Licenziamento per mancato superamento del periodo di provaInquadramentoIl licenziamento, nella forma individuale, integra un'ipotesi di recesso datoriale dal rapporto di lavoro subordinato, disciplinata dalla legge attraverso norme, dirette a limitarne l'esercizio, che trovano ragione d'essere nelle istanze di tutela del prestatore di lavoro. Le dette disposizioni si applicano con riguardo all'assunzione definitiva che si realizza, in caso di apposizione di un patto di prova al contratto, con il superamento della prova con esito positivo per entrambe le parti. In mancanza, sino alla data di scadenza del periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere senza obbligo di motivazione (salvo che sia prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro) e/o di preavviso. Formula
LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA Egr. Sig./Gent. Sig.ra .... .... .... Lettera raccomandata A/R OGGETTO: LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA Con la presente, siamo spiacenti di doverLe comunicare la risoluzione del Suo rapporto di lavoro per mancato superamento del periodo di prova [1]. Il recesso ha effetto immediato ex art. 2096 c.c. La invitiamo a voler ritirare presso i nostri uffici in .... la Sua documentazione di lavoro. Le competenze maturate saranno a Lei corrisposte unitamente alla retribuzione di .... [2]. Distinti saluti. Luogo e data .... Firma del datore di lavoro .... [1]I motivi dovranno essere specificate ove previsto dal CCNL di riferimento. [2]Indicare il mese CommentoIl comma 3 dell'art. 2096 c.c. prevede che “Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”. È, quindi, consentito il recesso sia al termine sia nel corso della prova, salvo che sia stata fissata dalle parti una durata minima garantita per il patto; in tal caso, infatti, a noma della detta previsione codicistica, la facoltà di recesso potrà essere esercitata solo alla scadenza del termine stabilito. Il recesso non richiede motivazione, né preavviso o indennità; trattasi di principio ribadito ancora recentemente dalla giurisprudenza. “Poiché nel periodo di prova il rapporto di lavoro è liberamente rescindibile, non spetta alcuna indennità di preavviso al lavoratore in caso di licenziamento” (ancora di recente, Trib. Roma, 26 giugno 2017, n. 6211). Lo stesso può essere anche esercitato senza rispetto della forma scritta. Ove richiesta dal contratto collettivo, la motivazione assolve alla funzione di dimostrare che il recesso datoriale è stato determinato da ragioni inerenti specificamente la prova e non è dovuto a ragioni illecite o comunque estranee al rapporto di lavoro e, soprattutto, a forme di carattere discriminatorio. Infatti, il recesso da parte del datore di lavoro, anche se non richiede per legge una motivazione, avendo natura discrezionale, non può comunque fondarsi su un motivo non attinente all'esperimento della prova e/o illecito. Infatti, “La discrezionalità del datore di lavoro nel recedere dal rapporto in prova non è da intendersi assoluta ed insindacabile poiché si esplica nella valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore.“ Il lavoratore può contestare la legittimità del licenziamento quando risulti che non è stata consentita, per inadeguatezza della durata dell'esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato” (Corte Cost. 22 dicembre 1980, n. 189). Il medesimo principio è stato ancora recentemente ribadito dai giudici di legittimità, ad avviso dei quali “Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova” (Cass. n. 1180/2017). Oltre che quando riconducibile ad un motivo illecito (ad esempio perché discriminatorio) o ad una ragione estranea al rapporto di lavoro, il recesso da parte del datore di lavoro può essere dichiarato illegittimo quando la prova non sia stata in concreto esperita, per mancata attribuzione concreta delle mansioni (Cass. n. 1387/2000), per assegnazione a mansioni diverse da quelle previste in contratto (Cass. n. 27310/2005) o per l'inadeguatezza del periodo effettivo di prova (Cass. n. 4979/1987) o ancora quando l'esito della prova sia stato positivo. Incombe sul lavoratore licenziato l'onere di provare che il recesso è stato determinato da motivo illecito o che il rapporto in prova si è svolto in tempi e con modalità inadeguate rispetto alla funzione del patto, da valutarsi sulla base delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. n. 2631/1996). La Suprema Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento per mancato superamento della prova, sul presupposto per cui deve ritenersi invalida l’apposizione del patto per il quale il lavoratore svolge mansioni identiche svolte nei precedenti rapporti di lavoro con il medesimo datore, dovendosi escludere che la diversità dell’ambito territoriale di svolgimento delle mansioni sia tale da giustificare il ricorso a un patto come corrispondente a una finalità apprezzabile e non elusiva di norme cogenti (Cass. ord. n 7984 del 21 aprile 2020). In caso di illegittimità del recesso esercitato dal datore di lavoro, il lavoratore può vedersi riconosciuto il diritto alla prosecuzione del periodo di prova residuo (ove possibile) e il pagamento delle retribuzioni per i giorni residui (Cass. n. 11934/1995). Secondo un diverso orientamento, al lavoratore spetterebbe soltanto il risarcimento del danno patito (Cass. n. 7821/1987). |