Lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (recesso rientrante nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015)

Francesco Rotondi
aggiornato da Alessandra Croce

Inquadramento

Al recesso datoriale dal rapporto di lavoro instaurato a decorrere dal 7 marzo 2015 si applicano le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act). Disposizioni intervenute, sostanzialmente, a circoscrivere il campo di applicazione della tutela reale.

Formula

Lettera raccomandata A/R

Egr. Sig./Gent.le Sigra

....

....

....

OGGETTO: LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO [1]

Con la presente, Le comunichiamo il Suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

A fondamento della risoluzione v'è .... [2].

Si rende noto che, nostro malgrado, non si è potuto provvedere ad una Sua utile ricollocazione all'interno della nostra organizzazione, essendo risultata mancante una qualsivoglia sistemazione che fosse coerente con il Suo inquadramento contrattuale.

In ragione di quanto previsto dal CCNL applicabile al rapporto, Le è dovuto un preavviso di giorni/mesi .... [3].

In considerazione di ciò, il Suo rapporto di lavoro cesserà, ad ogni effetto, in data .... [4]

Lei è esonerato/a dal prestare in servizio il detto periodo di preavviso, con garanzia di corresponsione dell'indennità sostituiva del preavviso.

Le spettanze di fine rapporto Le verranno regolarmente corrisposte entro i consueti tempi tecnici.

La Sua documentazione di lavoro è a Sua disposizione presso i nostri uffici di ....

Distinti saluti.

Luogo e data ....

Firma del datore di lavoro ....

[1]Nelle ipotesi di licenziamenti rientranti nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 non trova applicazione l'art. 7 della L. n. 604/1966, che prevede, per le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, della legge n. 300/1970, una procedura ad hoc, ai fini della conciliazione, con il coinvolgimento della Direzione territoriale del lavoro (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 23/2015).

[2]Debbono essere indicate, con sufficiente dettaglio, contestualmente alla comunicazione del recesso (art. 2 della l. n. 604/1966), le ragioni poste a fondamento del licenziamento. Ragioni, che, in base al disposto dell'art. 3 della legge n. 604/1966, debbono essere “inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

[3]Il preavviso è necessario nelle ipotesi di licenziamento disciplinate dall'art. 3 della l. n. 604/1966, in mancanza del quale, spetta al lavoratore un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso, calcolata secondo i criteri indicati dal codice civile all'art. 2121 c.c..

[4]Indicare la data coincidente con la scadenza del periodo di preavviso.

Commento

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e contratto a tutele crescenti

Al recesso datoriale dal rapporto di lavoro instaurato a decorrere dal 7 marzo 2015 si applicano le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della l. 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act).

Il nuovo regime non intacca la regola di giustificazione necessaria del recesso datoriale (v. Commento Formula Lettera di licenziamento per giusta causa), cosicché resta valido che il licenziamento debba essere comunicato per iscritto al prestatore di lavoro e contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato (art. 2, l. n. 604/1966). E, a questo riguardo, il decreto delegato nemmeno modifica le nozioni di giusta causa e giustificato motivo, di cui all'art. 2119 c.c. ed all'art. 3 l. 15 luglio 1966, n. 604, in ordine alle quali si rinvia alla Formula Lettera di licenziamento per giusta causa.

Valgono, pure, le stesse regole quanto al preavviso, necessario nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo disciplinate dall'art. 3 l. 15 luglio 1966, n. 604 ed all'indennità dovuta nell'eventualità che il preavviso manchi, calcolata secondo i criteri indicati dal c.c. all'art. 2121 (cfr. Commento alla formula “Lettera di licenziamento per giusta causa”).

Ai licenziamenti che rientrano nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 non si applicano, invece, le disposizioni di cui all'art. 7 l. n. 604/1966, che prevedono, per le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, l. n. 300/1970, una procedura ad hoc, ai fini della conciliazione, con il coinvolgimento dell'Ispettorato del lavoro (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 23/2015).

Il legislatore ha provveduto a disciplinare anche l'ipotesi di revoca del licenziamento, inserendo nel nuovo articolato una disposizione identica a quella contenuta nello Statuto dei lavoratori, nella versione risultante dalle modifiche operate dalla l. n. 92/2012.

È stabilito, a riguardo, che, in tale ipotesi, e purché la revoca venga effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del licenziamento, “il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti ”per il licenziamento (art. 5, d.lgs. n. 23/2015, sulla questione si rinvia alla formula “Lettera di revoca del licenziamento”).

