Sezioni Unite: per individuare la residenza abituale del minore servono indicatori proiettivi

Chiara Casale
02 Luglio 2018

Le Sezioni Unite affrontano la problematica giuridica relativa all'individuazione dello Stato di residenza del minore nei primi anni di età necessario per determinare il giudice nazionale competente ad assumere i provvedimenti riguardanti la prole in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza more uxorio.
Massima

Per individuare lo Stato in cui ha la residenza abituale un minore di tenera età, al fine di determinare il giudice nazionale competente ad assumere provvedimenti riguardanti la prole nei procedimenti di separazione o divorzio, possono valorizzarsi indicatori di natura proiettiva, quali l'iscrizione all'asilo nido in un determinato Paese ed il godimento dell'assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo Stato.

Il caso

Le Sezioni Unite sono state chiamate a decidere a chi debba attribuirsi la giurisdizione, tra il giudice italiano e quello inglese, in materia di questioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale su una minore, collocata di fatto presso la madre, cittadina italiana ma residente nel Regno Unito.

I giudici di secondo grado ritenevano sussistente la giurisdizione del giudice inglese, sul presupposto che la minorenne aveva la residenza abituale nel Regno Unito ex art. 8, Reg. (UE) n. 2201/2003. A sostegno della propria decisione, la Corte d'appello aveva rilevato che, come risultava dall'iscrizione all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'estero, la madre e la figlia risiedevano in una città inglese, ove la donna svolgeva anche un'attività d'impresa. Inoltre, il medico che aveva in cura la minore esercitava nella stessa città in cui la bambina viveva ed era stata iscritta ad un asilo nido. Secondo la Corte d'appello, il fatto che la minore trascorresse anche periodi di tempo in Italia presso i nonni, non escludeva comunque che quella estera fosse la sua residenza abituale.

Il padre della bambina ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto pronunciato dalla Corte di merito relativamente alle domande di affidamento congiunto della figlia, regolamentazione del diritto di visita e determinazione della spettanza del contributo per il mantenimento in favore della minore.

Il ricorrente ha lamentato, infatti, che il giudice d'appello non aveva tenuto conto dei criteri individuati dalla Corte di giustizia europea per determinare la residenza del minore quali, in particolare: la durata, la regolarità e le ragioni del soggiorno, l'età della minorenne e i rapporti familiari e sociali che il genitore e il minore intrattengono in quello Stato. Il padre ha affermato che la bambina è da considerarsi cittadina italiana, essendo nata in Italia da genitori aventi cittadinanza italiana ed ha ricordato che la figlia ha trascorso gran parte della sua vita in Italia.

La madre della minore ha resistito in giudizio con controricorso.

La questione

La problematica giuridica centrale affrontata nella decisione delle Sezioni Unite consiste nel definire come debba essere individuato lo Stato di residenza abituale del figlio minore entro i primi anni d'età, al fine di poter determinare il giudice nazionale competente ad assumere provvedimenti riguardanti la prole in caso di separazione personale dei coniugi, di divorzio o comunque di cessazione della convivenza more uxorio.

Inoltre, le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi circa la ricorribilità per cassazione del decreto della Corte d'appello, contenente provvedimenti in materia di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento.

Le soluzioni giuridiche

Il Regolamento Bruxelles II-bis, n. 2201/2003, ha introdotto una complessa disciplina in materia di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, distinguendo il contenzioso relativo allo scioglimento del matrimonio da quello riguardante la responsabilità genitoriale.

L'art. 8 Reg. (UE) n. 2201/2003 sancisce, in particolare, che il giudice nazionale competente a decidere sulle domande in materia di responsabilità genitoriale è determinato in base al «luogo in cui il minore risiede abitualmente», nel rispetto del suo superiore interesse e del criterio della vicinanza, come disposto dal considerando n. 12 del medesimo Regolamento.

Le Sezioni Unite, con la pronuncia in esame, hanno confermato la sentenza d'appello, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello inglese.

Il Giudice di legittimità ha avallato quindi il proprio orientamento, secondo cui per residenza abituale deve intendersi «il luogo in cui il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione» (Cass., S.U., 10 febbraio 2017, n. 3555 v. M. Cirese, Residenza abituale e tutela del minore in ilFamiliarista.it). In altre parole, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare. L'interpretazione dell'istituto viene infatti ricollegata al principio del best interest of child, richiedendo che la residenza abituale del minore sia individuata proprio a partire dal legame che il bambino vanta con un determinato luogo.

Al fine di individuare la residenza abituale, rilevano poi una serie di circostanze che devono essere valutate in relazione alla peculiarità del caso concreto (quali la durata, la regolarità e le ragioni del soggiorno nel territorio dello Stato membro, la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, più in generale, le relazioni familiari e sociali). Tale accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass., S.U., 10 febbraio 2017, n. 3555).

La Corte di cassazione ha osservato che il dato fattuale della prolungata coabitazione del bambino con i nonni materni, in Italia, può assumere rilevo soltanto se si inserisce nel contesto di un effettivo radicamento del minore nello Stato italiano. Nel caso di specie, però, considerata la tenerissima età della bambina e la mancanza di elementi di radicamento esterni al nucleo familiare materno e paterno, le Sezioni Unite hanno ritenuto doversi valorizzare indici di natura proiettiva, quali l'iscrizione all'asilo nido a Londra e l'inclusione nel sistema sanitario pediatrico inglese della minore.

