É valida la notificazione presso il procuratore domiciliatario eseguita mediante consegna al collega di studio?

Sergio Matteini Chiari
26 Giugno 2018

La questione giuridica di cui si è occupata la Suprema Corte è stata quella di stabilire se la notifica dell'ordinanza della Corte di merito fatta oggetto di gravame, avvenuta a mani di una collega di studio del difensore del ricorrente, qualificata dall'ufficiale giudiziario in relata come «addetta alla ricezione di atti», nonché «convivente» di tale difensore, fosse da ritenere o meno valida e se, di conseguenza, il ricorso per cassazione fosse da ritenere tempestivo oppure tardivo.
Massima

La notificazione presso il procuratore domiciliatario della parte viene validamente eseguita con la consegna di copia dell'atto al collega di studio, considerato che quest'ultimo è da considerare addetto all'ufficio, in quanto l'art. 139, comma 2, c.p.c. non richiede un vincolo di dipendenza o di subordinazione tra l'addetto ed il destinatario, mentre la natura del rapporto stabilmente intercorrente tra i due soggetti fa presumere che il consegnatario rinvenuto nello Studio comune al destinatario, e che abbia accettato di ricevere la copia dell'atto, provvederà a portare a conoscenza del destinatario l'atto ricevuto.

La querela di falso è proponibile nel giudizio di cassazione, peraltro solo quando concerna documenti attinenti a tale giudizio, che possano essere prodotti ai sensi dell'art. 372 c.p.c. e, pertanto, può riguardare l'ammissibilità del ricorso e del controricorso o la nullità della sentenza impugnata.

Il caso

Un notaio proponeva innanzi alla Corte di merito territorialmente competente reclamo avverso provvedimento della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina di applicazione di sanzione nei suoi confronti per violazione di alcune norme della legge notarile.

La Corte adita respingeva il reclamo.

L'ordinanza veniva notificata ad una collega di studio del difensore del reclamante, qualificata nella relata come «addetta alla ricezione di atti», nonché «convivente» del predetto difensore.

Decorso il termine breve, il reclamante proponeva ricorso per cassazione avverso l'ordinanza, chiedendone l'annullamento per molteplici motivi e, successivamente, chiedeva, dapprima, di essere rimesso in termini ex art. 153 c.p.c. e, in seguito, proponeva querela di falso della relata di notifica del suddetto provvedimento, limitatamente alle parti appena sopra specificate.

Il Consiglio notarile competente resisteva con controricorso, preliminarmente eccependo l'improcedibilità e/o l'inammissibilità del gravame per sua tardività.

La questione

La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione è stata quella di stabilire se, previo accertamento della fondatezza o meno della proposta querela di falso, la notifica dell'ordinanza della Corte di merito fatta oggetto di gravame, avvenuta a mani di una collega di studio del difensore del ricorrente, qualificata dall'ufficiale giudiziario in relata come «addetta alla ricezione di atti», nonché «convivente»di tale difensore, fosse da ritenere o meno valida e se, di conseguenza, a seconda della soluzione affermativa o negativa al quesito, il ricorso per cassazione fosse da ritenere tempestivo oppure tardivo.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, decidendo preliminarmente sulla querela di falso, ne ha dichiarato l'infondatezza.

In fatto, la Corte ha effettuato i seguenti rilievi:

a) l'ordinanza impugnata risulta notificata in data […] al procuratore costituito nel domicilio eletto, mediante consegna a mani di una collega di studio;

b) il ricorso per cassazione risulta essere stato proposto circa tre mesi dopo la notifica dell'ordinanza;

c) in corso di giudizio (oltre quattro mesi dalla notifica dell'ordinanza – n.d.r.), il predetto procuratore ha chiesto di essere rimesso in termini per la proposizione del gravame, ai sensi dell'art. 153, comma 2, c.p.c., asserendo di non avere avuto conoscenza del provvedimento della Corte di merito giacché la collega di studio che aveva ricevuto la notifica aveva omesso di fargliene consegna; asserendo, inoltre, che tale collega non era addetta alla ricezione degli atti all'interno dello studio né tale si era dichiarata nella relata di notifica;

d) in corso di giudizio, il ricorrente ha proposto, altresì, querela di falso in riferimento alla suddetta relata, limitatamente alla parte in cui l'ufficiale giudiziario aveva attestato che la collega di studio del suo difensore si era dichiarata come «addetta alla ricezione di atti», nonché «convivente» dello stesso.

In diritto, la Corte, dopo avere giudicato ammissibile la querela di falso, giacché concernente documenti attinenti al giudizio di legittimità, ne ha ritenuto l'infondatezza, sul rilievo dell'irrilevanza della dedotta falsità.

A tale riguardo, la Suprema Corte ha statuito, in primo luogo, che la relata di notificazione, la quale attesti l'esecuzione della stessa presso il procuratore domiciliatario della parte mediante consegna di copia dell'atto ad un collega di studio, deve ritenersi assistita da fede pubblica fino a querela di falso unicamente quanto alla dichiarazione resa dal consegnatario circa la propria qualifica (id est: collega di studio) e non, invece, quanto al contenuto della dichiarazione stessa, non potendosi attribuire all'affermazione del consegnatario della qualità di «addetta» alla ricezione o di «convivente» del destinatario della notifica la natura di un fatto avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale o da questi compiuto.

