Morte della parte costituita a mezzo di procuratore: ultrattività del mandato alla lite

Sergio Matteini Chiari
14 Maggio 2018

La questione sottoposta alla Corte Suprema è quella di stabilire se l'atto di appello proposto dagli eredi dell'originario attore – la cui morte era intervenuta in una fase di quiescenza (pendenza del termine per il deposito delle repliche) del processo di primo grado, senza essere dichiarata in udienza né notificata alla controparte – fosse da ritenere tempestivo.
Massima

In caso di morte o di perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione.

Il caso

AAA conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di ZZZ, l'Avv. BBB affinché, accertatane la responsabilità professionale, ne fosse disposta la condanna al risarcimento del danno.

AAA decedeva nel corso del giudizio di primo grado, durante la pendenza del termine per il deposito delle repliche, evento non fatto constatare in alcun modo dal suo difensore.

Il Tribunale adito respingeva la domanda attorea ed accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, di condanna dell'attore al pagamento di quanto dovutogli per l'opera prestata in suo favore.

Il primo tentativo di notifica della sentenza, da parte di BBB, presso il domicilio eletto dal difensore dell'attore non andava a buon fine, per irreperibilità del destinatario.

La notificazione veniva eseguita «con successo» in data successiva nei confronti degli eredi di AAA, avvenendo collettivamente ed impersonalmente presso l'ultimo domicilio del defunto.

Gli eredi di AAA proponevano appello, che, peraltro - giusta eccezione proposta dall'appellato -, veniva dichiarato improcedibile dalla Corte d'appello adita per tardività, essendo decorso il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c..

Avverso tale pronuncia gli eredi di AAA proponevano ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se l'atto di appello proposto dagli eredi dell'originario attore – la cui morte era intervenuta in una fase di quiescenza (pendenza del termine per il deposito delle repliche) del processo di primo grado, senza essere dichiarata in udienza né notificata alla controparte – fosse da ritenere tempestivo e, pregiudizialmente, quella di stabilire se la notificazione della sentenza gravata, eseguita nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto fosse idonea a far decorrere il termine breve per impugnare.

Le soluzioni giuridiche

I ricorrenti hanno assunto di avere ritualmente proposto il gravame innanzi alla Corte di merito entro il termine lungo previsto dall'art. 327 c.p.c., deducendo che la notifica della sentenza di primo grado eseguita nei loro confronti collettivamente ed impersonalmente nel luogo dell'ultimo domicilio del loro de cuius doveva ritenersi inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, idoneità a tal fine potendo riconoscersi unicamente in capo a notifica del suddetto atto da eseguire (ma non eseguita) presso il difensore del defunto, nel nuovo domicilio dello stesso risultante da apposita dichiarazione resa in primo grado, in sede di udienza; nessuna valenza potendo essere data al tentativo (senza esito) di notifica nei confronti del medesimo presso il suo Studio originario.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza chiamando a supporto della propria decisione il pensiero espresso con riguardo ad analoga fattispecie da Cass. civ., Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295, secondo cui «l'incidenza sul processo degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell'impugnazione».

Facendo applicazione di tale principio al caso di specie, la Suprema Corte, nella sentenza in commento, considerato che la «stabilizzazione» della posizione del defunto, essendo il suo decesso avvenuto prima della chiusura della discussione, portasse ad escludere che la notificazione della sentenza che lo vedeva soccombente potesse farsi, in applicazione dell'art. 286 c.p.c., e dunque (anche) ai suoi eredi, ha affermato che la notificazione si sarebbe dovuta eseguire unicamente presso il suo difensore, perché potessero prodursi gli effetti di cui all'art. 325 c.p.c..

Osservazioni

Nei casi di decesso o di perdita di capacità di una delle parti costituite si sono prospettate in giurisprudenza una pluralità di soluzioni, diverse a seconda del momento del verificarsi dell'evento e a seconda che l'evento stesso fosse o meno «ufficialmente» (mediante dichiarazione in udienza oppure mediante notifica) fatto conoscere.

Secondo l'orientamento attualmente prevalente ed accolto dalla sentenza in commento – la questione appare, comunque, ancora controversa –, la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza né notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento non si fosse verificato, risultando, pertanto, ammissibile la notificazione della sentenza presso di lui, ai sensi dell'art. 285 c.p.c, idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; senza che rilevi la conoscenza aliunde dell'evento da parte del notificante.

Si vedano, in tal senso, Cass. civ.,Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295 e, a seguire, Cass. civ., sez. I, 17 settembre 2014, n. 19533; Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2015, n. 23392; Cass. civ., sez. L, 18 gennaio 2016, n. 710; Cass. civ., sez. III, ord. 31 ottobre 2017, n. 25823, ove è stata riconosciuta, in forza dell'ultrattività del mandato, la legittimazione del difensore del creditore, deceduto dopo l'emissione del decreto nel procedimento monitorio, a procedere alla notificazione del decreto stesso ed a costituirsi nel giudizio di opposizione eventualmente promosso dall'ingiunto, «nel corso del quale l'evento relativo alla parte costituita non assume rilevanza, ove non dichiarato dall'avvocato della stessa».