La Suprema Corte ha affermato inoltre che i periodi di tempo, pur non brevi, trascorsi dalla bambina in Italia presso i nonni, materni e paterni, devono ritenersi recessivi rispetto agli evidenziati indici proiettivi (essendo la relazione tra nonni e nipote caratterizzata, nel caso di specie, da “ampiezza e elasticità in fatto”) e, dunque, non idonei ad incidere in misura decisiva sul radicamento della giurisdizione.

Assume invece rilievo determinante, al fine di fissare la residenza abituale della bambina, la volontà della madre, collocataria di fatto della minore, che ha scelto di risiedere a Londra per esigenze professionali.

Il Giudice di legittimità, inoltre, non ha mancato di confermare che, ai fini della giurisdizione, la Cassazione è giudice del fatto: l'individuazione della residenza abituale del minore, quale presupposto su cui si fonda la giurisdizione, impone infatti, anche alla Suprema Corte, di esaminare una quaestio facti. Sotto il profilo in esame, la sentenza ha ribadito un orientamento della giurisprudenza di legittimità ormai consolidato, e ribadito anche di recente (Cass., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6132; Cass., sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3192).

Con riferimento alle doglianze espresse dal ricorrente, la Suprema Corte ha infine osservato che i criteri individuati dalla Corte di giustizia per determinare la residenza abituale del minore devono essere adeguati alla particolarità del caso concreto.

Più precisamente, nel caso sottoposto al giudizio, alcuni criteri non risultano neppure applicabili, dal momento che la tenera età della minore non consente di individuare fattori di radicamento oggettivo ed esterno della bambina rispetto all'ambiente familiare.

Peraltro, secondo il Giudice di legittimità, non essendo contestata la collocazione della minore presso la madre, in attesa di definire il regime di affidamento non può considerarsi rilevante il mancato consenso del padre all'espatrio.

In ordine al problema di natura processuale riguardante l'ammissibilità del ricorso proposto, la Suprema Corte ha ribadito che il decreto della Corte d'appello, contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.. Infatti, a tale decreto deve essere riconosciuto il carattere della decisorietà, dal momento che esso risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e quello della definitività, perché esso ha un'efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato.

Osservazioni

L'orientamento della Cassazione in tema di residenza abituale del minore in caso di sottrazione internazionale ha subito una progressiva evoluzione.

In una prima fase la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la residenza abituale del minore corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione» (Cass., sez. I, 19 dicembre 2003, n. 19544).

Successivamente la Suprema Corte, pur confermando tale impostazione, ha precisato che la residenza abituale, essendo qualificata come una situazione di fatto, pertanto da stimarsi nell'attualità, «prescinde (…) dai progetti di vita, eventualmente concordi, degli adulti» (Cass. sez. V, sent. 2 febbraio 2005, n. 2093). Da tali affermazioni può dunque evincersi che il Giudice di legittimità non attribuisce rilievo esclusivo all'intenzione dei genitori, al fine di determinare il luogo di residenza abituale del minore.

Prendendo in considerazione il fattore legato alla permanenza in un determinato luogo, la giurisprudenza di legittimità ha poi statuito che neppure tale elemento è sempre decisivo, perché occorre tenere conto della situazione di fatto: talvolta, anche un periodo di permanenza breve è sufficiente a radicare una nuova residenza “affettiva” del minore (Cass. sez. I, 14 luglio 2006, n. 16092; Cass. sez. I, 16 giugno 2009, n. 13936).

La giurisprudenza di legittimità ha poi sottolineato che la residenza abituale del minore deve essere individuata proprio a partire dal legame che il bambino ha stabilito con un determinato luogo, con ciò esplicitando tra l'altro il criterio della vicinanza e del forum conveniens, cioè una sorta di competenza naturale dei giudici del luogo in cui la vita del minore si svolge prevalentemente, nella presunzione che si tratti delle autorità che meglio possono conoscere la situazione del bambino e della sua famiglia, e sono pertanto i più idonei ad assicurare la tutela delsuperiore interesse del minore(Cass., sez. I, ord., 14 dicembre 2017, n. 30123).

Tale orientamento giurisprudenziale appare coerente anche con le previsioni dell'art. 8 Reg. (UE) n. 2201/2003, ove dispone che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui esse sono adite. Il considerando 12 del Regolamento precisa poi che è «opportuno che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale», accolte nel Regolamento stesso, comunque «si informino al superiore interesse del minore e in particolare al criterio di vicinanza».

In altre parole, il criterio della residenza abituale costituisce la “declinazione processuale” del superiore interesse del minore, in quanto si presume che il giudice del luogo di residenza abituale sia quello più idoneo a garantire decisioni fondate su un'approfondita conoscenza della situazione concreta.

Anche la Corte di giustizia europea si è impegnata ad elaborare un'esatta definizione dell'istituto.

