Comunicazione di avvio della procedura di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 l. 23 luglio 1991, n. 223

Francesco Rotondi
aggiornato da Alessandra Croce

Inquadramento

Il licenziamento, nella forma collettiva, si realizza quando vengano effettuati, da parte di un'impresa che occupi più di 15 dipendenti, almeno 5 licenziamenti, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito della stessa Provincia, nell'arco di 120 giorni, a seguito di una riduzione, di una trasformazione dell'attività o del lavoro, o della cessazione dell'attività. È previsto il rispetto di una specifica procedura che si articola in una fase cd. sindacale ed una eventuale cd. amministrativa.

Formula

Impresa ....

Via .... n. ....

CAP e città ....

C.F. e P. I. n. ....

Luogo e data

Raccomandata A/R

Anticipata va ai fax ai n ....

Spettabili

.... [1]

OGGETTO: COMUNICAZIONE DI AVVIO DELLA PROCEDURA DI MOBILITÀ AI SENSI DELLA LEGGE 23 LUGLIO 1991, N. 223 ART. 4 E ART. 24

Ai sensi e per gli effetti della legge 23 luglio 1991, n. 223 art. 4, come richiamato dall'art. 24, comma 1, della medesima Legge, Vi informiamo che la scrivente azienda si trova nella necessità di avviare la procedura di mobilità per la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro con n. .... lavoratori su un totale di complessivi .... lavoratori, dislocati nelle unità produttive di .... ....

La scrivente opera nel settore .... e applica il CCNL ....

I motivi che determinano la situazione di eccedenza sono i seguenti: ....

Allo stato non si ritiene di poter adottare diverse misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione di crisi e ad evitare, neppure parzialmente, il ricorso alla procedura di licenziamento collettivo.

Infatti .... [2].

Il personale considerato eccedente è il seguente: .... [3].

Si prevede che i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale siano i seguenti: ....

La scrivente azienda ha predisposto le seguenti misure per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma sopra delineato: .... [4]

.... [5].

Luogo e data  ....

Firma del datore di lavoro  ....

[1]Indicare quali destinatari le RSA/RSU, i CAE se presenti, Associazioni Sindacali di categoria, Regione sede competente e/o Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

[2]Indicare i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio all'eccedenza ed evitare il ricorso alla procedura in esame.

[3]Indicare il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato, anche mediante rinvio a documento da allegare alla comunicazione.

[4]Indicare anche il metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva applicabile.

[5]A decorrere dal 1° gennaio 2017 è stata abrogata la disciplina sull'indennità di mobilità; la NaspI è quindi l'unico strumento a sostegno del reddito dei lavoratori che abbiano incolpevolmente perso il lavoro. Con pari decorrenza è stato abrogato il cd. contributo d'ingresso, sostituito dal contributo di recesso.

Commento

Nozione e ambito di applicazione

La nozione di licenziamento collettivo e la specifica procedura sindacale preventiva sono disciplinate dalla l. n. 223/1991; modifiche alla detta procedura e alcuni correttivi alle conseguenze derivanti in caso di violazione sono stati introdotti dapprima con la l. n. 92/2012 e, successivamente, con il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23.

In conformità alla l. n. 223/1991 sono tenuti al rispetto della procedura di licenziamento collettivo prevista dalla stessa legge i datori di lavoro che occupino (nell'impresa nel suo complesso e non nella singola unità produttiva interessata) più di 15 dipendenti e che, a causa di una riduzione, di una trasformazione o della cessazione dell'attività aziendale, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni in un'unica unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia. Le cause individuate dalla legge in esame sono, quindi, la riduzione o trasformazione dell'attività o del lavoro e la cessazione dell'attività.

La disciplina in esame si applica ai datori di lavoro imprenditori, compresi i dirigenti (ancorché con alcune peculiarità), gli artigiani, le cooperative di produzione e lavoro e le imprese di navigazione che occupino più di 15 dipendenti e, alle medesime condizioni, ai privati non imprenditori; mentre non trova applicazione rispetto alle scadenze dei contratti a termine, nelle ipotesi di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie.

Per il calcolo del numero dei dipendenti, occorre aver riguardo all'intera impresa e non solo all'unità produttiva ovvero all'ambito provinciale interessato alla procedura; il riferimento è, inoltre, all'occupazione media nel semestre precedente l'avvio della procedura ovvero, ancora, alla “normale occupazione”.

