Sostituzione di persona e accesso abusivo a sistema informatico. Deduzioni tecniche e criteri di valutazione della prova

21 Giugno 2018

La questione posta dal ricorrente alla Suprema Corte riguardava la ritenuta insufficiente o illogica motivazione della sentenza di appello che invece di esaminare i motivi di appello, vertenti sulla attribuibilità soggettiva delle condotte di sostituzione di persona e di accesso abusivo ai profili Facebook, profili tutelati da ulteriori credenziali identificative, con la possibilità di delineare una vera e propria sostituzione di ...
Massima

In caso di condotta di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona su Facebook, può essere sufficiente alla condanna la mera sussistenza di specifiche deduzioni tecniche quali la verifica dell'indirizzo Ip associato al computer dal quale sono stati fatti gli accessi, anche in mancanza di ulteriori elementi tecnici individualizzanti, qualora non sia carente la relativa motivazione del giudice di merito.

Il caso

La Corte d'appello di Milano confermava la decisione del tribunale di Monza con la quale l'imputato veniva condannato, a seguito di scelta del rito abbreviato, per il reato di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona (art. 615-ter c.p.). L'imputato interponeva ricorso per Cassazione lamentando che la sentenza di secondo grado non avesse adeguatamente valutato i motivi di appello presentati, tutti centrati sulla censura secondo cui la sentenza di primo grado aveva ritenuto sufficiente all'identificazione dell'autore della condotta illecita, mere deduzioni tecniche basate sull'accoppiamento tra l'indirizzo IP utilizzato per le connessioni incriminate e l'utenza telefonica del domicilio dell'imputato e non anche in presenza di ulteriori elementi tecnici individualizzanti, come l'accertamento delle ulteriori credenziali identificative.

La questione

La questione posta dal ricorrente alla Suprema Corte riguardava la ritenuta insufficiente o illogica motivazione della sentenza di appello che invece di esaminare i motivi di appello, vertenti sulla attribuibilità soggettiva delle condotte di sostituzione di persona e di accesso abusivo ai profili Facebook, profili tutelati da ulteriori credenziali identificative, con la possibilità di delineare una vera e propria sostituzione di identità digitale, si era limitata a ripercorrere l'iter motivazionale della sentenza di primo grado, senza ritenere necessari approfondimenti tecnici ulteriori.

In particolare, l'obiezione avanzata in appello dal ricorrente verteva sulla insufficienza, ai fini della condanna, per i reati di sostituzione di persona su Facebook e accesso abusivo a sistema informatico, delle mere considerazioni tecniche in materia di associazione tra l'Internet Protocol rilevato e l'utente/proprietario del sistema.

L'osservazione alla base della doglianza del ricorrente è in sé corretta, logica e ben consolidata nella giurisprudenza di merito e di legittimità: l'indirizzo Ip, codice numerico che identifica univocamente un dispositivo – host – collegato a una rete informatica che utilizza come protocollo di rete l'Internet Protocol, viene assegnato ad una interfaccia che a sua volta identifica il device (personal computer, palmare, smartphone, router o altro dispositivo) che vi si connette.

La logica, parziale, deduzione è che l'indirizzo Ip identifica oggettivamente il dispositivo elettronico associato, laddove l'identificazione del soggetto realmente operante attraverso il suddetto dispositivo, richiede ovviamente ulteriori indagini di tipo tecnico o logico.

Tuttavia la questione generale, posta dal ricorrente, in merito alle questioni in tema di attribuibilità oltre ragionevole dubbio di condotte illecite consumate mediante accesso alla rete internet attraverso una postazione informatica, sebbene di ampio respiro e sicuramente implicante il più ampio profilo della definizione dell'identità digitale, non è di per sé in quanto tale trasponibile alla valutazione della Suprema Corte, bensì solo attraverso l'esame del percorso motivazionale della Corte d'appello censurata.