Sulla base di un primo orientamento, il giudice comunitario ha affermato che la nozione è legata alla singola vicenda: la residenza abituale è determinata infatti da una serie di elementi che caratterizzano in maniera peculiare il caso concreto. Ciò significa che non ci sono fattori preponderanti in senso assoluto, ma che gli stessi elementi possono acquisire un rilievo differente, più o meno importante, nel singolo caso oggetto di giudizio.

La Corte europea ha individuato a tale scopo alcuni indizi che il giudice del merito deve valutare per determinare lo Stato in cui il minore ha la sua residenza abituale. In particolare, è necessario tenere conto della durata del soggiorno, della regolarità della permanenza, delle ragioni dello spostamento del nucleo familiare, dei rapporti familiari e sociali del minore e della volontà dei genitori. I criteri stabiliti dal giudice europeo non trovano una sistemazione gerarchica, e l'elenco non è comunque da ritenersi esaustivo (cfr. Corte di Giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/2007).

Può osservarsi, in definitiva, che nelle pronunce della Corte di giustizia la nozione di residenza abituale del bambino viene interpretata valorizzando la centralità della figura del minore, quale autonomo centro di interessi da promuovere e tutelare.

Per quanto riguarda poi i neonati e i lattanti, i fattori che consentono normalmente di determinare la residenza abituale possono divenire irrilevanti a causa della totale dipendenza di questi minori, in tenera età, dalle persone che ne hanno la custodia. Pertanto, quando risultano coinvolti nel giudizio bambini molto piccoli, la Corte di giustizia europea ha ritenuto talora corretto valorizzare il criterio dell'intenzione comune dei genitori di fissare la residenza della famiglia in un determinato luogo, che può dedursi da una serie di circostanze, quali la dichiarazione di nascita del neonato presso l'ufficio dello stato civile del luogo della loro residenza abituale o dalla locazione di un'abitazione più grande in una determinata città (Corte di Giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/2007).

L'orientamento più recente della Corte di giustizia europea, peraltro, è nel senso che la residenza abituale del minore corrisponde «al luogo che denota una certa integrazione di quest'ultimo in un ambiente sociale e familiare» (Corte di Giustizia UE, 8 giugno 2017, C-111/17). Tale luogo deve essere determinato dai giudici nazionali in considerazione dell'insieme delle circostanze di fatto che caratterizzano il caso concreto (Corte di Giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/07; Corte di Giustizia UE, 22 dicembre 2010, C-497/10). Il giudice europeo, pertanto, è giunto a condividere l'orientamento della giurisprudenza di legittimità italiana.

In realtà, il giudice europeo e quello italiano sono pervenuti ad una sostanziale convergenza di valutazioni, sviluppando le rispettive impostazioni. La Corte di giustizia europea (cfr. Corte di Giustizia UE, 8 giugno 2017, causa C-111/17) ha mutuato infatti la definizione di residenza abituale come situazione di fatto, proposta dalla Suprema Corte italiana (Cass., sez. I, 19 dicembre 2003, n. 19544). A sua volta la Cassazione ha considerato necessario tener conto, in ogni caso, dell'interesse superiore del minore, anche nell'individuare in quale Stato egli abbia la residenza abituale (Cass., sez. I, ord., 14 dicembre 2017, n. 30123), secondo quanto già affermato dalla Corte di Giustizia europea e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte di Giustizia UE, 2 aprile 2009, C-523/2007 v. nota di H. Storme, in RDEtr, 2009, 645 e di e. Gallant, in RCDIP, 2009, 902; Corte EDU, 8 gennaio 2009, sent. . 41615/07, Neulinger e Shuruk c. Svizzera; Corte EDU, 12 luglio 2011, n. 14737/09, Sneersone e Kampanella c. Italia).

La pronuncia delle Sezioni Unite in esame potrebbe apparire, in prima lettura, in contrasto con il precedente indirizzo espresso dalla stessa Suprema Corte, in base al quale si affermava che l'intenzione dei genitori e gli indici di natura proiettiva non sono determinanti per individuare la residenza abituale del minore (Cass., sez. I, sent. 2 febbraio 2005, n. 2093).

Tuttavia, deve osservarsi come la decisione in nota si fonda in realtà non su un'astratta valutazione di intenzioni, ma sull'analisi di una realtà fattuale già verificatasi. Le Sezioni Unite hanno evidenziato la peculiarità della fattispecie in esame, considerata la tenerissima età della minore, che aveva appena due anni al momento dell'instaurazione del giudizio, e valorizzato elementi (in particolare, l'iscrizione della bambina presso il sistema scolastico e sanitario inglese), che non costituiscono mere aspirazioni o programmi della madre collocataria, bensì dati di fatto acquisiti con certezza al giudizio.

Guida all'approfondimento

V. Cianciolo, Per determinare il foro competente è necessario indivduare la residenza abituale del fanciullo in Personaedanno.it, 21 aprile 2018;

C. Casale, La futura residenza del genitore non è automaticamente la residenza abituale del minore in ilFamiliarista.it, 24 aprile 2018;

C. Honorati, Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali in Riv. dir. int. priv. e proc., 2013, 1.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario