Società tra avvocati: profili civilistici e tributari

Fabio Gallio
02 Luglio 2018

Il 29 agosto 2017, a seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento della c.d. Legge sulla concorrenza, è stato inserito l'art. 4-bis alla Legge n. 247/2012 relativa all'ordinamento della professione forense: tale norma disciplina l'esercizio della professione forense in forma societaria.
Premessa

Il 29 agosto 2017, a seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento della c.d. Legge sulla concorrenza, è stato inserito l'art. 4-bis alla Legge n. 247/2012 relativa all'ordinamento della professione forense: tale norma disciplina l'esercizio della professione forense in forma societaria. Dopo più di quindici anni dal D.Lgs. n. 96/2001 che prevedeva una regolamentazione della società tra avvocati alquanto farraginosa e poco applicata, la nuova normativa si propone quale norma di riferimento per cercare di dare nuovo impulso alle esigenze, sentite dagli operatori del diritto, relativamente ad una più moderna modalità di esercizio della professione forense. Tale disciplina, certamente più organica e coerente della precedente, pone all'interprete qualche spunto di riflessione in merito ai profili fiscali connessi.

Cenni storici

L'esercizio delle professioni "protette", ovvero quelle che prevedono l'esercizio solo a seguito di iscrizione ad un ordine o un albo, in forma associata era, fino al 2011, estremamente limitato. Ed invero, la Legge n. 1815 del 23 novembre 1939 stabiliva il divieto di costituire società per l'esercizio di professioni protette. L'unica forma associativa consentita ai professionisti era allora quella dello studio associato, costituito solo tra soggetti regolarmente iscritti a un albo professionale, e comprendente nella denominazione il nome e il cognome di tutti gli associati.

Fra gli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo, la giurisprudenza, prima, e il legislatore, poi, hanno cercato di porre rimedio alle esigenze che da più parti sorgevano relativamente ad un divieto divenuto ormai obsoleto e in contrasto con l'ammodernarsi della Società.

Il sistema comincia ad evolversi verso la fine del secolo scorso con l'art. 17 L. n. 109/1994, tramite il quale era stata introdotta la possibilità di costituire società per l'esercizio dell'attività di ingegneria nella forma di "società di ingegneria", oppure di "società di professionisti" (società di persone o di società cooperative, costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali).

La deroga al divieto era stata giustificata con l'opportunità di consentire forme organizzate per l'esercizio dell'attività di progettazione di grandi opere pubbliche.

Nel 2001 con il D.Lgs n. 96 viene regolamentata per la prima volta l'esercizio della professione di avvocato in forma societaria, ed infine nel 2011 con la L. n. 183 viene espressamente disciplinata la costituzione di società tra professionisti per l'esercizio di professioni regolamentate in ordini professionali.

Società tra professionisti

È utile analizzare, seppur brevemente, la disciplina della normativa del 2011 relativa alle società tra professionisti in genere, anche perché molte delle considerazioni su queste ultime saranno utili nell'analisi delle società tra avvocati.

Come più sopra ricordato, dopo un tentativo di regolamentazione a macchia di leopardo, con disposizioni specifiche relative alle singole categorie professionali, nel 2011 è stata finalmente introdotta nel nostro ordinamento una disciplina unitaria sull'esercizio in forma societaria delle professioni ordinistiche.

Il comma 3 dell'art. 10 L. n. 183/2011 stabilisce che "è consentita la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del Codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre".

La norma evidenzia che le società tra professionisti non costituiscono, quindi, un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dal Codice civile, con la conseguenza che le stesse sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla normativa speciale in relazione al loro particolare oggetto.

Tale norma annovera, tra i tipi sociali cui far ricorso, sia i modelli personalistici (società semplice, in nome collettivo, in accomandita semplice) che quelli capitalistici (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata), sino a comprendere anche quello cooperativo, con la precisazione che, in tal caso, il numero minimo di soci non può essere inferiore a tre, coerentemente con quanto stabilito dall'art. 2521, comma 2, c.c., che ammette cooperative con meno di nove soci, purché i soci siano almeno tre e tutti persone fisiche.