Seguono l'indirizzo prevalente anche Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2016, n. 15762 e Cass. civ., sez. II, ord. 9 ottobre 2017, n. 23563, entrambe relative a casi di perdita della capacità processuale della parte: cancellazione di una società da registro delle imprese; contra, sul medesimo oggetto, si vedano Cass. civ., sez. L, 4 agosto 2017, n. 19580 e Cass. civ., sez. L, 25 maggio 2017, n. 13183.

Sulla medesima linea segnata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15295/2014 si collocano varie pronunce secondo le quali, ricorrendo le condizioni precedentemente descritte (morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo procuratore non dichiarate in udienza né notificate alle altre parti), il procuratore fatto destinatario della notificazione dell'impugnazione ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace (v., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2016, n. 15762; Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2016, n. 11038; Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2015, n. 23392).

In precedenza, essenzialmente con riguardo alla fattispecie della notifica dell'atto di impugnazione era stata data una pluralità di soluzioni.

Oltre alla soluzione proposta da Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 144 e «definitivamente» (si auspica) sancita dalle Sezioni Unite con la più volte citata sentenza n. 15295/2014, venivano espresse le seguenti:

a) In caso di morte o perdita di capacità della persona sopravvenute nel corso di un grado del processo di merito, prima della chiusura della discussione, pur in assenza di ufficializzazione dei suddetti eventi, il giudizio di impugnazione si sarebbe dovuto comunque instaurare da o contro i soggetti effettivamente legittimati e, quindi, contro gli eredi personalmente (Cass. civ., sez. III, ord. 5 marzo 2009, n. 5387).

b) In caso di morte o perdita di capacità della persona sopravvenute dopo la notifica della sentenza, la notifica dell'impugnazione eseguita presso il procuratore costituito, anziché nei confronti degli eredi, veniva ritenuta valida nel solo caso in cui l'impugnante non fosse venuto a conoscere dell'evento attraverso qualsiasi formalità proveniente dagli eredi della parte deceduta (ad es.: notifica di atto di precetto) o da altri, purché rivestente il carattere della certezza (Cass. civ., sez. L, 14 maggio 2009, n. 11203).

c) Dando soluzione a congrua parte dei contrasti interpretativi all'epoca esistenti, le Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un. 16 dicembre 2009, n. 26279) statuirono (con riferimento all'ipotesi di decesso della parte avvenuto nel periodo compreso tra la chiusura della discussione davanti al collegio e la pubblicazione della sentenza, ma con argomenti estensibili ad altre ipotesi) che l'atto di impugnazione della sentenza dovesse essere rivolto e notificato agli eredi, impersonalmente e collettivamente presso l'ultimo domicilio personale del defunto, ovvero nel luogo in cui si era aperta la successione, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso era avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell'evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente (v., nello stesso senso, con riferimento a diverse fattispecie, Cass. civ., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699; Cass. civ., sez. L, 25 settembre 2012, n. 16240; Cass. civ., sez. L, 16 settembre 2013, n. 21079; Cass. civ., sez. II, 14 marzo 2016, n. 4935; Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2016, n. 5511; si vedano anche Cass. civ., Sez. Un., 25 maggio 2010, n. 14699 e, da ultimo, Cass. civ., 16 settembre 2013, n. 21079, secondo cui la notificazione dell'atto di impugnazione poteva sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi).

Con sentenza recentissima il contrasto di opinioni ha nuovamente assunto vigore, essendo stato affermato, alla stregua di quanto già sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 14699/2010, che l'atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dall'eventuale ignoranza dell'evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente e che, ove l'impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 291 c.p.c. (rinnovazione della notificazione (v. in tal senso, Cass. civ., sez. L, 21 dicembre 2017, n. 30698).

Da ultimo, va rammentato che, con riguardo alle procedure di esecuzione forzata, si è ritenuto che lo ius postulandi spettante anche nel processo di esecuzione al difensore della parte, in virtù della procura conferitagli già nel processo di cognizione e in difetto di espressa limitazione, viene meno in caso di morte o perdita di capacità della parte intervenuta nel corso del processo di cognizione (e ivi non dichiarata, né notificata), ovvero prima della notificazione del precetto e dell'inizio dell'esecuzione, non operando il principio di ultrattività del mandato alle liti nei rapporti tra il processo di cognizione e quello di esecuzione, «sicché, a prescindere dalle vicende del processo in cui l'evento morte non dichiarato si è verificato, la legittimazione attiva all'azione esecutiva sulla base di quel titolo giudiziale compete solo ai successori o rappresentanti della parte colpita dall'evento, che, per farsi rappresentare e difendere in sede esecutiva, dovranno rilasciare una nuova procura alle liti» (v. Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2016, n. 8959).

A fronte delle situazioni sopra descritte, sembra non essere inopportuno consigliare di eseguire la notifica delle sentenze e degli atti di impugnazione, nonché di quelli assimilabili (ad es.: atto di integrazione del contraddittorio) presso il domicilio (eletto dalla controparte) del procuratore e, ad un tempo, laddove si sia avuta comunque notizia del venir meno della vita o della capacità della controparte, onde ovviare a qualsiasi «inconveniente», notificare l'atto, impersonalmente e collettivamente, agli eredi della medesima, presso l'ultimo domicilio personale del defunto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.