Il potere di integrazione dell'ordinanza applicativa di misure cautelari da parte del tribunale del riesame

Attilio Mari
14 Giugno 2018

La questione esaminata dalla Suprema Corte si inserisce nell'ambito di una delle novità introdotte nel sistema delle misure cautelari per effetto della l. 16 aprile 2015, n.47 e specificamente attinenti all'effettiva estensione dei poteri di integrazione ...
Massima

Nel caso in cui l'ordinanza genetica contenga la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. ma non quella in ordine allo specifico requisito delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza previsto dall'art. 275, comma 4, c.p.p., il tribunale, anche alla luce della nuova formulazione dell'art. 309, comma 9, c.p.p., può integrare la motivazione vertendosi in carenza argomentativa riguardante il solo profilo della scelta della misura e non quello della sussistenza delle esigenze

Il caso

Il Gip presso il tribunale di Catania ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un indagato ultrasettantenne, in relazione a un capo di imputazione provvisorio ipotizzante i reati previsti dagli artt. 416, 609-bis, 609-ter e 609-septies c.p.

Avverso tale ordinanza ha presentato istanza di riesame la difesa dell'indagato e, all'esito del relativo procedimento incidentale, il tribunale di Catania ha pronunciato ordinanza confermativa della misura di massimo rigore, integrando la motivazione dell'ordinanza applicativa in punto di valutazione (omessa da parte del Gip) in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, necessario presupposto – stante l'età dell'indagato stesso – per l'applicazione della custodia in carcere sulla base dell'art. 275, comma 4, ultima parte, c.p.p.

La difesa dell'indagato ha quindi proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p.p. ivi deducendo, in sede di primo motivo di impugnazione, la violazione dell'art. 309, comma 9, c.p.p. e – in particolare – argomentando che l'ordinanza genetica, nella parte in cui ometteva di esaminare il profilo relativo alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, doveva ritenersi affetta da nullità insanabile; con la conseguenza che doveva ritenersi esulante dai poteri attribuiti al tribunale del riesame quello di integrare la relativa carenza motivazionale anziché disporre l'annullamento dell'ordinanza gravata.

La III Sezione della Suprema Corte ha quindi ritenuto non fondato il suddetto motivo di ricorso, precisando che si verteva in ipotesi di motivazione solo insufficiente dell'ordinanza genetica e quindi integrabile in ordine a tale specifico aspetto; censurando peraltro, in accoglimento di ulteriore motivo di impugnazione, le concrete modalità con cui il tribunale aveva operato la relativa integrazione; tanto in conseguenza di un vizio di violazione di legge, ravvisato nella parte in cui il Collegio aveva ritenuto prevalente la presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore dettata, anche in riferimento al reato previsto dall'art. 609-bis c.p., dall'art. 275, comma 3, c.p.p., rispetto alla necessaria valutazione in bonam partem prevista invece dal comma 4 in relazione alla situazione dell'indagato ultrasettantenne.

Ha quindi disposto l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al tribunale di Catania per nuovo esame.

La questione

La questione esaminata dalla Suprema Corte si inserisce nell'ambito di una delle novità introdotte nel sistema delle misure cautelari per effetto della l. 16 aprile 2015, n.47 e specificamente attinenti all'effettiva estensione dei poteri di integrazione della motivazione dell'ordinanza applicativa riconoscibili al tribunale del riesame.

Difatti, una delle modifiche previste dal suddetto testo normativo è rappresentata dalla previsione, tra i requisiti dell'ordinanza applicativa di misure cautelari personali richiesti a pena di nullità, rilevabile anche d'ufficio, di quelli rappresentati da «l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta» e da «l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione e l'autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 c.p.p. non possono essere soddisfatte con altre misure»(art. 292. comma 2, lett. c) e c-bis), c.p.p.).

Le predette ipotesi di patologia, a propria volta, si riagganciano al disposto dell'art. 309, comma 9, ult.periodo, c.p.p., che, pure nel testo modificato dalla l. 47 del 2015, stabilisce che l'ordinanza cautelare deve essere annullata, senza possibilità di azionare il potere/dovere di integrazione facente capo al giudice del riesame, nel caso in cui la motivazione «manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292 c.p.p., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa».

