La rilevanza del nesso di pertinenzialità tra beni confiscati ex art. 12-sexies d.l. 306/1992 e reato per cui si procede

Alice Falconi
11 Giugno 2018

La questione devoluta alla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza in commento attiene al requisito della pertinenzialità del bene per cui è stata disposta la confisca, rispetto al reato per cui si è proceduto e alla rilevanza o meno che lo stesso sia stato acquisito in epoca antecedente o ...
Massima

La confisca e il sequestro dei singoli beni non possono essere esclusi per il fatto che essi siano stati acquistati in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento dei medesimi reati e ciò in ragione della natura giuridica della confisca “estesa” di cui all'art. 12-sexies d.l. 306 dell'8 giugno 1992, che consente una attenuazione dell'ordinario nesso di pertinenzialità tra reato e bene che ne rappresenta il profitto.

Il caso

La Corte d'appello di Milano, riformando parzialmente la sentenza emessa dal tribunale meneghino, riduceva la pena inflitta all'imputato, ritenuto colpevole di due condotte di intestazione fittizia di beni, riconducibili a Nazareno Primerano, finalizzate a eludere le misure di prevenzione patrimoniali, che riguardavano la carica di amministratore unico della società Monzoro Gestione Patrimoni Immobiliari S.R.L. e l'acquisizione del 50% delle quote, dal Primerano, della Immobiliare Palazzetta S.R.L.

Avverso tale decisione, proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo cinque motivi di doglianza.

Anzitutto, il ricorrente lamentava l'erronea applicazione dell'art. 12-quinquies l. 356/1992, con riferimento all'intestazione della società Monzoro Gestione Patrimoni Immobiliari S.R.L., in quanto, dalla ricostruzione dei fatti, si evinceva come la predetta società fosse controllata dalla Rainbow S.A. di Nazareno Primerano e, pertanto, la continuità del soggetto proprietario era talmente evidente da escludere la volontà di dissimulare la reale proprietà dei beni.

Con il secondo, terzo e quarto motivo di impugnazione, il difensore dell'imputato deduceva, rispettivamente, mancanza di motivazione in ordine alla asserita fittizietà dell'intestazione relativa alle quote della Immobiliare Palazzetta S.R.L., violazione di legge per la ritenuta configurabilità del dolo e mancanza di motivazione con riguardo agli aumenti di pena, operati ai sensi dell'art. 81 cpv. nonché alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Con l'ultimo motivo di ricorso, infine, veniva rilevata la violazione di legge per l'inapplicabilità della confisca, ai sensi dell'art. 12-sexies l. 356 del 1992, disposta sull'immobile di proprietà della moglie dell'imputato, in quanto la misura ablativa era stata emessa senza specificare a quali reati contestati facesse riferimento nonché senza verificare l'effettivo valore del bene confiscato. Inoltre, secondo il difensore, non era stato accertato alcun nesso di pertinenzialità tra il reato e l'immobile confiscato; di talché la quantificazione della confisca era da ritenersi illegittima, in quanto effettuata in violazione del canone di proporzionalità sancito dall'art. 43, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La questione

La questione devoluta alla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza in commento attiene al requisito della pertinenzialità del bene per cui è stata disposta la confisca, rispetto al reato per cui si è proceduto e alla rilevanza o meno che lo stesso sia stato acquisito in epoca antecedente o successiva al reato per cui è intervenuta condanna e che il suo valore superi il provento del reato.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, dopo aver dichiarato fondato il primo motivo di ricorso, stabilendo che la carica di amministratore, privo di titolarità di quote sociali, di per sé sola non integra l'intestazione fittizia, rigettano i restanti motivi di ricorso, ritenendo inammissibili il secondo ed il terzo ed infondati il quarto e il quinto.

Quanto a quest'ultimo, la Corte rileva come le doglianze difensive si pongono in evidente contrasto con l'orientamento costantemente espresso dalla Cassazione, nonché con le disposizioni normative che stabiliscono la confisca dei beni, a seguito della condanna per il reato di intestazione fittizia.

La Corte prende le mosse dall'autorevole insegnamento espresso dalle Sezioni unite con la sentenza n. 920 del 17 dicembre 2003, secondo cui quando interviene la condanna per uno dei reati indicati nell'art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 306 del 1992, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità, di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito, o alla propria attività economica.

Del resto, secondo i dicta delle Sezioni unite, la non necessarietà dell'individuazione di un nesso temporale tra la data di acquisizione dei beni e il momento consumativo dei fatti di reato emerge con chiarezza dal dato testuale dell'art. 12-sexies d.l. 306 del 1992.

Per talune fattispecie di reato, infatti, secondo l'interpretazione che è stata data dalla Corte costituzionale (ord. n. 19 del 29 gennaio 1996), il Legislatore ha operato una presunzione dell'esistenza di un nesso di pertinenzialità, laddove il condannato non sia in grado di giustificare la provenienza lecita dei beni, il cui valore risulti sproporzionato rispetto al reddito o all'attività economica del condannato stesso.