La Corte ha, in secondo luogo, sancito che non ricorrevano gli estremi per la richiesta rimessione in termini per la proposizione del gravame, ai sensi dell'art. 153 c.p.c., postulando la stessa la dimostrazione che la decadenza fosse stata determinata da una causa non imputabile alla parte in quanto cagionata da un fatto estraneo alla sua volontà, presupposto non ricorrente con riguardo alla rappresentata circostanza della mancata conoscenza dell'ordinanza gravata, quale conseguenza della mancata consegna della copia al procuratore domiciliatario da parte della collega di Studio.

Tutto questo premesso, la Corte, constatata la validità della notifica del provvedimento gravato ai fini del decorso del termine breve di impugnazione e constatata l'inutile decorrenza di tale termine, ha dichiarato inammissibile il ricorso, notificato circa un mese dopo tale scadenza.

Osservazioni

i) Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la querela di falso è proponibile nel giudizio di cassazione, peraltro in via incidentale e solo quando concerna atti attinenti al giudizio di legittimità (ricorso, controricorso, atto-sentenza) o i documenti di cui è ammesso, nel suddetto procedimento, il deposito a sensi dell'art. 372 c.p.c., e, pertanto, può riguardare l'ammissibilità del ricorso e del controricorso o la nullità della sentenza impugnata, con riferimento, in tal caso, ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma (v. in tal senso, pressoché in termini, Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 986; v., nello stesso senso, Cass. civ., sez. VI, 2 settembre 2015, n. 17473; Cass. civ., Sez. Un., 31 maggio 2011, n. 11964; Cass. civ., Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16402).

La sentenza in commento non si è discostata da tale indirizzo ed ha ritenuto ammissibile la proposta querela di falso sul rilievo che l'atto fattone oggetto (relazione di notifica) era costituito da documento rientrante fra quelli da depositare ex artt. 372 e 369, comma 2, n. 2), c.p.c..

ii) Secondo orientamento altrettanto consolidato della Suprema Corte, la notificazione presso il procuratore domiciliatario della parte si intende validamente eseguita mediante la consegna di copia dell'atto ad un collega di studio, ove, come risulta essersi verificato nel caso di specie, lo stesso, al di là della formale dichiarazione resa di essere precipuamente «addetta alla ricezione di atti» o addirittura «convivente» con il domiciliatario, abbia comunque ricevuto l'atto senza riserva alcuna.

Ciò in quanto l'art. 139, comma 2, c.p.c., nell'includere fra i possibili consegnatari l'addetto all'ufficio del destinatario, richiede unicamente una situazione di comunanza di rapporti - come è appunto quella del professionista avvocato che abbia in comune con il destinatario dell'atto lo stesso studio -, la quale faccia presumere che il primo, che abbia accettato senza riserve di ricevere la consegna dell'atto, porterà a conoscenza del secondo l'atto medesimo, senza che sia richiesta la sussistenza di un vincolo di dipendenza, di subordinazione, di apposita preordinazione o di convivenza tra l'addetto e il destinatario (si vedano, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 14 luglio 2005, n. 14792; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2005, n. 1605; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2003, n. 1219; Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 1995, n. 13031).

iii) La relata di notifica fa fede, fino a querela di falso, unicamente per le attestazioni che riguardano l'attività svolta e il contenuto estrinseco delle dichiarazioni effettuate dal consegnatario e ricevute dal pubblico ufficiale che la esegue, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione di quest'ultimo, mentre il contenuto intrinseco di tali dichiarazioni (nella specie, secondo l'attestazione compiuta dal pubblico ufficiale nella relata, di essere «addetta alla ricezione degli atti» nell'ufficio del destinatario e addirittura di essere «convivente» del medesimo) è assistito unicamente da una presunzione iuris tantum di conformità al vero degli asseriti rapporti tra ricevente e destinatario; conseguendone l'onere, per il destinatario che neghi la validità della notifica, di vincere tale presunzione allegando e provando il contrario, dimostrando cioè l'inesistenza di qualsivoglia relazione di collaborazione professionale con la consegnataria dell'atto e la casualità della presenza della medesima presso il suo studio professionale (v., in tal senso, Cass. civ., sez. VI, 19 dicembre 2016, n. 26134; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2014, n. 4580; Cass. civ., sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 24502; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2008, n. 25860; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2001, n. 6906).

Non avendo il ricorrente adempiuto né chiesto di adempiere a tale onere, essendosi limitato a produrre certificati di residenza e di stato di famiglia per attestare la situazione di non convivenza ed a chiedere prova per testi per far risultare che unico soggetto incaricato di ricevere gli atti nello studio del suo procuratore era la segretaria dello stesso, del tutto condivisibile e in nessun modo censurabile appare l'opinione espressa dalla Suprema Corte di irrilevanza della dedotta falsità.

Parimenti condivisibile ed in nessun modo censurabile è da ritenere, altresì, la conclusione di inammissibilità del ricorso per tardività cui è pervenuta la Corte all'esito del percorso motivazionale: a) il provvedimento gravato è stato notificato in data […]; b) la notifica è valida, essendo pienamente rispondente ai prescritti dell'art. 139, comma 2, c.p.c., come interpretati dal diritto vivente; c) la falsità del contenuto intrinseco delle dichiarazioni rese dal consegnatario al pubblico ufficiale notificante, dedotta con la querela di falso, è da ritenere irrilevante (per le ragioni appena sopra precisate); d) non sussistono le condizioni per dare seguito favorevole all'istanza del ricorrente di rimessione in termini per la proposizione del gravame; e) la notificazione del ricorso è stata eseguita in data successiva alla scadenza del termine breve di impugnazione.

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