Clausola di stabilità (o di durata minima)

Francesco Rotondi

Inquadramento

Con il patto di stabilità - o anche clausola di “durata minima garantita” - si indica la clausola, apposta ad un contratto di lavoro, in forza della quale il prestatore di lavoro o il datore di lavoro, ovvero entrambe le parti, si impegnano a non recedere unilateralmente dal contratto di lavoro per un periodo di tempo prefissato, fatta salva l'ipotesi del licenziamento per giusta causa o di impossibilità della prestazione.

Formula

CLAUSOLA DI DURATA MINIMA

Con la presente, la società ...., C.F. e P.I. ...., e il/la Sig./Sig.ra. .... convengono che il rapporto di lavoro tra le stesse in essere avrà una durata minima di .... [1].

Fino alla suddetta data, le Parti si impegnano a non recedere dal rapporto di lavoro tra le stesse in essere se non per giusta causa.

Luogo e data ....

La Società

....

Il/la Lavoratore/trice

....

Indicare mesi/anni.

Commento

Con il patto di stabilità – o anche di “durata minima garantita” – le parti possono concordare, mediante apposita clausola (preferibilmente apposta per iscritto, pur non vigendo alcun onere di forma), un impegno a non recedere unilateralmente dal contratto di lavoro per un periodo di tempo prefissato.

Il detto impegno può essere posto a carico di una sola delle parti, ovvero di entrambe.

La clausola in parola, che introduce una limitazione alla facoltà di recesso unilaterale (di una o delle parti) ed è espressione della libertà contrattuale alla stregua delle previsioni di cui all'art. 1322 c.c., può essere stabilita all'atto della stipulazione del contratto di lavoro o anche successivamente, mediante modifica delle condizioni originarie del rapporto.

Essa non ha ad oggetto diritti indisponibili, non rientra tra le clausole vessatorie (di cui all'art. 1341, comma 2, c.c.) e non ha natura transattiva; quindi, non è assoggettata alla disciplina di cui all'art. 2113 c.c.

Con il patto di stabilità, il datore di lavoro persegue l'interesse a preservare, per quanto possibile, la permanenza in azienda delle risorse professionali più meritevoli o per le quali l'azienda ha effettuato degli investimenti e sostenuto dei costi ovvero sulle quali fa affidamento per un certo periodo.

Dal lato del prestatore di lavoro, viene garantita la stabilità del posto di lavoro per il periodo indicato nella clausola limitativa della facoltà di recesso, con particolare utilità per le categorie escluse dalla disciplina protezionistica dei licenziamenti e soggette alla normativa codicistica di cui agli artt. 2118 e 2119 c.c., nonché, da ultimo, per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti.

In ordine alla clausola di stabilità, la giurisprudenza ha precisato che è valida e non contrasta con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola contrattuale con cui il lavoratore, disponendo liberamente della propria facoltà di recesso, pattuisce una garanzia di durata minima del contratto di lavoro e si obbliga a risarcire il danno al datore nell'ipotesi di dimissioni anticipate (Cass. n. 18376/2009).

In caso di apposizione della clausola di stabilità, il recesso anticipato si considera giustificato solo se avviene per giusta causa (art. 2119 c.c.) o per impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.).

L'esercizio del diritto di recesso, al di fuori delle ipotesi sopra dette, risulta del tutto ingiustificato, comportando a carico della parte recedente un obbligo di natura risarcitoria a vantaggio dell'altra parte.

È possibile prevedere una quantificazione anticipata del danno, mediante previsione di una clausola penale (art. 1382 c.c.) ovvero, in mancanza di questa, in caso di inadempimento da parte del datore di lavoro, il danno potrà essere quantificato in una somma pari alle retribuzioni che il prestatore di lavoro avrebbe percepito in assenza di recesso, e quindi corrispondenti al periodo intercorrente tra la data del recesso medesimo e la data della pattuita scadenza del patto di stabilità.

In ipotesi di anticipata e ingiustificata risoluzione del rapporto da parte del dipendente, il danno subito dal datore di lavoro potrebbe essere quantificato in ragione dei costi da questi sostenuti per l'addestramento o per reperire il sostituto.

L'importo a titolo di danno potrà essere compensato, ad opera del datore di lavoro, con le spettanze di fine rapporto maturate.

A tal proposito, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato ancora recentemente che “La compensazione del TFR con crediti del datore di lavoro, tra i quali si annovera la penale pattuita per il recesso anticipato dal patto di stabilità, è legittima, posto che il divieto previsto dall'art. 1246, n. 3, c.c., in relazione ai crediti impignorabili, opera solamente con riguardo alla compensazione «propria», che ricorre quando le reciproche ragioni di debito-credito nascono da distinti rapporti giuridici, e non anche per quella «impropria», ove le suddette ragioni provengono da un unico rapporto, quale è indubbiamente il rapporto di lavoro” (Cass. n. 216469/2016).

Pur in assenza di una previsione normativa che subordini la validità del patto di stabilità all'erogazione di un corrispettivo, la giurisprudenza si è pronunciata sulla legittimità del vincolo in relazione a fattispecie in cui il vincolo per il lavoratore rinveniva un corrispettivo nella natura della prestazione o in particolari investimenti formativi e/o economici del datore di lavoro (Cass. n. 1435/1998; Cass. n. 17817/2005).

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione si è così pronunciata: “In tema di cd. patto di stabilità nel contratto di lavoro subordinato, fuori dalle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., il lavoratore può liberamente disporre della facoltà di recesso, pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto nell'interesse del datore di lavoro, purché la stessa sia limitata nel tempo e sia previsto un corrispettivo, a tutela del “minimo costituzionale” di cui all'art. 36 Cost.; la corrispettività, tuttavia, non va valutata atomisticamente, come contropartita dell'assunzione dell'obbligazione, bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali, potendo consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, quale una maggiorazione della retribuzione o una obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore” (Cass. n. 14457/2017).

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