Comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro

Francesco Rotondi
aggiornato da Alessandra Croce

Inquadramento

L'art. 7 della l. 15 luglio 1966, n. 604 prevede, nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, della l. n. 300/1970, una procedura ad hoc, con lo scopo di provocare la conciliazione delle parti.

Formula

Lettera raccomandata A/R

Spettabile

Ispettorato del Lavoro di .... [1]

....

....

Lettera raccomandata A/R (o A mani)

E p.c. Egr. Sig./Gent. Sig.ra [2]

....

....

....

Con la presente, ai sensi dell'art. 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificata dalla Legge n. 92/2012 (art 1, comma 40), la scrivente Società .... in persona di .... [3], comunica a codesta spettabile sede Territoriale dell'Ispettorato del Lavoro di .... l'intenzione di procedere al licenziamento del/della proprio/a dipendente, sig./sig.ra ...., per giustificato motivo ex art. 3 della l. n. 604/1966.

A fondamento del detto licenziamento vi è .... [4].

Si fa presente che, nostro malgrado, non si è potuto provvedere ad un'utile ricollocazione del dipendente all'interno della nostra organizzazione, essendo risultata mancante una qualsivoglia posizione coerente con il suo inquadramento contrattuale.

Allo stato sono possibili le seguenti misure di ricollocazione ....

(Oppure: Allo stato non sono possibili misure di ricollocazione.)

Distinti saluti.

Luogo e data ....

Il datore di lavoro ....

[1]Competente è la sede territoriale dell'Ispettorato del lavoro nella cui circoscrizione il lavoratore presta la sua attività lavorativa.

[2]La comunicazione è validamente effettuata quanto recapitata al domicilio del lavoratore noto al datore di lavoro, in quanto indicato nel contratto di lavoro o a questi formalmente comunicato dal lavoratore, o è consegnata al lavoratore ed è da questi sottoscritta per ricevuta.

[3]Indicare il legale rappresentate o soggetto munito di idonei poteri per rappresentare la società.

[4]Debbono essere indicate le ragioni poste a fondamento del licenziamento onde consentire l'espletamento, in concreto, del tentativo di conciliazione.

Commento

L'art. 7 l. 15 luglio 1966, n. 604 prevede, nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di cui all'art. 3, seconda parte, della l. n. 604/1966), disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, l. n. 300/1970, una specifica procedura finalizzata a provocare la conciliazione delle parti ed il coinvolgimento della sede territoriale dell'Ispettorato del lavoro.

Si ricorda che l'art. 18, comma 8, l. n. 300/1970 fa riferimento “al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”. Il comma 9 precisa, a riguardo, che, ai fini del computo del numero dei dipendenti, “si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale”. 

La procedura ha inizio con la comunicazione – precedente il licenziamento, che il datore di lavoro indirizza alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro del luogo nel quale il lavoratore presta la sua opera, trasmessa, per conoscenza, al lavoratore – nella quale il datore di lavoro dichiara l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicando i motivi che ne sono alla base, oltre che le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato dalla misura espulsiva.

Al riguardo, la Corte d'Appello di Catanzaro (App. Catanzaro, 18 novembre 2014) ha affermato che “l'obbligo di specificazione dei motivi di recesso nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo va assolto dal datore di lavoro con la comunicazione di cui all'art. 2, l. n. 604 del 1966, mentre la previa comunicazione di cui all'art. 7, l. n. 604/1966, per le finalità deflattive alle quali risponde la procedura stessa, deve contenere i requisiti minimi che consentono al lavoratore e all'organo deputato ad esperire la conciliazione di comprendere, in linea di massima, le ragioni della scelta espulsiva”.

Nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta, l'Ispettorato del Lavoro trasmette la convocazione alle parti. La legge prescrive che “la comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta” (art. 7, comma 4, l. n. 604/1966).

L'incontro ha luogo dinanzi alla commissione di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c., in seno al quale le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, da un avvocato o un consulente del lavoro.

Ove sussista un “legittimo e documentato impedimento” del prestatore di lavoro a prendere parte all'incontro, è previsto che la procedura possa essere sospesa per un massimo di quindici giorni (art. 7, comma 9, l. n. 604/1966).

Nel coso della procedura, le parti esaminano anche l'eventualità di soluzioni alternative al recesso.

La procedura deve concludersi entro venti giorni dalla trasmissione della convocazione per l'incontro; è “fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo” (art. 7, comma 6, l. n. 604/1966).

Ove il tentativo di conciliazione fallisca e, in ogni caso, decorso il termine perentorio di sette giorni anzidetto, il datore di lavoro può procedere con la comunicazione del licenziamento al lavoratore – si veda in proposito la formula “Licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso non lavorato (procedura ex art. 7 l. n. 300/1970)”.

