Comunicazione di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro (art. 2103 c.c.)InquadramentoIl datore di lavoro può disporre il trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, pena la nullità dell'atto. FormulaLa scrivente fa seguito a quanto già verbalmente convenuto per confermare che a decorrere dalla data del .... Lei sarà trasferito dall'attuale sede di lavoro a quella di .... presso lo stabilimento (unità produttiva) di .... Il trasferimento trova le proprie ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo del trasferimento ne: .... [1] Resta inteso che Le attuali condizioni economico-legali e/o contrattuali del rapporto di lavoro in essere con la scrivente non subiranno modifiche Si applicherà quanto disposto dal CCNL del settore .... ....applicato in azienda per quanto concerne spese di trasferimento e trasloco ed ad altre indennità. La preghiamo di restituirci copia della presente sottoscritta per ricevuta ed accettazione integrale del contenuto. Luogo e data .... Il datore di lavoro .... [1]Indicare le ragioni del trasferimento. CommentoIl datore di lavoro ha la facoltà di disporre il trasferimento (individuale) del lavoratore, laddove per trasferimento si intende la definitiva (e non temporanea) assegnazione del lavoratore ad una diversa sede operativa dell'azienda, esercitando così quella che è l'espressione di un potere unilaterale del datore di lavoro. L'esercizio di questo potere deve avvenire nel rispetto sia delle norme legali (oltre ai limiti fissati dall'art. 2013 c.c., si osserva come limitazioni al trasferimento del lavoratore derivino anche, ad es., dalla legge n. 104/1992 di tutela delle persone con handicap) che contrattuali in materia che spesso individuano dei termini di preavviso da rispettare nell'operare il trasferimento oppure definiscono i termini economici del trasferimento (per il trattamento fiscale e contributivo dell'indennità di trasferimento cfr. art. 51, comma 7, d.P.R. n. 917/1986; art. 12, l. n. 153/1969). È l'art. 2103 c.c. che dispone che il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (Cass. n. 19095/2013; sul trasferimento per motivi ambientali v. Cass. n. 11568/2017) prescindendo del tutto da una valutazione comparativa tra i soggetti astrattamente individuabili come possibili destinatari del provvedimento, così da operare tra loro una selezione e a questa stregua motivare la scelta (così Cass. sez. lav., n. 20333/2016); è onere del datore di lavoro provare la sussistenza delle predette ragioni (Cass. n. 4709/2012). Non solo: il trasferimento è espressione certamente di un potere discrezionale imprenditoriale nell'ambito di cui all'art. 41 Cost., ma al contempo deve essere conforme ai principi di buona fede e correttezza (artt. 1175,1375 c.c.) e contemperare gli interessi del lavoratore. Il controllo giudiziale mira a verificare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa; non può comunque essere ampliato al merito della scelta operata dall'imprenditore (Cass. n. 11126/2016). Da considerare, inoltre, che il trasferimento prescinde dal consenso del lavoratore; egli non può infatti opporsi al provvedimento datoriale, sempre che non si tratti di trasferimento non sorretto dalle menzionate ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo di cui all'art. 2103 c.c. In tale caso, si tratterebbe di un trasferimento nullo (Cass. n. 21037/2006; Cass. n. 21037/2006). Utile può essere formalizzare la disponibilità manifestata dal lavoratore al trasferimento (laddove, ovviamente, ricorrano le condizioni giuridico-legali che legittimano il provvedimento). In tema di trasferimento occorre soffermarsi altresì sulla individuazione del concetto di unità produttiva: si intende per “unità produttiva” una articolazione autonoma dell'azienda avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità a esplicare, in tutto o in parte, l'attività dell'impresa, anche se composta da stabilimenti o uffici dislocati in zone diverse dello stesso comune. Unità produttiva è quell'entità aziendale che si caratterizza per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'attività produttiva aziendale (Cass. n. 6117/2015; Cass. n. 11103/2006; Cass. n. 11660/2003; Cass. n. 22695/2011). Non è dunque unità produttiva l'ufficio o reparto con funzioni ausiliarie o strumentali. Più nel dettaglio: sul concetto di unità produttiva v. anche Min. Lavoro nota 13 giugno 2006, prot. 497 ove, in tema di orario di lavoro, ha avuto modo di specificare che detto concetto (art. 35 l. n. 300/1970) deve essere ricavato con riferimento al consolidato orientamento giurisprudenziale (di legittimità e costituzionale) che considera tale qualsiasi articolazione autonoma dell'impresa, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o di servizi costituente l'oggetto sociale aziendale e quindi che risulti dotata, oltre che della necessaria autonomia, anche di tutti gli strumenti sufficienti e necessari allo svolgimento della funzione produttiva dell'impresa (cfr. Corte cost. n. 55/1974; Cass. n. 6117/2005; Cass. n. 3483/1992). Inoltre, dato che la finalità principale della norma di cui all'art. 2103 c.c. in tema di trasferimento del lavoratore è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l'insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un determinato complesso produttivo, tale norma deve trovare applicazione anche quando lo spostamento da una unità produttiva ad un'altra avvenga in un ambito geografico ristretto (ad esempio nello stesso territorio comunale) e non imponga il mutamento della residenza del lavoratore. Così Cass. n. 20600/2014 ove si legge altresì che, ai fini del trasferimento, per unità produttiva deve intendersi l'entità aziendale che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'attività produttiva aziendale. Si esclude, pertanto, la configurabilità di un'unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività produttiva della stessa. Laddove si tratti poi di spostamento del lavoratore all'interno della medesima unità produttiva non si ha trasferimento (Cass. n. 11103/2006; Cass. n. 12097/2010). Per quanto concerne la forma della comunicazione del trasferimento la legge non dice nulla in merito, fatta salva la opportunità della forma scritta per dare maggiore chiarezza e certezza nei rapporti (Cass. n. 5434/2015; Cass. n. 19095/2013; Cass. n. 11984/2010; Cass. n. 807/2017). Non viene detto nulla neppure in merito alla contestualità della comunicazione dei motivi alla base del trasferimento, ma è opportuno (cfr. quanto previsto dall'art. 2, l. n. 604/1966) che il datore di lavoro osservi la contestualità (v. anche Cass. n. 5434/2015; Cass. n. 12516/2009; Cass. n. 1563/1994). Resta salvo il diritto del lavoratore al risarcimento dell'eventuale danno patito per effetto dell'illegittimo trasferimento. Il lavoratore deve comunque farsi parte attiva: egli deve impugnare il trasferimento, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento con atto scritto, anche extragiudiziale. Infine, il datore di lavoro deve comunicare il trasferimento del lavoratore ai competenti organi del collocamento ordinario tramite il sistema di comunicazioni telematiche obbligatorie entro i 5 giorni successivi all'evento. |