Si precisa, inoltre, che per effetto della modifica apportata al comma 1 dell'art. 3 d.lgs. n. 23/2015  dall'art. 3, comma 1 d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96, la misura dell'indennità di licenziamento illegittimo passa da quattro a sei mensilità nel minimo e da ventiquattro a trentasei mensilità nel massimo.

Sulla legittimità art. 3, comma 1,  d.lgs. n. 23/2015 si è recentemente  pronunciata la Corte Costituzionale, la quale -  con sentenza Corte cost. n. 194/2018 - ha affermato che l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui determina l'indennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo (nella specie, per giustificato motivo oggettivo) in “un importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” - indennità, quindi, che assume i connotati di una liquidazione legale, forfettizzata e standardizzata, in quanto ancorata all'unico parametro dell'anzianità di servizio - contrasta:

  1. con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell'ingiustificata omologazione di situazioni diverse, in violazione dell'art. 3 Cost.;
  2. con il principio di ragionevolezza, sotto il profilo dell'inidoneità dell'indennità in esame a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un'adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente, in violazione degli artt. 3, 4, comma 1 e 45, primo comma, Cost.;
  3. con gli artt. 76 e 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea.

Ad avviso della Corte, dunque, “il denunciato art. 3, comma 1” - sia nel testo originario del 2015 sia come successivamente modificato anche dal Decreto Dignità e dalla legge di conversione n. 96/2018 - “deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo” limitatamente “alle parole <<di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio>>”.

Pertanto, ritiene la Corte Costituzionale, “Nel rispetto dei limiti, minimo e massimo, dell'intervallo in cui va qualificata l'indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzi tutto dell'anzianità di servizio - criterio che è prescritto dall'art. 1, comma 7, lett. c) della legge n. 183 del 2014 e che ispira il disegno riformatore del d.lgs. n. 23/2015 – nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

Più di recente, con la sentenza n. 150 del 16 luglio 2020, la Corte Costituzionale, riprendendo le argomentazioni e le censure svolte con riguardo all'art. 3 del d.lgs. n. 23/2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».  Ad avviso della Corte, «l'anzianità di servizio, svincolata da ogni criterio correttivo, è inidonea a esprimere le mutevoli ripercussioni che ogni licenziamento produce nella sfera personale e patrimoniale del lavoratore e non presenta neppure una ragionevole correlazione con il disvalore del licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, che il legislatore h inteso sanzionare. Tale disvalore non può esaurirsi nel mero calcolo aritmetico della anzianità di servizio» (Corte cost. n. 150/2020).

In considerazione dell'emergenza legata alla diffusione del Covid-19, l'art. 46 d.l. n. 18/2020 (rubricato “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”) ha previsto, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto e per un periodo di 60 giorni, indipendentemente dal numero dei dipendenti, il divieto di licenziamento  per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell' art. 3 l. n. 604/1966. Tale periodo di divieto è stato successivamente elevato a 5 mesi dall'art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. Decreto Rilancio) – in vigore dal 19 maggio 2020 – convertito con modificazioni nella l. n. 77/2020,il quale , modificando l'art. 46 d.l. n. 18/2020, ha previsto altresì la sospensione delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all ' art. 7  l. n. 604/1966 ed ha disposto che il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell' art. 3 l. n. 604/1966 possa, in deroga alle previsioni di cui all' art. 18, comma 10, l. n. 300/1970 , revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli artt. da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro. Per i divieti introdotti rispetto ai licenziamenti collettivi, si veda la Formula “Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”.

L'art. 14 del d.l. n. 104/2020 - in vigore dal 15 agosto 2020 - e convertito con modificazioni dalla l. n. 126/2020 - ha preluso  ai datori di lavoro, che non avessero integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 dello stesso decreto n. 104/2020 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'art. 3 del medesimo decreto di agosto 2020, ed indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, della l.n. 604/1966. Il medesimo articolo ha, inoltre, disposto la sospensione delle  procedure di cui all'art. 7 della stessa legge del 1966, propedeutiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 14, comma 2, d.l. n. 104/2020).