In considerazione dell'emergenza legata alla diffusione del Covid-19, l'art. 46 d.l. n. 18/2020 (rubricato “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”) ha previsto, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto e per un periodo di 60 giorni, indipendentemente dal numero dei dipendenti, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 l. n. 604/1966. Sul divieto introdotto rispetto ai licenziamenti collettivi, si veda la Formula “Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”.

L'art. 46 del d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, è stato ulteriormente modificato dall'art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. Decreto Rilancio) – in vigore dal 19 maggio 2020 – convertito con modificazioni nella l. n. 77/2020, il quale ha esteso da 60 giorni a 5 mesi la durata del divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (oltre che per i licenziamenti collettivi, sui quali si veda la Formula “Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”) introdotto dal cd. Decreto Cura Italia, prevedendo al contempo anche la sospensione delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all' art. 7 l. n. 604/1966 e disponendo che il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell' art. 3 della l. n. 604/1966 possa, in deroga alle previsioni di cui all'art. 18, comma 10, l. n. 300/1970, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

L'art. 14 del d.l. n. 104/2020 - in vigore dal 15 agosto 2020 e convertito in legge con modificazioni dalla l. n. 126/2020 - ha precluso ai datori di lavoro, che non avessero integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 dello stesso decreto n. 104/2020 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'art. 3 del medesimo decreto di agosto 2020, ed indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, della l.n. 604/1966. Il medesimo articolo ha, inoltre, disposto la sospensione delle procedure di cui all'art. 7 della stessa legge del 1966, propedeutiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 14, comma 2, d.l. n. 104/2020).

Nello stesso periodo, ed alle condizioni suindicate (di cui al comma 1 dell'art. 14 del d.l. n. 104/2020), il citato art. 14 ha inoltre precluso al datore di lavoro l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 della l.n. 223/1991  disponendo altresì la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto (art. 14, comma 1, d.l. n. 104/2020).

Ai sensi dell'art. 14, comma 3, introdotto dal d.l. n. 104/2020, conv. in l.n. 126/2020 le preclusioni e le sospensioni di cui ai succitati commi 1 e 2 dell'art. 14 del decreto n. 104/2020 non si applicano:

•           nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'art. 2112 del codice civile;

•           nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. Si precisa che per tali lavoratori sarà comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del D.Lgs. n. 22/2015 (ossia la possibilità di accedere alla NASPI).

Sono, altresì, esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso (art. 14, comma 3, d.l. n. 104/2020).

L'art. 14, comma 4, del D.l. n. 104 ha previsto la possibilità per il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell'anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della l. n. 604/1966, di revocare, in deroga alle previsioni di cui all'art. 18, comma 10, St. lav., in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, a decorrere dalla data in cui aveva efficacia il licenziamento revocato. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro. La disposizione in esame è stata abrogata in sede di conversione del d.l. n. 104 da parte della l. n. 126/2020.

L'art. 12 del cd. Decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020, n, 137, convertito con modific. in l. 18 dicembre 2020, n. 176) ha previsto, al comma 1, che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modific. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di sei settimane, le quali devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021.

Il successivo comma 9 dell'art. 12 del d.l. n. 137/2020 ha disposto la proroga sino al 31 gennaio 2021 del divieto di licenziamento già previsto dai precedenti e suindicati interventi normativi, confermando per il resto le previsioni già contenute nell'art. 14 del d.l. n. 104/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 126/2020. L'art. 12 infatti ha stabilito che fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della l. n. 223/1991 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

Il comma 10 del citato art. 12 ha previsto, fino alla stessa data di cui al comma 9, anche la preclusione per il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge.

Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nei casi di cui al comma 3 dell'art. 14 del d.l. n. 104/2020 le (art. 12, comma 11, d.l. n. 137/2020).

La legge di bilancio 2021 (l. 30 dicembre 2020, n. 178) ha esteso fino al 31 marzo 2021:

- la preclusione dell'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della l.n. 223/1991 e la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto (art. 1, comma 309, l.n. 178/2020);

- la preclusione per il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, della facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della l.n. 604/1966 e la sospensione delle procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge (art. 1, comma 310, l.n. 178/2020).

Le sospensioni e le preclusioni di cui ai commi 309 e 310 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 c.c.,  o  nelle  ipotesi  di  accordo collettivo  aziendale,  stipulato  dalle   organizzazioni   sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo; a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso (art. 1, comma 311, l.n. 178/2020).

Il d.l. 41/2021 (cd. “Decreto Sostegni”) ha esteso ancora una volta il blocco dei licenziamenti, individuali e collettivi, per motivi economici, ma con alcune differenze rispetto agli interventi normativi precedenti; sulle domande di integrazione salariale si veda messaggio INPS 26 marzo 2021, n. 1297.