Oltre ai lavoratori in forza a tempo indeterminato, nel computo si deve considerare anche il numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro (art. 27, d.lgs. n. 81/2015).

I lavoratori assunti a tempo parziale sono computati pro quota, in ragione dell'orario di lavoro effettivamente svolto (“l'arrotondamento opera per le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno” – art. 9, d.lgs. n. 81/2015).

Ai sensi dell'art. 18, del d.lgs. n. 81/2015, i lavoratori assunti con contratto di lavoro intermittente sono inclusi nel computo, in proporzione all'orario di lavoro svolto nell'arco di ciascun semestre.

Sono esclusi dal computo gli apprendisti (art. 47, comma 3, d.lgs. n. 81/2015) e i lavoratori in somministrazione (art. 34, comma 3, d.lgs. n. 81/2015).

Per espressa disposizione legislativa (art. 4, comma 9, l. n. 223/1991) e sino a pochi anni orsono, la disciplina in materia di riduzione del personale aveva quali destinatari unicamente gli operai, gli impiegati e i quadri.

Per effetto dell'intervento della Corte di Giustizia UE, la quale con decisione 13 febbraio 2014, C 596/12 ha dichiarato l'inadempienza dell'Italia agli obblighi di cui alla direttiva 98/59/CE in materia di licenziamenti collettivi, per contrasto della disciplina di legge nazionale (artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991) con i principi di cui all'art. 1, paragrafi 1 e 2 della Direttiva con la legge n. 161/2014, con una modifica diretta all'art. 24 della l. n. 223/1991 sono stati inclusi tra le categorie di lavoratori destinatari anche i dirigenti (art. 24, comma 1-quinquies, l. n. 223/1991).

Accanto all'ipotesi di licenziamento collettivo per “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” di cui all'art. 24, la l. n. 223/1991 all'art. 4 individua anche quella di riduzione del personale al termine del periodo di CIGS.

In quest'ultimo caso, la procedura dovrebbe essere attivata indipendentemente dal numero di lavoratori da licenziare e dal periodo in cui i licenziamenti vengono effettuati. In considerazione del tenore letterale dell'art. 4 della L.n. 22371991, la procedura potrà essere attivata quando l'impresa “ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative”, e solo in quel caso, costituendo il ricorso ai licenziamenti collettivi l'estrema ratio.

Qualora non sussistano i presupposti per l'applicazione della procedura di cui alla l. n. 223/1991, il licenziamento per ragioni organizzative ed economiche sarà considerato licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo.

La Suprema Corte, con ordinanza del 20 luglio 2020, n. 15401 ha ritenuto che, alla luce di una corretta interpretazione dell'art. 1, paragrafo 1, comma 1, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo. Quindi, secondo la Corte, superando il precedente orientamento sul punto, non può essere esclusa la rilevanza (come invece operato dalla Corte territoriale), ai fini del computo dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo di «alcune risoluzioni consensuali “derivanti” dalla mancata accettazione di un trasferimento».

In senso contrario si è di recente espressa la Suprema Corte con la sentenza Cass.  n. 15118 /2021.

La procedura di licenziamento collettivo

La procedura di licenziamento collettivo consta di due fasi, una cd. sindacale ed una cd. amministrativa.

La procedura è avviata (come previsto dall'art. 4, comma 2, della l. n. 223/1991) con la comunicazione preventiva effettuata per iscritto alle RSA o alle RSU, se costituite, ed alle rispettive associazioni di categoria o, in mancanza di organismi rappresentativi a livello aziendale, alle organizzazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; la Suprema Corte di Cassazione ha affermato l'illegittimità di una comunicazione solo a livello territoriale, in assenza di RSA o RSU – Cass. n. 17234/2016).

Non è previsto nessun obbligo di informazione nei confronti dei lavoratori.

La comunicazione di avvio della procedura deve avere forma scritta e deve contenere:

- i motivi che determinano la situazione di eccedenza;

- i motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità;

- la specificazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato (si vedano Cass. n. 22914/2015 e Cass. n. 19457/2015);

- i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale;

- le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo;

- il metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

Copia della comunicazione deve essere inviata all'Ufficio (Regionale e Provinciale) del Lavoro competente in cui è ubicata la sede dell'azienda interessata dalla procedura, ove l'eccedenza riguardi unità produttive ubicate nella medesima Provincia in diverse Province della stessa Regione; tale competenza deve essere coordinata con la previsione del riordino dell'attività ispettiva contenuta nel d.lgs. n. 150/2015. Ove le eccedenze riguardino unità produttive ubicate in diverse Regioni, la competenza spetta al Ministero, al quale la comunicazione di apertura della procedura deve essere inviata.

La funzione della comunicazione di avvio è quella di assicurare agli interlocutori una conoscenza esauriente della situazione.

Ricevuta la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo, ed entro 7 giorni dal ricevimento della stessa, le RSA (o RSU) e le associazioni di categoria possono richiedere un incontro al fine di esaminare le cause che hanno determinato l'eccedenza del personale e valutare un diverso utilizzo del personale eccedente, o di una parte di esso.

Si apre, così, la fase cd. sindacale della procedura.

La procedura di esame congiunto deve esaurirsi entro 45 giorni che decorrono dal ricevimento della comunicazione dell'impresa; tale termine è ridotto alla metà nel caso nel caso in cui il numero dei lavoratori coinvolti dal licenziamento sia inferiore a 10.

Qualora la procedura si concluda con un accordo, quest'ultimo può prevedere (i) strumenti per affrontare, in tutto o in parte, l'esubero, tra cui il ricorso a strumenti diversi dal licenziamento, quali il ricorso alla CIGS o ai contratti di solidarietà, (ii) l'assegnazione dei lavoratori eccedenti a mansioni diverse da quelle svolte, (iii) disciplinare il comando o il distacco di uno o più lavoratori, (iv) prevedere criteri di scelta diversi od ulteriori rispetto a quelli legali indicati dall'art. 5 l. n. 223/1991 e anche (v) un termine più lungo rispetto ai 120 giorni per il licenziamento dei lavoratori in esubero.

L'impresa ha l'obbligo di comunicare in forma scritta all'Ufficio del Lavoro l'esito della consultazione.

In caso di mancato accordo, ovvero in caso di mancato espletamento dell'esame congiunto ove non richiesto dalle associazioni sindacali, l'impresa ha l'obbligo di comunicare per iscritto all'Ufficio del Lavoro l'esito negativo della consultazione, precisando i motivi che hanno impedito di raggiungere l'accordo. In tale ipotesi, si dà avvio alla fase c.d. amministrativa della procedura e l'Ufficio Regionale del Lavoro o il Ministero (a seconda della competenza in considerazione dell'estensione delle unità produttive interessate ad una sola Regione o a più Regioni) deve convocare le parti allo scopo di promuovere ulteriormente l'esame delle materie oggetto di consultazione, formulando proposte tese al raggiungimento dell'accordo.

Questa ulteriore fase di consultazione non può avere una durata superiore a 30 giorni, decorsi i quali, anche in assenza di accordo, la procedura potrà considerarsi conclusa ed il datore di lavoro potrà intimare i licenziamenti previsti. Anche in questo caso, i termini sono ridotti alla metà qualora i lavoratori interessati dal licenziamento siano meno di 10.

Raggiunto l'accordo, o comunque al termine della procedura, l'impresa ha 120 giorni di tempo per comunicare il licenziamento nel rispetto dei termini del periodo di preavviso, facendo applicazione dei criteri di scelta individuati nell'accordo sindacale o, in mancanza, dei criteri di legge.

Il termine di 120 giorni decorre dalla conclusione della procedura di licenziamento collettivo, salvo che l'accordo sindacale stabilisca una diversa decorrenza (art. 8, comma 4, d.l. n. 148/1993, conv. in l. n. 236/1993).

In caso di accordo, i criteri vengono concordati con i sindacati sulla base delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

Con riguardo alle imprese in stato di liquidazione giudiziale, fermi i requisiti numerici e temporali prescritti, Si applicano le disposizioni di cui all'art. 189, comma 6, d.lgs. n. 14/2019 (anche ai datori di lavoro non imprenditori in stato di liquidazione giudiziale ex art. 368, comma 3, del medesimo decreto del 2019; si veda anche il comma 1 dello stesso art. 368.

Il comma 1 dell'art. 5, l. n. 223/1991 precisa che l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire “in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale” nel rispetto dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva posta in essere con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2, ossia le RSA/RSU e le rispettive associazioni di categoria e, in mancanza delle predette rappresentanze, le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

In assenza di un accordo sindacale l'art. 5, l. n. 223/1991 prevede l'applicazione, dei seguenti criteri:

- carichi di famiglia (da individuarsi in ragione della spettanza al lavoratore degli assegni familiari; la prova della sussistenza dei carichi di famiglia deriva dall'obbligo di sostenere i propri congiunti, di cui agli artt. 143, 147 e 148 c.c., ed implica un accertamento effettivo della situazione familiare del lavoratore);

- anzianità (da intendersi, secondo la prevalente giurisprudenza, nel senso di anzianità di servizio del lavoratore);

- esigenze tecnico-produttive ed organizzative (determinate in base ad elementi oggettivi e non fondati su una valutazione arbitraria dell'impresa).

Tali criteri si applicano solo in mancanza di quelli di fonte contrattuale; essi devono essere applicati in concorso tra loro.

L'impresa può attribuire prevalenza ad uno o a due criteri solo per comprovate ragioni che devono essere dedotte.

L'individuazione, in sede di accordo sindacale, e comunque l'applicazione dei criteri di scelta deve avvenire secondo i principi di correttezza, buona fede e non discriminazione.

Entro il termine di 7 giorni dall'invio della comunicazione dei licenziamenti (e, per effetto della modifica di cui all'art. 1, comma 44, l. n. 92/2012 non più “contestualmente” alla comunicazione di recesso diretta ai singoli lavoratori coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo), inoltre, l'impresa dovrà comunicare all'Ufficio Regionale del Lavoro, alla Commissione Regionale per l'Impiego e alle associazioni di categoria, di cui al comma 2 dell'art. 4 l. n. 223/1991, l'elenco dei lavoratori licenziati con indicazione, per ciascuno di essi di:

- nominativo;

- residenza;

- età;

- qualifica e inquadramento;

- carichi di famiglia;

- modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta.

La comunicazione della chiusura della procedura di licenziamento collettivo deve essere inviata anche all'INPS.

“In ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione di attività d'impresa, la violazione del termine di sette giorni per le comunicazioni di cui all'art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991, introdotto dall'art. 1, comma 44, l. n. 92 del 2012, determina l'illegittimità del licenziamento e la sanzione del pagamento dell'indennità risarcitoria, per effetto dell'espresso richiamo dell'art. 24 della predetta legge all'art. 4 citato, operato al fine di consentire il controllo sindacale sull'effettività della scelta datoriale” (Cass. n. 23736/2016).

I lavoratori licenziati hanno diritto di precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei mesi (art. 15, comma 6, l. n. 264/1949, come modificato dal comma 4 dell'art. 6 d.lgs. n. 297/2002, richiamato dal comma 1 dell'art. 8 l. n. 223/1991).

Il regime sanzionatorio

Nell'attuale quadro normativo, che vede l'art. 5, comma 3, l. n. 223/1991 riscritto integralmente dall'art. 1, comma 46 l. n. 92/2012 e tenuto conto del testo dell'art. 18 St. Lav, come novellato dalla Riforma Fornero, nei casi in cui sia applicabile tale norma (appunto l'art. 18 l. n. 300/1970) e per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 saranno prospettabili le seguenti conseguenze, a seconda del vizio riscontrato:

- in caso di inosservanza della forma scritta del licenziamento, la conseguenza sarà (art. 18, comma 1, St. Lav.) la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore stesso, di un'indennità risarcitoria, commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione; tale indennità non può essere inferiore a 5 mensilità e da essa viene dedotto l'aliunde perceptum. Il tutto oltre alla relativa contribuzione previdenziale.

Nel caso di violazione della procedura di cui all'art. 4, comma 12, l. n. 223/1991 e nonché di violazione delle procedure di cui all'art. 189, comma 6, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 del codice della crisi e dell'insolvenza (art. 368, comma 1,  d.lgs. 14/2019, con decorrenza dal 1° settembre 2021 ex art. 389, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 14/2019, come sostituito dall'art. 5, comma 1, d.l. n. 23/2020, il giudice (in forza dell'art. 18, comma 7, terzo periodo, l. n. 300/1970) dichiara risolto il rapporto al momento del recesso e condanna il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un'indennità risarcitoria onnicomprensiva individuata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;

- in caso di violazione dei criteri di scelta (legali o convenzionali), troverà applicazione il regime di cui al comma 4 dell'art. 18 Stat. lav.; il datore di lavoro sarà tenuto alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ed alla corresponsione, in favore dello steso, di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione; tale importo non potrà essere superiore a 12 mensilità e da esso dovrà essere dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum. Il tutto oltre alla relativa contribuzione previdenziale.

Per i dirigenti, sia in caso di violazione della procedura sia di violazione dei criteri di scelta, la conseguenza sarà unica, ossia la condanna del datore di lavoro alla corresponsione di “un'indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla gravità della violazione, fatte salve le diverse previsioni eventualmente contenute nei contratti collettivi” (art. 24, comma 1-quinquies, l. n. 223/1991).

Nelle ipotesi (intimazione orale del licenziamento e violazione dei criteri di scelta) di illegittimità del provvedimento datoriale di recesso sanzionato con la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore, quest'ultimo potrà optare, in luogo della reintegrazione, per il pagamento dell'indennità sostitutiva (non soggetta a contribuzione previdenziale) pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Per i dipendenti assunti a decorrere dal 7 marzo 2015 troverà applicazione la tutela prevista dall'art. 10 d.lgs. n. 23/2015. Occorre precisare che ai sensi dell'art. 1, comma 3, la tutela prevista dalla novella del 2015 è applicabile a tutti i lavoratori, anche assunti precedentemente al marzo 2015, delle aziende che integrino il requisito dei 15 dipendenti a seguito di nuove assunzioni effettuate successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015 (art. 1, d.lgs. n. 23/2015).

Per tali lavoratori rientranti nel campo di applicazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti il legislatore ha previsto due differenti ipotesi sanzionatorie in materia di licenziamento collettivo:

a) Il licenziamento privo della forma scritta determina l'applicazione delle conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui all'art. 2 d.lgs. n. 23/2015, ossia la reintegrazione nel posto di lavoro (sostituibile a scelta del dipendente con una indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto non soggetta a contribuzione) e la condanna del datore al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo intercorrente dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il tutto oltre alla relativa contribuzione previdenziale ed assistenziale.

b) In caso di violazione delle procedure di cui all'art. 4, comma 12, ovvero dei criteri di scelta di cui all'art. 5, comma 1, l. n. 223/1991, l'illegittimità del licenziamento viene sanzionata ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 che prevede che il datore di lavoro venga condannato al pagamento di un'indennità risarcitoria, al netto di contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di anzianità di servizio, ed in ogni caso non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.

Divieto di licenziamento in emergenza

Si evidenzia che, in considerazione dell'emergenza legata alla diffusione del Covid-19, il d.l. n. 18/2020, all'art. 46 (rubricato “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”) ha precluso, a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto e per un periodo di 60 giorni, l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24, l. n. 223/1991; nel medesimo periodo sono state, inoltre, sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020 (per il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 l. n. 604/1966 si vedano le Formule “Comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla sede territoriale dell'Ispettorato del Lavoro” e “Lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo” .

In sede di conversione, la l. 24 aprile 2020, n. 27 ha modificato la rubrica dell'art. 46 del decreto citato (sostituita dalla seguente: “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”) ed ha espressamente fatto salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto.

L'art. 46 d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, è stato ulteriormente modificato dall'art. 80 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. Decreto Rilancio) – in vigore dal 19 maggio 2020   e convertito con modificazioni nella l. n. 77/2020 – il quale ha esteso da 60 giorni a 5 mesi la durata dei divieti di licenziamento introdotti dal cd. Decreto Cura Italia.

L 'art. 14 d.l. n. 104/2020 - in vigore dal 15 agosto 2020 e convertito con modificazioni dalla l. n. 126/2020 - ha precluso  ai datori di lavoro che non avessero integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all'art. 1 dello stesso decreto n. 104/2020 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'art. 3 del medesimo decreto di agosto 2020,  l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 l. n. 223/1991 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto (art. 14, comma 1, d.l. n. 104/2020).

