Patto di provaInquadramentoCon il patto di prova le parti possono inserire nel contratto individuale di lavoro una specifica clausola onde verificare e valutare l'effettiva convenienza alla definitiva costituzione del rapporto di lavoro. Formula
PATTO DI PROVA Da .... a .... Con riferimento alla Sua prossima assunzione presso la nostra Società con decorrenza dal ...., resta inteso che l'assunzione medesima, in conformità a quanto previsto dal C.C.N.L. del settore .... è subordinata al superamento, da parte Sua, di un periodo di prova della durata di .... nelle mansioni di .... Durante il detto periodo di prova, ciascuna delle Parti potrà risolvere il rapporto di lavoro in qualsiasi momento, senza alcun obbligo di preavviso. Voglia restituirci l'unita copia della presente lettera, sottoscritta in segno di integrale accettazione. Luogo e data .... La Società .... Il/la Lavoratore/trice .... CommentoÈ possibile prevedere nel contratto di lavoro (e, precisamente, in qualsiasi contratto di lavoro, anche quando tra le medesime parti sia già intercorso un precedente rapporto), mediante apposita clausola, un periodo di prova che consenta alle parti di verificare e valutare l'effettiva convenienza alla definitiva costituzione del rapporto di lavoro. Come ancora recentemente chiarito in giurisprudenza, “la causa del patto di prova consiste nella tutela dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento nel quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto” (Cass. n. 4635/2016). La durata massima del patto di prova è stata da tempo fissata dalla legge in 6 mesi per tutti i lavoratori (art. 10 della l. n. 604/1966) e 3 mesi per gli impiegati non aventi funzioni direttive (art. 4 r.d.l. n. 1825/1924). Compiuto il periodo di prova con esito favorevole per entrambe le parti, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità di servizio del prestatore di lavoro (art. 2096, comma 4, c.c.). I periodi di prova previsti dalla contrattazione collettiva rispettano i requisiti legali; periodi più brevi o più lunghi possono essere previsti dalle parti nel contratto individuale. Con il d.lgs.27 giugno 2022, n. 104 (art. 7) è stato previsto, per i rapporti di lavoro privato (per le pubbliche amministrazioni continua ad applicarsi l'art. 17 del d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487) che nei casi in cui è previsto il periodo di prova, questo non può essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi (art. 7, comma 1). Il comma 2 della citata previsione, come modificata dall'art. 13, comma 1, della legge 13 dicembre 2024, n. 203, introduce specifici criteri di durata con riguardo al rapporto a tempo determinato, stabilendo che, nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova. La giurisprudenza, pronunciatasi nel vigore della disciplina anteriore alle modifiche del 2022 e 2024, ha rituto “legittimo il successivo prolungamento del periodo di prova, giustificato dalla volontà di adeguare lo stesso alla durata prevista dal contratto collettivo, se la clausola introdotta non prevede termini di durata del periodo di prova maggiori rispetto a quelli determinati dalla contrattazione collettiva” (Cass. n. 5677/2013). L'assunzione del lavoratore per un periodo di prova deve, a pena di nullità, risultare da atto scritto (forma scritta richiesta ad substantiam). La forma scritta è necessaria anche se non prevista dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. In mancanza di una precisa disposizione legale, la giurisprudenza ritiene che il patto di prova debba essere siglato contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima dell'esecuzione dello stesso. Se il patto è stipulato successivamente si ritiene nullo ed il rapporto assume immediatamente carattere definitivo (Cass. n. 8038/2002; Trib. Milano, 12 giugno 2009). È consentita la non contestualità dell'apposizione della sottoscrizione ad opera delle parti, ma non la successiva formalizzazione di una clausola concordata solo verbalmente con apposizione della sottoscrizione di una delle firme in origine mancante. “La forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore(nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità del patto di prova sottoscritto dal dipendente a distanza di alcuni giorni dall'assunzione)” (Cass. n. 21758/2010). Per quanto attiene il contenuto del patto, si rammenta che, ai sensi del comma 2 dell'art. 2096 c.c., l'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova. È quindi necessario che il patto indichi precisamente le mansioni specifiche cui è adibito il lavoratore e che costituiscono l'oggetto stesso della prova. La mancata specificazione delle mansioni costituisce causa di nullità del patto con conseguente conversione automatica dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio del rapporto (Cass. n. 14538/1999), come avviene in caso di mancato rispetto della forma scritta. Sul punto, è stato chiarito in giurisprudenza che “Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alla qualifica di assunzione, ove questa corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica” (Cass. n. 13455/2006). E ancora: “Poiché la causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell'interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro, per evitare la sua illegittimità è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l'esperimento deve svolgersi (a pena di nullità)” (Cass. n. 13498/2003 e, in senso conforme, Trib. Milano, 11 agosto 2007, Trib. Milano 18 settembre 2006). Recentemente, con riguardo alla possibilità che le mansioni vengano individuate per relationem, la giurisprudenza ha affermato che “Il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l'indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto generico il rinvio del patto di prova alle mansioni di “operatore ecologico di primo livello”, di cui all'art. 14 del CCNL Nettezza urbana, attesa la presenza, nella medesima area, di una pluralità di profili che non consentiva di individuare quali fossero le mansioni in concreto assegnate al lavoratore)” (Cass. n. 9597/2017). Va precisato che la funzione della prova non è limitata alla verifica delle capacita del lavoratore di svolgere le mansioni assegnate, estendendosi anche alle modalità in cui la personalità del prestatore di lavoro si manifesta nell'ambito aziendale. Per tale ragione, è ritenuta “legittima la clausola riportante anche la finalità di valutare qualità non strettamente lavorative del dipendente, concernenti le sue capacita relazionali con colleghi, collaboratori e superiori” (Cass. n. 746/2015). Come si è anticipato, la prova può essere concordata anche qualora tra le parti siano intercorsi precedenti rapporti di lavoro, “purché serva per compiere l'esperimento non realizzato prima” (Trib. Roma, 28 aprile 2005, n. 7921). A tal riguardo, la Corte di Cassazione ha recentemente escluso che un diverso ambito territoriale nel quale il lavoratore sia tenuto ad operare in seguito alla nuova assunzione abbia caratteristiche tali da giustificare il ricorso ad un nuovo patto di prova quando le mansioni siano identiche (Cass. ord. n. 6633/2020) . In sostanza, occorrerà verificare le ragioni della risoluzione del precedente rapporto di lavoro; in particolare, in caso di nuovo rapporto, la prova dovrà essere funzionale all'esperimento non realizzato in precedenza. Attesa la natura del patto in questione, lo stesso dovrà ritenersi invalido ove la verifica in ordine alla reciproca convenienza del contratto, “per le specifiche mansioni, sia già avvenuta in virtù delle prestazioni precedentemente rese dallo stesso lavoratore per un congruo lasso di tempo” (Cass. n. 4635/2016). Già la Suprema Corte aveva avuto occasione di precisare che “Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l'illegittimità ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l'imprenditore dimostrato l'esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore)” (Cass. n. 10440/2012; Cass. n. 6633/2020). Il patto di prova può, come si è detto, essere pattuito nell'ambito di qualsiasi rapporto di lavoro, compreso quello stipulato con i lavoratori invalidi assunti con il sistema del collocamento obbligatorio. Quanto alle modalità di computo, salvo che il contratto collettivo non preveda diversamente, ove sia convenuto un periodo di “servizio effettivo”, hanno effetto sospensivo del periodo di prova i giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili in anticipo, quali malattia (Cass. n. 19043/2015), infortunio, gravidanza, permessi, sciopero e ferie annuali (Cass. n. 4347/2015). Per approfondimenti sul recesso, si veda il commento alla formula “Lettera di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova”. |