Licenziamento per superamento del periodo di comporto

Francesco Rotondi

Inquadramento

In caso di superamento del periodo di comporto e, quindi, di conservazione del posto di lavoro, il datore di lavoro potrà irrogare il provvedimento del licenziamento, nel rispetto del periodo di preavviso. Durante il periodo di comporto, il lavoratore potrà essere licenziato unicamente in caso ricorrano una giusta causa, un giustificato motivo oggettivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o la cessazione totale dell'attività di impresa.

Formula

Lettera raccomandata A.R.

Egr. Sig./Gent.le Sig.ra

....

....

....

OGGETTO: LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

Con la presente, ai sensi dell'art. 3 l. n. 604/1966, Le comunichiamo che stanti le Sue frequenze assenze per malattia nell'arco temporale dal .... al ...., Lei risulta aver superato il periodo di comporto previsto dal CCNL applicato al Suo rapporto di lavoro e pari a ....

Di seguito, viene riportato il dettaglio delle Sue assenze dal servizio a causa di malattia:

.... [1]

In ragione di quanto sopra e avendo Lei esaurito anche il periodo di ferie, come da Sua richiesta [2], nonché il periodo di aspettativa previsto dal CCNL [3] di riferimento, il rapporto di lavoro è da intendersi risolto con effetto dalla scadenza del periodo di preavviso contrattualmente previsto, ossia dalla data del ....

Lei è esonerato/a dal prestare in servizio la Sua attività lavorativa durante il periodo di preavviso.

ComunicandoLe che la Sua documentazione di lavoro è a disposizione e potrà essere da Lei ritirata, presso i nostri uffici in ...., porgiamo distinti saluti.

Luogo e data ....

Firma del datore di lavoro ....

[1]È necessario che siano indicate in modo analitico tutte le assenze per malattia e i periodi di riferimento, come risultanti dai certificati medici, al fine di una corretta verifica del superamento del comporto previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

[2]Da inserire solo ove tale fruizione sia stata richiesta o sia prevista dal CCNL di riferimento.

[3]Anche in questo caso da inserire se previsto.

Commento

Il lavoratore in malattia o in infortunio ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo (cd. di comporto) stabilito dalla legge, dai contratti collettivi o, in mancanza, dagli usi (art. 2110, comma 2, c.c.).

L'arco temporale di riferimento ai fini del calcolo del periodo di comporto è l'anno solare o l'anno di calendario, secondo quanto precisato dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

Durante il detto periodo (la cui durata salvo diversa previsione dei contratti collettivi, è individuata dalla legge (art. 6 r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825) in tre mesi per gli impiegati con anzianità di servizio non superiore a dieci anni e sei mesi per gli impiegati con anzianità di servizio superiore a dieci anni, mentre per la categoria degli operai la durata del periodo medesimo è stabilita dalla contrattazione collettiva, il lavoratore non può essere licenziato, salvo che in ipotesi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o cessazione totale dell'attività di impresa (Cass. n. 2919/2004).

Il detto periodo può essere individuato dal contratto collettivo di riferimento in comporto “secco” – quando il periodo è riferito ad un'unica interrotta malattia (si veda il Commento alla formula “Lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto secco”) – o “per sommatoria” – quando, un dato arco temporale, più malattie frazionate non possono superare un dato periodo di conservazione del posto di lavoro.

I contratti collettivi prevedono periodi più lunghi di conservazione del posto di lavoro in presenza di particolari malattie.

Il periodo in commento, come stabilito dal comma 3 dell'art. 2110 c.c., è computato nell'anzianità di servizio.

Superato il suddetto periodo, il datore di lavoro potrà irrogare il licenziamento per superamento del periodo di comporto (art. 2110 c.c.).

Si segnala una recente pronuncia della Corte d'Appello di Milano, la quale ha ritenuto che, nel calcolo del periodo di assenza per malattia utile al fine della verifica del superamento del periodo di comporto, ciascun mese vada equiparato sempre a 30 giorni (App. Milano, 6 aprile 2017, n. 890).

In giurisprudenza, è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento quando le assenze per malattia possano avere incidenza sulla corretta programmazione della produzione qualificandosi come forma di violazione della diligente collaborazione (Cass. n. 18678/2014).

Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto la congruità del provvedimento sotto il profilo temporale costituisce oggetto di valutazione da parte del Giudice (Cass. n. 10666/2016).

Ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro per violazione dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) il licenziamento è illegittimo, ma incombe sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l'assenza e le mansioni espletate in assenza di adeguati dispositivi prevenzionistici (Cass. n. 7946/2011; Cass. n. 26307/2014).

La Suprema Corte ha ritenuto “illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore del comparto sanità per superamento del periodo di comporto qualora le assenze per malattia siano riconducibili ai postumi traumatici sofferti dal dipendente a seguito di una rapina subita nei locali della struttura ospedaliera dove era tenuto a prestare sorveglianza”. Ad avviso della Corte, in caso di lavoratori esposti a rischio di azioni criminose da parte di terzi, come la rapina, l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare misure dirette a evitare l'esposizione del personale ad episodi di aggressione. Nel caso di specie, poi, la responsabilità del datore è stata ritenuta “ancor più evidente poiché la struttura in questione è stata esposta in passato ad altri episodi simili” (Cass. n. 21901/2016).

E ancora, è stato ritenuto “illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto nel caso in cui la datrice di lavoro sia responsabile nella lesione della salute del dipendente” (Cass. n. 14643/2013. Nella specie, l'assenza per malattia era stata determinata dal mobbing subito dal lavoratore).

Nell'operazione di qualificazione giuridica del recesso per cui si tratta, negli anni si era andato consolidando in giurisprudenza l'orientamento che assimilava il licenziamento per superamento del periodo di comporto al licenziamento per giustificato motivo, piuttosto che al licenziamento disciplinare (Cass. n. 8440/2013).

A seguito dell'entrata in vigore della l. 28 giugno 2012, n. 92 (ossia dal 18 luglio 2012) si è posto il problema della eventuale applicabilità della procedura conciliativa da esperirsi innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro anche nell'ipotesi di provvedimento espulsivo adottato per superamento del periodo di comporto.

Al riguardo, la Circolare del Ministero del Lavoro 16 gennaio 2013, n. 3 ha espressamente escluso la necessità di esperimento della detta procedura anche nell'ipotesi di licenziamento determinato dal superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro.

A valle della detta Circolare, tuttavia, si sono registrati due opposti orientamenti nella Sezione Lavoro del Tribunale di Milano: uno (Trib. Milano, 5 marzo 2013), che escludeva la procedura conciliativa di cui all'art. 7 della l. n. 604/1966 al licenziamento per superamento del periodo di comporto, e l'altro (Trib. Milano, 22 marzo 2013) che invece ne prevedeva l'estensione anche all'ipotesi del superamento del comporto.

A porre fine ad ogni possibile contrasto, è intervenuto il legislatore che, con l'art. 7, comma 4, del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, ha modificato il comma 6 dell'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e successive modificazioni, sostituendolo con la seguente previsione: “La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92”.

Anche sotto il profilo della motivazione del licenziamento si registrano diverse opinioni in giurisprudenza: secondo un orientamento il licenziamento deve essere motivato e quindi riportare i giorni di assenza (Cass. n. 18861/2010). Di diverso avviso, è invece quella parte della giurisprudenza che ritiene che l'indicazione specifica nella lettera di licenziamento delle giornate di assenza non sia necessaria, dovendo le stesse ritenersi conosciute al lavoratore interessato, e quindi ritenendosi sufficiente anche una indicazione meno dettagliata (Cass. n. 916/2011); pur in assenza di un termine per l'irrogazione del provvedimeto espulsivo, si ritiene che il licenziamento per superamento del periodo di comporto debba counque essere intimato tempestivamente.

Tuttavia, “Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza di immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa dell'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative e la cui valutazione non è sindacabile in Cassazione, ove adeguatamente motivata” (Cass. n. 10666/2016).

“La valutazione del tempo decorso tra il superamento del periodo di comporto e l'intimazione del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto, non può risolversi nella mera individuazione del dato cronologico e va condotta con criteri che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro circa l'opportunità della prosecuzione del rapporto. (Nella specie, il datore di lavoro si era trovato in una situazione di incertezza oggettiva sulle cause e sulla natura della malattia, oggetto di lunghi accertamenti e sfociata in una controversia fra il lavoratore e l'Inail)” (Cass. n. 2835/2014).

La Suprema Corte ha altresì chiarito che “Nel caso in cui il datore di lavoro intimi un licenziamento per superamento del periodo di comporto dopo la ripresa dell'attività lavorativa da parte del dipendente, l'allegazione e la prova di circostanze che integrino una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso spetta al lavoratore in quanto fatto estintivo del potere di recesso” (Cass. n. 16392/2017).

Si segnala peraltro come l'inerzia prolungata del datore di lavoro, anche accompagnata da comportamenti incompatibili con la volontà di far cessare il rapporto, sia stata ritenuta assimilabile a rinuncia (Cass. n. 11342/2010).

Il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto ha diritto al preavviso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario