Lettera di contestazione disciplinare

Francesco Rotondi

Inquadramento

Il datore di lavoro è titolare, tra l'altro, del potere disciplinare. Tale potere può essere esercitato a fronte di violazioni, da parte del lavoratore, di obbligazioni di fonte legale e/o contrattuale sul medesimo incombenti e nel rispetto di una specifica procedura, che prevede l'elevazione di una contestazione disciplinare, la concessione di un termine a difesa in favore del prestatore di lavoro e l'eventuale irrogazione di una sanzione disciplinare, proporzionata all'infrazione commessa, avente natura conservativa o addirittura, nei casi più gravi, espulsiva.

Formula

RACCOMANDATA A/R Egr. Sig./Gent.le Sig.ra    (oppure A mani) ....

....

....

OGGETTO: LETTERA DI CONTESTAZIONE DISCIPLINARE AI SENSI DELL'ART. 7 LEGGE N. 300/1970

Con la presente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 7 della l. n. 300/1970 e delle previsioni collettive (eventuale: ed aziendali), Le contestiamo i fatti di seguito descritti.

.... [1]

La condotta sopra descritta integra, ai sensi della vigente normativa di legge e di contratto, una violazione di .... [2].

Rispetto a quanto sopra, Lei potrà farci pervenire Sue giustificazioni scritte od orali entro e non oltre cinque giorni dal ricevimento della presente; La invitiamo a voler indirizzare le Sue eventuali deduzioni scritte alla Direzione del Personale della scrivente, all'attenzione di ....

Distinti saluti.

Luogo e data ....

(Firma della Società)

[1]Devono essere descritti in maniera dettagliata i fatti oggetto della contestazione.

[2]Indicare le inadempienze che vengono contestate al lavoratore.

Commento

Il lavoratore dipendente, nell'esecuzione della sua prestazione lavorativa, è tenuto ad osservare specifici obblighi, dovendo agire nel rispetto dei principi di diligenza e obbedienza, di cui all'art. 2104 c.c., oltre che di fedeltà (art. 2105 c.c.).

Più in dettaglio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2104 c.c., il lavoratore è tenuto ad usare la diligenza richiesta dalla natura dell'attività svolta, nell'interesse dell'impresa, ed è tenuto al rispetto delle disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di quest'ultimo, dai quali lo stesso lavoratore dipende gerarchicamente.

Ulteriore obbligazione in capo al prestatore di lavoro è prevista dall'art. 2015 c.c., il quale prevede che il lavoratore non debba trattare affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa o farne uso in modo da poter recare a essa pregiudizio.

L'inosservanza delle disposizioni contenute nei detti articoli 2104 e 2105 c.c. può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione commessa (art. 2106 c.c.).

Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti (Cass. n. 5044/1999).

L'obbligo di affissione si riferisce sia alle norme predeterminate unilateralmente, sia a quelle fissate dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 10997/2001) e non sono ammessi mezzi di comunicazione equipollenti all'affissione (Cass. n. 7082/1991), la quale deve essere anteriore alla commissione dell'infrazione; neppure è ritenuta sufficiente la mera consegna al lavoratore di copia del contratto collettivo contenente la regolamentazione delle sanzioni disciplinari (Cass. n. 22798/2012).

Le sanzioni irrogate in difetto di affissione del codice disciplinare sono nulle (Cass. n. 9158/1997; Cass. n. 1104/1981; Cass. n. 5222/1986; Trib. Torre Annunziata, 27 luglio 2004).

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, sono sanzionabili, anche in assenza di esplicita previsione nel codice disciplinare, i comportamenti del lavoratore che risultino lesivi dell'interesse dell'impresa e manifestamente contrari all'etica comune e ai doveri fondamentali del lavoratore (artt. 2104,2105 c.c.) (Cass. n. 18169/2009) o che abbiano rilevanza penale. In tali casi, infatti, il lavoratore è pienamente cosciente del fatto di commettere un illecito, per cui non si pone quell'esigenza di preventiva conoscibilità delle infrazioni che è alla base del principio della predeterminazione delle sanzioni.