Ripercorrendo l'iter motivazione delle Sezioni unite, la Corte di cassazione, nella pronuncia in commento, ricorda che il legislatore, con la norma citata, ha inteso ancorare la confisca dei beni di cui il soggetto dispone e dei quali non possa giustificare la sproporzione rispetto al proprio reddito o ai proventi della sua attività economica, alla sola condanna e non anche al nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato.

Da ciò discende, come logica conseguenza, che a nulla vale dimostrare che i beni oggetto di apprensione siano stati acquistati in epoca antecedente o successiva al reato per cui è intervenuta condanna, né che il loro valore sia superiore al provento derivante dal reato.

I giudici osservano, a tale proposito, che il presupposto di tale ipotesi allargata di confisca è l'avvenuta commissione di un reato c.d. spia.

È infatti in presenza di alcune tipologie di reato, argomentano i giudici, per cui si presuppone una spiccata capacità criminale ed una particolare pericolosità sociale, che si è previsto l'affievolimento dell'ordinario nesso pertinenziale, allorché vengano accertati gli altri indici rivelatori sopra menzionati: disponibilità anche indiretta dei beni, mancata giustificazione della provenienza e sproporzione di valore con il reddito e l'attività lavorativa svolta.

Tale interpretazione risulta suffragata, ad avviso dei giudici di legittimità, anche dalla normativa adottata in ambito europeo, ed in particolare dalla decisione quadro n. 212 del 2005 del Consiglio d'Europa, nella parte in cui prevede, all'art. 3, comma 2, l'adozione di misure necessarie a realizzare la confisca estesa.

Peraltro, la Corte di cassazione respinge la tesi difensiva della necessaria strumentalità del bene confiscabile rispetto al reato, nonché della proporzionalità dell'entità della confisca, anche sotto un altro profilo.

Tale tesi, invero, per essere accolta, importerebbe che il reato c.d. spia, relativamente al quale viene disposta la confisca, sia sempre suscettibile di produrre un profitto, poiché diversamente non si potrebbe giustificare il richiamo al requisito della proporzionalità.

Tuttavia, così non è, poiché il reato di cui all'art. 12-quinquies l. 356/1992, punisce una condotta del tutto “sganciata” dalla eventuale realizzazione di profitti illeciti; pertanto, osservano i giudici, «la tesi della necessaria proporzionalità tra confisca ex 12-sexies e delitto presupposto trova una chiara smentita proprio nella struttura e funzione del delitto previsto dal 12-quinquies che essendo indipendente ed autonomo dalla realizzazione di profitti impedirebbe di adottare una confisca proporzionata ad esso».

Del resto, secondo la Corte di cassazione, a militare a favore della tesi secondo la quale il legislatore ha inteso disancorare la misura ablativa dal requisito della proporzionalità rispetto al profitto, sono, altresì, tutte le altre fattispecie delittuose a cui si applica la confisca allargata, non suscettibili di realizzare profitti, quali, a titolo esemplificativo, la riduzione in schiavitù, la pornografia o il disastro ambientale.

Da ultimo, i giudici del Supremo Consesso osservano come legare la misura ablatoria prevista dall'art. 12-sexies, al requisito della necessaria proporzionalità, priverebbe di significato la disposizione stessa, che risulterebbe del tutto analoga alla confisca prevista all'art. 240 c.p.

Per le ragioni sopra illustrate, in conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo b) perché il fatto non sussiste, dichiarando inammissibile, nel resto, il ricorso proposto e trasmettendo gli atti ad altra sezione della Corte d'appello per la rideterminazione della pena.

Osservazioni

La pronuncia in commento si aggiunge ad una fitta raccolta di interpretazioni giurisprudenziali sull'annoso tema della confisca allargata.

Per quanto non innovativa nell'affermare la non necessarietà della dimostrazione del nesso di pertinenzialità tra bene confiscato e reato ex art. 12-sexies d.l. 306/1992, la sentenza che qui si esamina risulta tuttavia in parziale contraddizione con un criterio di ragionevolezza temporale che aveva iniziato a farsi strada nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell'imputato doveva essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni siano ictu oculi estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2014, n. 41100).

Ciò dimostra come il quadro normativo e interpretativo di riferimento sia costellato da chiavi di lettura dell'istituto in oggetto del tutto asimmetriche ed il compito dell'interprete del diritto di individuare il regime giuridico applicabile nel caso concreto diventa sempre più arduo.

Basti pensare alle numerose e particolari ipotesi di confisca che trovano disciplina nel codice penale e nelle diverse leggi speciali che si occupano di questo tema.