L'articolo 8, comma 9, del d.l. n. 41/2021, senza operare alcuna distinzione né specificazione con riguardo ai datori di lavoro interessati, ha disposto la proroga sino al 30 giugno 2021 della preclusione (i) della facoltà di recedere dal rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 l. n. 694/1966 (indipendentemente dal numero dei dipendenti), così come (ii) della sospensione delle procedure avviate ai sensi dell'art. 7 della stessa lege del 1966, nonché la proroga della preclusione (iii) dell'avvio delle procedure di cui agli art. 4,5 e 24 della l. n. 223/1991 e (iv) della sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto.

Stando al comma 10 dell'art. 8 del Decreto Sostegni, il detto divieto di licenziamento invece, sembrerebbe estendersi per un ulteriore periodo, dal 1° luglio al 31 ottobre 2021, ma limitatamente ai datori di lavoro cui si applicano ASO, CIGD e CISOA e che faranno ricorso alle ulteriori settimane di integrazione salariale.

Si deve tuttavia segnalare come la scarsa chiarezza della previsione normativa sia stata seguita da diverse e non univoche interpretazioni, come confermato anche dalle prime esplicazioni del Ministero del Lavoro e da due note illustrative, entrambe “bollinate”, di segno contrario: una, secondo la quale l'estensione del divieto al 31 ottobre opererebbe solo per le imprese (di cui ai commi da 2 a 8 dell'art. 8) che possono fruire di trattamenti di integrazione salariale CIGD, assegno ordinario e CISOA con causale COVID-19; secondo diversa interpretazione, l'estensione del blocco dei licenziamenti (e la sospensione delle procedure pendenti) sino al 31 ottobre 2021 opererebbe in favore dei soli datori di lavoro che fruiscano effettivamente dei trattamenti di integrazione salariale con causale COVID-19.

Il Decreto Sostegno conferma che le sospensioni e le preclusioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nelle ipotesi di licenziamento motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa oppure dalla cessazione definitiva dell'attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 c.c.; nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscano a tale accordo (a tali lavoratori è riconosciuto il trattamento di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 22/2015); i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa o ne sia disposta la cessazione.

Si veda la legge di conversione 21 maggio 2021, n. 69, la quale ha stabilito che i trattamenti previsti dal D.L. 41/2021 possono essere concessi in continuita' ai datori di lavoro che abbiano integralmente fruito dei trattamenti di cui all'articolo 1, comma 300, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.

Il d.l. 25 maggio 2021, n. 73, c.d. Decreto Sostegni-bis, all'art. 40, ha previsto che ai datori di lavoro che, non potendo più utilizzare gli ammortizzatori con causale Covid, facciano ricorso dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 alla CIG o alla CIGS senza pagamento del addizionale, restano preclusi, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della l. n. 604/1966 e le procedure in corso di cui all'art. 7 della medesima legge del 1966, nonché l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo e le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto). Anche il nuovo intervento normativo conferma i casi in cui non opera il divieto di licenziamento (art. 40, comma 5, d.l. n. 73/2021). Con il d.l. 30 giugno 2021, n. 99 (art. 4, commi 2 e ss.), lo sblocco dei licenziamenti dal 1° luglio 2021 è stato escluso sino al 31 ottobre 2021 per le aziende del settore tessile, pelletteria e abbigliamento per le quali è stata prevista la concessione di una specifica cassa integrazione Covid mentre sino al 31 ottobre 2021 l'impianto previsto dal decreto Sostegni non ha subito particolari modifiche per le aziende che fruiscono della Cigd, Fis o Cig Covid. Il d.l. n. 99 ha inoltre previsto un ulteriore trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga per un massimo di 13 settimane fino al 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale; per il periodo di durata della concessione dell'integrazione salariale permane il divieto di licenziamento (art. 40-bis del d.l. n. 73/2021; si veda anche la nota INL n. 5186/2021. L'art. 40 è stato confermato dalla l. n. 106/2021 di conversione del d.l. n. 73/2021, la quale ha anche disposto l'abrogazione del d.l. n. 99/2021.

La legge 30 dicembre 2021, n. 234, ha previsto il divieto di licenziamento del lavoratore assunto a tempo indeterminato e beneficiario del trattamento straordinario di integrazione salariale di cui all'art. 22-ter del d.lgs. n. 148/2015, come introdotto dall'art. 1, comma 200, L.n. 234/2021 e il licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con gli stessi livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto con le agevolazioni connesse all'applicazione di un accordo di transizione occupazionale (art. 1, c. 243-247 l.n. 234/2021).

Il divieto è stato altresì previsto quando il licenziamento sia determinato dalla chiusura della sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto, e avvenga senza che sia rispettata la procedura introdotta dalla legge n. 234/2021, da parte dei datori di lavoro che occupino alle proprie dipendenze un determinato numero di lavoratori e che intendano licenziare un numero di lavoratori individuati dalla stessa legge di Bilancio 2022 (art. 1 c. 224-238 Legge n. 234/2021).

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