissimulative”. In particolare viene valorizzato il contributo dato dalla donna alla famiglia, non essendo «contestato che la stessa abbia fornito un diretto contributo all'attività professionale del marito una volta in pensione (…) si è occupata dei figli ed ha altresì aiutato il marito nel lavoro (...) è condivisibile il rilievo che alla formazione del patrimonio comune ha contribuito economicamente in misura preponderante il marito, tuttavia non può considerarsi che ciò è stato possibile anche in ragione del contributo, diretto e indiretto, fornito dalla moglie».

La Corte, infine, giustifica anche l'aumento dell'assegno da € 1.900,00 stabiliti in sede di separazione a € 2.500,00 fissati in sede divorzio, ribadendo implicitamente il principio giurisprudenziale per cui il Giudice dello scioglimento del vincolo non è legato alle statuizioni della fase dell'allentamento del rapporto (cfr. Cass. n. 15728/2005; cfr. anche Cass. n. 5481/2013; Cass. n. 11522/2007; Cass. n. 11575/2001) e contemperando detto principio con quello in forza del quale i criteri indicati nell'art. 5 l. n. 898/1970 agiscono come fattori di ponderazione dell'assegno teoricamente dovuto (cfr. Corte cost., ord. n. 11/2015). Secondo la Corte, infatti, «la situazione economica dell'appellata non è comparabile a quella in essere all'atto della separazione»: allora l'avente diritto era assegnataria della casa coniugale, oggi è costretta (anche se solo in via potenziale) a versare al marito un'indennità di occupazione, essendo venuti meno i presupposti dell'assegnazione, che entrambe le parti hanno fissato in 1.400,00 euro mensili.

Osservazioni

Come ormai noto, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 11504/2017 (cfr. Simeone A., L'assegno di divorzio secondo La Cassazione: chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto in ilFamiliarista.it), ha ribaltato il paradigma dell'assegno divorzile, dovuto non più al coniuge che non è in grado di mantenere il pregresso tenore di vita, ma solo a quello che non ha o non può, per ragioni oggettive, procurarsi i mezzi per essere indipendente, in ragione del principio di autoresponsabilità economica.

I principi espressi per la prima volta con Cass. n. 11504/2017, sono stati confermati da Cass. n. 11538/2017 («L'assegno divorzile ha indubbiamente natura assistenziale e deve essere disposto in favore della parte istante la quale disponga di redditi insufficienti a condurre un'esistenza libera e dignitosa e deve essere contenuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo senza provocare illegittime locupletazioni») e da numerose altre sentenze dei Giudici di legittimità che hanno avuto l'effetto di consolidare, in brevissimo tempo, il nuovo e rivoluzionario orientamento (cfr. ex plurimis Cass. civ. 22 giugno 2017, n. 15481, v. S. A. R. Galluzzo, Superato il criterio del tenore di vita anche in sede di revisione dell'assegno in ilFamiliarista.it; Cass. civ. 5 dicembre 2017, n. 28994; Cass. civ. 9 ottobre 2017, n. 23602; Cass. 29 agosto 2017, n. 20525; Cass. civ. 25 ottobre 2017, n. 25327; Cass.civ. 7 febbraio 2018, n. 5016).

Dunque, oggi, l'assegno di divorzio è dovuto a favore dell'ex coniuge che non abbia mezzi sufficienti (nel senso indicato da Cass. n. 11504/2017) per garantirgli, non la conservazione del precedente tenore di vita, bensì l'indipendenza economica, da intendersi come quella soglia che gli permetta di condurre «un'esistenza libera e dignitosa» (Cass. n. 11538/2017); l'assegno di divorzio, ove se ne riconosca la debenza (prima fase del giudizio), dovrà poi essere concesso nella misura massima che «permetta il raggiungimento dell'obiettivo» (Cass. n. 11538/2017), onde evitare illecite locupletazioni (Cass. n. 11504/2017), continuando ad operare i criteri di cui all'art. 5 l. n. 898/1970 come fattori di ponderazione e moderazione dell'assegno, sino a poterlo annullare del tutto (secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, condivisi e ribaditi da Corte cost. n. 11/2015).