Si discute, comunque, se la suddetta regola sia applicabile soltanto in caso di comportamenti di gravità tale da giustificare il licenziamento – perché in tal caso il potere di recesso deriva direttamente dalla legge (Cass. n. 18130/2005; Cass. n. 21378/2004) – o se sia applicabile anche a infrazioni e sanzioni di minore gravità (Cass. n. 17763 /2004; Cass. n. 5583/1996).

Ancora, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “In materia di licenziamento disciplinare il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”, mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto rilevante la mancata affissione del codice disciplinare, in fattispecie in cui il lavoratore era stato licenziato perché non si era attenuto alle regole operative fissate dalla banca per la valutazione del rischio di illiquidità) (Cass. n. 22626/2013).

E ancora: “Quando la condotta contestata al lavoratore appare violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole comportamentali negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del rapporto di lavoro, l'affissione del codice disciplinare si presenta necessaria (nella specie, poiché la contestazione riguardava illeciti consistenti nella violazione di prescrizioni strettamente attinenti alla organizzazione aziendale, avendo il dipendente disatteso la specifica disposizione impartita dal dirigente di usufruire di un protocollo interno del settore di competenza per il deposito di documentazione attinente ad una pratica relativa ad un invalido, la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento stante la mancata affissione del codice disciplinare)” (Cass. n. 15218/2015).

È stato, inoltre, precisato che il procedimento disciplinare si applica anche quando il datore di lavoro intenda contestare al lavoratore fatti estranei alla prestazione di lavoro ma incidenti sul vincolo fiduciario (Cass. n. 14446/2015; Cass. n. 11592/2016).

Secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza, inoltre, la prescrizione di cui all'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori può considerarsi rispettata anche se il codice disciplinare non contiene un'analitica e specifica predeterminazione delle infrazioni e, in relazione alla loro gravità, delle corrispondenti sanzioni (Cass. n. 14446 /2015; Cass. n. 7370/1996; Cass. n. 4219/1991; Cass. n. 1695/1991; Cass. n. 4245/1985; Cass. n. 4247/1985).

La giurisprudenza ha ritenuto sufficiente che il codice sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazioni, pur dandone una nozione schematica e non dettagliata delle varie prevedibili o possibili azioni, e recando in corrispondenza l'indicazione delle previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze (Cass. n. 22129 /2011).

Forma e procedura

Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa (art. 7 l. n. 300/1970) (si vedano il Commento alla formula “Lettera di giustificazioni del lavoratore”, il Commento alla formula “Convocazione del lavoratore ai fini dell'audizione”, nonché i Commenti alle formule “Provvedimento disciplinare dell'ammonizione scritta”, “Sanzione disciplinare della multa”, “Sanzione disciplinare della sospensione”).

Devono inoltre essere rispettati i principi di immediatezza, proporzionalità ed immodificabilità della contestazione.

Il principio di immediatezza

La contestazione deve essere tempestiva rispetto al fatto contestato.

Il requisito dell'immediatezza della contestazione, da valutarsi con riguardo al momento della commissione del fatto o della conoscenza che di esso ne ha avuto il datore di lavoro, deve intendersi in senso relativo e deve tener conto della complessità della struttura organizzativa dell'impresa, dell'intervallo di tempo necessario per l'accertamento dei fatti (Cass. n. 12824/2016; Cass. n. 23840/2015; Cass. n. 21203/2013; Cass. n. 18998/2010) in specie quando si sia in presenza di più fatti e atti, che soltanto se complessivamente considerati possano essere ritenuti sufficienti ai fini dell'avvio dell'iter disciplinare (si vedano, sul punto: Cass. n. 21203/2013; Cass. n. 7819/2013; Cass. n. 7499/2013; Cass n. 5665/2013; Cass. n. 5546/2010; Cass. n. 2580/2009).

