Lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (con lavorazione preavviso)

Francesco Rotondi
aggiornato da Alessandra Croce

Inquadramento

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva ovvero da motivazioni di natura organizzativa o legate al regolare funzionamento dell'organizzazione del lavoro. L'art. 7 della l. 15 luglio 1966, n. 604 prevede, nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, della l. n. 300/1970, una procedura ad hoc, con lo scopo di provocare la conciliazione delle parti.

Formula

Egr. Sig./Gent. Sig.ra

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Lettera raccomandata A/R

OGGETTO: LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO (CON PREAVVISO)

Con la presente, Le comunichiamo il Suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

A fondamento della risoluzione v'è .... [1].

Si rende noto che, nostro malgrado, non si è potuto provvedere ad una Sua utile ricollocazione all'interno della nostra organizzazione, essendo risultata mancante una qualsivoglia sistemazione che fosse coerente con il Suo inquadramento contrattuale.

In ragione di quanto previsto dal CCNL applicabile al rapporto, Le è dovuto un preavviso di giorni/mesi .... [2].

In considerazione di ciò, il Suo rapporto di lavoro cessa in data .... [3] (con garanzia di corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso) [4].

Le spettanze di fine rapporto Le saranno regolarmente corrisposte nei consueti tempi tecnici.

La Sua documentazione di lavoro è a disposizione presso i nostri uffici di ....

Distinti saluti.

Luogo e data ....

Firma del datore di lavoro ....

[1]Contestualmente alla comunicazione del recesso (art. 2 della legge n. 604/1966), debbono essere indicate, con sufficiente dettaglio, le ragioni poste a fondamento del licenziamento. Ragioni, che, in base al disposto dell'art. 3 della legge n. 604/1966, debbono essere “inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

[2]Il preavviso è necessario nelle ipotesi di licenziamento disciplinate dall'art. 3 della l. n. 604/1966, in mancanza del quale, spetta al lavoratore un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso, calcolata secondo i criteri indicati dal codice civile all'art. 2121.

[3]Nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato all'esito del procedimento di cui all'art. 7 della legge n. 604/1966, il recesso “produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l'eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva” e“il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato” (art. 1, comma 41, legge 28 giugno 2012, n. 92). Serve, quindi, verificare la decorrenza del periodo di preavviso stabilita dal contratto collettivo applicabile.

[4]Da aggiungere ove intervenga l'esonero dalla prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso.

Il preavviso è necessario nelle ipotesi di licenziamento disciplinate dall'art. 3 della l. n. 604/1966; in mancanza, il lavoratore ha diritto a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che allo stesso sarebbe spettata per il periodo di preavviso, calcolata secondo i criteri indicati dall'art. 2121 c.c.

Commento

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva ovvero da motivazioni di natura organizzativa o legate al regolare funzionamento dell'organizzazione del lavoro (art. 2118 c.c., art. 3 l. n. 604/1966. Si veda Cass. n. 3848/2005).

L'art. 7 l. 15 luglio 1966, n. 604 prevede, nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di cui all'art. 3, seconda parte, della l. n. 604/1966) disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, comma 8, l. n. 300/1970, una procedura ad hoc, con lo scopo di provocare la conciliazione delle parti.

La procedura ha inizio con la comunicazione – precedente il licenziamento, che il datore di lavoro indirizza alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro del luogo nel quale il lavoratore presta la sua opera, trasmessa, per conoscenza, al lavoratore – nella quale il datore di lavoro dichiara l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicando le ragioni che ne sono alla base, oltre che le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato dalla misura espulsiva (si veda la formula “Comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo all'Ispettorato del Lavoro”).

Secondo Corte d'Appello di Catanzaro (App. Catanzaro, 18 novembre 2014), “l'obbligo di specificazione dei motivi di recesso nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo va assolto dal datore di lavoro con la comunicazione di cui all'art. 2, l. n. 604 del 1966, mentre la previa comunicazione di cui all'art. 7, l. n. 604 del 1966, per le finalità deflattive alle quali risponde la procedura stessa, deve contenere i requisiti minimi che consentono al lavoratore e all'organo deputato ad esperire la conciliazione di comprendere, in linea di massima, le ragioni della scelta espulsiva”.

Con riguardo alla specificazione dei motivi, si segnala che il Tribunale di Milano (provvedimento del 27 febbraio 2017 n. 5525) ha chiarito che “specialmente in complessi aziendali di rilevanti dimensioni, la motivazione di un licenziamento per g.m.o. non può essere lasciata ad una giustificazione non specifica, che non renda cioè in particolare la ragione per la quale la crisi o l'operazione riorganizzativa dovrebbe concernere proprio quel lavoratore. Diversamente, una giustificazione fondata sulle sole cicliche crisi dell'impresa come tale, determinerebbe una ragione spendibile per qualunque lavoratore di qualunque reparto, con ciò dando accesso a quella che correttamente la Difesa di parte ricorrente ha definito) un vero recesso ad nutum”.

Nell'ultimo anno ha iniziato ad affermarsi, con carattere di novità, un più marcato orientamento da parte della Suprema Corte di Cassazione, la quale ritenere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non più quale extrema ratio e, quindi connesso ad una situazione di crisi ma, attraverso una esegesi testuale dell'artt. 3 l. n. 604/1966, come anche legittimato da ragioni connesse con una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero collegato alla necessità di un aumento della redditività dell'impresa. A parere della Suprema Corte, non appare pertanto immeritevole considerare utile ad integrare l'ipotesi contemplata dalla norma anche l'obiettivo della salvaguardia della competitività dell'azienda attraverso l'identificazione di modalità di lavoro nonché di fattori della produzione che siano ritenuti i più opportuni dal datore di lavoro (in applicazione dell'art. 41 Cost.) per il raggiungimento dell'indicato obiettivo (cfr.Cass. n. 25201/2016).

La legge prescrive che “la comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta” (art. 7, comma 4, l. n. 604/1966).

Successivamente, e precisamente nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta, l'Ispettorato del lavoro trasmette la convocazione alle parti del rapporto.

L'incontro ha luogo dinanzi alla commissione di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c., in seno al quale le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, da un avvocato o un consulente del lavoro.

Ove sussista un “legittimo e documentato impedimento” del prestatore di lavoro a prendere parte all'incontro, è previsto che la procedura possa essere sospesa per un massimo di quindici giorni (art. 7, comma 9, l. n. 604/1966).

La procedura, nel corso della quale le parti esaminano anche l'eventualità di soluzioni alternative al recesso, deve concludersi entro venti giorni dalla trasmissione della convocazione per l'incontro, “fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo” (art. 7, comma 6, l. n. 604/1966).

Ove il tentativo di conciliazione fallisca e, in ogni caso, decorso il termine perentorio di sette giorni anzidetto, il datore di lavoro può procedere con la comunicazione del licenziamento al lavoratore.

Di regola, il licenziamento produce i suoi effetti dal momento in cui il lavoratore ne viene a conoscenza (si rinvia al Commento alla Formula Lettera di licenziamento per giusta causa). Tuttavia, nelle ipotesi di licenziamento intimato all'esito del procedimento anzidetto, il recesso “produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l'eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva”. “il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato” (art. 1, comma 41, l. 28 giugno 2012, n. 92).

La legge fa salvo l'effetto sospensivo disposto dalle norme del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, ed il caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro (art. 1, comma 41, l. n. 92/2012).

Viceversa, nell'ipotesi in cui la conciliazione abbia esito positivo e contempli la risoluzione consensuale del rapporto, trova applicazione la disciplina della NASPI di cui al d.lgs. n. 22/2015.

Il contegno delle parti in seno alla procedura riveste importanza ai fini del successivo giudizio azionato per il vaglio della legittimità del licenziamento. È previsto, infatti, che la mancata presentazione di una o di entrambe le parti al tentativo di conciliazione venga valutata dal giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. e, pure, che il comportamento complessivo tenuto dalle parti debba essere valutato dal giudice ai fini della determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'art. 18, comma 7, della l. n. 300/1970 e dell'applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in materia di condanna alle spese di giudizio.

La procedura non deve essere azionata nelle ipotesi in cui si tratti di:

- licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'art. 2110 c.c.;

- licenziamenti ed interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'art. 2, comma 34, l. 28 giugno 2012, n. 92 (si tratta dei licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, cui abbiano fatto seguito assunzioni presso altri datori di lavoro in attuazione di clausole sociali e delle interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere) e

- di licenziamenti che rientrano nel campo di applicazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (cfr. art. 7, comma 6, l. n. 604/1966 e art. 3, comma 3, d.lgs. n. 23/2015).

In considerazione dell'emergenza legata alla diffusione del Covid-19, l'art. 46 d.l. n. 18/2020 (rubricato “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”) ha previsto, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto e per un periodo di 60 giorni, indipendentemente dal numero dei dipendenti, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 l. n. 604/1966. Per i divieti introdotti rispetto ai licenziamenti collettivi, si veda la Formula “Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 l. 23 luglio 1991, n. 223”.

L'art. 46  d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, è stato ulteriormente modificato dall'art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. Decreto Rilancio) – in vigore dal 19 maggio 2020 – convertito con modificazioni nella l. n. 77/2020, il quale ha esteso da 60 giorni a 5 mesi la durata del periodo di divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (oltre che per i licenziamenti collettivi, sui quali si veda la Formula “Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 l. 23 luglio 1991, n. 223”) introdotto dal cd. Decreto Cura Italia, prevedendo al contempo anche la sospensione delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all'art. 7 l. n. 604/1966 e disponendo che il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell' art. 3 l. n. 604/1966 possa, in deroga alle previsioni di cui all'art. 18, comma 10, l. n. 300/1970, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli artt. da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

L 'art. 14 del d.l. n. 104/2020 - in vigore dal 15 agosto 2020 - e convertito con modificazioni dalla l. n. 126/2020 - ha precluso ai datori di lavoro, che non avessero integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 dello stesso decreto n. 104/2020 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'art. 3 del medesimo decreto di agosto 2020, (oltre all'avvio delle procedure di cui agli artt. 4,5 e 24 della l.n. 223/1991 e ferma la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 14, comma 1, d.l. n. 104/2020),  indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, della l.n. 604/1966. Il medesimo articolo ha, inoltre, disposto la sospensione delle procedure di cui all'art. 7 della stessa legge del 1966, propedeutiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 14, comma 2, d.l. n. 104/2020).

Nello stesso periodo, ed alle condizioni suindicate (di cui al comma 1 dell'art. 14 del d.l. n. 104/2020), il citato art. 14 ha inoltre precluso al datore di lavoro l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4,5 e 24 della l.n. 223/1991, disponendo  altresì la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto (art. 14, comma 1, d.l. n. 104/2020).

L’art. 12 del cd. Decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020, n, 137, conv. con modific. in l. 18 dicembre 2020, n. 176) ha previsto, al comma 1, che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli artt. da 19 a 22-quinquies del d.l. n. 18/2020, conv. con modific. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di sei settimane, le quali devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021.

Il successivo comma 9 dell’art. 12 del d.l. n. 137/2020 ha disposto la proroga sino al 31 gennaio 2021 del divieto di licenziamento già previsto dai precedenti e suindicati interventi normativi, confermando per il resto le previsioni già contenute nell’art. 14 del d.l. n. 104/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 126/2020.

Le preclusioni e le sospensioni di cui sopra sono state prorogate sino al 31 marzo 2021 dalla Legge di Bilancio 2021 (art. 1 commi 309, 310 e 311 l. 30 dicembre 2020, n. 178). Il d.l. 41/2021 (cd. “Decreto Sostegni”) conv. con modifc. dalla legge 21 maggio 2021, n. 69 ha esteso ancora una volta il blocco dei licenziamenti, individuali e collettivi, per motivi economici, sino al 30 giugno 2021 e sino al 31 ottobre 2021;Il d.l. 25 maggio 2021, n. 73, c.d. Decreto Sostegni-bis, all’art. 40, ha previsto che ai datori di lavoro che, non potendo più utilizzare gli ammortizzatori con causale Covid, facciano ricorso dal 1 luglio 2021 al 31 dicembre 2021 alla CIG o alla CIGS senza pagamento del addizionale, restano preclusi, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966 e le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge del 1966, nonché l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto). Anche il nuovo intervento normativo conferma i casi in cui non opera il divieto di licenziamento (art. 40, comma 5, d.l. n. 73/2021). Con il d.l. 30 giugno 2021, n. 99 (art. 4, commi 2 e ss.), lo sblocco dei licenziamenti dal 1 luglio 2021 è stato escluso sino al 31 ottobre 2021 per le aziende del settore tessile, pelletteria e abbigliamento per le quali è stata prevista la concessione di una specifica cassa integrazione Covid mentre sino al 31 ottobre 2021 l’impianto previsto dal decreto Sostegni non ha subito particolari modifiche per le aziende che fruiscono della Cigd, Fis o Cig Covid. Il d.l. n. 99 ha inoltre previsto un ulteriore trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga per un massimo di 13 settimane fino al 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale; per il periodo di durata della concessione dell’integrazione salariale permane il divieto di licenziamento (art. 40 bis del d.l. n. 73/2021; si veda anche la nota INL n. 5186/2021. L’art. 40 è stato confermato dalla l. n. 106/2021 di conversione del d.l. n. 73/2021, la quale ha anche disposto l’abrogazione del d.l. n. 99/2021.

Alcune ulteriori ipotesi di divieto di licenziamento sono stati previsti dalla Legge di Bilancio per il 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234).

Si veda, per approfondimenti, la Formula “Comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro”.

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