Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. La condizione di clandestinità dei lavoratori integra lo stato di bisogno

27 Giugno 2018

Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stato introdotto nel codice penale dal d.l. 138/2011 e modificato dalla l. 199/2016 (Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo).
Massima

Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 603-bis c.p., è sufficiente la sussistenza di anche uno soltanto degli indici dello sfruttamento presenti nella disposizione e l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori può ricavarsi dalla condizione di clandestinità degli stessi, che li rende disposti a lavorare in condizioni disagevoli.

Il caso

In data 18 maggio 2017 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli Nord pronunciava ordinanza di rigetto della richiesta di sequestro preventivo dell'Azienda agricola degli imputati. La stessa veniva appellata dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere che disponeva il controllo giudiziario della predetta azienda al fine di impedire la reiterazione del reato di sfruttamento di manodopera di cui all'art. 603-bisc.p.

Avverso questa ordinanza proponevano ricorso gli imputati, adducendo tra gli altri motivi: violazione di legge sulla configurabilità del reato di cui all'art. 603-bis c.p., lamentando l'insussistenza degli elementi costitutivi dello sfruttamento e dell'approfittamento dello stato di bisogno nella situazione di effettiva necessità che li caratterizza, in particolare, affermando che tali condizioni non si ravviserebbero nella nazionalità straniera e nella clandestinità di alcuni dei dipendenti degli indagati; violazione di legge sulla concretezza e l'attualità delle esigenze cautelari.

La Suprema Corte con la sentenza di cui si tratta, ha accolto solo il motivo di ricorso concernente le esigenze cautelari, annullando l'ordinanza con rinvio per nuovo esame sul punto della concretezza e attualità di tali esigenze al fine di valutare le iniziative assunte dal datore di lavoro in ordine alla regolarizzazione dei lavoratori ed all'adeguamento dell'impresa alle prescrizioni antinfortunistiche.

La questione

La questione presa in esame è la seguente: in quali casi siano configurabili gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 603-bis c.p., consistenti nello sfruttamento del lavoratore e nell'approfittamento del suo stato di bisogno.

Le soluzioni giuridiche

Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stato introdotto nel codice penale dal d.l. 138/2011 e modificato dalla l. 199/2016 (Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo).

La norma configura come delitto due condotte distinte, la prima, che intende reprimere il fenomeno del c.d. caporalato, è prevista dal comma 1 n. 1 e consiste nel reclutare manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; la seconda, quella del datore di lavoro, prevista dal comma 1 n. 2 e consiste nell'utilizzare, assumere o impiegare manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Nel comma 3 il Legislatore indica quattro condizioni che costituiscono indice di sfruttamento dei lavoratori e cioè la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

È sufficiente la presenza anche solo di una delle condizioni descritte.

Osservazioni

Certamente il principio di legalità impone di ritenere che l'elencazione di cui al comma 3 debba considerarsi tassativa, nel senso che la condizione di sfruttamento del lavoratore debba essere valutata solo alla luce degli indici indicati espressamente dal Legislatore ma la sentenza in commento chiarisce che di questi indici è sufficiente la presenza di anche solo una delle condizioni descritte in ciascuna delle quattro tipologie, come del resto risulta dal testo della norma (una o più).

Piuttosto deve osservarsi che il carattere disgiunto delle condizioni dovrebbe ritenersi sussistente anche all'interno di ciascuna tipologia; inoltre, il Legislatore non ha mancato di prevedere una clausola di “chiusura” con riferimento alle condizioni di lavoro “degradanti”, che lasciano spazio ad una valutazione discrezionale del giudice sia pure con un attento e verificato riferimento a specifici dati fattuali.

Altra importante affermazione di principio contenuta nella sentenza, è quella secondo la quale l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori è congruamente motivato anche solo con riferimento alla situazione di clandestinità dei predetti, che li rendeva disposti a lavorare in condizioni disagevoli. Certamente lo stato di bisogno dei lavoratori sussiste in situazioni che non sono espressamente previste dall'art. 603-bis c.p., dando, così, spazio a molteplici possibili scenari. In particolare, la Corte di cassazione, con detta sentenza, ha affrontato una situazione molto attuale e concreta, al centro dell'attenzione nella società contemporanea, individuando nella situazione di clandestinità dei lavoratori ciò che li rendeva disposti a lavorare in condizioni tanto disagiate e contrarie alla legge. È proprio l'approfittamento dello stato di bisogno, unitamente alle condizioni di sfruttamento, che rende speciale la fattispecie in esame rispetto a quella di cui all'art. 22, comma 12, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), pure invocata dal ricorrente nel procedimento di cui si parla.

Certamente tale pronuncia mira a contrastare il lavoro nero e ad espandere ancora di più il raggio di tutela dei lavoratori che, a causa di situazioni di bisogno, accettano sempre più spesso di lavorare in condizioni umilianti e malsane; che sempre più frequentemente sono esposti a continui ricatti da parte del datore di lavoro, a condizioni igieniche precarie, a orari di lavori disumani e a salari inadeguati, subendo spesso maltrattamenti fisici e psichici.

Occorre precisare, quanto all'elemento soggettivo richiesto per la sussistenza della fattispecie (sul quale la sentenza non si sofferma anche perché si tratta di misura cautelare reale per l'applicazione della quale non sono necessari gravi indizi di colpevolezza), che è necessario distinguere l'ipotesi delittuosa di cui al n. 1 del comma 1, che è punita a titolo di dolo specifico, essendo richiesto il fine di destinare la manodopera al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento; dal delitto di cui al n. 2 del medesimo comma, che, invece, è punito a titolo di dolo generico, richiedendo unicamente la coscienza e volontà di utilizzare, assumere o impiegare manodopera, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

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