Le società tra professionisti, nel modello del 2011, possono essere costituite da professionisti appartenenti allo stesso ordine professionale o anche da professionisti di diversa estrazione; ai sensi del comma 8 dell'art. 10, infatti, la società tra professionisti può essere costituita anche per l'esercizio di più attività professionali.

Peculiare, poi, trattandosi dello svolgimento di una attività professionale in forma societaria, è l'oggetto sociale: la lett. a) del comma 4 dell'art. 10, L. n. 183/2011 impone il requisito dell'esclusività dello svolgimento dell'attività professionale da parte dei soci.

Ne consegue, quindi, l'impossibilità di inserire nell'oggetto sociale attività diverse dall'esercizio delle professioni protette, quali ad esempio le attività imprenditoriali o l'esercizio delle professioni non protette: l'eventuale inserimento delle predette attività nell'oggetto sociale violerebbe, infatti, il principio dell'esclusività, salvo che si tratti di attività meramente strumentali.

Al capitale partecipano soci professionisti, anche stranieri, purché iscritti all'albo e soci non professionisti. Questi ultimi possono essere chiamati per lo svolgimento di prestazioni tecniche, non deducibili nell'oggetto sociale, non essendo ammesso, come ricordato, un oggetto misto, ma esclusivo, oppure possono partecipare con finalità di puro investimento.

La legge prevede poi che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti debba essere comunque tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.

Per un riassunto della normativa, si rinvia anche alla Circolare dell'INPS del 1 giugno 2018, n. 77.

Società tra avvocati: evoluzione normativa

La disciplina della professione forense in forma societaria ha un percorso peculiare rispetto alle altre professioni intellettuali. Infatti, ancor prima della legge del 2011 che regolamenta tutto l'universo delle professioni intellettuali, fin dal 2001 era prevista una particolare struttura per l'esercizio collettivo della professione di avvocato.

L'art. 16 D.Lgs. n. 96/2001 stabiliva al comma primo che: "l'attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati".

L'interpretazione della norma in presenza dell'esclusività del modello societario, dell'iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese, dell'espresso non assoggettamento a fallimento e, infine, dell'individuazione dell'oggetto, peraltro esclusivo, della società nell'"esercizio in comune della professione dei propri soci",ha posto, in primo luogo, delicati problemi interpretativi.

In sostanza si assumeva la società tra avvocati come un tipo autonomo di società in virtù della caratterizzazione personale dell'oggetto con conseguenze importanti sulla definizione della disciplina fiscale dell'imposizione sui redditi. Invero sulla base della ricostruzione particolare della società tra avvocati, disciplinata dal D.Lgs. n. 96/2001, l'Agenzia delle entrate, con la Risoluzione del 26 maggio 2003, n. 118/E, è pervenuta alla conclusione di qualificare come reddito di lavoro autonomo il reddito derivante dall'esercizio in forma collettiva della professione di avvocato. La ratio di tale qualificazione era dovuta alla particolare forma giuridica assunta dalla società tra avvocati, non inquadrabile in alcuno dei tipi di società commerciali disciplinati dal Codice civile, integrante una nuova ed autonoma tipologia societaria, in quanto tale non soggetta alla presunzione legale di cui agli artt. 6 e 81 del T.U.I.R.

Ai sensi di tali norme, infatti, i redditi delle società commerciali residenti in Italia sono considerati redditi d'impresa e determinati sulla base delle relative disposizioni, da qualsiasi fonte provengano. Come precisato nella relazione ministeriale allo schema del T.U.I.R., il legislatore ha voluto affermare il principio che il reddito complessivo delle società (e degli enti) commerciali va sempre qualificato come reddito d'impresa, indipendentemente dalle modalità (e dai mezzi) con cui viene conseguito. In forza di questa presunzione assoluta, dunque, il reddito di una società di persone (diversa dalla società semplice) o di capitali viene necessariamente attratto nell'alveo del reddito d'impresa, anche se l'attività esercitata è oggettivamente riconducibile tra quelle foriere di reddito di lavoro autonomo, rilevando unicamente la qualificazione soggettiva del soggetto che lo produce. In base agli artt. 6, comma 3, e 81 T.U.I.R., dunque, l'indagine circa la qualificazione del reddito professionale prodotto in forma societaria opera su di un piano strettamente formale, anziché su di un piano sostanziale, dovendosi considerare redditi d'impresa quelli conseguiti da soggetti costituitisi in forma di società commerciale, a prescindere dal tipo di attività svolta e/o dalla sussistenza di una struttura organizzata.

L'Agenzia ha quindi ritenuto di classificare come professionale l'attività esercitata dalle società tra avvocati in virtù della specificità dell'oggetto sociale, che rivela il carattere intellettuale e personale della prestazione di assistenza legale, ancorché resa in forma collettiva.

La disciplina del 2001 relativa alla professione forense svolta in forma societaria è restata in vigore anche dopo l'introduzione della normativa del 2011 sulle società tra professionisti. Ed invero il comma 9 dell'art. 10 della L. n. 183/2011 stabilisce che sono fatte salve le società tra professionisti costituite secondo modelli già vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge; fra queste troviamo appunto le società tra avvocati costituite ai sensi del D.Lgs. n. 96/2001.

Nel 2012 all'interno della normativa relativa all'ordinamento forense, viene attribuita delega al Governo per la disciplina della professione in forma societaria.

Fra i principi e i criteri direttivi della Legge delega, per il tema che qui rileva, si segnalano in particolare la forma da assumere, consentita esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all'albo, e peculiarmente la qualificazione reddituale dei proventi prodotti dalla società tra avvocati.

Nello specifico la lett. l) dell'art. 5 prevedeva di "qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali, ai sensi del capo V del titolo I del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al DPR n. 917/1986, e successive modificazioni".

La qualificazione del reddito prodotto veniva ribadita anche nella successiva lett. m) dello stesso articolo ove si stabiliva, seppur a fini fallimentari, che "l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d'impresa". Inoltre veniva fatta salva ancora nella successiva lett. n) l'applicazione, se compatibile, delle disposizioni sull'esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al D.Lgs. n. 96/2001.

La delega non è stata esercitata e nell'agosto 2017 a seguito dell'introduzione della Legge sulla concorrenza è stato introdotto l'art. 4-bis nella L. n. 247/2012.

Il comma 1 dell'art. 4-bis stabilisce che "l'esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un'apposita sezione speciale dell'albo tenuto dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società".

Vengono meno, dunque, tutte le considerazioni relative alla società di avvocati quale tipologia peculiare non inquadrabile fra i tipi societari comuni e si applica la disciplina stabilita dalle norme del Codice civile, seppure con le peculiarità previste dall'art. 4-bis stesso.

Con la Legge di bilancio 2018 sono stati inseriti nell'art. 4-bis i commi 6-bis e 6-ter che, pur non modificando l'impianto della disciplina in esame, prevedono, opportunamente, alcune disposizioni relative al regime previdenziale.

Dal punto di vista fiscale non vi è alcuna modifica; neppure sembra possibile ipotizzare un ritorno al passato relativamente all'obbligo, contenuto nel comma 6-bis,di inserire nella denominazione sociale l'indicazione "società tra avvocati". La modifica, invece, sembra allinearsi sempre più alla disciplina delle società tra professionisti regolamentata dalla legge dell'art. 10 della L. n. 183/2011, che già prevedeva, al comma 5, che "la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società tra professionisti".

Esercizio della professione forense in forma societaria: profili fiscali

A questo punto occorre ora evidenziare i profili fiscali delle società tra avvocati nel modello disciplinato dopo le modifiche apportate alla Legge sull'ordinamento forense (L. n. 247/2012) dalla Legge sulla concorrenza dell'Agosto 2017.

Dal momento che i profili sostanziali di questo modello societario sono ora, seppur con qualche peculiarità, sovrapponibili a quelli relativi alle società tra professionisti disciplinate dalla legge del 2011, molte delle conclusioni relative a queste ultime possono essere utilizzate per inquadrare il regime tributario delle società tra avvocati.

In primo luogo non vi è più alcun dubbio relativamente alla natura reddituale dei proventi conseguiti da tali società.

Il riferimento a società di persone, società di capitali e cooperative legittima l'inquadramento ai fini fiscali secondo le regole comuni. Dunque: i redditi prodotti da tali società, in virtù del combinato disposto degli artt. 6 e 81 T.U.I.R., sono considerati redditi d'impresa e determinati sulla base delle relative disposizioni, da qualsiasi fonte essi provengano.

Sul punto è intervenuta recentemente anche l'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 35/E del 7 maggio 2018 nella quale l'Agenzia precisa che sul piano civilistico le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile e pertanto non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice e quindi come tali sono soggette integralmente alla disciplina legale. Conseguentemente, prosegue l'agenzia, in assenza di una precisa norma, l'esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d'impresa, in quanto risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un'attività professionale.

Ne deriva, quindi, che per l'Agenzia delle Entrate il solo fatto che la s.t.a. assuma la veste formale di società comporta la qualificazione del relativo reddito in conformità con la presunzione di cui agli art. 6 e 81 T.U.I.R.

Ciò sarebbe conforme a quanto stabilito per le società tra ingegneri dalla Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 4 maggio 2006, n. 56.

In altri termini, anche sul piano fiscale alle società tra avvocati costituite sotto forma di società di persone, di capitali o cooperative, si applicano le previsioni di cui agli artt. 6, ultimo comma, e 81 T.U.I.R., per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'art. 73, comma 1, lettere a) e b), da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito d'impresa.

Detta interpretazione risulta confermata anche dalla Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del dipartimento delle finanze che con nota n. 43619 del 19.12.2017 ha evidenziato come per le s.t.a. sembra più opportuna la valorizzazione dell'elemento soggettivo dello schema societario, anziché l'elemento oggettivo della professione forense di fatto esercita.

Non essendovi, dunque, ragione di differenziare le società tra avvocati dalle altre forme societarie previste nel T.U.I.R., alle stesse si applicheranno tutte le disposizioni previste nella normativa tributaria.

In particolare potrà trovare applicazione, per le società di persine, l'art. 55-bis T.U.I.R. che introduce nel nostro ordinamento la nuova disciplina dell'imposta sul reddito d'impresa (c.d. IRI) che si propone di assoggettare ad imposizione con la medesima aliquota (quella dell'IRES (24%)), tutte le forme d'impresa, indipendentemente dalla natura giuridica assunta e di tassare il reddito non distribuito con il suddetto coefficiente.

Nessun dubbio sussiste, poi, per l'Agenzia delle Entrate, relativamente all'assoggettabilità dei redditi prodotti dalle società ad IRAP. In merito è stato infatti stabilito che la qualificazione dei redditi quali redditi d'impresa rileva ai fini dell'applicazione dell'IRAP. La predetta interpretazione, seppure relativa alle società tra professionisti, pare applicabile anche all'esercizio della professione forense in forma societaria disciplinato all'art. 4-bis della L. n. 247/2012: invero, non essendovi più ragione di differenziare le forme societarie previste per gli avvocati da quelle generalmente previste per i professionisti, ed essendo qualificabile il reddito delle prime quale reddito d'impresa, è evidente che anch'esse saranno soggette ad IRAP.

Una volta individuate le forme societarie per l'esercizio della professione forense, ed evidenziato che ai fini tributari i proventi conseguiti da tali società debbano essere considerati redditi d'impresa, non fa sorgere particolari difficoltà l'individuazione dei redditi in capo ai singoli avvocati soci della società.

Se la società tra avvocati adotta il modello societario della società di capitali, il reddito prodotto, tassato in capo alla società quale reddito d'impresa, verrà assoggettato a tassazione in capo ai soci in caso di distribuzione degli utili ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. e), T.U.I.R.

Nel caso il modello societario scelto sia quello della società di persone, in applicazione dell'art. 5 T.U.I.R., i redditi della società saranno imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Essendo il reddito prodotto qualificato d'impresa, non dovrebbe essere applicata sui compensi la ritenuta ex art 25 d.P.R. n. 600/1973 (risposta dell'Agenzia delle Entrate ad interpello 954-64127/2014 del 9 maggio 2014).

Nel caso poi un socio rivesta anche la qualifica di amministratore della società, i proventi da questi ricevuti per l'attività di amministratore daranno luogo ad un reddito assimilato ai redditi di lavoro dipendente ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. c-bis), T.U.I.R.

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