Le soluzioni giuridiche

In altri termini, non esiste una soluzione univoca alla questione della piena prova della riferibilità a un soggetto determinato delle condotte in questione, laddove essa può essere fornita tanto da specifici accertamenti tecnici che, come osserva il Collegio, delineano una sorta di “mappatura genetica digitale” delle connessioni alla rete attraverso un dispositivo ma anche attraverso elementi dimostrativi diversi dall'accertamento tecnico, purché rispondenti allo standard declinato dall'art. 192, comma 2, c.p.p.

È proprio sotto la lente di questa osservazione che le censure del ricorrente non sono fondate, a parere della Suprema Corte.

La Cassazione evidenzia come non risulti affatto una carenza motivazionale della sentenza impugnata sotto questo profilo, in quanto la Corte d'appello aveva individuato correttamente il punto lamentato dall'appellante e lo aveva esaminato ritenendolo non fondato alla luce dei principi di valutazione della prova logica, applicati agli elementi del caso in questione. In particolare, evidenziava la Corte territoriale, come sia stato il complesso degli elementi indiziari acquisiti agli atti in sede di giudizio abbreviato a sostenere la decisione del giudice di primo grado nel senso della condanna: l'imputato era stato individuato come esclusivo usuario del personal computer collegato all'indirizzo Ip, alla luce delle dichiarazioni dell'intestatario dell'utenza, congiunto convivente dello stesso. E d'altro canto non era stata avanzata né emergeva dagli elementi indiziari agli atti, alcuna osservazione dubitativa in merito alla possibilità che l'indirizzo IP associato all'utenza domestica potesse essere stato utilizzato da terze persone in seguito ad un accesso abusivo alla rete stessa ovvero ad una connessione abusiva dal router wi-fi in uso all'imputato. Peraltro, osservava la corte d'appello, l'imputato non aveva nemmeno condizionato, cosa teoricamente possibile, la scelta del rito abbreviato all'acquisizione di quegli ulteriori accertamenti tecnici la cui mancanza censurava poi nell'appello come carenza insanabile del quadro probatorio ricostruito dal giudice di primo grado.

Ne deriva, dunque, secondo la Suprema Corte, un percorso motivazionale solido e ben argomentato a fondamento della sentenza di appello che, in tal senso, ripercorre la motivazione della sentenza di primo grado. E se, come ribadisce la Corte, è pacifico che il giudice di legittimità si deve “«limitare a verificare se la motivazione del giudice di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito» non potendo in alcun modo operare una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e neppure adottare autonomamente nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, per quanto ritenuti più plausibili, allora nessuno spazio residua per le osservazioni del ricorrente. Conseguentemente il ricorso veniva dichiarato inammissibile perché infondato.

Osservazioni

Insomma, come ribadisce la Corte, la mancanza dell'accertamento di ulteriori credenziali identificative, lamentata dal ricorrente, già proposta in appello ed esclusa dal giudice di secondo grado sulla base della ritenuta sufficienza del quadro probatorio posto a base della sentenza di primo grado, non trova alcuno spazio di esame nel giudizio di legittimità ove non si riverberi in una carenza del percorso logico motivazionale del giudice di appello. Manca in effetti, nel percorso argomentativo del ricorrente, un riferimento esplicito ad un riesame sostanziale del contesto probatorio sulla base del quale è stato condannato l'imputato, ed in virtù della ritenuta maggiore plausibilità del contesto che sarebbe comunque emerso dagli accertamenti tecnici prospettati. Tuttavia è evidente che è proprio questo che il ricorrente chiederebbe di poter dimostrare, la maggiore attendibilità probatoria di una diversa ricostruzione basata su prove differenti, laddove già il tribunale e poi la Corte d'appello avevano ritenuto sufficiente il quadro probatorio acquisito agli atti, sulla base dei consolidati principi di valutazione della prova logica, puntualmente applicati al caso concreto ed agli elementi indiziari acquisiti.

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