Lo specifico caso preso in esame attiene quindi al carattere sanabile o meno della nullità dell'ordinanza genetica qualora l'omessa motivazione attenga al carattere eccezionale delle esigenze cautelari, in riferimento all'applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti delle categoria di soggetti elencati nell'art. 275, comma 4, c.p.p. (tra cui quelli che abbiano compiuto i settanta anni di età).

Le soluzioni giuridiche

Sotto la vigenza del precedente testo dell'art. 309 c.p.p., l'orientamento prevalente (consolidatosi sin dall'inserimento dell'istituto del riesame all'interno del vecchio codice di rito) era quello che riconosceva al tribunale del riesame un ampio e generale potere di integrazione della motivazione dell'ordinanza applicativa; tanto sulla base, oltre che del principio di reciproca integrazione tra provvedimento applicativo e ordinanza adottata all'esito del riesame, anche dell'interpretazione in base alla quale le disposizioni processuali di riferimento attribuivano al tribunale il compito di conoscere della integrale vicenda cautelare, più che della legittimità del provvedimento sottostante (espressiva di tale orientamento, tra le molte, Cass. pen., Sez.V, 7 dicembre 2006, n.3255)

Ne derivava, secondo tale lettura, che il potere/dovere di integrazione trovava un limite solo nel caso di assoluta carenza grafica della motivazione o comunque di apparato argomentativo talmente inadeguato da potersi definire inesistente, con conseguente perfezionamento della nullità prevista dall'art.125, comma 2, c.p.p. (Cass. pen., Sez.III, 15 luglio 2010, n.33753).

Nell'ambito di tale quadro interpretativo, si era però inserita una lettura di maggior rigore e che aveva ritenuto doversi ravvisare un'ipotesi di nullità non sanabile, oltre che nel caso di totale carenza grafica della motivazione, anche in quella – ascrivibile alla categoria logica della mera apparenza della medesima – in cui il giudice procedente avesse sostanzialmente argomentato sulla base della mera autoevidenza della richiesta cautelare, limitandosi ad aggiungere solo clausole di stile o frasi apodittiche (in tal senso, Cass. pen., Sez.VI, 24 maggio 2012, n.25631; Cass. pen., Sez.VI, 4 marzo 2014, n.12032, aventi medesimo estensore e nelle quali era stata espressamente stigmatizzata la tecnica di redazione operata sulla base di un mero collage informatico e senza dare alcuna contezza delle ragioni della condivisione della richiesta del P.M.).

L'assetto normativo introdotto dalla l. 47 del 2015 ha quindi fornito una base positiva all'orientamento giurisprudenziale più rigoroso, mediante l'introduzione di una specifica ipotesi di nullità non sanabile e rilevabile d'ufficio nei casi in cui la motivazione, oltre che omessa, sia caratterizzata dalla carenza di autonoma valutazione in ordine a indizi e sussistenza delle esigenze cautelari (disposizione incidentalmente applicabile, sulla base dell'arresto espresso da Cass. pen., Sez.unite, 6 maggio 2016, n.18954, Capasso, anche alla materia delle misure cautelari reali alla luce del rinvio contenuto nel nuovo testo dell'art. 324, comma 7, c.p.p.).

Sotto la vigenza della nuova formulazione normativa, la Suprema Corte ha quindi chiarito che l'innovazione non implica la necessità di una riscrittura “originale” dei fatti posti alla base della richiesta applicativa, specificamente in ordine alla valutazione del presupposto indiziario (con conseguente ulteriore e piena legittimità della motivazione operata per relationem, sulla base dei principi di rango generale già dettati da Cass. pen., Sez. unite, 21 giugno 2000, n.17, Primavera) essendo unicamente necessario che, sulla base del complesso dell'apparato motivazionale, emerga che il giudice abbia preso cognizione del materiale posto alla base della richiesta e ne abbia operato una valutazione effettiva e non fondata unicamente sull'adozione di formule astrattamente adattabili a un numero indeterminato di ipotesi (Cass. pen., Sez.I, 15 dicembre 2015, n.8323; Cass. pen., Sez.V, 2 dicembre 2015, n.11922); presupposti di fatto dai quali, evidentemente, si evince come – in presenza di tale lettura critica – non sia necessario che il giudice abbia operato una riscrittura dell'esposizione dei fatti compiuta in sede di richiesta cautelare, purché abbia dato adeguatamente conto delle ragioni della (totale o parziale) condivisione della medesima (Cass. pen., Sez.III, 29 gennaio 2016, n.15094; Cass. pen., Sez.VI, 16 marzo 2017, n.13864, non massimata) e rilevando – come argomentato in parte motiva da Cass. pen., Sez.III, 2 febbraio 2016, n.28958 (non massimata) – che il giudizio in ordine all'adeguatezza e autonomia della motivazione non può chiaramente trasmodare in un mero giudizio di rango “estetico” ovvero “stilistico” e che la categoria della “autonoma valutazione” non equivale evidentemente a quella di “valutazione diversa o difforme” e tanto “in quanto ciò che rileva ai fini dell'integrità dell'autonomia del giudice è la conoscenza degli atti del procedimento e la volontà che sostiene il giudizio” (sul punto, Cass. pen., Sez.VI, 17 novembre 2016, n.51936 nonché Cass. pen., Sez.II, 4 maggio 2017, n.2 5750 hanno ritenuto non censurabile sotto il predetto profilo l'ordinanza che, pur riproducendo integralmente le argomentazioni contenute nella richiesta, denoti l'autonomia del vaglio critico anche solo per l'esclusione di alcune delle imputazioni formulate ovvero per il rigetto della richiesta nei confronti di alcuni degli indagati).

Osservazioni

La questione relativa all'effettiva area di estensione della patologia dell'ordinanza applicativa di misure cautelari coercitive, derivante dalla mancanza di motivazione o del requisito della autonoma valutazione, è stata esaminata, nella pronuncia in commento, in riferimento a una declinazione particolare e relativa alla sussistenza di un potere di integrazione dell'ordinanza che, pur argomentando in ordine all'an delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p., abbia omesso – in riferimento alla particolare condizione soggettiva dell'indagato, nel caso di specie ultrasettantenne – di argomentare in ordine al carattere eccezionale delle esigenze medesime.

La Corte ha quindi risolto la questione (al punti 4 e 5 della parte motiva) ritenendo, nel caso di specie, censurabile il provvedimento del tribunale –non per avere proceduto a un'integrazione della motivazione dell'ordinanza genetica in ordine a tale specifico aspetto, ritenendo invece che si vertesse in un'ipotesi di carenza argomentativa emendabile in sede di riesame – ma unicamente per il “modo” in cui il Collegio aveva proceduto a tale integrazione; specificamente ritenendo che, erroneamente, il tribunale del riesame avesse ritenuto desumibile l'eccezionalità delle esigenze cautelari dalla presenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione a uno dei reati per i quali l'art. 275, comma 3, c.p.p. stabilisce una presunzione (nel caso, relativa) di adeguatezza della sola misura di massimo rigore, quando invece tale presunzione deve ritenersi recessiva rispetto alla presunzione in bonam partem prevista dal comma 4 per le categorie di soggetti ivi elencate (Cass. pen., Sez. I, 19 marzo 2015, n.15911, espressiva di orientamento da ritenersi del tutto consolidato).

Proprio per effetto del carattere emendabile della relativa nullità dell'ordinanza genetica, la Corte ha quindi disposto (anche in conseguenza della ritenuta fondatezza di altro motivo di ricorso) l'annullamento con rinvio al tribunale del riesame, anziché l'annullamento senza rinvio cui avrebbe dovuto darsi luogo ravvisandosi la patologia prevista dall'art. 309, comma 9, c.p.p.

La specifica questione era peraltro stata già affrontata e risolta in modo difforme da Cass., Sez.V, 12 gennaio 2017, n.21201 (precedente non citato nella pronuncia in commento), a seguito della proposizione di ricorso nel quale era stata – analogamente – censurata la motivazione del tribunale del riesame che, anche in questo caso in relazione a un indagato ultrasettantenne sottoposto alla misura di massimo rigore, aveva argomentato in ordine alla sussistenza di eccezionali esigenze cautelari operando un'integrazione in tal senso dell'ordinanza applicativa (difettosa di motivazione sul punto) e che quindi aveva disatteso la censura della difesa in ordine al carattere non emendabile della relativa carenza argomentativa.

In tale occasione, la Corte aveva ritenuto fondato il motivo di ricorso per cassazione facente riferimento alla dedotta violazione di legge, rilevando che «nella previsione normativa di cui all'art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 309 c.p.p., comma 9, ultimo periodo, nulla autorizza l'esclusione dall'esposizione e dall'autonoma valutazione delle esigenze cautelari che il giudice ha l'obbligo di effettuare nell'esercizio del potere di applicazione della misura cautelare richiesta dal pubblico ministero (la cui mancanza il tribunale del riesame deve sanzionare con l'annullamento del titolo cautelare), anche del profilo della eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, quando la persona destinataria della richiesta cautelare abbia superato i settanta anni di età. Siffatta "eccezionalità" rappresenta una particolare modalità di atteggiarsi di tutte le esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p., divenendo parte inseparabile di esse, la cui mancanza, pertanto, non consente di affermare l'esistenza di un'esigenza cautelare meritevole di essere soddisfatta con la custodia cautelare in carcere», aggiungendo che le esigenze di eccezionale rilevanza «si distinguono da quelle ordinarie solo per il grado del pericolo, nella specie di reiterazione – che deve superare la semplice concretezza richiesta dall'art. 274 c.p.p., per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l'indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede».

Pertanto, la Corte aveva rilevato che la carenza motivazionale attinente al dato dell'eccezionalità delle esigenze cautelari non rientra tra quelle emendabili dal tribunale nel riesame nell'esercizio del potere/dovere di integrazione dell'ordinanza applicativa che non abbia argomentato sul punto e ciò in quanto non si verterebbe nell'ipotesi di nullità (sanabile dal tribunale) attinente alla sola carenza di esposizione delle ragioni per le quali «le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure» (requisito previsto dall'art. 292, comma 2, lett. c-bis), ultima parte c.p.p.) ma a una mancanza argomentativa valutabile invece ai sensi dell'art. 292, comma 2, lett.c) c.p.p., attenendo all'omessa esposizione delle esigenze cautelari medesime; ciò sulla base dell'argomentazione sistematica in base alla quale, nell'ipotesi in cui il legislatore impone la valutazione del carattere eccezionale delle esigenze ai fini dell'applicazione della misura di massimo rigore, si verte nell'ambito di un presupposto da valutare in relazione al disposto dell'art. 274 c.p.p. e non in riferimento ai canoni generali di proporzionalità e adeguatezza della risposta cautelare dettati dall'art. 275 c.p.p.

Incidentalmente, va rilevato che anche in tale caso la Corte aveva disposto l'annullamento con rinvio, ma sulla base di una specifica tematica processuale (in quanto non era dato desumere, non essendo presente agli atti l'ordinanza genetica, se la stessa fosse del tutto carente di motivazione in ordine al profilo delle esigenze di eccezionale rilevanza ovvero non sorretta da autonoma valutazione, aspetto il cui esame era stato rimesso al tribunale per le conseguenti valutazioni).

Appare quindi ravvisabile un'evidente discrasia tra l'apparato argomentativo del precedente espresso dalla V sezione rispetto a quello della pronuncia in commento, nell'ambito della quale è stato invece rilevato espressamente (al punto 4 della parte motiva) che la valutazione del carattere eccezionale delle esigenze non si inserisce nell'ambito dell'an della risposta cautelare ma solo in quello della scelta della misura; in ordine al quale, alla luce dell'interpretazione combinata degli artt. 292, comma 2, lett.c-bis) e 309, comma 9, c.p.p., deve invece ritenersi sussistente un potere di integrazione della motivazione in capo al tribunale del riesame.

Guida all'approfondimento

LUDOVICI, Sub art. 309, in Lattanzi - Lupo (a cura di), Codice di procedura penale – rassegna di giurisprudenza e dottrina (aggiornamento), Giuffrè, 2017, 770;

GALLUCCIO MEZIO, Sub art. 292, in Lattanzi - Lupo (a cura di), Codice di procedura penale – rassegna di giurisprudenza e dottrina, Giuffrè, 2017, 383;

MARANDOLA, Ambito e limiti dell'autonoma valutazione del giudice cautelare, in Cass. pen., 2017, 4, 1664 ;

BONTEMPELLI, Il controllo sui vizi della motivazione nel riesame riformato, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2016, 2, 559;

ILLUMINATI, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell'imputato, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, 3, 1130;

SPANGHER, La recente riforma delle misure cautelari, ne Il libro dell'anno del diritto 2016, Treccani, 2016, 626;

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