La giurisprudenza ha ammesso la possibilità che, in considerazione di possibili esigenze aziendali, l'indicazione sull'intervallo temporale che può al massimo intercorrere tra fatti e contestazione prevista dai contratti collettivi possa essere derogata (Cass. n. 1247/2015; Trib. Milano, 8 settembre 2011). Per la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, componendo un contrasto giurisprudenziale sorto negli ultimi anni soprattutto alla luce dell'interpretazione dell'art. 18, comma 4 l. n. 300/1970 e dell'art. 3 del d.lgs. n. 23/2015, la contestazione tardiva non implica l'applicazione della tutela reintegratoria per insussitenza del fatto, ma non esclude l'applicazione della tutela risarcitoria quando sia compromesso il diritto di difesa del lavoratore (cfr. Cass. S.U., n. 30985/2017).

Il principio di specificità

La contestazione deve essere precisa e circostanziata, dovendo fornire, anche se in forma sintetica, le informazioni necessarie ed essenziali ai fini dell'individuazione, da parte del lavoratore, del fatto o dei fatti intesi nella loro materialità che, ad avviso del datore di lavoro, legittimano l'avvio del procedimento disciplinare. E ciò al fine di consentire al prestatore di lavoro di comprendere esattamente quanto al medesimo ascritto ed a garanzia del diritto di difesa (Cass. n. 8200/2000; Cass. n. 7983/2008; Cass. n. 21795/2009). L'interpretazione del requisito della specificità della contestazione è diventata estremamente rigorosa a seguito delle modifiche dell' art. 18 l. n. 300/1970 ed a partire dal 7 marzo 2015 dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015, e dunque a valle delle novità che le modifiche legislative hanno introdotto rispetto alle conseguenze derivanti dal licenziamento riconosciuto illegittimo per “insussistenza del fatto contestato” (Cass. n. 23669/2014; Cass. n. 20540/2015; Cass. n. 18418/2016; Trib. Milano 15 aprile 2015, n. 11340; Trib. Brindisi 3 gennaio 2017).

In aggiunta ai fatti oggetto di contestazione, nella contestazione viene inoltre solitamente indicato il termine a difesa concesso al lavoratore; e ciò in ossequio al principio generale per cui i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione dei fatti. Il termine decorre dal momento della ricezione della contestazione.

L'atto scritto di contestazione può essere consegnato al lavoratore in qualunque modo, non sussistendo in proposito specifiche disposizioni; è quindi ammessa aanche la sua consegna a mano.

Il principio di immutabilità

Al datore di lavoro è precluso far valere, a sostegno dei provvedimenti adottati, circostanze diverse da quelle contestate (principio di immutabilità della contestazione) – Cass. n. 1152/1997; Cass. n. 6988/1998; Cass. n. 11265/2000; Cass. n. 22752/2004; Cass. n. 428/2005; Cass. n. 22752/2004; Cass. n. 10058/2005).

Ai fini di tutela del diritto di difesa, infatti, i fatti su cui si fonda la sanzione devono coincidere con quelli oggetto delle contestazione elevata al lavoratore, sotto il profilo materiale e non giuridico (Cass. n. 17743/2011), posto che il principio di immutabilità della contestazione si riferisce ai fatti e non alla loro qualificazione (Cass. n. 6499 /2011).

Ne deriva che il fatto contestato ben può essere ricondotto a una diversa ipotesi disciplinare senza che si verifichi una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto.

In forza del principio in esame, è precluso al datore di lavoro di far valere in giudizio, a sostegno della legittimità del licenziamento intimato, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell'infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva, a garanzia dell'effettivo diritto di difesa riconosciuto al lavoratore incolpato (cfr. Cass. n. 6499/2011).

La Cassazione ha comunque considerato illegittimo il licenziamento intimato a fronte di contestazioni disciplinari di minore gravità rispetto a quelle fatte valere in giudizio a sostegno della validità del recesso (Cass. n. 7511 /2012).

(Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai Commenti alla “Lettera di licenziamento per giusta causa” e alla “Lettera di licenziamento per giustificato motivo soggettivo”).

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