A tale riguardo, una completa analisi della tematica affrontata nella sentenza in commento non può prescindere dalla recente entrata in vigore del principio della riserva di codice nella materia penale, attuato mediante l'inserimento all'interno del codice di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge già in vigore, che abbiano, a diretto oggetto di tutela, beni di rilievo costituzionale.

Mediante tale intervento legislativo, attuato con il d.lgs. 21 dell'1 marzo 2018, in vigore dal 6 aprile 2018, il legislatore ha inteso arginare il fenomeno della proliferazione legislativa penale.

Per quanto di interesse in questa sede, occorre rilevare che viene trasposto, sotto il nuovo art. 512-bis c.p., che chiude il titolo relativo ai delitti contro l'economia pubblica, il già vigente delitto di trasferimento fraudolento di valori, di cui all'abrogato art. 12-quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306.)

Oltre a ciò, il Legislatore delegato ha provveduto ad una risistemazione delle basi normative del controverso istituto della c.d. confisca allargata, che ora trova disciplina all'interno dell'art. 240-bis c.p. (rubricato Confisca in casi particolari). L'intervento normativo in esame si è risolto in una mera ricollocazione topografica delle norme già presenti nell'ordinamento penale, che rimangono invariate sotto il profilo contenutistico.

Infatti, contestualmente all'abrogazione quasi integrale dell'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (di cui attualmente restano in vigore i soli commi 4-ter e 4-quater), il legislatore ha suddiviso la disciplina dell'istituto in diverse norme contenute nel codice penale, nel T.U. degli stupefacenti, nel T.U. in materia doganale, nel codice di procedura penale e nelle sue disposizioni di attuazione.

Nell'art. 240-bis c.p. sono confluite, pertanto, senza modifiche sostanziali, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 ter del precedente art. 12-sexies d.l. 306/1992, che individuano casi, presupposti e modalità per l'applicazione dell'istituto.

Benché questa iniziativa legislativa rappresenti un primo passo verso l'idea di uniformare il sistema normativo che disciplina l'istituto della confisca penale, il traguardo sembra essere ancora lontano, data la notevole frantumazione dell'istituto ancora esistente.

Il nebuloso spazio entro il quale il giurista deve districarsi non rende solo difficile il compito di individuare la disciplina giuridicamente applicabile al caso concreto, ma, soprattutto, rischia di non rispettare il principio di legalità, sancito all'art. 2 c.p. e 25 Cost. e che trova anche riconoscimento a livello europeo, nell'art. 7 della Cedu.

La disposizione in commento ha prodotto l'effetto di rafforzare ed innovare la portata garantistica dei principi di legalità ed irretroattività sfavorevole contemplati nel diritto penale interno, valorizzando gli aspetti qualitativi della legalità, concernenti anche i caratteri dell'accessibilità e della prevedibilità.

Per quanto qui di interesse, il secondo dei principi citato, è stato articolato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in due ulteriori sottoprincipi, relativi, uno, al momento formativo della disposizione, l'altro, al momento interpretativo.

Quanto al primo aspetto, di particolare interesse per il tema che qui ci occupa, deve osservarsi che il principio di prevedibilità richiede che l'illecito penale e la pena soddisfino i requisiti della determinatezza, allorquando, cioè, la norma enunci con precisione gli effetti della propria condotta e l'interpretazione della stessa sia tale da risultare prevedibile.

Orbene, non può dubitarsi che l'articolato complesso delle norme che disciplinano le diverse tipologie di confisca, contenute peraltro in testi normativi differenti, sia idoneo ad ingenerare incertezza e imprevedibilità e, come tale, sia censurabile a livello europeo, per violazione dell'art. 7 Cedu.

Basti considerare, a tale proposito, che l'istituto della confisca, nel nostro ordinamento, può atteggiarsi, differentemente, da misura sicurezza patrimoniale, da sanzione penale o ancora da misura di prevenzione, con le evidenti ricadute processuali e sostanziali che, dall'applicazione di ciascuna, conseguono.

Guida all'approfondimento

ALESSANDRI, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. d. pen., III, Torino, 1989, 39;

BORASI, Le confische penali, in Riv. pen., 2011, 2;

CANTORE, La confisca per sproporzione, in V.MAIELLO (a cura di), La Legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, in PALAZZO- PALIERO (a cura di), Trattato teorico-pratico di diritto penale, XII, Torino, 2015, p. 119;

MACCHIA, La confisca per equivalente nei confronti degli enti e dei responsabili delle persone giuridiche, in europeanrights.eu, 2014;

MAUGERI, La sanzione patrimoniale fra garanzie ed efficienza, le «ipotesi particolari» nella recente legislazione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996;

MENDITTO, La confisca allargata o per sproporzione di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 152/92, conv. dalla l. n. 356/92, profili sostanziali e procedimentali (cenni), in questionegiustizia.it, 2014;

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