I principi dei Giudici di legittimità sono stati poi applicati dai Giudici di merito. Sul punto, fatta eccezione per la sola decisione che si è scontrata frontalmente con il nuovo orientamento (Trib. Udine, 1 giugno 2017, Assegno di divorzio: il Tribunale di Udine si discosta dalla Cassazione in ilFamiliarista.it) e per alcune pronunce che si sono caratterizzate per aver applicato, armonizzandoli, il vecchio e il nuovo orientamento (ex plurimis, Trib. Roma, 7 luglio 2017), la tendenza è stata uniforme su tutto il territorio nazionale. Purtuttavia non può non rilevarsi una diversa modulazione nell'applicazione al caso concreto dei nuovi canoni interpretativi dell'art. 5 l. n. 898/1970.

Inizialmente, anche sulla scorta della motivazione “rigida” di Cass. n. 11538/2017, i Giudici hanno tentato di individuare dei parametri oggettivi e predefiniti per determinare la soglia dell'autosufficienza economica, raggiunta la quale veniva meno il diritto all'assegno (cfr. Trib. Milano, ord. 22 maggio 2017; Trib. Mantova, 21 giugno 2017; Trib. Varese, 17 giugno 2017; App. Salerno, 26 giugno 2017, n. 29; vedi anche A. Simeone, Nessun assegno divorzile se il richiedente guadagna almeno 1.000,00 euro al mese in ilFamiliarista.it).

Dopodiché i Giudici di merito (probabilmente più sensibili alle esigenze degli utenti e del “territorio” in cui operano) hanno percepito quanto il nuovo orientamento potesse essere foriero di ingiustizie, introducendo quei correttivi volti ad evitare la produzione di evidenti storture. Si è, così, iniziato a precisare che le «linee guida tracciate dal Giudice di legittimità» devono essere applicate in modo da adeguarsi «alla particolarità del caso concreto» (cfr. Trib. Roma, 11 settembre 2017); si è, poi, proseguito nel tenere in considerazione il “contesto sociale” dell'avente diritto, da cui far discendere l'obiettiva diversificazione, caso per caso, del concetto di autosufficienza economica (App. Genova, 12 ottobre 2017, n. 106), anche in considerazione delle obiettive rinunzie fatte nel corso della convivenza coniugale (Trib. Milano, 3 ottobre 2017; Trib. Roma, 11 settembre 2017). Si è, infine, evidenziato che l'autosufficienza economica può essere parametrata quanto meno al «costo della vita come risultante dagli indici Istat per la zona di residenza» (Trib. Treviso, 8 gennaio 2018).

In questo percorso, innovativo e più sensibile, si colloca la decisione in esame che, con un iter argomentativo coerente e logico, cerca di applicare i nuovi principi imposti dalla Suprema Corte adattandoli al caso concreto: da un lato, dunque, non v'è alcun ritorno (“pericolosamente” vicino, tanto è labile il confine tra tenore di vita e rispetto del “contesto sociale di riferimento”) al “vecchio assegno”, ma, dall'altro, i Giudici dell'appello si sono fatti carico di rispettare le peculiarità del caso di specie e, dunque, di considerare la specificità della singola storia familiare.

Tale nuovo orientamento sembra oggi aver fatto breccia anche presso la Suprema Corte che, con due pronunzie successive a quelle sopra richiamate, ha tentato, senza troppo clamore, di raddrizzare il tiro, precisando che il parametro dell'autosufficienza deve tenere conto del contesto sociale (Cass. 7 febbraio 2018, n. 3015) e deve essere valutato caso per caso (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2042).

Il tutto in attesa delle Sezioni Unite, chiamate a pronunziarsi, dopo 28 anni, sui presupposti dell'assegno di divorzio.

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