Nello stesso periodo, ed alle condizioni suindicate (di cui al comma 1 dell'art. 14 del d.l. n. 104/2020), il citato art. 14 ha inoltre precluso al datore di lavoro l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4,5 e 24 della l.n. 223/1991  disponendo altresì la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto (art. 14, comma 1, d.l. n. 104/2020).

 Ai sensi dell’art. 14, comma 3, introdotto dal d.l. n. 104/2020, conv. in l. n. 126/2020, le preclusioni e le sospensioni di cui ai succitati commi 1 e 2 dell'art. 14 del decreto n. 104/2020 non si applicano:

•           nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'art. 2112 del codice civile;

•           nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. Si precisa che per tali lavoratori sarà comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del D.Lgs. n. 22/2015 (ossia la possibilità di accedere alla NASPI).

Sono, altresì, esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso (art. 14, comma 3, d.l. n. 104/2020).

 L’art. 14, comma 4, del D.l. n. 104 ha previsto la possibilità per il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell'anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della l. n. 604/1966, di revocare, in deroga alle previsioni di cui all'art. 18, comma 10, St. lav., in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, a decorrere dalla data in cui aveva efficacia il licenziamento revocato. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

La disposizione in esame è stata abrogata in sede di conversione del d.l. n. 104 da parte della l. n. 126/2020.

L’art. 12 del cd. Decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020, n, 137, conv. con modific. in l. 18 dicembre 2020, n. 176) ha previsto, al comma 1, che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modific. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di sei settimane, le quali devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021.

Il successivo comma 9 dell’art. 12 del d.l. n. 137/2020 ha disposto la proroga del divieto di licenziamento già previsto dai precedenti e suindicati interventi normativi, confermando per il resto le previsioni già contenute nell'art. 14 del d.l. n. 104/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 126/2020. L’art. 12 infatti ha stabilito che fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della l.n. 223/1991 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

Il comma 10 del citato art. 12 ha previsto che, fino alla stessa data di cui al comma 9, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge.

Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nei casi di cui al comma 3 dell’aRimuovi tuttert. 14 del d.l. n. 104/2020 le (art. 12, comma 11, d.l. n. 137/2020).

Le preclusioni e le sospensioni di cui sopra sono state prorogate sino al 31 marzo 2021 dalla Legge di Bilancio 2021 (art. 1 commi 309, 310 e 311 l. 30 dicembre 2020, n. 178);

Il d.l. 41/2021 (cd. “Decreto Sostegni”), conv. con modif., in l. 21 maggio 2021, n. 69,ha esteso ancora una volta il blocco dei licenziamenti, individuali, per motivi economici, e collettivi sino al 30 giugno 2021 e sino al 31 ottobre 2021.

Il d.l. 25 maggio 2021, n. 73, c.d. Decreto Sostegni-bis, all’art. 40, ha previsto che ai datori di lavoro che, non potendo più utilizzare gli ammortizzatori con causale Covid, facciano ricorso dal 1 luglio 2021 al 31 dicembre 2021 alla CIG o alla CIGS senza pagamento del addizionale, restano preclusi, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966 e le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge del 1966, nonché l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto). Anche il nuovo intervento normativo conferma i casi in cui non opera il divieto di licenziamento (art. 40, comma 5, d.l. n. 73/2021). Con il d.l. 30 giugno 2021, n. 99 (art. 4, commi 2 e ss.), lo sblocco dei licenziamenti dal 1 luglio 2021 è stato escluso sino al 31 ottobre 2021 per le aziende del settore tessile, pelletteria e abbigliamento per le quali è stata prevista la concessione di una specifica cassa integrazione Covid mentre sino al 31 ottobre 2021 l’impianto previsto dal decreto Sostegni non ha subito particolari modifiche per le aziende che fruiscono della Cigd, Fis o Cig Covid. Il d.l. n. 99 ha inoltre previsto un ulteriore trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga per un massimo di 13 settimane fino al 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale; per il periodo di durata della concessione dell’integrazione salariale permane il divieto di licenziamento (art. 40 bis del d.l. n. 73/2021; si veda anche la nota INL n. 5186/2021. L’art. 40 è stato confermato dalla l. n. 106/2021 di conversione del d.l. n. 73/2021, la quale ha anche disposto l’abrogazione del d.l. n. 99/2021.

Alcune ulteriori ipotesi di divieto di licenziamento sono stati previsti dalla Legge di Bilancio per il 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234).

Si veda per approfondimenti la voce “Comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario