La forma dell'atto di appello

21 Giugno 2018

Le Sezioni Unite hanno, con la pronuncia n. 27199/2017, stabilito che, alla luce della nuova formulazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., l'appellante, pur non dovendo redigere un progetto alternativo di decisione, debba, a pena di inammissibilità del gravame, chiaramente individuare le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata, in una alle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Inquadramento

Il principio del doppio grado di giurisdizione non vanta copertura costituzionale, né si atteggia a criterio strutturale imprescindibile.

In quest'ottica si spiega il dettato dell'art. 342 c.p.c., che alla luce del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella l. 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto che l'appello debba essere motivato e che la ‘motivazione' debba, a pena di inammissibilità, contenere l'indicazione delle parti del provvedimento oggetto di gravame, delle censure in fatto, attraverso l'esposizione della ricostruzione fattuale alternativa a quella compiuta dal primo giudice, e di quelle in diritto, con la specificazione della rilevanza di queste ultime ai fini della decisione impugnata.

Chiara essendo la ratio, che riposa su evidenti ragioni deflattive, non sono apparse univoche le modalità con cui debba essere concretamente redatto l'atto di gravame.

Ad una più radicale impostazione secondo cui, all'esito della nuova formulazione del disposto, l'appellante dovesse ‘farsi giudice', confezionando un progetto alternativo di decisione, nel contesto di un gravame a sostanziale ‘critica vincolata', si sono contrapposte più temperate tesi, che, pur avallando la necessaria compresenza – nell'atto di gravame – di una manifestazione volitiva e di una parte argomentativa, di confutazione delle ragioni addotte dal primo giudice, hanno escluso la doverosità di formule sacramentali: l'appello civile non avrebbe, dunque, subito mutazioni genetiche, né si atteggerebbe ad una sorta di anticipato ricorso per cassazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite n. 27199/2017

Nella materia è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite n. 27199/2017, che ha avallato la più moderata impostazione cui si è fatto cenno.

Dopo aver puntualmente ripercorso il tracciato giurisprudenziale antecedente la novella del 2012 (v., in particolare, Cass. civ., Sez. Un., 6 giugno 1987, n. 4991; Cass. civ., Sez. Un., 20 settembre 1993, n. 9628; Cass. civ., Sez. Un., 29 gennaio 2000, n. 16), la Corte ha rilevato come non possa, invero, ravvisarsi, nella più recente giurisprudenza, un reale contrasto interpretativo (v. Cass. civ., Sez. Un., n. 27199/2017, cit., § 4.2, ove la Corte evidenzia come si appalesi, solo all'apparenza, dissonante la pronuncia Cass. civ., sez. lav., 7 settembre 2016, n. 17712, che parla in termini di progetto alternativo di risoluzione della controversia): piena sarebbe la continuità degli ultimi indirizzi pretori con i più risalenti arresti (segnatamente, Cass. civ., Sez. Un., n. 16/2000, cit.).

La riforma non avrebbe sconvolto i «tradizionali connotati dell'atto di appello» (§ 5.1 della pronuncia in commento), ma, invero, tradotto in legge la giurisprudenza antecedente: i punti contestati della sentenza e le doglianze dell'appellante devono essere oggetto di chiara enunciazione; ad una manifestazione volitiva deve affiancarsi una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal giudice di prime cure.

E le argomentazioni dell'impugnante devono – a giudizio delle Sezioni Unite – in ogni caso parametrarsi al tenore della parte motiva della sentenza, potendosi finanche ammettere la ripresa delle linee difensive del primo grado, in presenza di un omesso vaglio, da parte del primo giudice, delle tesi di parte.

Incombe, dunque, sull'appellante, un onere di clare loqui – e non anche di redigere un progetto alternativo di sentenza, né di impiegare formule sacramentali – che consenta al giudice superiore di esattamente comprendere il contenuto delle censure.

Spunti comparatistici

L'impostazione delle Sezioni Unite trova consenso, non solo in altri rami dell'ordinamento interno, ma anche nell'interpretazione fornita, dalla giurisprudenza tedesca, al § 520 della Z.P.O.

A rilevare è, anzitutto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, all'esito dell'art. 101 c.p.a. (e degli artt. 38 e 40 c.p.a.), ha ritenuto che l'appello non potesse risolversi in una generica lagnanza o in una vaga contestazione della sentenza di primo grado (ad es., Cons. St., sez. III, 25 ottobre 2016, n. 4463), senza, tuttavia, prospettare la necessaria redazione di progetti alternativi di decisione o, comunque, l'incombenza sulla parte di oneri motivazionali sproporzionati rispetto al tenore della pronuncia oggetto di gravame (v. Cons. St., sez. V, 13 marzo 2017, n. 1134, che, in presenza di un omesso esame, da parte del Collegio di primo grado, delle doglianze di cui al ricorso introduttivo o di un esame fondato su argomentazioni non pertinenti o generiche, ammette finanche la mera riproposizione dei motivi originari).

Nella medesima linea si pone l'esegesi dell'art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 fornita dalla giurisprudenza tributaria: la doverosa presenza, nell'atto di appello, della chiara enunciazione delle ragioni delle doglianze e, più precisamente, l'obbligatoria compresenza di una manifestazione volitiva e di un supporto argomentativo (Cass. civ., sez. VI, 1 luglio 2014, n. 14908) non implicano il confezionamento di formule sacramentali (ad es., Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 227, ivi, avalla finanche i motivi ‘per implicito').

Detta scuola di pensiero sembra trovare condivisione anche nella più recente giurisprudenza penale, che ha avallato la necessaria specificità – anche in codesta materia – dei motivi di appello, riconoscendo, tuttavia, come la puntualità delle censure debba rapportarsi al grado di accuratezza della motivazione della sentenza oggetto di gravame (Cass. pen., Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 8825, Galtelli, in Guida al dir., n. 13/2017, 80). Non può imputarsi al caso che la recente ‘Riforma Orlando' (l. 23 giugno 2017, n. 103) abbia contestualmente novellato l'art. 581 c.p.p. sui ‘requisiti della sentenza' e il precedente art. 546 sulla ‘forma dell'impugnazione' (in merito, Spangher, Il “nuovo” giudizio di appello, in Dir. pen. e processo, n. 10/2017, 1327): l'“enunciazione specifica” – di capi o punti della decisione, prove, richieste anche istruttorie e motivi – presuppone la speculare compiutezza della motivazione della sentenza.

Nello stesso senso appare orientata la giurisprudenza tedesca, che, in relazione al dettato del § 520 Z.P.O., ha sposato orientamenti liberali, salvando dalla scure dell'inammissibilità i gravami che – a prescindere dalle forme impiegate – dessero conto delle ragioni sottese alle censure e delle modifiche richieste alla pronuncia impugnata o che, pur non puntualmente investendo tutte le parti della pronuncia, fossero tali da mettere quest'ultima complessivamente in discussione (v., ad es., BGH, 29 marzo 2012, V ZB 176/11).

Considerazioni conclusive

Le ragioni dell'efficienza non possono prevalere su quelle delle garanzie.

Trova eco – nella pronuncia delle Sezioni Unite – il noto insegnamento della Corte costituzionale, che riconosce la preminenza del diritto alla difesa sul canone di ragionevole durata (ad es., Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317), e l'indirizzo della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che, in relazione all'art. 6 Cedu, bandisce gli oneri processuali irragionevoli e sproporzionati, valorizzando la necessità di una giustizia nel ‘merito' (v., ad es., Corte Edu, 21 giugno 2011, Dobrić v. Serbia).

Se l'effettività è la stella polare di un sistema processuale credibile, ed è ‘giusto' o ‘equo' – nell'accezione accolta dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 Cedu – il solo processo teso alla ‘giusta decisione' della causa (per tutti, Chiarloni, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 144), che riconosca il bene della vita cui la parte aspira, le sanzioni di inammissibilità devono atteggiarsi ad eccezionali deroghe – di stretta interpretazione (art. 14 delle Preleggi) – alla generale regola della decisione sul ‘merito' della pretesa (sul principio per cui il processo «deve tendere ad una sentenza di merito»: Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77, in Giur. it., 2008, 693; v. altresì i rilievi critici di Scarselli, Sulla incostituzionalità del nuovo art. 342 c.p.c., in www.judicium.it, § 3, per il quale l'inammissibilità dovrebbe avere ad oggetto i soli aspetti extraformali ed estrinseci rispetto all'atto). Gravare l'appellante di oneri non espressamente previsti dall'art. 342 c.p.c. – vieppiù a fronte del neointrodotto ‘filtro' di cui agli artt. 348-bis e 348-terc.p.c. e della riduzione al ‘minimo costituzionale' del sindacato sulla motivazione in Cassazione (Cass. civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Guida al dir., n. 25/2014, 14) – contrasta con il principio della necessaria, e puntuale, predeterminazione ex ante delle cause di inammissibilità (non sembra, infatti, che l'art. 342 c.p.c. richieda progetti alternativi di decisione né anticipati ricorsi per cassazione), ponendosi in aperta dissonanza con l'antiformalismo che permea la giurisprudenza costituzionale ed europea.

Guida all'approfondimento
  • M. Di Marzio, Appello in generale, in www.ilprocessocivile.it;
  • Id., L'appello (forma dell'), in www.ilprocessocivile.it;
  • Id., L'appello civile dopo la riforma, Milano, 2013;
  • M. Fabiani, Oggetto e contenuto dell'appello civile, in Foro it., 2012, V, 286;
  • Gasperini, La formulazione dei motivi di appello nei nuovi artt. 342 e 434 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2014, 914;
  • C. Ferri, voce Appello (dir. proc. civ.), in Dig. disc. priv., Sez. civ., XII, Torino, 1995;
  • Luiso, voce Appello, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino, 1987;
  • R. Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002;
  • Rascio, L'oggetto dell'appello civile, Milano, 2000;
  • Tedoldi, L'appello civile, Torino, 2016;
  • Vellani, voce Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., II, Milano, 1958.

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