Alle suindicate condizioni, il citato art. 14 ha  inoltre precluso, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, l. n. 604/1966, disponendo, altresì, la sospensione delle procedure di cui all'art. 7 della stessa legge del 1966, propedeutiche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 14, comma 2, d.l. n. 104/2020).

Ai sensi dell'art. 14, comma 3, introdotto dal d.l. n. 104/2020, conv. in l. n. 126/2020, l e preclusioni e le sospensioni di cui ai succitati commi 1 e 2 dell'art. 14 del decreto n. 104/2020 non si applicano:

•           nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'art. 2112 del codice civile;

•           nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. Si precisa che per tali lavoratori sarà comunque riconosciuto il trattamento di cui all'art. 1 d.lgs. n. 22/2015 (ossia la possibilità di accedere alla NASPI).

Sono, altresì, esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso (art. 14, comma 3, d.l. n 104/2020).

L'art. 12 del cd. Decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020, n, 137, conv. con modific. in l. 18 dicembre 2020, n. 176) ha previsto, al comma 1, che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli artt. da 19 a 22-quinquies d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif. dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di sei settimane, le quali devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021.

Il successivo comma 9 dell'art. 12 d.l. n. 137/2020 ha disposto la proroga sino al 31 gennaio 2021 del divieto di licenziamento già previsto dai precedenti e suindicati interventi normativi, confermando per il resto le previsioni già contnute nell'art. 14 d.l. n. 104/2020, come modificato dalla legge di conversione n. 126/2020. L'art. 12 infatti ha stabilito che fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4,5 e 24 l. n. 223/1991 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

Il comma 10 prevede che, fino alla stessa data di cui al comma 9, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 l. 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge.

Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nei casi di cui al comma 3 dell'art. 14 d.l. n. 104/2020 (art. 12, comma 11, d.l. n. 137/2020).

Le preclusioni e le sospensioni di cui sopra sono state prorogate sino al 31 marzo 2021 dalla Legge di Bilancio 2021 (art. 1 commi 309, 310 e 311 l. 30 dicembre 2020, n. 178). 

Il d.l. 41/2021 (cd. “Decreto Sostegni”), conv. con modif. in l. 21 maggio 2021, n. 69, ha esteso ancora una volta il blocco dei licenziamenti, individuali e collettivi, per motivi economici, sino al 30 giugno 2021 e sino al 31 ottobre 2021.

Il d.l. 25 maggio 2021, n. 73, c.d. Decreto Sostegni-bis, all’art. 40, ha previsto che ai datori di lavoro che, non potendo più utilizzare gli ammortizzatori con causale Covid, facciano ricorso dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 alla CIG o alla CIGS senza pagamento del addizionale, restano preclusi, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966 e le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge del 1966, nonché l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto). Anche il nuovo intervento normativo conferma i casi in cui non opera il divieto di licenziamento (art. 40, comma 5, d.l. n. 73/2021). Con il d.l. 30 giugno 2021, n. 99 (art. 4, commi 2 e ss.), lo sblocco dei licenziamenti dal 1 luglio 2021 è stato escluso sino al 31 ottobre 2021 per le aziende del settore tessile, pelletteria e abbigliamento per le quali è stata prevista la concessione di una specifica cassa integrazione Covid mentre sino al 31 ottobre 2021 l’impianto previsto dal decreto Sostegni non ha subito particolari modifiche per le aziende che fruiscono della Cigd, Fis o Cig Covid. Il d.l. n. 99 ha inoltre previsto un ulteriore trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga per un massimo di 13 settimane fino al 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale; per il periodo di durata della concessione dell’integrazione salariale permane il divieto di licenziamento (art. 40-bis del d.l. n. 73/2021; si veda anche la nota INL n. 5186/2021. L’art. 40 è stato confermato dalla l. n. 106/2021 di conversione del d.l. n. 73/2021, la quale ha anche disposto l’abrogazione del d.l. n. 99/2021.

Alcune ulteriori ipotesi di divieto di licenziamento sono stati previsti dalla Legge di Bilancio per il 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234).

Si veda per approfondimenti la voce “Accordo sindacale ex art. 4, legge n. 223/1991”.

 

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